Volevo solo un posto, uno, nel mondo. E invece ho avuto l’inferno.
Il 13 luglio del 1914 la Val Brembana è scossa da una terribile vicenda. A Camerata Cornello Simone Pianetti imbraccia il fucile e a sangue freddo uccide sette suoi compaesani, uomini e donne che conosce dall’infanzia.
Simone, nato in quelle valli, è il figlio mediano di una famiglia se non benestante, quantomeno agiata. Gente venuta da fuori, che per il solo fatto di aver acquistato delle terre, saper leggere e far di conto, era guardata con sospetto dai locali. Sebbene Giovanni, il padre di Simone, fosse riuscito col tempo a farsi accettare dagli altri paesani, non si può dire lo stesso per suo figlio, irrequieto e testa calda fin da giovane. Simone riesce a ottenere riconoscimento e rispetto soltanto per le sue doti di abile cacciatore, il migliore di tutta la valle.
Dopo aver trascorso alcuni anni in America in cerca di fortuna, Simone torna il Val Brembana, si sposa, ha otto figli e cerca di costruire un futuro solido per la sua famiglia. Forte di quello che aveva visto e appreso in America decide di aprire prima una locanda, che poi converte anche in sala da ballo. Troppa modernità è subito vista come promiscuità dagli occhi invidiosi dei compaesani, tanto che, se inizialmente gli affari vanno bene, dopo l’ostruzionismo dei notabili e del nuovo parroco, il Pianetti è costretto a chiudere la sua attività per mancanza di clienti.
Con i pochi risparmi rimasti lascia Camerata per il vicino paese di San Giovanni Bianco, dove investe tutto quello che ha in un mulino elettrico. Nonostante la modernità abbia raggiunto la valle con la costruzione delle stazioni ferroviarie, il progresso tarda a essere accettato dalla comunità e in poco tempo si sparge la voce che la farina del Pianetti è in realtà “farina del diavolo”. L’uomo finisce sul lastrico e nella sua mente inizia a farsi strada un’unica idea.
Un uomo solo nella sua cucina. Segna nomi su un’agenda nera. Tira linee e conclusioni. Il futuro già scritto.
Così una mattina d’estate Simone con il suo fucile toglie la vita a sette persone responsabili ai suoi occhi di molte delle sue disgrazie. Cadono sotto i suoi colpi il dottor Domenico Morali (colpevole di non aver curato l’appendicite del figlio Aristide), il segretario comunale, Abramo Giudici e sua figlia Valeria (colpevoli di aver ostracizzato a livello comunale le sue attività e di averle giudicate immorali), il calzolaio e giudice conciliatore Giovanni Ghilardi (suo rivale politico), il parroco Don Camillo Filippi (che più volte aveva incitato la comunità a non frequentare la locanda del Pianetti in quanto luogo promiscuo) e il messo comunale Giovanni Giupponi, che quella mattina si trovava con lui; ultima Caterina Milesi, detta Nella, con la quale aveva avuto un contenzioso per un debito mai pagato e che era stata responsabile delle voci sulla nocività della farina del suo mulino.
Dopo i delitti Simone scappa, si rifugia nei boschi, e nonostante le lunghe ricerche, l’uomo sembra svanito, scomparso per sempre.
E dopo aver compiuto il misfatto. Il Pianetti. Semplicemente. Svanì. La minaccia avrebbe aleggiato nei secoli tra le valli Brembana e Seriana, nei villaggi montani, fin giù ai paesi e le città. In alto, sul massiccio del Venturosa, nevai, labirinti di pietra e nebbia. Una figura avvolta da un mantello scompare, mentre un camoscio guarda dalla nostra parte. Che pure, ci si chiede, di un uomo cosa resta? Poco, o forse, il fantasma della sua libertà.
Mauro Garofalo romanza la vicenda di Simone Pianetti nel suo romanzo Ballata per le nostre anime.
Il libro risulta un’ibridazione di fatto storico, volontà narrativa ma anche metrica delle ballate. Se per tutto ciò che concerne le notizie dell’epoca Garofalo ha fatto affidamento sul volume di Denis Pianetti, pronipote di Simone, Cronache di una vendetta (Corponove, Bergamo, 2018), nello stile, come ammette lui stesso nelle note al termine dell’opera, ha basato la scrittura su gli interludi delle musiche di Nick Cave, Tom Waits e Fabrizio De André. Come in una ballata a ogni stanza, in questo caso capitolo che ci racconta cronologicamente (ma con qualche salto temporale) la storia del Pianetti, si alterna un ritornello, rappresentato dalla voce di una delle vittime. Queste ultime compaiono ormai morte nell’ordine in cui sono cadute quel 14 luglio e le loro anime raccontano la loro verità, alternando rabbia e perdono.
Mauro Garofalo è nato a Roma nel 1974, vive a Milano. Scrittore, giornalista e fotoreporter, è autore di due romanzi, entrambi editi per Frassinelli. È titolare del corso di Scrittura del Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano, collabora con La Stampa Tuttogreen e tiene il corso di Storytelling alla Civica Scuola Cinema Luchino Visconti.
Source: libro inviato dall’editore, che ringraziamo.
Volevo solo un posto, uno, nel mondo. E invece ho avuto l’inferno.
“Eredità” non è soltanto il titolo del primo libro di Vigdis Hjorth tradotto nel nostro Paese, ma il vero motore della narrazione.
Quando erano arrivati gli spagnoli, lì c’erano i Suma, i Jumano, i Manso, i La Junta, i Concho e i Chiso e i Toboso, gli Ocana e i Cacaxtle, i Couahuilatechi, i Comecrudo…ma nessuno sapeva se avessero spazzato via i Mogollon o discendessero da loro. Vennero tutti spazzati via dagli Apache. Che a loro volta vennero spazzati via, perlomeno in Texas, dai Comanche. Che alla fine vennero spazzati via dagli americani. 
Un aereo dal Brasile fino all’Italia: è un viaggio di ritorno alle origini quello che compie un giovane uomo per raggiungere un paesino di cui non conosciamo il nome, situato vicino alla costa tra la Toscana e la Liguria. Lì lo attende la casa di famiglia, pronta per essere finalmente venduta.
“Un uomo che sta per diventare padre non lo riconosci da niente.”
Tutti costoro furono onorati dai contemporanei,
Pietro Carta e Paolo Mannoni sono amici fin dall’infanzia. Nati entrambi a Nuoro nel 1899, li unisce un rapporto fraterno, a tratti simbiontico. A separarli però ci ha pensato la vita: il primo figlio di poveri braccianti, l’altro ultimo figlio di una delle famiglie più ricche della città. I due crescono insieme: Paolo tra le agiatezze che gli permette la sua classe sociale, Pietro con gli scarti che rimangono. Ma nonostante tutto i due restano inseparabili: Paolo racconta a Pietro quello che impara a scuola, Pietro dal canto suo lo istruisce sulle cose pratiche della vita. Sapere teorico ed empirico, ricchezza e povertà, “verbi servili e ausiliari” sembrano trovare il loro equilibrio, finché la storia non entra in scena con prepotenza. L’aria nefasta della Prima Guerra Mondiale ha già investito la Sardegna, molti uomini sono stati reclutati, ma dopo la disfatta di Caporetto è arrivato il momento di richiamare i più giovani. Tra questi c’è anche Paolo. A nulla valgono i tentativi di Don Pasqualino, suo padre, di ricorrere ad amicizie e promesse per salvare il figlio dall’arruolamento. Resta solo una cosa da fare, convincere Pietro, l’amico fedele, il ragazzo povero ma di buon cuore, ad arruolarsi come volontario per proteggere Paolo. Don Pasqualino non esita nemmeno un momento a legare a doppio filo la vita di Pietro a quella del figlio: deve diventare la sua ombra, seguirlo e difenderlo dai pericoli. Lo deve fare per riconoscenza, per assicurarsi il benessere della propria famiglia e soprattutto lo deve fare se crede nell’amicizia.
Un container, pochi metri quadrati per contenere quattordici anni di vita vissuta, per crescere, passare da essere una bambina a essere un’adolescente, fino a diventare una donna. Dagli otto ai ventidue anni, Laura vive tra quelle mura di metallo prigioniera dello stimato professore di antropologia Carlo Maria Balestri. Per la mente malata del mostro lei è una cavia, un esperimento: tutto è studiato e calcolato per modellare la sua mente, il suo carattere. Per punirla la ignora fino a renderla debole e remissiva, la lascia nel suo brodo in quel container per giorni; invece per indurla a fare quello che vuole usa la tecnica del bastone e della carota. Laura compila album da colorare, risolve rebus matematici, riempie interi quaderni di esercizi e se è abbastanza brava riceve un premio. Quando è più piccola si tratta di biscotti, cioccolata, una bambola, man mano che cresce uno walkman, dei libri, ma anche le sigarette, perché tutto ciò che costituisce un vizio, una dipendenza, la lega ancora di più al suo volere. Crescendo anche gli esercizi a cui la sottopone si fanno più difficili: lezioni di inglese in cassetta, temi da svolgere che si trasformano in veri e propri saggi di antropologia e sociologia. Laura descrive il mondo esterno chiusa in una scatola di ferro e le sue riflessioni finiscono rimaneggiate e rimpolpate nei libri del suo rapitore:
























