Archivio dell'autore

:: Il regno di Dio è in voi. Il testo fondamentale della dottrina della non violenza di Lev Tolstoj

19 marzo 2023

Il regno di Dio è in voi è uno dei libri più seminali che si conoscano. Lo stesso Tolstoj lo collocava al vertice della sua produzione letteraria e saggistica. Le idee espresse in questo lavoro, osteggiato dalle autorità, hanno avuto un impatto straordinario sulla società dell’epoca e valicato limiti geografici, culturali e temporali. Il pensiero di Tolstoj non ha influenzato solamente i contemporanei come Gandhi, ma ha raggiunto anche i movimenti pacifisti e non violenti contemporanei. Partendo dal Discorso della montagna di Gesù, Tolstoj muove una critica durissima e radicale alla società e alle istituzioni con argomenti attualissimi. Riprenderlo oggi ha un profondo senso spirituale e politico. E lo si può fare adesso in una traduzione italiana modernizzata e leggibile. In un saggio a corredo al testo di Tolstoj, Giuliano Procacci, che ha dedicato l’ultima parte della sua ricerca ai temi della pace e della guerra, ricostruisce il fallito tentativo di portare Tolstoj al XVIII Congresso internazionale della pace di Stoccolma del 1909. L’introduzione di Stefano Garzonio, docente di lingua e letteratura russa, inquadra il libro nella poetica, nell’opera e nella vita di Tolstoj.

:: Al via le iscrizioni alla 14esima edizione del torneo letterario IoScrittore

19 marzo 2023

Prende il via la 14esima edizione di IoScrittore, il torneo letterario online gratuito promosso dal Gruppo editoriale Mauri Spagnol, in partnership con ilLibraio.it, IBS.it, Ubik, il Libraccio e Taobuk – Taormina International Book Festival.
Diventato nel corso del tempo un punto di riferimento per gli aspiranti scrittori e le aspiranti autrici in cerca di un’occasione per mettere alla prova il loro talento, il torneo letterario IoScrittore è una realtà in continua evoluzione, che coinvolge ogni anno migliaia di iscritti su http://www.ioscrittore.it. Ricordiamo che quest’anno è possibile iscriversi sul sito entro e non oltre il 30 marzo 2023.
IoScrittore è il torneo letterario organizzato dalle case editrici di GeMS, il più grande gruppo editoriale indipendente italiano (astoria, Bollati Boringhieri, Chiarelettere, Corbaccio, Garzanti, Guanda, Longanesi, Magazzini Salani, Newton Compton, Nord, Orville Press, Ponte alle Grazie, Salani, TEA, Tre60). Un progetto di scouting editoriale, che riesce con successo a mettere in contatto aspiranti autori e professionisti dell’editoria. I partecipanti, iscritti sotto pseudonimo, sono impegnati sia nella veste di scrittori che in quella di lettori, valutando le opere degli altri partecipanti e ricevendo a loro volta critiche costruttive. Una formula innovativa che ha portato tanti autori a migliorarsi, avvicinandoli al mondo dell’editoria italiana, come è accaduto a Sara Gambazza, con il suo Ci sono mani che odorano di buono, Longanesi, e Bruno Manca, autore di A che distanza è il cielo, TEA.
Ma quest’anno IoScrittore si arricchisce di un’importante novità, il “Premio speciale under 30”.
Il vincitore o la vincitrice riceveranno 1000 (mille) euro di libri delle case editrici del Gruppo editoriale Mauri Spagnol a propria scelta tra le edizioni in commercio. Inoltre avranno la possibilità di confrontarsi con un editor professionista per capire come lavorare sul testo, per migliorarlo e metterne in luce i punti forti.
Un’occasione davvero unica per tanti giovani autori!
È stato inoltre molto partecipato l’appuntamento di LibLive Consigli d’autore per scrivere un romanzo di successo che si è svolto in diretta sulle pagine Facebook di IoScrittore e del Libraio, in occasione dell’apertura delle iscrizioni a questa quattordicesima edizione. Un incontro tutto dedicato al mondo degli esordi narrativi, in cui il pubblico ha avuto l’opportunità di ascoltare i consigli di autori e editor affermati.
Hanno partecipato Francesca Giannone, autrice di La portalettere (Nord) e Matteo Strukul, autore di Paolo e Francesca (Nord-Sud Edizioni). E con loro Marco Figini, direttore editoriale di Magazzini Salani e di Nord-Sud Edizioni e Cristina Prasso, direttore editoriale di Nord. Ha moderato l’incontro Marta Perego (autrice, conduttrice, content creator e giornalista).

A questo link è possibile recuperare la diretta – https://fb.watch/jaIY_ZoAF5/ .


In occasione dell’apertura delle iscrizioni a questa quattordicesima edizione, un incontro tutto dedicato al mondo degli esordi narrativi, per avere l’opportunità di ascoltare i consigli di autori e editor affermati.
Parteciperanno Francesca Giannone, autrice di La portalettere (Nord) e Matteo Strukul, autore di Paolo e Francesca (Nord-Sud Edizioni). E con loro Marco Figini, direttore editoriale di Magazzini Salani e di Nord-Sud Edizioni e Cristina Prasso, direttore editoriale di Nord. Modera Marta Perego (autrice, conduttrice, content creator e giornalista).
Il calendario di IoScrittore 2023: in questa prima fase che termina il 30 marzo i partecipanti dovranno caricare sulla piattaforma online l’incipit della propria opera. Sarà quindi Taobuk a ospitare in streaming e in presenza l’evento in cui saranno annunciati i 400 finalisti che potranno accedere alla seconda fase del torneo caricando sul sito http://www.ioscrittore.it il testo nella sua versione integrale. L’evento di proclamazione dei dieci romanzi vincitori si svolgerà a novembre in occasione di Bookcity Milano.IoScrittore premia ogni anno 10 opere con la pubblicazione in e-book e cartaceo on demand dopo un accurato editing professionale, e saranno distribuite in tutti i principali negozi online italiani e internazionali. Inoltre, a insindacabile giudizio delle direzioni editoriali, uno o più romanzi che hanno partecipato al torneo verrà pubblicato in cartaceo da una delle case editrici del Gruppo editoriale Mauri Spagnol. Sono inoltre previsti premi per i migliori lettori, a sottolineare l’importanza della fase di valutazione nel processo di selezione e pubblicazione editoriale.

:: Essere leader di Daniel Goleman, Richard E. Boyatzis, Annie McKee (Rizzoli 2022) a cura di Valeria Gatti

17 marzo 2023

“Il successo di un leader dipende da come egli agisce”.

Vi sarà capitato, qualche volta, di focalizzare l’attenzione sui vostri punti deboli, piuttosto che sui punti di forza che vi caratterizzano. Capita a tutti, a volte, senza neppure esserne consapevoli. Fate attenzione, però, perché se dovesse diventare un’abitudine consolidata, un’area del vostro cervello si attiverebbe e causerebbe una serie di condizioni non proprio favorevoli alla vostra crescita professionale.

Questo è soltanto uno dei tanti insegnamenti che si possono trarre dalla lettura di “Essere leader – Guidare gli altri grazie all’intelligenza emotiva”, edito da Rizzoli. Il manuale è un’opera firmata da Daniel Goleman che in questa indagine-studio ha scelto di essere affiancato da Richard E. Boyatzis e Annie McKee.

Daniel Goleman è uno psicologo di fama mondiale che ha al suo attivo numerosi studi – e pubblicazioni – circa un tema che continua a essere uno dei più interessanti, nel settore: l’intelligenza emotiva. L’IE – “la capacità di essere intelligenti nella sfera delle emozioni” – è, secondo Goleman e i suoi colleghi, una skills indispensabile se si vuole diventare persone di successo, capaci di ispirare e di trainare un gruppo verso uno stile di lavoro – e di vita – più che soddisfacente.

“Essere leader – Guidare gli altri grazie all’intelligenza emotiva” è dunque centrato sul tema della crescita professionale e personale. Una crescita che leggiamo sotto forma di analisi, consigli, stili e testimonianze atte a intraprendere un viaggio dentro noi stessi. La buona notizia che si apprende, durante la lettura, è che le abilità a cui il testo fa riferimento non sono innate, ma possono essere acquisite durante tutto l’arco della nostra vita.

Le esperienze di vita a cui fanno riferimento gli studiosi sono legate alle relazioni interpersonali, ai fattori motivanti, ai valori e ai sogni, alle regole e alla cultura aziendale – strettamente legata all’uomo che vive al suo interno -, ai programmi di formazione, ai cambiamenti, all’ascolto attivo, al concetto di risonanza e primal leadership, al sequestro emozionale e all’importanza dello humor… giusto per citarne alcune.

Non mancano, nel testo, citazioni e riferimenti bibliografici a piè pagina, e, naturalmente, alcune spiegazioni scientifiche relative alla funzionalità cognitiva ma gli autori, in queste sezioni, hanno semplificato la narrazione affinché sia facilmente comprensibile anche per chi non conosce la materia in maniera approfondita.

In conclusione, “Essere leader – Guidare gli altri grazie all’intelligenza emotiva” potrebbe sembrare una lettura dedicata solo a chi ricopre posizioni lavorative di responsabilità: il leader, appunto. Colui che costruisce, che si mette in gioco e che rischia; che deve ascoltare, che non dà nulla per scontato, che è obbligato a imparare dai suoi errori e che maneggia l’empatia per stabilire connessioni profonde e cambiamenti radicali.

In verità, è una lettura che istruisce tutti noi perché, anche se non ricopriamo posizioni manageriali, siamo costruttori attivi della nostra vita. O meglio, leader della nostra vita.

Daniel Goleman ha insegnato psicologia ad Harvard, collaboratore scientifico del “New York Times” è uno dei più apprezzati consulenti e conferenzieri a livello mondiale. Oltre al bestseller Intelligenza emotiva, in BUR sono disponibili: Menzogna, autoinganno, illusione, Lavorare con intelligenza emotiva, Lo spirito creativo (con Paul Kaufman e Michael Ray), La forza della meditazione, Intelligenza sociale, Intelligenza ecologica, Leadership emotiva, Focus, La forza del bene e Trasparenza (con Warren Bennis e James O’ Toole).

Richard E. Boyatzis è professore e direttore del Dipartimento di Comportamento organizzativo alla Scuola di Management della Case Western Reserve University.

Annie McKee insegna presso l’Università della Pennsylvania e svolge un’intensa attività di consulenza nel campo organizzativo.

Source: libro inviato al recensore dall’editore. Ringraziamo l’Ufficio stampa Rizzoli nella persona di Giulia Magi.

:: Omicidio a Mallowan Hall di Colleen Cambridge (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

16 marzo 2023

Nascosto tra le dolci colline verdi del Devon, Mallowan Hall combina il meglio della tradizione inglese con le moderne comodità disponibili del 1930. Per un aspetto, tuttavia, Mallowan Hall si distingue dalle altre pittoresche case di campagna fuori città.
Il maniero infatti ospita l’archeologo Max Mallowan e la sua famosissima moglie, Agatha Christie.
La loro governante, Phyllida Bright, tanto efficiente quanto simpatica, gestisce, sopportando la supervisione del maggiordomo Mr Dobble, la grande casa e la servitù con pugno di ferro in guanto di velluto. Nella vita di Phyllida Bright infatti tutto sembra sempre al suo posto e sotto controllo. Ha accettato la sua più che decorosa occupazione, soprattutto per la vecchia e collaudata amicizia con la padrona di casa, moglie dell’archeologo, che stima come persona dalla quale è molto stimata avendo condiviso in guerra il servizio al fronte per l’organizzazione dei soccorsi ai feriti. Ogni mattina Mrs Bright, ignorando il burbero sguardo di semiriprovazione del maggiordomo, serra la sua bella folta capigliatura biondo rosso, ben pettinata e domata in uno chignon, ma continua a indossare abiti di buon gusto che mettano nel giusto risalto la sua aggraziata figura. Apprezza molto il fatto che la sua datrice di lavoro sia una giallista celebre in tutto il mondo, gode della sua confidenza , approfitta della lettura delle sue pagine in anteprima e proteggendo con rigore la sua privacy,le garantisce il tempo e la discrezione necessaria per scrivere in tranquillità.
Appassionata di narrativa poliziesca, Phyllida deve però ancora trovare nella vita reale un gentiluomo affascinante quanto l’eroe belga della signora Agatha, Hercule Poirot.
Ma benchè abituata all’omicidio e ai suoi metodi come frequenti argomenti di conversazione, e per aver dovuto sopportare la vista di tanti morti durante la Grande guerra, quella mattina, entrando per prima in biblioteca, sarà costretta ad affrontare un cadavere molto reale e “molto” morto disteso sul pavimento… Un primo impatto retto bene. Intanto non reagisce urlando ma si china invece per appurare l’identità del morto, notando che è coperto di sangue per una penna stilografica conficcata nel collo e riconoscendo in lui Philip Waring, nome con il quale si era presentato la sera prima durante una cena organizzata dai padroni di casa. Il suo nome non figurava sulla lista degli invitati e lui era piombato all’improvviso a Mallowan Hall, dichiarandosi un giornalista pronto a fare l’intervista a suo dire promessagli da Mrs Christie. La successiva tempesta con pioggia e vento nella zona aveva costretto la scrittrice a invitarlo a fermarsi anche per la notte…
E ora qualcuno l’aveva ammazzato.

Phyllida sa che di fronte a una situazione del genere bisogna agire bene e in fretta, ragion per cui come prima cosa telefona alla polizia e subito dopo fa chiamare il maggiordomo per organizzare con discrezione gli interrogatori degli ospiti e della servitù, ben diciotto dipendenti.
C’è il rischio infatti che la notizia, per forza già rimbalzata in zona via etere, diventi troppo presto di dominio pubblico, mettendo a rischio la privacy della sua amica e padrona. Cosa che non gioverebbe a nessuno e tanto meno a lei con sul groppone una casa piena di ospiti e gran parte dello staff distratto e impaurito.
Ma a suo vedere la polizia locale, che fin dai primi passi navigherà nella nebbia più totale, non sapendo da dove cominciare a indagare, tratta il caso con superficialità, lasciando orde di giornalisti affamati di notizie accampati fuori dalle mura della proprietà e che persino sconfinano indecorosamente in giardino.
Quando poi verrà scoperto un altro cadavere, una delle sue cameriere stavolta, con la testa fracassata da un corpo contundente, a Phyllida non resterà che impegnarsi in prima persona sulle orme del suo beniamino Monsieur Poirot, e seguire ogni possibile pista per poter incastrare una alla volta tutte le tessere del complicato puzzle .
Ciò nondimeno qualcosa nella sua testa le dice che l’assassino è vicino, in agguato e minacciosamente pronto a colpire ancora. Magari si nasconde addirittura tra gli ospiti di Mallowan Hall. Con l’aiuto del bel medico del villaggio, il dottor Bhatt, de maggiordomo, Mr Dobble, di Mr Bradford, nuovo misterioso e atletico autista, e sguinzagliando tutto il personale domestico, non si lascerà fermare.
E la nostra Poirot in gonnella dovrà prendere alcune decisioni barcamenandosi tra due omicidi, infedeltà con succose situazioni vicine allo scandalo , false piste, indizi e presagi, il tutto sufficiente per riempire un romanzo di Agatha Christie e qui inserito per sviare il lettore e abbastanza per consentire a quello più intelligente di riflettere. Ma solo la prontezza e l’intelligenza di Phillida, durante un raduno di potenziali sospetti, la porteranno a rivelare il nome di chi ha ucciso…
Omicidio a Mallowan Hall, con l’ambientazione a casa della scrittrice di gialli più amata di sempre, è l’ indovinato atout di questo romanzo fresco, ironico e denso di colpi di scena, il primo della serie con Phillida Bright come protagonista, che l’autrice l’americana Cambridge dedica alla società inglese anni trenta . Quella stessa società che molti tra i lettori avranno già imparato a conoscere attraverso l’ormai famosissimo Downton Abbey.
L’autrice ha “studiato” e descrive molto bene, con i giusti toni e particolari il mondo e i protagonisti collocati in quell’epoca. La sua eroina è una detective improvvisata ma dall’intuito brillante, inquadrata in una elegante cornice che appassionerà i fan di Agatha Christie.

Colleen Cambridge, è lo pseudonimo che Colleen Gleason prolifica e ben nota scrittrice americana ha utilizzato per la sua nuova serie dai calibrati toni Inghilterra anni 30, dedicata al personaggio (immaginario) di Phyllida Bright, governante di Agatha Christie (1890 – 1976).

Source: libro del recensore.

:: Costruisci la tua casa intorno al mio corpo di Violet Kupersmith (NN editore 2023) a cura di Fabio Orrico

15 marzo 2023

Spesso la nozione di genere è un fardello, un qualcosa di troppo se forzatamente applicato a determinate narrazioni. Allo stesso modo, esistono romanzi che, pur esondando da etichette e mode, rispondono con intelligenza alla logica di genere ma rifiutando di accoglierla in toto e piuttosto facendone uso soltanto laddove lo si ritiene utile. Mi sembra che l’esordio della giovane (classe ’89) quanto talentuosa Violet Kupersmith si muova proprio in questa direzione. Innanzitutto, il titolo, bellissimo e labirintico: Costruisci la tua casa intorno al mio corpo, un titolo interlocutorio e assertivo e insieme una sorta di invocazione al gesto pensante del lettore. Il romanzo di Kupersmith (d’ora in poi per comodità taglio il titolo riducendolo alla prima parola, Costruisci) lavora ostinatamente sul concetto di confine. Non sono confini geografici, che sarebbe il minimo, visto che Winnie, la ragazza al centro della storia, lascia l’America per raggiungere il Vietnam e spostarsi occasionalmente in Cambogia. Il confine che più significativamente tratta Kupersmith è un confine fisico e riguarda il proprio corpo, l’ultimo strato di pelle che ci protegge dalle insidie del mondo; il confine della propria scatola cranica che segna il passo prima che pensieri impossibili si impadroniscano della nostra volontà raziocinante. Ho cominciato parlando di genere perché qui abbiamo topoi fieramente branditi ma anche questi a rischio di continuo sconfinamento. Il romanzo di formazione si fonde con l’horror o con una più generica atmosfera da urban fantasy e allo stesso tempo non credo sarebbe sbagliato definire Costruisci come una lunga e stratificata ghost story in cui i fantasmi, tale è la potenza della prosa di Kupersmith, sembrano principalmente trovarsi fra le persone vive.

La scrittura dell’autrice, americana di origine vietnamita esattamente come la sua protagonista, è rarefatta e vischiosa; leggere le vicende di Winnie in terra straniera restituisce a noi lettori lo stesso spaesamento della ragazza e in questo senso l’autrice raggiunge vette di autentico virtuosismo descrittivo: l’evocazione della routine vietnamita, gli scorci di uno Saigon a tratti immobile a tratti sincopata, sono punti di forza del romanzo e forse rappresentano anche il mezzo più efficace per tenere insieme una trama che tende naturalmente alla digressione se non addirittura alla dissipazione. Se infatti possiamo rintracciare in Winnie e la sua improvvisa scomparsa il cuore della narrazione, dobbiamo tenere a mente che Costruisci è un romanzo corale, una storia di storie, che attraversa almeno settant’anni di cronaca vietnamita, colonialismo, guerra, assetti politici mutati e soprattutto un profondissimo senso del folklore che apre la porta a visioni orrorifiche. Bisogna fare attenzione a parlare di Costruisci e non perché, banalmente, si rischia di spoilerare parti della trama, quanto perché i colpi di scena non sono messi lì per sorprendere il lettore ma semmai per misurare la tenuta della sua sospensione dell’incredulità, la sua propensione a lasciarsi trascinare da un continuum di avvenimenti radicati in una cultura di cui tutto sommato, almeno nelle nostre contrade, si sa poco. Violet Kupersmith, infatti, attraverso l’odissea di Winnie, sembra voler fare i conti con le proprie radici a tutti i livelli, culturali ma anche naturali e in questo senso non può essere un caso l’insistenza con cui ci viene descritta la natura vietnamita. Organizzato per imponenti blocchi narrativi, sostenuti da una suspense discreta quanto ammorbante, Costruisci definisce il ritratto di una giovane donna a partire dal suo scomparire. Da lì in poi sarà solo indagine, ricordo, rievocazione, il tutto incastrato in almeno altre tre linee narrative di pari importanza e teletrasportate lungo il novecento asiatico per oltre quattrocento pagine. È un romanzo, Costruisci la tua casa intorno al mio corpo, che pretende attenzione dal suo lettore ma che sa rifonderlo con gli interessi in termini di suggestione e malìa.

Violet Kupersmith (1989) è una scrittrice americana di origine vietnamita. Tra il 2011 e il 2015 ha vissuto in diverse città del Vietnam, e nel 2014 ha esordito con la raccolta di racconti The Frangipani Hotel. Tra il 2015 e il 2016 è stata “creative writing fellow” alla University of East Anglia, mentre nel 2022 ha ricevuto la fellowship del National Endownment for the Arts. Selezionato per il First Novel Prize del Center for Fiction, per il Women’s Prize for Fiction, e vincitore del Bard Fiction Prize, Costruisci la tua casa intorno al mio corpo è il suo primo romanzo.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo Francesca Ufficio stampa NN.

:: Un’intervista con Franco Forte, autore di “Karolus. Il romanzo di Carlo Magno”, a cura di Giulietta Iannone

13 marzo 2023

Benvenuto Franco su “Liberi di scrivere” e grazie di avere accettato questa intervista. Ho diverse domande che vorrei farti soprattutto sul tuo ultimo libro, il romanzo storico “Karolus” dedicato alla figura di Carlo Magno. Come prima domanda come ti è venuta in mente l’idea di scriverlo e quale motivazione ti ha portato a creare un romanzo così complesso e impegnativo? Anche perché la storia che racconti va proprio a scavare alle origini dell’Europa, del sogno del Sacro Romano Impero. Che idea ti sei fatto, in proposito? È importante conoscere la storia per comprendere anche il nostro presente?

R: Era da più di dieci anni che studiavo questo personaggio e cercavo documentazione storica, che in effetti è molto più abbondante di quanto si creda. L’idea che abbiamo tutti di Carlo Magno è quella un po’ polverosa e stantia che ci passa la scuola, con le solite fredde nozioni che più o meno conoscono tutti (come la famosa notte dell’incoronazione, avvenuta il giorno di Natale dell’800), ma ben poco si sa di chi fosse davvero quest’uomo, come è arrivato a essere prima re dei Franchi e poi imperatore del Sacro Romano Impero, e quanta importanza hanno avuto le sue imprese e i suoi editti nella costruzione dell’Europa moderna. l’Europa come la conosciamo oggi, di cui tanto si parla per questioni geopolitiche, energetiche, sociali, economiche e culturali, e che nasce proprio grazie a Carlo Magno, capace di difenderla dalle invasioni del mondo arabo dalla Spagna, da quello degli Avari e da Bisanzio dall’est, e dalle scorrerie di Sassoni e Norreni dal nord. Insomma, l’Europa unita è fortemente debitrice a Carlo Magno per avere fondato le basi della sua stessa esistenza, e nel mio romanzo cerco di far capire come questo sia avvenuto. Soprattutto oggi, quando non si fa altro che parlare di Europa unita e delle guerre e delle pressioni che arrivano da est, proprio da quei territori che un tempo si chiamavano Pannonia. Ottimo esempio di come la grande Storia sia capace di spiegare certi meccanismi del presente che troppi di noi ignorano.

Ricordo che prima della pubblicazione eri molto preoccupato di eventuali critiche legate al fatto che nel libro avresti dato spazio alla vita sessuale di questo personaggio, perché con la sensibilità di oggi alcuni aspetti certamente potrebbero essere criticabili. Erano paure tue infondate? Tutti hanno capito che ti sei attenuto semplicemente alla veridicità storica?

R: Al momento sembra che i lettori abbiano compreso quali sono stati i problemi a cui sono andato incontro. Descrivere la vita di Carlo Magno sarebbe stato impossibile, senza parlare delle sue donne. Non solo la madre, che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua crescita, ma anche le sorelle, le figlie e, soprattutto, le mogli, le amanti e le concubine. Perché era a loro che Carlo Magno si rivolgeva quando aveva un problema di qualsiasi titpo, era con loro che si confidava, era loro che ascoltava per schiarirsi le idee e prendere decisioni. Non c’era solo il desiderio, la necessità di avere rapporti per avere figli, ma anche l’esigenza di confrontarsi con loro nell’intimità, lontano dai giochi di potere della corte, per sentirsi perfettamente a suo agio quando doveva prendere decisioni importanti per se stesso, per la famiglia e per il regno. Dunque dovevo dare profondità a queste donne, che da quanto affermato dai documenti più antichi erano sinceramente innamorate di lui, così come lo era Carlo, e mettere il lettore a proprio agio, quando le scene da descrivere li mostravano insieme, magari nell’intimità, sotto le coperte. Il problema è che l’età media di queste mogli, amanti e concubine era davvero molto bassa, e dunque per la mentalità corrente poco più che bambine. Come affrontare la cosa? Sorvolare, per esempio, sul fatto che l’ultimo figlio Carlo Magno lo ebbe a 65 anni, da una concubina che ne aveva solo 13? Oppure provare semplicemente a rendere i tempi così com’erano, sperando che i lettori capissero che era solo l’esigenza di ricostruire nel modo più realistico possibile l’epoca che stavo descrivendo? Ho scelto questa seconda strada, e al momento sembrerebbe che sia stata quella giusta.

Secondo te è ancora vivo il preconcetto secondo cui i romanzi storici, dove si narrano battaglie, avvenuture, con connotazioni anche un po’ osè – scusa, questo termine mi fa sembrare arrivata dall’Ottocento in carrozza, ma per specificare cosa intendo mi sembra il più ideoneo – siano letture prevalentemente maschili, e che le donne prediligano i romanzi rosa, romantici e diciamo all’acqua di rose?

R: Purtroppo il preconcetto c’è ancora, e credo sia un peccato, perché il romanzo storico è un genere di narrativa valido per tutti i tipi di lettori. Da parte mia cerco sempre di inserire le donne che hanno avuto dei ruoli nelle storie che racconto, siano essi ruoli di primo piano o secondari, perché proprio come nella vita reale senza le donne i cosiddetti “grandi uomini” non sarebbero andati da nessuna parte. Il problema è che la Storia tende a dimenticarsi delle donne, limitandosi ad annotare fatti ed eventi legati alle imprese dei personaggi noti, che nell’antichità erano quasi sempre uomini (a parte qualche caso eclatante di donne di primo piano, come Cleopatra, Lucrezia Borgia, la regina Vittoria). E questa cosa mi ha sempre infastidito, perché senza donne valorizzate per quello che sono state, i romanzi storici si riducono a essere sterili resoconti di battaglie e scontri fra popoli. Troppo spesso in passato è stato così, e questo ha originato l’idea che il pubblico prevalente di questo genere di romanzi fosse maschile. Oggi non è più così, e il merito forse va anche al fatto che sempre più spesso si riconosce nei romanzi storici il ruolo fondamentale avuto dalle donne del passato, diversamente da quanto accade nei libri di storia.

Ricollegandomi alla precedente domanda, tu dirigi anche collane editoriali per cui hai il polso della situazione, in percentuale le donne che comprano libri sono più degli uomini? O hai altri dati?

R: I dati del mercato ci dicono che le donne sono la maggioranza di chi compra e legge libri. Almeno il 60%, secondo le ultime statistiche che ho letto. E lo fanno con più entusiasmo e voglia di condividere questa loro passione. Basta guardare cosa avviene sui social, dove esistono centinaia di donne e ragazze che hanno blog in cui parlano di libri, pagine Facebook o profili Instagram e Tik Tik in cui raccontano le loro esperienze e diffondono il valore della lettura, e la magia di questo atto che permette alle persone di compiere dei viaggi meravigliosi con la fantasia, per vivere avventure in prima persona in luoghi, tempi e situazioni che mai avrebbero immaginato. Cresce sempre più anche il numero delle autrici, e in editoria gli operatori che si occupano delle scelte dei titoli da pubblicare, della loro lavorazione, della promozione e della diffusione sono sempre più al femminile.

Che aspetti hai privilegiato nella stesura del tuo libro e come sti sei documentato?

R: Vedi, il senso del romanzo storico è uno solo: dare modo ai lettori di immergersi in un’epoca passata per vivere un’esperienza fuori dal comune, che non si potrebbe sperimentare in altro modo (almeno fino a quando non si inventerà la macchina del tempo). Per farlo, occorre dare la possibilità ai lettori di immedesimarsi nei personaggi delle nostre storie, perché solo così possono vivere nel romanzo come se tutto ciò che accade sia vero, e soprattutto ne siano protagonisti (insieme ai personaggi con cui si sono immedesimati). Essendo questo il meccanismo, diventa facile capire che quando si chiede al lettore di assumere le spoglie (fisiche e mentali) di un grande personaggio che ha fatto la Storia, si ottiene più facilmente il risultato di divertirlo ed eccitarlo. Prima, però, bisogna studiarlo a fondo, diventare una sola cosa con lui, e questo richiede impegno, studio, lavoro. D’altra parte, se si chiede al lettore di immedesimarsi in Mario Rossi, vissuto negli anni 2000, è una cosa, se lo si porta nel corpo e nella testa di Carlo Magno nell’ottavo secolo… be’, l’avventura che si promette di far vivere al lettore sarà molto più intensa, più coinvolgente. Ma a maggior ragione deve risultare un’esperienza realistica, per cui tutto ciò che si scrive deve essere credibile, coerente, plausibile e perfettamente contestualizzato con quanto ci dicono gli studi storici. È indubbio che il fascino di certi grandi uomini (o donne) della Storia può interessare a tutti, e questo è uno dei motivi per cui il romanzo storico non ha mai subito disaffezione da parte dei lettori. Nel mio “Karolus” si vive per 730 pagine immedesimati con uno degli uomini più straordinari, controversi, intelligenti e rivoluzionari che siano mai esistiti, e la promessa che faccio ai lettori è di vivere una bella avventura ma anche di capire con me e con Carlo Magno che cosa ha significato cambiare il mondo, per traghettarlo fino all’ordine sociale che conosciamo oggi.

Da narratore la figura di Carlo Magno ti è stata congeniale o hai trovato parti difficoltose da trattare?

R: Mi sono riconosciuto spesso in lui, in tante sue scelte e prese di posizione, ma come è giusto che sia mi sono anche scontrato con tante cose che ha fatto, frutto della mentalità dell’epoca in cui ha vissuto, che era ben diversa dalla nostra d’oggi. La difficoltà principale, quando si scrive di questi personaggi del passato, è riuscire a capire i percorsi psicologici – derivativi spesso della cultura e della società dell’epoca – che hanno seguito e che li hanno convinti a prenedere certe decisioni piuttosto che altre. Il compito del narratore storico non dovrebbe essere quello di giudicare, e dunque di interpretare secondo i propri parametri le gesta degli uomini del passato, bensì cercare di ricostruire nel modo più coerente, veritiero e plausibile possibile ciò che è avvenuto, e dare le chiavi di interpretazione psicologica che hanno portato i protagonisti coinvolti a fare certe scelte. Un’impresa non da poco, che però mi ha sempre affascinato.

Grazie della disponibilità e del tempo che mi hai dedicato. Come ultima domanda parlaci dei tuoi progetti futuri.

R: Grazie a te per l’ospitalità. Al momento i miei progetti prevedono un intenso tour di promozione di “Karolus”, che vorrei far conoscere a quanti più lettori possibile perché credo sia un romanzo – e un personaggio – che merita di essere letto. Nel frattempo mi sto dedicando al lavoro di costruzione della scaletta del prossimo libro, che vedrà la luce nel 2024, e di cui, per scaramanzia, preferisco non rivelare ancora a cosa si ispira.

:: Cuori di nebbia di Licia Giaquinto (TerraRossa Edizioni 2022) a cura di Nicola Vacca

13 marzo 2023

Giovanni Turi fondando Terrarossa Edizioni ha portato una bella ventata di aria pulita e nuova nel mondo della narrativa italiana contemporanea. Tra le brillanti intuizioni dell’editore c’è Fondanti, una collana che ripropone opera che hanno segnato un’epoca o hanno rappresentato un tassello fondamentale nel percorso narrativo di autori di talento.

Ultimo arrivato è Cuori di nebbia, il romanzo di Licia Giaquinto. Il libro fu pubblicato da Flaccovio nel 2007 e fu fortemente voluto da Luigi Bernardi, indimenticato direttore editoriale, ma soprattutto scrittore e intellettuale libero e lontano sempre dal mercimonio del mercato editoriale. E soprattutto, in virtù del suo essere sempre corsaro e irriverente, Luigi quando decideva di pubblicare un libro non sbagliava mai un colpo.

Cuori di nebbia è un romanzo nero che al suo interno contiene altrettante storie nere e personaggi oscuri che si muovono nella notte disillusa della pianura emiliana negli anni novanta.

Lungo la via Emilia sembra muoversi l’intera nazione. Infatti nella quarta di copertina il lettore ideale di questo libro è colui che cerca uno spaccato disilluso e vero dell’Italia degli ultimi decenni, chi leggendo vuole costeggiare le tenebre e non ama il lieto fine.

Cuori di nebbia è un noir nelle cui pagine troviamo lo stesso spaesamento che ammiriamo in una fotografia di Luigi Ghirri.

E la nebbia in cui sono immersi tutti i personaggi con le loro storie è una metafora del degrado morale e dello squallore esistenziale che Licia Giaquinto ci mostra con una lingua affilata che sanguina.

Mirella, Filippo, Nicola, Natascia, Mirco, Francesco, Patrizia. Questi sono i personaggi che con i loro demoni attraverso la grande notte e le loro esistenze sono avvolte da una nebbia che è portatrice di dilemmi e drammi.

Tutti danno vita a un puzzle a un romanzo corale in cui fragilità, disincanto e rabbia sono i simboli di vite disilluse che nella località di Bruciata precipitano nei loro personali abissi dove l’inconscio incontra le tenebre e la menzogna è una verità capovolta.

La scena in cui si svolge il romanzo assomiglia molto a una terra desolata. L’autrice prima di immergersi nella vita dannata dei sette personaggi la consegna al lettore con parole spiazzanti.

«Una distesa di campi piatti e sterili, glassati dalla galaverna, e tagliati dalla ferita grande della strada, con la slabbratura degli argini, e dei tanti graffi dei viottoli». Un paesaggio anemico e malinconico in cui il giorno avanza a fatica fa da sfondo a Cuori di nebbia, un romanzo in cui sette persone con le loro storie fanno i conti con i loro lati oscuri fino all’annientamento.

Licia Giaquinto ci conduce in un viaggio al termine della notte: i sette personaggi brancolano nella nebbia, sanno che si sono persi per sempre.

Le loro vite disilluse ci faranno sentire un freddo addosso e anche noi insieme ci perderemo nella nebbia, spaesati con i nostri lati oscuri ci sentiremo coinvolti da una anatomia dell’irrequietezza, che ci porteremo addosso, accorgendoci a lettura ultimata che questo libro ci ha cambiato per sempre.

Licia Giaquinto è nata in Irpinia, dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza, ora vive a Bologna. Ha esordito nella narrativa con Fa così anche il lupo (Feltrinelli 1993), a cui sono seguiti È successo così (Theoria 2000), Cuori di nebbia (Dario Flaccovio 2007, ora riproposto da TerraRossa Edizioni), La ianara (Adelphi 2010), La briganta e lo sparviero (Marsilio 2014). Ha scritto anche testi teatrali, l’ultimo è Carmine Crocco e le sue cento spose. È ideatrice e anima dell’associazione Aterrana – Ater Ianua che vuole contrastare il degrado e lo stato di abbandono del borgo storico di Aterrana (Av).

Source: libro inviato dall’Ufficio stampa al recensore.

:: Corpo a Corpo di Elena Mearini (Arkadia 2023) a cura di Patrizia Debicke

10 marzo 2023

Corpo a corpo si svolge nell’arco di diciotto ore, durante lo scorrere e più, di una giornata di una palestra della periferia milanese, ad Arluno, luogo in apparenza fuori dal tempo, dove cerca appoggio e asilo Stefano, oggi giovane professore di Italiano al liceo, ex promessa del pugilato che qualcosa ha obbligato ad abbandonare i guantoni…
Come una belva ferita fa ritorno al suo antro, così Stefano Santi si rifugia in quella palestra , un tempo quasi sua casa e famiglia per confessare a Mario, proprietario della sala e suo ex allenatore, tutta la sua storia.
Durante la sua lunga e sofferta confessione, Stefano legge alcuni estratti del diario di Marta, perché “serve conoscere la voce di lei per arrivare alla disfatta di lui”.
Marta che, a suo dire, voleva a tutti i costi salvare la sorella Ada dalla condanna della sua perfezione. Ada che di nascosto si allenava sfogandosi e picchiando con la boxe alla ricerca dell’autenticità e per non esplodere, imprigionata nei canoni di un’assoluta eccellenza. Ada che, arrivata al culmine di ogni desiderata, ovverosia essere una stella della danza, si era uccisa ma nessuno aveva mai capito il perché, quali fossero i motivi di quel terribile gesto di disperazione. Drammatico e al contempo folle diario di Marta, ragazza ventenne che si sentiva troppo normale per essere notata, ma sempre pronta a riconoscere ogni eccesso altrui e immaginarne la sofferenza e troppo severa con se stessa per non rischiare di impazzire. Marta con l’intollerante convinzione di essere una mediocre e l’insofferente attaccamento nei confronti della sorella, vuole con le sue parole solo giustificare le sue azioni. Azioni lucide e deleterie con per vittime Ada e Stefano che lei, nella sua contorta e malata fissazione, è sicura di aver salvato da una vita perfetta, perché solo la mediocrità ha il diritto di sopravvivere… Ada e Marta, due sorelle che non avrebbero dovuto mai essere divise … e invece quell’orribile fatalità. Con la morte di Ada che ha scatenato solo angoscianti dubbi, rimorsi e ineluttabili conseguenze.
Mario, il pugile, la roccia, il vero punto fermo e stabile della narrazione, orecchio attento che non giudica o condanna ma tramite le ferree regole del suo sport e il richiamo ad alcuni campioni del passato come Joe Louis, Willy Pep e James Walter Braddock – quasi sull’ altare della storia della boxe – e la concretezza dei fatti, aiuterà Stefano, stretto nella morsa del tormento, a comprendere quale dovrà essere “la cosa giusta da fare”. Ma la sua scelta sarà davvero giusta? Potrà forse esserlo solo se il farlo gli servirà a dare un significato a un’esistenza ormai rovinata per quanto irrimediabilmente accaduto e a imboccare la strada dell’espiazione .
Elena Mearini che con la sua intensa e consueta capacità di scrittura, spesso ogni sua frase nasconde un pensiero e in questo suo romanzo affronta problematiche crude e scottanti , racconta del bene e del male insito in noi tutti. Per farlo si serve di una perfetta metafora pugilistica, la “nobile arte” utilizzata sia come libertà da parte delle donne che indirettamente come simbolo di lotta e implicità accusa all’eccesso di conformistica perfezione reclamato oggi dalla società. Quella costante pretesa di dover piacere a tutti, di voler essere migliore a ogni costo senza riuscire ad accettare i limiti di una ragionevole normalità, che costringe a trovare a ogni costo la colpa e sfogarsi su qualcuno da punire, rischiando di scivolare in rapporti di dipendenza che penalizzano e tolgono la libertà. Una costrizione che obbliga a coinvolgersi in qualcosa di pericolosamente malsano, in grado di ferire e far male. E di rischiare il diretto confronto conpersone con pregresse turbe mentali mai individuate , che magari nascondono i loro malessere o addirittura una peculiare patologia.
Con un complesso reticolo di vite che si avversano, affrontandosi come sul ring, Elena Mearini ci narra con coinvolgente ma tragico realismo, la crudezza del bene e del male, stavolta fulcro trainante del suo “Corpo a corpo” con le conseguenze di amori talmente snaturati da trasformarsi in fatali. Amori snaturati che conducono ineluttabilmente alla audistruzione, ma contemporaneamente esalta come impagabile e insostituibile, il valore di vere affinità elettive allacciate all’ombra della comune passione sportiva, in questo caso la boxe, assimilata al perenne lottare, insito nella vita di ciascuno di noi qui simbolico emblema dell’incontro-scontro della vita. Pian piano la trama, sovrapponendo il senso della vita al pugilato, sviluppa il suo colto intreccio di sentimenti e azioni in una speciale atmosfera descritta con linguaggio chiaro e preciso. E sarà proprio la lineare forza della parola e del racconto a svelare alla fine tutta la verità.

Proposto da Ilaria Catastini al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:

«Corpo a corpo, di Elena Mearini, è un noir psicologico costruito come una sequenza di round, quasi fosse un incontro di boxe, sport che fa da sfondo e da elemento strutturale del romanzo e che lega l’allenatore di pugilato Mario, il protagonista Stefano e le due figure femminili, centrali nella trama ma di sfondo nel chiaroscuro della narrazione. Il ring che rappresenta la vita, con l’attacco e la difesa, lo stare in guardia, lo studio dell’avversario. Catturare il momento giusto per assestare il colpo, non fermarsi mai. Nel ring della vita si sfidano anche l’amore e la volontà di controllare l’altro; si sfidano il fato e la capacità di governare il proprio destino. È in questo ring simbolico della vita che Marta sfida in un corpo a corpo la sorella Ada, la ragazza perfetta e inarrivabile, andata incontro a un tragico destino. E un ring diventa il rifugio di Stefano dopo aver ucciso Marta; su quel ring altrettanto simbolico Stefano lotta con se stesso svelando al lettore, attraverso le pagine di un diario, il colpo di scena inquietante che metterà in luce la mente psicologicamente disturbata di Marta e il gesto sconsiderato e irreversibile di Stefano. Gli incidenti che cambiano il destino delle persone, individui che si crede di conoscere e che si rivelano diversi da come pensavamo: Corpo a corpo è un romanzo che riesce a cogliere una quantità di sfumature che non comprendono solo il noir, attraversando diversi generi letterari e che tiene il lettore sospeso in una condizione psicologica nella quale ognuno di noi potrebbe ritrovarsi.»

Elena Mearini vive a Milano ed è autrice e docente di scrittura creativa e poesia. Dirige la Piccola Accademia di Poesia fondata nel 2020. Ha pubblicato una raccolta di poesia per LiberAria Editrice, Strategie dell’addio, e due per Marco Saya Editore, Per silenzio e voce e Separazioni. Nella narrativa ha esordito con 360 gradi di rabbia (Excelsior 1881), cui ha fatto seguito A testa in giù (Morellini Editore), Undicesimo comandamento (Perdisa pop editore), Bianca da morire (Cairo Editore, selezionato al Premio Campiello), e È stato breve il nostro lungo viaggio (Cairo Editore, selezionato al Premio Strega 2018 e finalista nella cinquina per il Premio Scerbanenco). Il romanzo I passi di mia madre è stato candidato al Premio Strega 2021 con la presentazione di Lia Levi. Nel 2019 ha pubblicato per Perrone Editore Felice all’infinito. Ha curato l’antologia Tra Uomini e Dei, storie di rinascita e riscatto attraverso lo sport (Morellini Editore) ed è presente in diverse antologie di narrativa, tra cui Lettere alla madre e Lettere al padre (Morellini Editore) e Nel mare di Lombardia (Les Flaneurs Edizioni).

:: L’incertezza della rana di Giorgio Bastonini, (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

9 marzo 2023

Sembra una sera come tante, nelle strade e i nei vicoli di Latina che conserva ancora i segni del suo passato fascista, quando tornerà in pista Paolo Santarelli lo strano piemme in servizio presso la procura di Latina, quello con alla destra Palazzo Emme, storico edificio costruito al battesimo della nuova città che, a quell’epoca si chiamava, Littoria.
Lui, Paolo Santarelli , che Giorgio Bastonini ci aveva già presentato nel suo precedente giallo uscito due anni fa. Strano personasggio ma soprattutto completamente diverso dall’immagine formale che uno può aspettarsi da un magistrato.
Paolo Santarelli infatti è una persona che si presenta tutti i giorni in ufficio, con ai piedi le Converse e indossando una felpa colorata. Uno poi che, ignorando la macchina di servizio con qualunque tempo va in giro pedalando in bicicletta e con uno strano rapporto con l’universo femminile: ha una ex alle spalle, attualmente è impegnato con un’accomodante fidanzata con la quale mantiene soprattutto un rapporto a distanza, anche a ore impossibili, fatto soprattutto di messaggi.
Mantiene una rispettosa e proficua convivenza con il commissario Bertoni, acuto funzionario della mobile, ma in città, visto che lo si considera ancora un estraneo perché campano di origine, ha pochi amici. Tra loro Livio, padrone del bar Piccolino dove subito, più veloce del vento, arrivano tutte le notizie di quanto succede a Latina…
Fine novembre, dopo aver adempiuto con rassegnazione al sacrificio del suo sangue preteso dall’implacabile nugolo delle locali zanzare autunnali, Santarelli ha raggiunto a piedi il bar Piccolino per accordarsi con il proprietario su una cacio e pepe serale. Ma appena arrivato verrà informato da Livio di una sparatoria appena avvenuta in città, e dopo aver ricuperato il cellulare, come al solito dimenticato in ufficio, ci troverà dentro l’avviso che anche una telefonata anonima ha segnalato il fattaccio. Non gli resta che saltare in bicicletta e pedalare verso il luogo del delitto.
dove il commissario Bertoni è già al lavoro con i suoi uomini. A prima vista, parrebbe trattarsi di un regolamento di conti e dunque per Santerelli vorrebbe dire un’ indagine di routine. Sul litorale, infatti, qualcuno ha sparato al giovane rampollo del clan Romano, a Gianluca, detto “Spaghetto”, il giovane e viziato virgulto della famiglia mafiosa di rom stanziali con il monopolio di spaccio, usura ed estorsioni”. Famiglia che da tempo Santarelli prova in ogni modo a incastrare.
Ma non si tratta di un regolamento di conti e il nostro piemmelo scoprirà presto, mentre torna a piedi a casa, dalle parole di Raffaele Locatelli, grassoccio chimico e ricercatore scientifico trentenne con tanti segreti e troppi nemici… che l’avvicina per strada per rivelargli di aver sparato a Spaghetto proprio nella piazzola e di temere la vendetta dei Romano. Ma avrà appena il tempo di ammettere una furibonda lite con Spaghetto, causata da divergenze per la comune società e accennare a un casale in campagna dove sta sperimentando le sue ricerche, prima che la sua voce venga sopraffatta dal rumore di una accelerata e da una 500 bianca, comparsa all’improvviso dal nulla, qualcuno gli sparerà, uccidendolo.
Due delitti ma anche due colpevoli prontamente individuati: con Raffaele Locatelli, reo confesso del primo delitto e presumibilmente assassinato per vendetta nel secondo . E il suo carnefice verrà facilmente identificato tramite le intercettazioni dei membri del clan.
Tanti piemme si fregherebbero le mani davanti all’occasione di chiudere in un solo colpo due casi, ma Paolo Santarelli è “uno strano pubblico ministero”: lui vuole vederci più chiaro, andare più a fondo a tutta la faccenda. Tanto per cominciare scoprire cosa combinava Locatelli, un giovane chimico nella società con il clan dei Romano, che campano con l’usura e la vendita di droga?
L’approfondita perquisizione della sua casa si rivelerà un buco nell’acqua, nonostante la vicinanza di una conturbante amica della vittima, una cartomante che sicuramente lo conosceva bene. Più interessante si rivelerà la visita fatta in bicicletta da Santarelli all’azienda agricola di cui Raffaele era titolare: all’interno di un capannone scoprirà infatti una meravigliosa serra con dentro piccoli stagni con una rigogliosa flora acquatica affollata da piccole rane.
Ma quale interesse avevano Locatelli e Spaghetto a trapiantare nell’Agro Pontino quello che pare un piccolo pezzo di Amazzonia? Per sbrogliare il mistero, che potrebbe avere lunghissimi e ramificati tentacoli internazionali, Paolo Santarelli dovrà darsi da fare e affrontare con determinazione e coraggio – e, se necessario, facendo anche uso di sostanze particolari –, un’ intricata e molto pericolosa situazione che affonda le sue radici addirittura oltreoceano.
Ma Santarelli è una persona prima di un magistrato. Una persona in grado di vivere e vedere la vita con un’ottica diversa , in grado di applicare la legge ma anche di farlo bene. Talvolta infatti non si possono giudicare le persone, valutando supinamente le loro azioni. Bisogna saper interpretare le regole con giustizia ed equità.
Una trama brillante con un protagonista brillante e ironico, un giovane quarantenne anticonformista aperto, intelligente e colto, che ogni tanto incespica un filino nei suoi rapporti al femminile.
L’incertezza della rana è una conferma per Giorgio Bastonini di saper raccontare con il giusto mix di commedia e tragedia una certa vita di provincia italiana, creando un’altra storia non comune, divertente e che non ha scordato in questo caso di rifarsi persino a un fatto di cronaca realmente accaduto. Santarelli infatti verrà chiamato a sostituire un collega nel dibattito finale di un processo in cui sono imputati alcuni giovani accusati di aver pestato a morte un ragazzo, colpevole volere far da paciere in una rissa. Chiari i riferimenti alla tragica storia del povero Willi Monteiro, ucciso a Colleferro due anni fa.

Giorgio Bastonini è nato nel 1961 a Parigi e vive fra Latina e Milano. Ama il caffè, il vin brulé e il suono del ticchettio della tastiera. Per pagare le bollette fa il commercialista. Il Giallo Mondadori ha pubblicato nel 2021 la prima avventura con protagonista il piemme Paolo Santarelli, Uno strano pubblico ministero.

Source: libro del recensore.

:: Buona Festa della Donna a tutte le lettrici di Liberi di scrivere!

8 marzo 2023

:: Karolus. Il romanzo di Carlo Magno di Franco Forte (Mondadori 2023) a cura di Valerio Calzolaio

6 marzo 2023

25 dicembre 800. Roma. Quel Natale il Papa sta per proclamare un nuovo sovrano, a ricevere la corona è Carlo Magno (742 – 814), primogenito della stirpe dei Carolingi, immerso in una storia di coraggio e amori, sangue e dubbi, battaglie e trionfi, complotti e intrighi, rimpianti e perdite. E segreti! In “Karolus”, attingendo a sterminate storiografia e bibliografia, l’ottimo scrittore, sceneggiatore e giornalista Franco Forte (Milano, 1962), direttore editoriale delle collane da edicola Mondadori (compreso Il Giallo), narra lungamente e intensamente le gesta del celebre reggente unico del Sacro Romano Impero, dalla primissima infanzia agli ultimi istanti di vita. Dopo la dedica (alla famiglia), l’albero genealogico della “stirpe”: prima da Pipino il Breve a Carlo e ai suoi tanti fratelli e sorelle minori; poi dalle cinque mogli agli innumerevoli figli, soprattutto di Ildegarda (la terza, sposata nel 771 e morta nel 783). Seguono ascesa e dominio, attraverso sei godibili capitoli.

Franco Forte è nato a Milano nel 1962. Scrittore, sceneggiatore e giornalista, per Mondadori ha pubblicato, tra gli altri, Carthago, Roma in fiamme, Caligola, Cesare l’Immortale e Romolo, il primo di una serie di libri dedicati ai sette re di Roma.

Source: libro del recensore.

:: Kallocaina. Il siero della verità di Karin Boye (Iperborea 2023) a cura di Emilio Patavini

5 marzo 2023

Pubblicato nel 1940, un anno prima della morte dell’autrice, Kallocaina è il romanzo più famoso di Karin Boye, scrittrice e poetessa svedese. Nata a Göteborg nel 1900, studia greco antico e norreno a Uppsala, dove entra in contatto con il movimento di ispirazione socialista Clarté. La influenzano il nichilismo di Nietzsche, la psicoanalisi freudiana, le religioni orientali e gli antichi miti scandinavi. Nel 1922 pubblica Nuvole, sua prima raccolta poetica. Nel 1929 sposa Leif Björk, un attivista del movimento clarteista (anche se il matrimonio terminerà qualche anno dopo), e collabora alla rivista d’avanguardia Spektrum, dove pubblica con Erik Mesterton la sua traduzione de La terra desolata di T.S. Eliot. Nel 1932 si trasferisce a Berlino, dove si sottopone a psicoanalisi per comprendere meglio se stessa e la propria omosessualità. Nel 1934 si innamora di una ragazza tedesca, Margot Hanel. Nel 1940 si trasferisce ad Alingsås, dove scrive Kallocaina, il suo capolavoro. Il 23 aprile 1941 esce di casa senza farvi più ritorno: il suo corpo viene ritrovato qualche giorno dopo nel bosco. Con il suo suicidio – seguito un mese dopo da quello di Margot Hanel – si spegne una delle voci più importanti della poesia svedese.

Kallocaina, il suo ultimo romanzo, è uno dei grandi romanzi distopici del Novecento, assieme a Noi (1924) di Evgenij Zamjatin, Il mondo nuovo (1932) di Aldous Huxley e 1984 (1949) di George Orwell. La prima edizione italiana, da tempo fuori catalogo, uscì nel 1993 per Iperborea. L’11 gennaio, a distanza di trent’anni, è uscita una nuova edizione del romanzo, tradotto da Barbara Alinei e con la postfazione di Vincenzo Latronico. Kallocaina descrive una società totalitaria e militarista, dominata da uno Stato Mondiale, in cui l’individuo è completamente annullato in nome della collettività e in cui le persone non si considerano “individui”, ma “compagni soldati”. Il romanzo è scritto in forma di diario da un chimico, Leo Kall, inventore del siero della verità (che prende il nome di kallocaina in suo onore). In questo stato poliziesco, le autorità sfruttano le potenzialità offerte dalla kallocaina, prontamente impiegata come strumento di controllo. In un primo momento, l’applicazione pratica della kallocaina si limita al campo della giustizia, dove può essere utilizzata negli interrogatori per far confessare la verità agli imputati. «D’ora in poi nessun criminale potrà negare la verità. Neanche i nostri pensieri più intimi ci appartengono più, come a torto abbiamo creduto per molto tempo» (p. 20), afferma soddisfatto Leo Kall, continuando: «i colpevoli confesseranno spontaneamente e senza riserve con una semplice iniezione» (p. 59). Nella società descritta da Karin Boye, tutto appartiene allo Stato: non solo i propri figli, ma anche i pensieri. Tutto è sacrificato in nome di quella «unica cosa sacra per tutti: la collettività» (p. 28). Ma in seguito ci si rende conto che essa «permetterebbe di prevedere e prevenire molte delle atrocità che ora ci piovono addosso all’improvviso» (p. 63). Questa lucidissima intuizione di Karin Boye sembra quasi anticipare il racconto Rapporto di minoranza (The Minority Report) di Philip K. Dick, in cui la polizia si serve di precognitivi per sventare i crimini prima ancora che essi siano commessi.

Quello che si crea è un clima di reciproca diffidenza, dove chiunque ritenuto «pericoloso per lo Stato» (p. 100) può essere denunciato dal proprio collega o dal proprio coniuge. Lo stesso Kall denuncia l’odiato collega Rissen e arriva a sospettare di sua moglie Linda.

In tutto questo si affaccia la visione di una Città Deserta vagheggiata dai nemici dello Stato e avvolta nella leggenda, una «città abbandonata e in rovina in un luogo inaccessibile» (p. 160), «sconosciuta e irraggiungibile» (p. 160), più antica dello Stato stesso, distrutta da bombe, gas e batteri, eppure bramata e abitata dai “diversi”, coloro che vengono definiti con disprezzo «asociali». Per usare, ancora una volta, le parole di Leo Kall, si tratta di «una favola su cose che non esistono. Cimeli di una cultura morta! In quel villaggio deserto bombardato dai gas sopravviverebbero i resti di una civiltà che risale all’epoca precedente le grandi guerre. Ma non c’era nessuna civiltà! […] Qualcosa che meriti il nome di civiltà è inconcepibile durante l’epoca civil-individualistica. I singoli lottavano contro i singoli, i gruppi sociali contro i gruppi sociali. […] Questa io la chiamo giungla, non civiltà. […] La civiltà non può esistere che nello Stato» (pp. 161-62). La descrizione della Città Deserta rimanda naturalmente alla Waste Land eliotiana, tradotta dalla stessa Boye. Alcuni versi in inglese vengono riportati anche in esergo.

Da una parte l’opera riprende alcuni elementi già presenti nelle precedenti distopie (le droghe come strumento di controllo erano già comparse nel romanzo di Huxley), ma dall’altro innova il genere e anticipa alcune delle tematiche trattate da Orwell nel suo più famoso 1984. Disseminati in ogni luogo sono i «milioni di occhi e orecchi che vedevano e sentivano giorno e notte le azioni e i dialoghi più intimi di tutti i compagni» (p. 122), oscura prefigurazione della pervasività tecnologica che caratterizza 1984 con i suoi onnipresenti teleschermi. Il protagonista, Leo Kall, non nutre una segreta avversione nei confronti dello Stato come Winston Smith, ma come nota nella sua postfazione Vincenzo Latronico «è a tutti gli effetti un antieroe, più rigido e conformista di chi ha intorno» (p. 240), è un esaltato che non solo si rende conto delle potenzialità della sua scoperta, ma si adopera affinché siano messe in atto, dando il via «a un’opera di pulizia che avrebbe liberato il corpo dello Stato da tutto il veleno inoculato dai criminali del pensiero» (p. 135). È lo stesso Kall, infatti, a proporre una legge «contro i pensieri e i sentimenti ostili allo Stato» (p. 138), una «nuova legge contro la mentalità anti-Stato» (p. 178). Le autorità accolgono con favore la sua proposta, in seguito alla quale anche «i pensieri possono essere condannati» (p. 177). Ecco dunque il concetto di psicoreato (thoughtcrime) teorizzato nove anni prima della pubblicazione del capolavoro orwelliano. Eppure Kall non ha dimenticato le parole del collega Rissen: «Nessuno che abbia passato i quarant’anni ha la coscienza pulita» (p. 240), e infatti vive nel terrore di essere sottoposto al siero che porta il suo nome. Non si fida nemmeno di se stesso. Sa benissimo che nessuno è innocente, che tutti hanno qualcosa da nascondere. Questo dato di fatto è il pilastro su cui poggiano le sicurezze dello Stato, perché come afferma lui stesso: «La ragione sacra e necessaria dell’esistenza dello Stato è la nostra mutua, legittima sfiducia l’uno nell’altro. Chi mette in dubbio questo fondamento mette in dubbio lo Stato» (p. 126).

Leggendo questo romanzo non si può fare a meno di intuire che esso è stato scritto da una sensibilità diversa, da una voce originale, quale è quella di Karin Boye, benché scelga di narrare la sua storia da un punto di vista maschile. Si tratta di una voce anzitutto poetica, che diversamente da Orwell o da Huxley antepone la soggettività dell’io narrante, l’introspezione psicologica (quasi psicoanalitica) e la riflessività del personaggio alla parte più propriamente narrativa o di azione. L’accento è posto sui pensieri di Leo Kall, estensore del diario nonché protagonista, e il lettore segue il suo flusso di coscienza.

Karin Boye nata nel 1900 a Göteborg, è una delle grandi voci della poesia svedese. Dopo la Prima Guerra Mondiale aderisce al movimento pacifista Clarté e viaggia in Europa vivendo le inquietudini del suo tempo: visita, turbata, l’URSS di Stalin (1928), la Germania che si prepara a Hitler (1932) e l’agognata Grecia (1938), culla della civiltà e dei valori a lei più cari. Il dissidio mai risolto tra impegno sociale e politico, tra una ferrea esigenza di coerenza e di ricerca di verità e un desiderio di appagamento e di abbandono agli istinti naturali la porterà a cercare la morte, solitaria, nella natura, il 23 aprile del 1941, giorno in cui i nazifascisti invadono la Grecia. Oltre alle numerose raccolte di poesie, scrive cinque romanzi di cui Kallocaina (1940) è il più noto.

Source: inviato dall’editore. Si ringrazia l’Ufficio Stampa Iperborea.