Archive for the ‘Uncategorized’ Category

:: I delitti dell’anatomista di Bruno Vitiello Giunti di Patrizia Debicke

17 aprile 2023

La seconda Repubblica fiorentina governata dal Gonfalonieri Soderini, poteva contare nel 1505 della contemporanea numerosa presenza all’interno delle mura cittadine di giganti dell’arte e di altri grandi personaggi dell’epoca. Bruno Vitiello tesse la sua trama con colta bravura, eleggendo a protagonisti del suo romanzo due basilari esponenti della cultura rinascimentale: Michelangelo Buonarroti e Leonardo da Vinci, ai quali affiancherà Girolamo Fracastoro da Verona, celeberrimo medico e studioso, soprattutto per le sue successive opere in versi, tra cui tre volumi di esametri sulla sifilide, con le sue cause e i suoi effetti: Syfilis sive de Morbo gallico, dedicati a Pietro Bembo, e i suoi studi sul contagio da parte di germi patogeni che lo porteranno a essere, secondo gli storici della scienza, il padre dell’epidemiologia.
Leonardo Michelangelo e Fracastoro verrenno fatti prelevare in piena notte dal quarto personaggio storico di Vitiello: Niccolò Machiavelli, come ambasciatore diretto testimone delle fortune e della rovina di Cesare Borgia, poi rientrato a Firenze dove attualmente svolge le funzione di Segretario della Seconda Cancelleria (quella di Pier Soderini, Gonfaloniere della città e incaricato della sicurezza, destinata agli affari interni e alla guerra). La spiccia e urgente convocazione è dovuta al fatto che una ronda notturna ha scoperto, nel cuore del Mercato Vecchio, sopra un tavolaccio al centro della bottega di un falegname, il cadavere di un uomo barbaramente ucciso e fatto a pezzi. Il morto era il padrone della bottega e si chiamava Bartolomeo Canacci. Il suo assassino ha infierito sul corpo sezionandolo con abilità e competenza anatomica attribuibili solo a notomisti, ovverosia a cultori di conoscenze dei segreti del corpo umano. Su una parete di fianco, qualcuno, l’assassino ?, ha tracciato un giglio con il sangue. Un macabro disegno rosso. (Particolare che induce a supporre una possibile vendetta nei confronti dei Medici da poco banditi dalla città).
Niccolò Machiavelli sa bene che per chiudere quello spiacevole caso sarebbe facile trovare un qualunque capro espiatorio a cui affibbiare l’omicidio , tuttavia si rende conto che solo la mente perversa di un medico o di artista, può aver progettato e compiuto uno scempio simile. E non potendo escludere le peggiori ipotesi, deve immaginare che il colpevole possa addirittura essere uno dei tre personaggi che vede davanti a sé? Ragion per cui, tanto per cominciare, chiederà a Michelangelo, a Leonardo e a Fracastoro , da poco arrivato a Firenze, un esame diretto del cadavere e il loro parere come esperti di anatomia per poi costringerli a lavorare per lui investigando negli ambienti che frequentano (quello artistico e quello medico) per reperire possibili tracce per individuare il colpevole.
All’epoca, il Gonfaloniere Soderini aveva affidato a Leonardo, cinquantatrenne artista di gran successo, e all’astro nascente, il trentenne Michelangelo, il compito di affrescare le pareti di Palazzo Vecchio con alcune vittorie riportate dalla Repubblica Fiorentina. Leonardo doveva dipingere La Battaglia di Anghiari, (ma non ce la fece mai, non riuscendo a padroneggiare bene la tecnica dell’encausto) ; Michelangelo invece, molto impegnato su altre opere, si limitò a ultimare il cartone preparatorio, poi purtroppo perduto, di La Battaglia di Cascina, della quale oggi restano solo alcuni disegni.
I due non si frequentavano, i loro rapporti erano freddi e distaccati: Leonardo in realtà provava una certe invidia per l’enorme capacità esecutiva di Michelangelo che allora stava sbozzando il suo David ma non aveva ancora dimostrato le sua grandezza con i pennelli. Leonardo da parte sua disdegnava la scultura, che giudicava solo roba da scalpellini e taglia pietre, e privilegiava la pittura e lavorando con la minuziosa precisione da miniaturista stava perfezionando il ritratto di una misteriosa dama. (La Gioconda).
Mentre gli improvvisati detective, superando in qualche modo le loro reciproche diffidenze, si danno da fare per scoprire l’assassino, il mostro, assetato di sangue non si ferma, cerca vendetta. E, in una clima cittadino avvelenato dalla scomparsa di un ragazzino, figlio unico di una lavandaia, si scatena un rivolta che rischia di provocare una strage nel ghetto, considerato nido di ogni infamia, con la folla inferocita miracolosamente fermata dall’intervento del Cardinale Orsini.
Il vertice dell’orrore, però, si raggiungerà solo con il ritrovamento nella cripta della Basilica di San Lorenzo del cadaverino straziato del piccolo Petruccio, fatto a pezzi e disposto artisticamente davanti all’altare.
La necessità di mettere in qualche modo fine a quei diabolici malefici “delitti del notomista” costringerà Machiavelli a imporre un ultimatum a Leonardo, Michelangelo e Fracastoro. Insomma o riusciranno a individuare qualche traccia in grado di condurre all’assassino o verranno accusati e chiusi alla Stinche. Il cupo e desolato carcere fiorentino.
Ma quale legame può esserci tra l’uccisione di un anziano falegname e quella del figlio decenne di una poveretta? Si tratta di un caso? O si devono ipotizzare strani, occulti e inimmaginabili legami . Si dovrà indagare in quella direzione?
Sullo sfondo di una Firenze affollata e disordinata, con tutti i cittadini coinvolti nei festeggiamenti di carnevale, prenderà il via la disperata caccia all’uomo di un giallo arricchito da cupe sfumature di noir ma e soprattutto da una magistrale ricostruzione storica.
Il romanzo di Vitiello, infatti, più che regalarci i particolari di un’indagine poliziesca dell’epoca ci porta all’interno delle menti dei veri protagonisti del Rinascimento, mettendo in primo piano la vita e le peculiari caratteristiche dei suoi illustri personaggi. Viviamo infatti, in diretta con l’autore, le discussioni tra Michelangelo e Leonardo, all’opera su capolavori come il David o la Gioconda, svelando a tratti alcuni segreti del loro animo, spesso inconfessabili o indecifrabili e certe ricerche di Fracastoro sulla “generazione equivoca” contrapposta al mito della “generazione spontanea” degli insetti, già attratto dal voler approfondire lo studio e le cause delle malattie infettive . Seguiamo infine le scelte di Machiavelli, attorniato da gregari bevitori e puttanieri spesso importuni anche se efficienti e, a conti fatti , bravi a imbroccare le indagini (come Biagio Buonaccorsi, Agostino Vespucci e Andrea di Romolo) quasi surclassato dalla sua innata ironia di fiorentino autentico, che magari finisce per diventare più freddo e realista di quanto mai sia stato.
Ma a ben vedere furono proprio quei complessi rapporti, il continuo affrontarsi , l’avversione nascosta o espressa, spesso tradotta in invidia ed esibita con rabbiosa intolleranza da quei grandi uomini a far scaturire la vitale scintilla della grande civiltà rinascimentale che, nonostante tutto, sopravvive ancora come irrinunciabile eredità culturale nel patrimonio italiano.

:: Kallocaina. Il siero della verità di Karin Boye (Iperborea 2023) a cura di Emilio Patavini

5 marzo 2023

Pubblicato nel 1940, un anno prima della morte dell’autrice, Kallocaina è il romanzo più famoso di Karin Boye, scrittrice e poetessa svedese. Nata a Göteborg nel 1900, studia greco antico e norreno a Uppsala, dove entra in contatto con il movimento di ispirazione socialista Clarté. La influenzano il nichilismo di Nietzsche, la psicoanalisi freudiana, le religioni orientali e gli antichi miti scandinavi. Nel 1922 pubblica Nuvole, sua prima raccolta poetica. Nel 1929 sposa Leif Björk, un attivista del movimento clarteista (anche se il matrimonio terminerà qualche anno dopo), e collabora alla rivista d’avanguardia Spektrum, dove pubblica con Erik Mesterton la sua traduzione de La terra desolata di T.S. Eliot. Nel 1932 si trasferisce a Berlino, dove si sottopone a psicoanalisi per comprendere meglio se stessa e la propria omosessualità. Nel 1934 si innamora di una ragazza tedesca, Margot Hanel. Nel 1940 si trasferisce ad Alingsås, dove scrive Kallocaina, il suo capolavoro. Il 23 aprile 1941 esce di casa senza farvi più ritorno: il suo corpo viene ritrovato qualche giorno dopo nel bosco. Con il suo suicidio – seguito un mese dopo da quello di Margot Hanel – si spegne una delle voci più importanti della poesia svedese.

Kallocaina, il suo ultimo romanzo, è uno dei grandi romanzi distopici del Novecento, assieme a Noi (1924) di Evgenij Zamjatin, Il mondo nuovo (1932) di Aldous Huxley e 1984 (1949) di George Orwell. La prima edizione italiana, da tempo fuori catalogo, uscì nel 1993 per Iperborea. L’11 gennaio, a distanza di trent’anni, è uscita una nuova edizione del romanzo, tradotto da Barbara Alinei e con la postfazione di Vincenzo Latronico. Kallocaina descrive una società totalitaria e militarista, dominata da uno Stato Mondiale, in cui l’individuo è completamente annullato in nome della collettività e in cui le persone non si considerano “individui”, ma “compagni soldati”. Il romanzo è scritto in forma di diario da un chimico, Leo Kall, inventore del siero della verità (che prende il nome di kallocaina in suo onore). In questo stato poliziesco, le autorità sfruttano le potenzialità offerte dalla kallocaina, prontamente impiegata come strumento di controllo. In un primo momento, l’applicazione pratica della kallocaina si limita al campo della giustizia, dove può essere utilizzata negli interrogatori per far confessare la verità agli imputati. «D’ora in poi nessun criminale potrà negare la verità. Neanche i nostri pensieri più intimi ci appartengono più, come a torto abbiamo creduto per molto tempo» (p. 20), afferma soddisfatto Leo Kall, continuando: «i colpevoli confesseranno spontaneamente e senza riserve con una semplice iniezione» (p. 59). Nella società descritta da Karin Boye, tutto appartiene allo Stato: non solo i propri figli, ma anche i pensieri. Tutto è sacrificato in nome di quella «unica cosa sacra per tutti: la collettività» (p. 28). Ma in seguito ci si rende conto che essa «permetterebbe di prevedere e prevenire molte delle atrocità che ora ci piovono addosso all’improvviso» (p. 63). Questa lucidissima intuizione di Karin Boye sembra quasi anticipare il racconto Rapporto di minoranza (The Minority Report) di Philip K. Dick, in cui la polizia si serve di precognitivi per sventare i crimini prima ancora che essi siano commessi.

Quello che si crea è un clima di reciproca diffidenza, dove chiunque ritenuto «pericoloso per lo Stato» (p. 100) può essere denunciato dal proprio collega o dal proprio coniuge. Lo stesso Kall denuncia l’odiato collega Rissen e arriva a sospettare di sua moglie Linda.

In tutto questo si affaccia la visione di una Città Deserta vagheggiata dai nemici dello Stato e avvolta nella leggenda, una «città abbandonata e in rovina in un luogo inaccessibile» (p. 160), «sconosciuta e irraggiungibile» (p. 160), più antica dello Stato stesso, distrutta da bombe, gas e batteri, eppure bramata e abitata dai “diversi”, coloro che vengono definiti con disprezzo «asociali». Per usare, ancora una volta, le parole di Leo Kall, si tratta di «una favola su cose che non esistono. Cimeli di una cultura morta! In quel villaggio deserto bombardato dai gas sopravviverebbero i resti di una civiltà che risale all’epoca precedente le grandi guerre. Ma non c’era nessuna civiltà! […] Qualcosa che meriti il nome di civiltà è inconcepibile durante l’epoca civil-individualistica. I singoli lottavano contro i singoli, i gruppi sociali contro i gruppi sociali. […] Questa io la chiamo giungla, non civiltà. […] La civiltà non può esistere che nello Stato» (pp. 161-62). La descrizione della Città Deserta rimanda naturalmente alla Waste Land eliotiana, tradotta dalla stessa Boye. Alcuni versi in inglese vengono riportati anche in esergo.

Da una parte l’opera riprende alcuni elementi già presenti nelle precedenti distopie (le droghe come strumento di controllo erano già comparse nel romanzo di Huxley), ma dall’altro innova il genere e anticipa alcune delle tematiche trattate da Orwell nel suo più famoso 1984. Disseminati in ogni luogo sono i «milioni di occhi e orecchi che vedevano e sentivano giorno e notte le azioni e i dialoghi più intimi di tutti i compagni» (p. 122), oscura prefigurazione della pervasività tecnologica che caratterizza 1984 con i suoi onnipresenti teleschermi. Il protagonista, Leo Kall, non nutre una segreta avversione nei confronti dello Stato come Winston Smith, ma come nota nella sua postfazione Vincenzo Latronico «è a tutti gli effetti un antieroe, più rigido e conformista di chi ha intorno» (p. 240), è un esaltato che non solo si rende conto delle potenzialità della sua scoperta, ma si adopera affinché siano messe in atto, dando il via «a un’opera di pulizia che avrebbe liberato il corpo dello Stato da tutto il veleno inoculato dai criminali del pensiero» (p. 135). È lo stesso Kall, infatti, a proporre una legge «contro i pensieri e i sentimenti ostili allo Stato» (p. 138), una «nuova legge contro la mentalità anti-Stato» (p. 178). Le autorità accolgono con favore la sua proposta, in seguito alla quale anche «i pensieri possono essere condannati» (p. 177). Ecco dunque il concetto di psicoreato (thoughtcrime) teorizzato nove anni prima della pubblicazione del capolavoro orwelliano. Eppure Kall non ha dimenticato le parole del collega Rissen: «Nessuno che abbia passato i quarant’anni ha la coscienza pulita» (p. 240), e infatti vive nel terrore di essere sottoposto al siero che porta il suo nome. Non si fida nemmeno di se stesso. Sa benissimo che nessuno è innocente, che tutti hanno qualcosa da nascondere. Questo dato di fatto è il pilastro su cui poggiano le sicurezze dello Stato, perché come afferma lui stesso: «La ragione sacra e necessaria dell’esistenza dello Stato è la nostra mutua, legittima sfiducia l’uno nell’altro. Chi mette in dubbio questo fondamento mette in dubbio lo Stato» (p. 126).

Leggendo questo romanzo non si può fare a meno di intuire che esso è stato scritto da una sensibilità diversa, da una voce originale, quale è quella di Karin Boye, benché scelga di narrare la sua storia da un punto di vista maschile. Si tratta di una voce anzitutto poetica, che diversamente da Orwell o da Huxley antepone la soggettività dell’io narrante, l’introspezione psicologica (quasi psicoanalitica) e la riflessività del personaggio alla parte più propriamente narrativa o di azione. L’accento è posto sui pensieri di Leo Kall, estensore del diario nonché protagonista, e il lettore segue il suo flusso di coscienza.

Karin Boye nata nel 1900 a Göteborg, è una delle grandi voci della poesia svedese. Dopo la Prima Guerra Mondiale aderisce al movimento pacifista Clarté e viaggia in Europa vivendo le inquietudini del suo tempo: visita, turbata, l’URSS di Stalin (1928), la Germania che si prepara a Hitler (1932) e l’agognata Grecia (1938), culla della civiltà e dei valori a lei più cari. Il dissidio mai risolto tra impegno sociale e politico, tra una ferrea esigenza di coerenza e di ricerca di verità e un desiderio di appagamento e di abbandono agli istinti naturali la porterà a cercare la morte, solitaria, nella natura, il 23 aprile del 1941, giorno in cui i nazifascisti invadono la Grecia. Oltre alle numerose raccolte di poesie, scrive cinque romanzi di cui Kallocaina (1940) è il più noto.

Source: inviato dall’editore. Si ringrazia l’Ufficio Stampa Iperborea.

:: Costantino. Il fondatore, Maria Carolina Campone, (Graphe.it 2022) A cura di Viviana Filippini

2 marzo 2023

Costantino fu un grande imperatore, quello è risaputo, ma Maria Carolina Campone in “Costantino. Il fondatore”, edito da Graphe.it, non solo racconta la vita di quello che è ritenuto da molti studiosi “il primo imperatore cristiano”, ma cerca di mettere in chiaro il ruolo che il figlio di Costanzo Cloro ebbe nella Storia. L’autrice delinea un ritratto chiaro, accurato e dettagliato di Costantino, una figura storica che nel corso del tempo ha subìto diverse tipologie di interpretazioni. Ne è un esempio quella nota come “questione costantiniana” che vede, da una parte, studiosi pronti a vedere Costantino come colui che fu il primo imperatore cristiano. Dall’altra parte, ci sono invece altri esperti che hanno convinzioni differenti, nel senso che credono che tale ruolo di “imperatore cristiano” gli sia stato affidato da alcuni autori cristiani di fede (Eusebio e Lattanzio) e che interpretarono le sue azioni in chiave cristiana. Pagina dopo pagina, la Campone svolge una dettagliata ricerca, un accurato lavoro di letture e confronto tra fonti e documenti per sbrogliare la matassa dei diversi punti di vista attorno a Costantino e fare chiarezza su chi fu davvero l’imperatore. Il libro è caratterizzato da capitoli tematici che portano il lettore dentro alla vita di un uomo nato nell’attuale Serbia il 27 febbraio del 272 o 273. Il libro procede per sezioni che presentano il periodo storico, le fonti considerate per l’indagine e lo studio, la vita dell’imperatore, i sogni e visioni e l’aiuto ad una lettura critica delle fonti. Si trova anche un capitolo dedicato all’arco di Costantino dove si analizza in modo accurato l’antico monumento costruito per celebrare la vittoria costantiniana su Massenzio a Ponte Milvio. Non manca una parte dedicata ad Apollo, al neoplatonismo e alla tolleranza religiosa, per comprendere quanto la corrente filosofica e le altre presenti potrebbero aver influito sulla formazione e crescita di Costantino come persona e come imperatore. Spazio anche alle crisi religiose, al concilio di Nicea per cercare di capire il rapporto che si venne a definire tra imperatore e Chiesa, ma anche il modo di vivere in maniera pratica e concreta la religione da parte dell’imperatore stesso. Il saggio della Campone è un viaggio della Storia del passato, ma anche nell’esistenza di un uomo la cui memoria e gesta vivono ancora nel presente di oggi.

Maria Carolina Campone ha un PhD in Storia e Critica dell’Architettura, ed è già professore a contratto presso la Seconda Università degli Studi di Napoli e docente di lingue classiche presso la Scuola Militare «Nunziatella» di Napoli. Membro del Comitato scientifico di autorevoli riviste di classe A (Arte cristiana e Studi sull’Oriente cristiano) e relatrice in diversi Convegni Internazionali di Studi, ha al suo attivo numerose pubblicazioni, fra le quali “Brigida di Svezia regina di profezia” (Milano, 2012), “The Church of St. John Stoudion in Constantinople” (New York, 2016), “Dom Paul Bellot architetto ex-centrico” (Napoli, 2017).

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa 1A.

:: La biblioteca dei segreti di Bella Osborne (Newton Compton 2023) di Patrizia Debicke

6 febbraio 2023

Tom ha appena sedici anni ma sa da tempo che la vita può essere crudele e per evitare i problemi è meglio se si riesce a passare inosservati dai compagni, o meglio diventare invisibili. Frequenta senza grandi risultati la scuola superiore, anche se sognerebbe di riuscire ad andare all’università, ma è partito molto svantaggiato rispetto ai suoi coetanei . Sua madre è morta di parto quando lui aveva appena otto anni. Da quel momento ha vissuto male e da solo, con un padre che lavora di notte e beve troppo, sia probabilmente per affrontare il suo dolore che perché non riesce a garantirsi una vita migliore. Convivono infatti rincorrendo le bollette in una casa sudicia e maltenuta, mangiando cibi spazzatura e senza vedere mai nessuno. Una casa priva di ogni comodità, unico urlante emblema di modernità una vecchia televisione. Con i pochi spiccioli guadagnati, consegnando il giornali e racimolando tutti i suoi regali di Natale e compleanno, Tom era riuscito a comprarsi una console per giochi. Un oggetto costoso, che gli permetteva di giocare con amici sconosciuti, rallegrava le lunghe ore passate in casa e alleggeriva la sua solitudine.
Ma nessuno poteva impedirgli di sognare Farah, bellissima e gentile compagna di studi, che credeva fuori dalla sua portata, anzi addirittura già impegnata con uno dei ragazzi più prepotenti della classe. Ciò nondimeno, pur sentendosi inadeguato, avrebbe voluto almeno poter comunicare con lei e quel giorno, un sabato, nella speranza di scoprire un comune interesse, troverà il coraggio di entrare nella Biblioteca del paese. Il suo ingresso in realtà è un ritorno. Sua madre infatti amava molto leggere e prima della sua morte era andato tante volte con lei a prendere e riportare dei libri. E sarà proprio là nella Biblioteca, mentre fingendo che sia ancora viva, sta cercando dei romanzi del genere preferiti da lei, che attirerà l’attenzione di Maggie.
Maggie è una vivace vedova settantenne che gestisce da sola una piccola fattoria nel comprensorio dalle parti di Furrow Cross e arriva ogni sabato in biblioteca dove fa parte del circolo di lettura. E quel giorno sarà Tom ad accorrere in suo aiuto mentre viene scippata della borsa, appena uscita per ritornare a casa. Il ragazzo, in compenso, si beccherà un pugno e un occhio nero, però dopo essere stato medicato, le farà la gentilezza di prestarle il denaro per l’autobus e di accompagnarla fino alla fermata.
Ma al suo ritorno a casa suo padre, che ha bevuto troppo, dopo un pesante scontro verbale causato dal suo rifiuto di rinunciare a un’università e lavorare in una fabbrica di mangime per cani, prima gli ha sequestrato la console e poi, infuriato, gliela ha sfasciata irrimediabilmente.
A Tom non resterà che cominciare a leggere i libri che aveva preso in prestito in biblioteca…
Maggie da dieci anni, dalla morte del marito si dichiara autosufficiente. E infatti oltre a produrre ortaggi. frutta e legumi nella sua piccola e ben tenuta fattoria, alla periferia del villaggio, occupandosi anche di galline, pecore, agnelli e di un montone scontroso, continua a praticare lo yoga e a praticare l’autodifesa, frequenta regolarmente la Biblioteca cittadina, ma in realtà come Tom soffre di una tangibile mancanza di affetti e le pesa la solitudine.
Il fortuito incontro tra loro, due esseri umani, forse solo apparentemente molto diversi, provocato sia dalla curiosità di Maggie che dal generoso tentativo di aiuto di Tom, finirà con avvicinare e poi legare i loro due mondi: quello sofferto e doloroso di un timido adolescente e quello di una donna il cui passato nasconde la obbligata scelta di un grave segreto.
E non solo, il ragazzo le lascerà il suo numero di telefono in caso di bisogno. E, quando accadrà, riscopriranno insieme il quieto sapore di una normale vita familiare fatta di dare e avere e di come prendersi cura l’una dell’altro..
Mentre Maggie insegnerà a Tom a difendersi e a cercare il confronto con il padre, spiegandosi (e l’uomo si sforzerà di uscire dal suo buio sociale e interiore), Tom aiuterà Maggie a capire che gli errori commessi nel passato non dovranno per forza gravare per sempre sulle sue spalle.
Nascerà così spontaneamente l’improbabile ma vera e costruttiva amicizia tra un adolescente problematico e una settantenne un po’ fissata. Una bella e grande amicizia in grado di cambiare il corso delle loro vite e persino il loro futuro.
Due generazioni diverse. Due persone inconsuete che poi, quando la minaccia della chiusura della biblioteca per mancanza di fondi e progressivo calo di utenti si farà concreta e pericolosamente vicina, si uniranno con coraggio e spirito di iniziativa per salvarla, inventeranno occasioni di incontro, organizzeranno pubbliche manifestazioni e radunando attorno a loro tutto il paese e le frazioni vicine, provocheranno piano piano la partecipazione delle autorità e il coinvolgimento dei media. E un nutrito e indispensabile afflusso di volontari. Perché ognuno di loro deve poter dimostrare che la biblioteca non riguarda solo i libri: quel luogo è il cuore pulsante di cultura della loro comunità e deve sempre esistere e restare aperto, pronto ad accogliere tutti.

Bella Osborne è un’autrice inglese di romanzi di successo. Il suo libro d’esordio è stato finalista a prestigiosi premi, tra cui il Contemporary Romantic Novel of the Year. Osborne ha inoltre vinto il RNA Romantic Comedy Novel of the Year Award. Vive nelle Midlands, nel Regno Unito, con la sua famiglia. Per saperne di più: www.bellaosborne.com

Source: libro del recensore.

:: Due libri per Natale da trovare sotto l’albero da Gallucci editore. A cura di Viviana Filippini

24 dicembre 2022

Natale si avvicina e per i piccoli lettori ho qualche bel libro che si potrebbe magari trovare sotto l’albero. Per chi ama lo spirito natalizio Gallucci ha pubblicato “Racconti sotto l’albero”, una raccolta di racconti di autori italiani con le illustrazioni di Peppo Bianchessi. Nel volume ci sono storie che narrano il Natale e la sua magica atmosfera seguendo le sue sfaccettature e tutte le emozioni che si manifestano nel periodo di Natale. La cosa bella di questo libro è che i racconti, oltre essere letti nell’ordine che si preferisce, sono ancora migliori se c’è qualcuno con il quale possiamo leggerli in compagnia, perché nascono quelle emozioni tipiche del Natale e dei racconti che sanno emozionare e che fanno tornare bambini anche gli adulti.  Ecco i racconti presenti nel volume: 

Il banco dei sogni di Pier Domenico Baccalario,

Babbo Natale non esiste di Davide Morosinotto 

Natale würstel & maionese di Luca Bianchini 

L’albero di Natale di Emma Cianchi 

Cose che si desiderano per Natale di Andrea Tullio Canobbio 

Era di nuovo Natale di Elena Peduzzi 

And so this is Xmas (fog is over) di Andrea Pau Melis 

Notte di neve di Gisella Laterza 

L’ufficio comunicazione di Veruska Motta 

Il signor Vezio di Marco Pelliccioli 

Il tizzone sul tetto di Azzurra D’Agostino 

Cose da grandi di Angelo Mozzillo 

Il piano della gioia di Fidelio Valt di Manlio Castagna 

Corri. Corri. Corri. di Igor De Amicis e Paola Luciani 

La slitta sul radar di Christian Antonini 

È il pensiero, che conta di Dimitri Galli Rohl 

Un@ stori* di Natalə di Giuseppe D’Anna 

Il più brutto e più bel Natale di tutti i tempi di Marco Ponti

“Trovarsi a Berlino”, Holly-Jane Rahlens

Altro libro interessante per un pubblico di lettori Younng Adult è “Trovarsi a Berlino” di Holly-Jane Rahlens, una bella storia di formazione ambientata nella Berlino del 1989, esattamente poche settimane dopo la caduta del muro che per decenni aveva diviso la città in due parti e tenuto lontane le persone. In questa Germania unita, alla prese con la sua rinascita e riorganizzazione civile, economica, culturale e umana si incrociano i destini di due giovani adolescenti. Da una parte c’è Molly, nata a New York ma con origini tedesche, arrivata poco prima del crollo del muro a Berlino Ovest. Dall’altra parte invece, c’è Mick, nato e cresciuto a Berlino, però nella zona Est.  Un giorno i due ragazzi si incontreranno su un treno e tra loro scatterà un’amicizia che li porterà a conoscersi l’un l’altra. Questa esperienza sarà un modo per apprendere mondi sconosciuti, ma anche per vedere in una prospettiva del tutto nuova la Germania dopo quel muro che tante divisioni aveva creato. Il romanzo è la narrazione di una crescita e un trovare una propria identità per Molly e Mick e per la città dove vivono.

Holly-Jane Rahlens è nata negli Stati Uniti, ma vive da decenni in Germania, dove è diventata un’au­trice per ragazzi affermata. Ha vinto numerosi premi, tra cui il prestigioso Deutscher Jugendlite­raturpreis.

:: Le ricette di Gessica di Gessica Runcio (De Agostini Libri 2022) a cura di Giulietta Iannone

2 novembre 2022

Coloratissimo, semplice, divertente Le ricette di Gessica di Gessica Runcio è un manuale di cucina che ha attirato subito la mia attenzione. Gessica Runcio è una blogger di cucina italiana, nata in provincia di Messina, che fa della cucina siciliana il cuore della sua attività ai fornelli. Famosissima, gestisce una pagina Istagram molto frequentata e un sito Le ricette di Gessica sul blog di cucina credo più visitato d’Italia, Giallo zafferano. Gessica è depositaria di una cucina semplice e gustosa, ricca dei colori della sua terra di origine che porta sulla tavola dei tanti che seguono le sue ricette e hanno imparato a cucinare proprio grazie a lei. Oltre a ricette tipiche della cucina siciliana sul suo manuale troverete anche tante ricette della cucina classica italiana, altre per quando avrete fretta e dovrete imbandire una cena o un pranzo in pochi minuti. Oltre a tanti consigli pratici, anzi segreti, che si passavano da generazioni le donne della sua famiglia come il trucchetto su come togliere la punta di acido dal sugo di pomodoro. Chi non si è lamentato perchè il sugo di pomodoro in lattina (la passata conservata) è troppo acido e magari ci aggiunge un pizzico di zucchero? Beh, lei ci spiega come fare senza alterare il sapore delle pietanze. E questo è solo uno dei tanti che scoprirete sul suo manuale. Primi, secondi, dolci, antipasti, ce ne è per tutti i gusti, e il tutto è spiegato in modo chiaro ed esauriente, con dosi (reali) da usare nella preparazione dei cibi di tutti i giorni e simbologie per chi adotta una cucina vegetariana o vegana. Come si giudica un manuale di cucina? Sperimentando le sue ricette, partendo dalle più semplici (l’arrosto e lo spezzatino) alle più elaborate (dalla pasta alla Norma, alla caponata, agli arancini). Ogni cuoca ha i suoi segreti, per esempio mio padre aveva un ristorante e cucinava divinamente, ma mai ha voluto neanche con noi figli svelare le sue ricette. Dovevamo imparare guardandolo e vi assicuro che non è stato così facile. I tempi, l’alternanza e l’ordine con cui miscelare degli ingredienti, la qualità degli ingredienti stessi, le dosi fanno la differenza e rendono un piatto speciale o solamente commestibile. Gessica Runcio non spodesterà la regina indiscussa dei manuali di cucina italiani Benedetta Rossi, ma è molto brava e seguendo le sue indicazioni si cucinano davvero piatti molto molto buoni, seguendo la tradizione e con un poco di fantasia. Poi tutti sanno che i dolci siciliani sono i più buoni del mondo, imparerete a fare la cassata e i cannoli, rendendo i vostri pranzi di famiglia un vero successo. Un po’ la invidio Gessica Runcio è riuscita a fare del suo hobby il suo lavoro, è riuscita a diventare un’imprenditrice in un mondo competitivo e ricco di talenti come quello dei foodblogger, ma bisogna solo ammirarla e cercare di carpirle i suoi segreti, che dispendia anche molto generosamente, per diventare cuochi migliori anche nella vita di ogni giorno.

Gessica Runcio è nata in provincia di Messina. Ai fornelli fin da quando era piccolissima, ha sempre amato cucinare. Dopo aver lavorato nel negozio di famiglia, dodici anni fa ha aperto il blog di cucina Le ricette di Gessica, che insieme alle sue pagine Facebook e Instagram considera il suo “quaderno digitale delle ricette” che ama condividere con chi la segue. Con il tempo è diventata top blogger e content creator di Giallo Zafferano. Vive a Milano con la sua famiglia.

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Silvia Ufficio Stampa De Agostini Libri.

:: Pena la morte e altri racconti di Georges Simenon (Adelphi, 2022) a cura di Nicola Vacca

21 settembre 2022

Suspense e tragicomico, sono questi i registri che Georges Simenon usa nei racconti raccolti in volume con il titolo Pena la morte (traduzione di Marina Di Leo), pubblicati recentemente da Adelphi.

Anche nell’arte del racconto il grande scrittore belga eccelle.

Nel libro troviamo cinque storie e non manca mai nella narrazione l’elemento sorpresa e la scrittura è sempre un intrigo degno del migliore Simenon.

Da Il peschereccio di Émile a Pena la morte Simenon inventa storie che pescano nel torbido della creatura umana con tutte le sue fragilità e le sue pochezze, tiene conto nel caratterizzare i personaggi della loro componente miserabile e meschina.

Truffatori, avventurieri, uomini senza qualità, sono questi i protagonisti di queste cinque storie nelle quali il lettore si avventura, lasciandosi catturare dalle trame di Simenon che non concede mai un momento di tregua al suo raccontare che si conficca nella pagina per tracimare con tutta la sua grande letteratura.

Davvero unici i personaggi di questi racconti, stretti nella loro insoddisfazioni, cupi nel loro vesti nero che si portano dentro, un po’ grotteschi e un po’ malandrini, sempre in cerca di una via di scampo all’assurdo inquietante che travolge le loro esistenze.

Sono proprio i personaggi a scrivere le storie che Simenon racconta. Intorno a loro tutto il nero di esistenze infelici e l’assenza di un riscatto e di una fuga.

In Pena la morte, come nei romanzi duri, lo scrittore scende negli abissi della condizione umana e attraverso i suoi personaggi regola i conti con i suoi demoni.

Simenon ha scritto centosettantotto racconti, la maggior parte di quelli presenti in questo libro sono stati scritti in America.

Per lo scrittore il soggiorno americano coincise con un periodo proficuo per la sua attività.

I racconti di Pena la morte ne sono la prova concreta.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: libro inviato da ufficio stampa.

INTERVISTA

19 agosto 2022

LETTURE E SOGNI

Vita e colore

Oggi il blog intervista un’autrice che non conoscevo ancora, ma che ha attirato immediatamente la mia curiosità. Lei si chiama SHANMEI e ha all’attivo numerosi libri e una passione sconfinata per la scrittura e la lettura. Dopo l’intervista, troverete i link dei suoi romanzi, in modo da andare a curiosare e conoscerla meglio. Intanto leggiamo cosa ci racconta, sono molto curiosa e voi?

1)Chi èShanmeinella vita, cosa fa?

Innanzitutto grazie di queste belle domande, sarà un piacere per me rispondere.Shanmeiè il mio nome d’arte, conquistato sul campo delle palestre di scrittura che c’erano molti anni fa, agli albori di internet in Italia. Sono però italianissima sebbene ami l’Oriente e tutto quello che vi è legato dalla letteratura, alla musica, alla pittura. Oltre alla mia attività di scrittrice sono anche una blogger e mi va di ammantarmi di un po’ di mistero, come le dive del cinema mutod’antan.

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Assegnato il Premio “Emilio Salgari” di Letteratura Avventurosa IX Edizione – 2022: tre i vincitori A cura di Viviana Filippini

10 giugno 2022

Individuati i tre autori vincitori e finalisti del Premio “Emilio Salgari” di Letteratura  Avventurosa, presentati mercoledì 1 giugno nella Sala Rossa della Provincia di Verona. A meritarsi il riconoscimento per il premio letterario che valorizza la letteratura contemporanea d’avventura sono stati: Gian Luca Barbera con “Mediterraneo” (Solferino, 2021), Luca di Fulvio con “La ballata della città eterna” (Rizzoli, 2020) e Orso Tosco con “London Voodoo” (Minimum Fax, 2022). Il Premio, giunto alla sua IX edizione, è organizzato e promosso dall’Associazione “Ilcorsaronero” di Verona, dal Comune di Negrar di Valpolicella (VR) e dall’Università del Tempo Libero di Negrar (UTL) in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Negrar di Valpolicella, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Verona, Valpolicella Veneto Banca, la casa editrice Il Rio-Oligo di Mantova, l’Azienda Agricola Cantina Corte San Benedetto,  altri enti pubblici e privati, con il patrocinio della Provincia di Verona e del Comune di Negrar di Valpolicella e con il sostegno di varie associazioni culturali nazionali e far riscoprire la Valpolicella, terra veronese dove il famoso scrittore Emilio Salgari trascorse gli anni dell’adolescenza e dalla quale trasse ispirazione la sua creatività.

Ora spetterà alla giuria popolare la scelta del nome del vincitore, decretato dai lettori per la quale è prevista la cerimonia di assegnazione dei premi il 25 novembre a Negrar di Valpolicella.

:: “VERGA VERISTA. IDEOLOGIA E FORME NARRATIVE” a cura di Angelo Piemontese

3 giugno 2022

Nel centesimo anniversario della morte di Verga, con grande chiarezza espositiva Antonio Catalfamo ripercorre le principali tappe della critica all’opera e all’ideologia dello Scrittore siciliano, esaminando i saggi e gli indirizzi critici più significativi del Novecento, collegati ai vari mutamenti culturali del Secolo scorso. Il saggio è diviso in tre parti.

Nella prima, “Gli orientamenti della critica: continuità e innovazioni”, Catalfamo conduce un’analisi approfondita dell’interpretazione di Croce, dei suoi allievi e soprattutto dei saggi degli studiosi di orientamento marxista: Giuseppe Petronio, Gaetano Trombatore, Natalino Sapegno, Carlo Salinari, Romano Luperini e Vitilio Masiello, sulla cui opera si sofferma in maniera particolare. Fa anche notare il ruolo centrale di Luigi Russo, che, partito crociano, rivaluta l’opera di Verga e indirizza diversamente la ricerca. A Masiello si deve la messa in rilievo della posizione conservatrice di Verga, che illustra una Sicilia fuori dal tempo, non tenendo conto della rivolta dei Fasci (1891-1894). Di tale posizione, ne “I Malavoglia”, è incarnazione Padron ’Ntoni, a cui si oppone il nipote ’Ntoni, destinato a fallire, perché si ribella alla rassegnata “filosofia”del nonno. In tale ottica, la “poetica dell’impersonalità” serve a celare il conservatorismo di Verga e Capuana, che parlano di una Sicilia immobile, tralasciando la scossa data dai movimenti di massa dal 1848 in poi. Basato sullo scontro fra l’aristocrazia in decadenza irreversibile e la borghesia in ascesa, ma ugualmente priva di moralità, “Mastro-don Gesualdo”evidenzia l’inasprimento del pessimismo verghiano, che giunge alla negazione di ogni valore. Con la stagione verista si esaurisce anche la vena artistica di Verga. Subentra il Decadentismo, che pone al centro dell’opera letteraria l’uomo “scisso”, mentre il dannunzianesimo continua, con spirito reazionario, l’ideale del verismo di Verga, il quale rappresenta la cartina di tornasole dell’ideologia della borghesia siciliana, dal mito del mondo provinciale al pessimismo totale, nato dopo la presa di coscienza dei lavoratori.

Dagli Anni Sessanta, ricorda Catalfamo,la critica stilistica, che ha eluso il problema dell’ideologia verghiana, la quale si riflette nello stile, e poi lo strutturalismo hanno isolato il “testo” dai “contesti”. In Debenedetti, invece, l’interpretazione psicanalitica ha tenuto conto della dimensione storica. Proprio la posizione conservatrice, infatti, induce Verga a scegliere la figura del contadino sottomesso e rassegnato e a infangare tutte le classi con un pessimismo assoluto.

All’inizio della seconda parte, “Premesse e necessità di una svolta critica”, lo Studioso focalizza l’attenzione sul concetto di “storicismo relativo”introdotto da Petronio. A Milano Verga rivive la Sicilia attraverso la memoria, contrapponendone i valori “morali”a quelli “immorali” delle metropoli industrializzate del Nord. Si accorge, però, che anche ad Aci Trezza ci sono i “vinti”, i quali rappresentano la prospettiva “capovolta”da cui Verga guarda alla tesi naturalista del “progresso”. Nei “Malavoglia”ogni trasgressione alla “morale dell’ostrica”è punita duramente. Le oscillazioni di Verga fra “oppressori”e “oppressi”sono confermate dalla novella “Libertà”. Esaminando il “Mastro-don Gesualdo”, Petronio dà inizio alla terza fase della critica sullo Scrittore catanese, perché parla delle “salutari contraddizioni” dell’uomo Verga, che gli hanno permesso di scrivere dei capolavori. Gli studi di Sapegno e Masiello precisano la “dimensione storica”di Verga, gentiluomo di campagna, che immette nella propria opera un “pessimismo di destra”. Tale posizione è rinvenuta da Guido Baldi nella “Prefazione”al “Ciclo dei vinti”, da cui emerge anche la delusione per il fallimento degli ideali risorgimentali, oltre alla crisi del ruolo intellettuale, ugualmente visibile nella “Prefazione”a “Eva”e nella lettera a Capuana del 1873. Ponendone in rilievo le contraddizioni, lo Studioso sostiene che l’ideologia di destra di Verga va collegata a una concezione “scientifica e conoscitiva”, che produce un “pessimismo deterministico e fatalistico”, prodotto da fattori individuali e collettivi, che gli permettono un’analisi distaccata e lucida. Il pessimismo verghiano esclude l’uso di un narratore “onnisciente”a favore dell’impersonalità e dell’ “artificio della regressione” nei “Malavoglia”, in cui c’è un rapporto dialettico fra la visione dei Toscano e quella dei compaesani, mentre nel “Mastro-don Gesualdo” il punto di vista del Protagonista coincide con quello di Verga.

Catalfamo ritiene ingegnosa”, ma anche “artificiosa e contraddittoria”la critica di Baldi, che, sulla scia di Spitzer, intende distinguere Verga da un narratore esterno. In merito a questo aspetto, però, fanno chiarezza prima Luperini, per il quale nello scontro fra conservazione e progresso, fra i Malavoglia e i compaesani, prevalgono infine questi ultimi, facendo sembrare “strana”la visione di vita dei Toscano, portatori dei valori di Verga, e poi Masiello, il quale dimostra che le varie teorie sul narratore “interno”vogliono eludere il discorso sulla posizione politica di Verga, base della sua narrativa che, attraverso la “regia”e l’organizzazione del testo, dà vita a una “forma” che è insieme “estetica”e“morale”, frutto della sua “ideologia”. Masiello non condivide l’interpretazione di Baldi sul mancato stacco fra i due romanzi, espressione del pessimismo e del “materialismo scientifico” verghiano, ribadendo la centralità de “I Malavoglia”, concretizzazione del mondo popolare immaginato dallo Scrittore catanese, la cui grandezza di narratore è nella dimensione tragica, d’impronta nicciana. Dal romanzo emerge, infatti, l’ideologia di un “ ‘anticapitalismo romantico’che contrappone alla logica del profitto, alla corruzione economica e morale, che dominano la ‘civiltà urbana e industriale’ ”, i valori di cui sono portatori i “Malavoglia”, destinati alla sconfitta, la quale però dà loro una dimensione tragica, che conferisce una grandezza alla narrazione sul piano artistico, facendo apparire Verga come un “Angelus novus”.

Nell’ultima parte del saggio, “Elementi per una nuova critica ‘integrale’ ”, Catalfamo mostra come l’opera di Verga sia stata adattata unilateralmente ai tempi in cui operavano i critici, dei quali aggiorna gli interventi fino agli Anni Ottanta-Novanta, per concludere che non si può “semplificare” sulla figura dello Scrittore catanese, la quale risulta arricchita dai vari contributi degli studiosi.

Bisogna perseguire, secondo Catalfamo, la definizione di una visione critica d’insieme, “integrale”, inerente l’analisi “interna”ed “esterna” del testo e i relativi contenuti “ideologici”. In tale ottica conduce un’attenta analisi delle successive tappe delle opere verghiane, nelle quali fa rilevare la conoscenza, da parte dell’Autore, delle tradizioni popolari siciliane, ricavate dai maggiori studiosi, come Salomone Marino. Funzionale alla sua ideologia, la rappresentazione che Verga dà del popolo non è “oggettiva” e l’ “impersonalità” serve a mascherare la sua visione, tipica della classe agraria, che emerge chiaramente in “Mastro-don Gesualdo”, in cui la sfiducia è totale e smaschera la falsa “oggettività”.

Lo sbocco finale del suo pessimismo di destra, sottolinea Catalfamo, si ritrova in “Dal tuo al mio”, pubblicato come romanzo nel 1906, che conferma sia il falso “realismo” che la posizione politica di Verga, che si riconosce nell’azione antilibertaria di Crispi, nel nazionalismo e nell’interventismo del 1914, prefigurazione dell’imminente presa del potere del fascismo.

Il saggio “Verga verista” è ricchissimo di spunti critici e metodologici, in quanto Catalfamo conduce un’illuminante lavoro testuale e intertestuale, segnando un punto fermo per ulteriori approfondimenti, togliendo la maschera allo Scrittore siciliano, di cui mai disconosce la grandezza di narratore, per cui si può concludere parafrasando la famosa interpretazione di De Sanctis su Leopardi: più l’Autore de “I Malavoglia”e di “Mastro-don Gesualdo” difende le ragioni dei ricchi possidenti, più stimola il desiderio, da parte di un lettore avvertito, di una realtà priva di ingiustizie e di discriminazioni sociali.

Antonio Catalfamo, Verga verista. Ideologia e forme narrative, Solfanelli, Chieti, 2022, euro 15.

Progetti per il futuro: rimettere in piedi l’orto

5 aprile 2022

strategie evolutive

Stavo riordinando uno degli scaffali dei libri, qui in casa, stamani, e mi sono trovato a sfogliare Il Tuo Orto per Negati, che sarebbe poi la guida “for Dummies” su come impiantare e condurre un piccolo orto. Ne ho parlato con mio fratello ed abbiamo deciso che con l’autunno cominceremo le operazioni per impiantare un orto come si deve.

Avevamo un orticello da diporto, che avevo messo in piedi appena trasferito qui in Astigianistan, soprattutto per trovare qualcosa da fare quando era stato evidente che questo territorio era moribondo e non offriva assolutamente nulla. Speravo anche che occuparsi di un orticello potesse aiutare mio padre a sfuggire al campo gravitazionale della depressione. Sbagliavo.
Piantai prevalentemente erbe aromatiche e poi cipolle, aglio e insalata. Per un po’ riuscii a portarlo avanti, ma poi con i problemi di salute di mio padre divenne troppo impegnativo – c’era altro da fare, e…

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Fantasmi dello tsunami. Nell’antica regione del Tohoku, Richard Lloyd Parry, Exòrma, 2021 A cura di Viviana Filippini

13 gennaio 2022

«Nello tsunami, tutto ciò che era bianco divenne nero». Sono passati 11 anni da quell’ 11 marzo 2011, quando un gigantesco Tsunami si abbatté sulla costa nord-est del Giappone devastando la regione del Tohoku e causando più di 18.500 vittime. Oggi “Fantasmi dello tsunami. Nell’antica regione del Tohoku”di Richard Lloyd Parry, edito da Exòrma, ci racconta quello che accadde prima, durante e dopo l’arrivo di quella imponente massa di acqua le cui onde arrivarono ad avere un’altezza pari a 36 metri. Quello che restò in seguito al passaggio del tremendo tsunami furono morte e distruzione. Poi c’erano i feriti e i vivi che cominciarono una ricerca dei dispersi, nella speranza, in molti casi vana, di trovare vivi i propri cari. Tante sono le storie di mogli alla ricerca dei mariti, di mariti in cerca delle mogli, di figli in cerca degli anziani genitori e di quei genitori coinvolti nella disperata ricerca dei propri figli usciti per andare a scuola e non più tornati. Una ricerca di giorni, settimane, mesi e anni che, in alcuni casi portò al ritrovamento dei resti, spesso irriconoscibili, dei propri cari mentre, in altri casi, la ricerca non portò a nessuno ritrovamento e a nessun corpo su cui piangere. Quello di Richard Lloyd Parry, dal 1995 corrispondente a Tokyo per «The Times», non è un romanzo, ma è un vero e proprio toccante reportage nel Giappone distrutto e colpito dallo Tsunami. Per fare questo, Loyd ha viaggiato per sei anni andando nel centro delle comunità ferite e dissolte, nel Tohoku, la periferia a nord orientale del Giappone. Un luogo lontano, un mondo dove i legami con il proprio passato sono molto forti e dove oggi si respira ancora un’atmosfera di una profonda spiritualità arcaica. Pagina dopo pagina, l’autore cerca di mettere assieme i tasselli un grande dramma umano che non solo colpì un intero Paese, ma che cambiò la vita e distrusse l’esistenza di molte famiglie. Loyd dal contesto generale si concentra infatti su quanto accaduto nella scuola elementare di Okawa, una piccola comunità vicina alla foce di un fiume e lo fa conoscendo e confrontandosi con gli abitanti della zona e ascoltando le loro storie. A Okawa furono molti coloro che non tornarono più a casa, anziani, giovani e bambini spazzati via dalla furia dell’acqua diventata indomabile. “Fantasmi dello tsunami. Nell’antica regione del Tohoku” Richard Lloyd Parry ricostruisce e porta il lettore dentro i drammatici fatti del 2011. Lo fa in modo attento, minuzioso, ma quello che emoziona e fa riflettere sono le parole delle singole persone (madri come Nagano) che raccontano il proprio vissuto e di come una grande onda lo spazzò via per sempre. Un mettersi a nudo che evidenzia quanto sia importante coltivare i propri affetti e quanto il destino e la vita siano imprevedibili e precari. Traduzione di Pietro Del Vecchio.

Richard Lloyd Parry è corrispondente dall’Asia per «The Times» e scrittore. Nato nel 1969, ha studiato a Oxford. Ha raccontato storie da ventuno paesi, tra cui Iraq, Afghanistan, Indonesia, Timor Est, Corea del Nord, Papua Nuova Guinea, Vietnam, Kosovo e Macedonia. Suoi scritti sono apparsi anche sulla “London Review of Books” e sul “New York Times Magazine”.

Source: ricevuto dal recensore.