Posts Tagged ‘letteratura italiana’

:: Una questione di equilibrio di Gaspare Grammatico (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

29 Maggio 2023

Brillante, frizzante, graffiante e godibilissimo, un romanzo affollato da colpi di scena e personaggi che si fanno notare . E con per palcoscenico una città, Trapani, che assume meritatamente il ruolo di coprotagonista nella prima indagine di Antonio Indelicato, detto Nenè, Lui , il commissario, un po’ svagato che, come tanti, è costretto a dividersi funambolicamente tra lavoro e vita privata, e tuttavia da poliziotto sagace sempre disposto a portare avanti il suo lavoro con orgoglio e dignità. Un uomo colto, amante dei libri, spesso un po’ malinconico, che si sforza un po’ nel rapportarsi con le donne , mentre invece, da eccellente cuoco qual è , si trova benone in cucina. Insomma un persona normale, senza eccezionali capacità , salvo forse quella di aver cresciuto bene e da solo la figlia Sara, visto che la moglie e madre l’ha mollato senza remore pochi mesi dopo la nascita della bambina. Fatto che, per fortuna, non ha creato dei danni: infatti Sara un’ adolescente di quattordici anni per tutto, salvo la cucina, è in grado di sbrigarsela come una trentenne.
La mattina di un tranquillo venerdì di aprile, in una moderna e ricca abitazione di Trapani, sarà scoperto il cadavere straziato di un uomo. Si tratta di un barbaro e crudele omicidio. Il morto infatti , ritrovato nella cantina della sua villa, appeso al soffitto e massacrato a bottigliate della sua preziosa collezione, è l’enologo Platimiro Greco. Il Greco, cinquantenne separato e con fama di tombeur de femmes, famoso volto del piccolo schermo, volubile ospite fisso della trasmissione “Sorsi e Morsi” di Wine Channel, un programma per addetti ai lavori in cui si esibiva in frequenti e burrascose contestazioni in grado di decretare il successo o la disgrazia di un vino di qualità.
Il caso verrà affidato al commissario Antonio Indelicato che non tarderà a rendersi conto quanto la sua indagine sia decisamente difficile e complicata. Complicata dal fatto che la vittima, un presuntuoso ed egoista rompiscatole, anche e soprattutto a causa del suo lavoro, aveva moltissimi nemici e tutti con validi motivi per eliminarlo. Un ampio ventaglio poi di svariati e attendibili moventi attribuibili a tante e diverse persone che per una ragione o per l’altra avrebbero potuto desiderare di volere la sua morte.
Insomma Indelicato dovrà con pazienza da certosino, grazie all’ impegno e all’aiuto della sua brillante squadra – composta dalla poco più che trentenne e fattiva sua vice Salvina Russo, dall’ispettore Pino Sansica e dal quasi robotico dottor Martino Massari , meticolosissimo e intuitivo capo della Scientifica -, incominciare ad approfondire tutti gli indizi e pian piano sentire uno a uno tutti i potenziali colpevoli controllando accuratamente possibili alibi ed eventuali testimonianze a discarico.
Ma la strada da fare è lunga e tortuosa, e i tanti possibili indiziati metteranno in seria difficoltà il nostro commissario e i suoi compagni di indagine, rischiando di lasciar loro imboccare molteplici false piste senza costrutto, solo in grado di far perdere tempo.
Per sbrogliare l’ardua matassa investigativa, il commissario Indelicato, continuamente tediato da commenti e sorrisini sul suo nome che rimanda a Petra Delicado, celebre protagonista dei romanzi gialli di Alicia Giménez-Bartlett, dovrà scoprire come e perché una persona ferita può arrivare a trasformarsi in assassino. Riuscirà a scoprire chi veramente voleva la morte dell’enologo e le reali motivazioni che dovrebbero aver portato ad architettare un omicidio tanto efferato?
Una trama ingarbugliata per un eccellente intreccio narrativo, pieno di tutta una serie di colpevoli sempre credibili ma che ohimé risulteranno sbagliati.
L’eccellente fiuto del commissario lo spingerà però ogni volta a ricominciare da capo con testardaggine per poi andare avanti inseguendo con rinnovata tenacia nuove potenziali piste.
Un giallo scorrevole con un protagonista per cui è impossibile non parteggiare: un uomo, diviso tra il suo dovere, la passione per i libri, la cucina, e una deliziosa figlia adolescente.
Ottima la corale e vivace caratterizzazione di tutti i personaggi, la gestione delle splendide ambientazioni trapanesi, arricchite da sensazioni e indimenticabili profumi in un equilibrio, fatto di scelte, con un pensiero sereno al passato e uno fiducioso volto al futuro..
Personaggi vivi, palpabili, splendide descrizioni dei luoghi che fanno venire la voglia di partire subito per Trapani arricchite da scenari talmente realistici , vedi alla fine con Nené Indelicato grande protagonista in cucina , da far percepire l’aroma della frittura e far venire l’acquolina in bocca a chi legge..

Gaspare Grammatico è nato a Trapani, dove torna appena può. Vive tra Torino e Milano. Autore tv, da anni lavora nella squadra del programma televisivo “Fratelli di Crozza”. I diritti cinematografici di questo romanzo sono stati opzionati da BiBi Film, società che ha coprodotto la serie “Le indagini di Lolita Lobosco”.

Source: libro del recensore.

:: Un sasso nel lago di Matteo Severgnini (Todaro 2023) a cura di Patrizia Debicke

19 Maggio 2023

La nuova indagine di Marco Tobia, tra il Lago d’Orta e Milano. Un nuovo caso per l’investigatore che, se potesse, non vorrebbe mai stare lontano da Clara, la sua fidanzata e dalla silenziosa casetta sull’isola di San Giulio, dove risiedono solo lui e lo sparuto gruppo di monache benedettine.
L’investigatore privato Tobia, affetto dalla sindrome di Tourette, che talvolta lo costringe a movimenti involontari e a versi incontrollabili, non sembra uomo facile da gestire e da amare. Ma la sua fidanzata Clara Fournier , un’intelligente escort che lavora a Milano, è innamorata di lui e oltre ad aiutarlo a vivere i suoi sintomi quando esplodono in presenza di altre persone, gli perdona generosamente la musoneria e la difficoltà di confrontarsi con gli altri, dovuta all’essere stato cresciuto da dei genitori freddi e incapaci di gestire, fin da bambino le sue problematiche.
Prima di farsi conoscere come investigatore privato, Marco Tobia era stato un ispettore di polizia, ma durante un’azione , per colpa degli incoercibili movimenti provocati dal suo stato, ha accidentalmente sparato al collega e amico Antonio Scuderi, facendo di lui un invalido a vita seduto su una sedia a rotelle. Quell’incidente, oltre a costringerlo a un prepensionamento dalle forze dell’ordine, gli ha provocato un sofferto e indelebile senso di colpa.
Stavolta Tobia è inquieto e di cattivo umore perché il caso che ha accettato, un banale pedinamento di un marito accusato di tradire la moglie, tale Luisa Mariani, che intende trovare le prove per incastrarlo e divorziare, lo sta obbligando a restare troppo a lungo Milano e troppo lontano dalla sua minuscola e adorata isola di San Giulio.
Ciò nondimeno si tratta solo di noiosa e consueta routine investigativa ma che lo vede forzosamente costretto a continui sfibranti appostamenti in una città surriscaldata dall’afa estiva supportato per sua fortuna dall’amico, il barcaiolo Anselmo, con il compito di fargli da accompagnatore e aiutante.
L’inutile pedinamento di troppi giorni del marito della Mariani senza riuscire a scoprire nulla che lasciasse pensare a una possibile relazione, aveva deciso Tobia a rinunciare all’incarico. Ma nel successivo incontro con la cliente, in vacanza a Orta, la donna ostinata gli aveva chiesto di continuare, poi, pur respinta, aveva tentato di portarselo a letto. E qualcuno, dopo aver scattato col teleobbiettivo foto della tentata seduzione, le aveva fatte avere a Clara, la sua fidanzata, con l’evidente scopo di provocare una rottura tra loro. Senza successo perché, dopo una franca e convincente spiegazione, partiranno insieme in volo per Parigi. Un bel viaggio, una vacanza che pensavano di passare girovagando per mercatini e musei, interrotto però dall’inopinato e repentino ritorno di Tobia, forse un po’ sopraffatto dalle sue problematiche e dal dichiarato intento di Clara di presentarlo ai suoi genitori. Ma e soprattutto un ritorno provocato dalla telefonata da Verbania dell’amico ispettore Scuderi che è stato informato dall’ispettore Lodigiani dell’uccisione a Milano di una escort. L’omicidio è da collegare a quello di Fabiola Presciani, sempre una escort, amica di Clara, avvenuto tempo prima e per il quale lei era stata sentita più volte dalla procuratore. Sul telefono della Presciani infatti compariva il suo numero con diversi tentativi a vuoto di raggiungerla… E anche stavolta purtroppo gravi elementi, in evidenza sulla scena del delitto, rimandano a Clara: e come se non bastasse la donna morta p proprio la sua focosa cliente Lisa Mariani… Cosa c’è sotto? Perché è stato coinvolto?
Insomma la sua indagine per la Mariani, probabilmente solo un contorta montatura, si dimostrerà foriera di una cascata di brutte sorprese e gravi pericoli non solo per Tobia ma anche per la sua fidanzata che potrebbe a essere nel mirino di un serial killer di escort.
Intanto per cominciare Marco Tobia dovrà riuscire a ricucire il suo rapporto con Clara. La sua fuga da Parigi e il suo atteggiamento iper protettivo non stanno certo contribuendo a migliorarlo. Lei poi ora deve tornare a Milano, testimoniare. Lo farà con il fedele Anselmo, eletto a guardiano.
A Tobia invece non resta che parlare direttamente con l’ispettore Lodigiani, prima di mettersi a investigare sotto traccia, ripartendo dai suoi pedinamenti per conto della Mariani. Dovrà scoprire chi e cosa era il marito della Mariani che aveva seguito per giorni. Indagare sulla posizione delle persone che frequentava, come i due fratelli Casellani, Fabrizio e Rosita, eredi di una azienda produttrice di giocattoli un tempo di successo ma ora vicina al fallimento?
Però ha la brutta sensazione di girare a vuoto, le tessere del suo puzzle non s’incastrano.
Cosa c’è dietro quegli omicidi? E perché Clara Fournier è stata chiamata in causa.
L’assassino potrebbe essere lo stalker che in un procedente romanzo tormentava Clara prima di essere messo a tacere da Tobia? O forse potrebbe sapere e dire qualcosa sulla Mariani il vecchio nobiluomo Alighiero Everardi che vive lussuosamente sul Mottarone? Magari qualcosa di molto personale…
Un drammatico avvenimento imprevisto però farà precipitare gli eventi…Ma per risolvere il caso Tobia dovrà armarsi di molta pazienza e ricostruire una storia, alimentata solo dal rancore e dalla volontà di vendetta di una mente tormentata che trae le sue radici dal passato.
Dialoghi veloci, vivaci, spesso piacevolmente umoristici per un intrigante protagonista che nonostante le critiche dell’amico Scuderi attenua i sintomi della sindrome di Tourette facendosi tranquillamente le canne come Rocco Schiavone. Marco Tobia infatti è un tipico antieroe riservato, diffidente, sempre recalcitrante nei rapporti sociali salvo con poche e selezionate persone che ama: la fidanzata, il barcaiolo Anselmo, l’ex collega ispettore in carrozzina e quei bambini che conosce, l’accettano com’è e gli parlano.

Matteo Severgnini vive e lavora a Omegna, sulle sponde del Lago d’Orta. Collabora con la Radio Svizzera Italiana, realizzando reportage e documentari radiofonici. Il primo romanzo con l’investigatore privato Marco Tobia è La donna della luna. Nel 2021 ha pubblicato per Todaro Editore La regola del rischio, sempre protagonista Marco Tobia, e nel 2022 il racconto lungo Affari pericolosi (disponibile solo su ebook).

La sindrome di Tourette è una malattia neuropsichiatrica che colpisce cervello e comportamento, caratterizzata dall’emissione di rumori e suoni involontari e da svariati tic. Grugniti, vocalizzi, colpi di tosse, parole emesse ad alta voce, saltelli, scatti e smorfie. Detta sindrome è più comune di quel che pensiamo e colpisce un individuo su cento. Più i maschi che le femmine.

:: Dieci piccoli gialli 4 di Carlo Barbieri, Illustrazioni di Chiara Baglioni (Einaudi ragazzi, 2023) a cura di Patrizia Debicke

7 Maggio 2023

Dopo il successo di Dieci piccoli gialli, 1-2-3 ritorna il piccolo commissario Ciccio! Ovverosia : “Francesco, il bambino che tutti chiamavano Ciccio perché in Sicilia è il diminutivo di Francesco, ma forse anche perché era un po’ cicciottello”.
Un nuovo capitolo della serie dunque anche perché come per gli altri tre libri, l’incipit di Dieci piccoli gialli 4, antologia nuova di zecca con dieci casi da sbrogliare per il giovane aspirante commissario, sarà identico a quelli dei precedenti di Barbieri. Tutte le storie infatti cominciano nello stesso modo e, ma non sapremo mai, o almeno pare, quale sia il cognome di Francesco, il piccolo protagonista.
Insomma l’incipit diventa anche una specie di ritornello e fil rouge che lega tutte le storie.
Ne concludiamo che: incipit che funziona non si cambia. E poi, sissignori, suona bene perché con questa frase si capisce al volo che siamo davanti a una antologia destinata ai lettori “junior”.
Il protagonista potrebbe essere il piccolo Mancuso da bambino? E perché no? Ragionevole senz’altro. Il personaggio di un bambino precoce investigatore rimanda infatti a una plausibile infanzia di Francesco Mancuso, il commissario della Omicidi di Palermo protagonista di tutti gli intriganti thriller di Carlo Barbieri . Siciliano e autore di gialli. Gialli seriali perché ormai sapppiamo tutti che il seriale funziona ed è ben accetto dal pubblico di ogni età.
E poi questo Ciccio è un ragazzo davvero particolare, pieno d’arguzia, sensibile, curioso, osservatore e con la sua mania di ficcare il naso dappertutto bravo a fiutare e a risolvere i “casi” che gli si presentano.
Pertanto, per presentare questo nuovo capitolo di quella che ormai dovremmo definire la Saga di Ciccio, possiamo dire che ci sono 10 storie gialle destinate ai più piccoli, da risolvere alla svelta e in pochissime pagine!
Storie destinate a coloro, ragazzi dagli otto anni in su, che vogliono sentirsi dei detective! O magari vorrebbero somigliare a tanti eroi dello schermo grande o piccolo che sia.
Insomma dieci piccoli gialli, ma a conti fatti dieci fatti di vita quotidiana, dei racconti scritti per avvicinare la realtà del vissuto infantile ma e soprattutto lezioni di vita utili per recuperare alcune verità che tante volte ci sfuggono, perché ormai non siamo più dei ragazzi.
E Ciccio, che ormai la consuetudine fa definire il nostro Ciccio, dimostra con disinvoltura la sua capacità, cominciando nel primo racconto con lo scoprire il retroscena del furto dei preziosissimi Patak Doré subito da un gioielliere dove si era recato il giorno prima con il nonno per consigliargli un regalo per la mamma. Individuerà presto anche nel secondo il giochetto del ladro che ha rubato in casa del colonnello, dall’udito talmente fino da dover dormire con i tappi. Nel terzo poi, trovandosi per aver vinto un concorso in un albergo in vacanza con la mamma, smonterà il mistero del cartello “Non disturbare” che rischiava di incastrare una cameriera addetta ai piani. Nel quarto invece riuscirà a svelare il mistero dei rapinatori tanto bene informati mentre nel quinto farà arrestare una finta mendicante distratta. Nel sesto, con l’aiuto di un hacker della polizia, smonterà il trucco del plagio ai danni di un grande scrittore. Arrivati al settimo, riuscirà a spremersi le meningi e mettere all’angolo il rapinatore che colpiva le tabaccherie. Nell’ottavo viceversa l’eccessiva caduta delle foglie di un arancio amaro, piantato con i compagni in una pubblica aiuola, lo porterà a scoperchiare un pericoloso avvelenamento del terreno e, in seguito, nel nono saprà far luce sull’incomprensibile furto in una boutique di lusso, servendosi del confronto con due gocce d’acqua. Nel decimo ed ultimo infine, con l’esame del DNA, potrà far incastrare senza scampo il ladro mascherato…
Spesso la letteratura per ragazzi privilegia soprattutto lo spirito d’avventura, l’eroismo dei personaggi , ma Barbieri punta piuttosto sulle doti investigative del suo protagonista come lo spirito di osservazione, la raccolta di dettagli e preziosi indizi, servendosi anche di utili strumenti del mestiere: quali un cellulare per scattare sempre delle foto.
Gialli junior insomma che piuttosto che l’azione cara a tanti romanzi di azione all’americana privilegiano un percorso deduttivo tradizionale. Percorso che richiama abbastanza i classici di Sherlock Holmes, le mai dimenticate avventure di Maigret di Simenon e, se poi volessimo invece guardare a un orizzonte più italiano o meglio siciliano, quelli di Camilleri e il suo commissario Montalbano.

Carlo Barbieri, siciliano, scrittore «tardivo» come tanti suoi conterranei, ha vissuto a Teheran e a Il Cairo, e adesso risiede a Roma. È autore di gialli e racconti premiati in manifestazioni di prestigio come lo Scerbanenco@Lignano, Giallo Garda, Metropoli di Torino. Per Einaudi Ragazzi ha scritto Dieci piccoli gialli, Dieci piccoli gialli 2 entrambi premio speciale della giuria al Festival Giallo Garda e Dieci piccoli gialli 3. Al suo piccolo investigatore Ciccio è dedicata anche una collana di racconti singoli chiamata Piccoli gialli. Sempre per Einaudi Ragazzi ha scritto Pino Tanuso e l’incredibile SuperBike Ali-N.

Chiara Baglioni è un’illustratrice free-lance, ha studiato al Centro Sperimentale di Cinematografia della Scuola Nazionale di Cinema di Roma, e successivamente si è laureata all’Università di Firenze. Lavora per i maggiori editori italiani. Per il catalogo Einaudi ha di recente illustrato le nuove edizioni di Le avventure di Cipollino e di La torta in cielo di Gianni Rodari.

:: Cuori di nebbia di Licia Giaquinto (TerraRossa Edizioni 2022) a cura di Nicola Vacca

13 marzo 2023

Giovanni Turi fondando Terrarossa Edizioni ha portato una bella ventata di aria pulita e nuova nel mondo della narrativa italiana contemporanea. Tra le brillanti intuizioni dell’editore c’è Fondanti, una collana che ripropone opera che hanno segnato un’epoca o hanno rappresentato un tassello fondamentale nel percorso narrativo di autori di talento.

Ultimo arrivato è Cuori di nebbia, il romanzo di Licia Giaquinto. Il libro fu pubblicato da Flaccovio nel 2007 e fu fortemente voluto da Luigi Bernardi, indimenticato direttore editoriale, ma soprattutto scrittore e intellettuale libero e lontano sempre dal mercimonio del mercato editoriale. E soprattutto, in virtù del suo essere sempre corsaro e irriverente, Luigi quando decideva di pubblicare un libro non sbagliava mai un colpo.

Cuori di nebbia è un romanzo nero che al suo interno contiene altrettante storie nere e personaggi oscuri che si muovono nella notte disillusa della pianura emiliana negli anni novanta.

Lungo la via Emilia sembra muoversi l’intera nazione. Infatti nella quarta di copertina il lettore ideale di questo libro è colui che cerca uno spaccato disilluso e vero dell’Italia degli ultimi decenni, chi leggendo vuole costeggiare le tenebre e non ama il lieto fine.

Cuori di nebbia è un noir nelle cui pagine troviamo lo stesso spaesamento che ammiriamo in una fotografia di Luigi Ghirri.

E la nebbia in cui sono immersi tutti i personaggi con le loro storie è una metafora del degrado morale e dello squallore esistenziale che Licia Giaquinto ci mostra con una lingua affilata che sanguina.

Mirella, Filippo, Nicola, Natascia, Mirco, Francesco, Patrizia. Questi sono i personaggi che con i loro demoni attraverso la grande notte e le loro esistenze sono avvolte da una nebbia che è portatrice di dilemmi e drammi.

Tutti danno vita a un puzzle a un romanzo corale in cui fragilità, disincanto e rabbia sono i simboli di vite disilluse che nella località di Bruciata precipitano nei loro personali abissi dove l’inconscio incontra le tenebre e la menzogna è una verità capovolta.

La scena in cui si svolge il romanzo assomiglia molto a una terra desolata. L’autrice prima di immergersi nella vita dannata dei sette personaggi la consegna al lettore con parole spiazzanti.

«Una distesa di campi piatti e sterili, glassati dalla galaverna, e tagliati dalla ferita grande della strada, con la slabbratura degli argini, e dei tanti graffi dei viottoli». Un paesaggio anemico e malinconico in cui il giorno avanza a fatica fa da sfondo a Cuori di nebbia, un romanzo in cui sette persone con le loro storie fanno i conti con i loro lati oscuri fino all’annientamento.

Licia Giaquinto ci conduce in un viaggio al termine della notte: i sette personaggi brancolano nella nebbia, sanno che si sono persi per sempre.

Le loro vite disilluse ci faranno sentire un freddo addosso e anche noi insieme ci perderemo nella nebbia, spaesati con i nostri lati oscuri ci sentiremo coinvolti da una anatomia dell’irrequietezza, che ci porteremo addosso, accorgendoci a lettura ultimata che questo libro ci ha cambiato per sempre.

Licia Giaquinto è nata in Irpinia, dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza, ora vive a Bologna. Ha esordito nella narrativa con Fa così anche il lupo (Feltrinelli 1993), a cui sono seguiti È successo così (Theoria 2000), Cuori di nebbia (Dario Flaccovio 2007, ora riproposto da TerraRossa Edizioni), La ianara (Adelphi 2010), La briganta e lo sparviero (Marsilio 2014). Ha scritto anche testi teatrali, l’ultimo è Carmine Crocco e le sue cento spose. È ideatrice e anima dell’associazione Aterrana – Ater Ianua che vuole contrastare il degrado e lo stato di abbandono del borgo storico di Aterrana (Av).

Source: libro inviato dall’Ufficio stampa al recensore.

:: L’incertezza della rana di Giorgio Bastonini, (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

9 marzo 2023

Sembra una sera come tante, nelle strade e i nei vicoli di Latina che conserva ancora i segni del suo passato fascista, quando tornerà in pista Paolo Santarelli lo strano piemme in servizio presso la procura di Latina, quello con alla destra Palazzo Emme, storico edificio costruito al battesimo della nuova città che, a quell’epoca si chiamava, Littoria.
Lui, Paolo Santarelli , che Giorgio Bastonini ci aveva già presentato nel suo precedente giallo uscito due anni fa. Strano personasggio ma soprattutto completamente diverso dall’immagine formale che uno può aspettarsi da un magistrato.
Paolo Santarelli infatti è una persona che si presenta tutti i giorni in ufficio, con ai piedi le Converse e indossando una felpa colorata. Uno poi che, ignorando la macchina di servizio con qualunque tempo va in giro pedalando in bicicletta e con uno strano rapporto con l’universo femminile: ha una ex alle spalle, attualmente è impegnato con un’accomodante fidanzata con la quale mantiene soprattutto un rapporto a distanza, anche a ore impossibili, fatto soprattutto di messaggi.
Mantiene una rispettosa e proficua convivenza con il commissario Bertoni, acuto funzionario della mobile, ma in città, visto che lo si considera ancora un estraneo perché campano di origine, ha pochi amici. Tra loro Livio, padrone del bar Piccolino dove subito, più veloce del vento, arrivano tutte le notizie di quanto succede a Latina…
Fine novembre, dopo aver adempiuto con rassegnazione al sacrificio del suo sangue preteso dall’implacabile nugolo delle locali zanzare autunnali, Santarelli ha raggiunto a piedi il bar Piccolino per accordarsi con il proprietario su una cacio e pepe serale. Ma appena arrivato verrà informato da Livio di una sparatoria appena avvenuta in città, e dopo aver ricuperato il cellulare, come al solito dimenticato in ufficio, ci troverà dentro l’avviso che anche una telefonata anonima ha segnalato il fattaccio. Non gli resta che saltare in bicicletta e pedalare verso il luogo del delitto.
dove il commissario Bertoni è già al lavoro con i suoi uomini. A prima vista, parrebbe trattarsi di un regolamento di conti e dunque per Santerelli vorrebbe dire un’ indagine di routine. Sul litorale, infatti, qualcuno ha sparato al giovane rampollo del clan Romano, a Gianluca, detto “Spaghetto”, il giovane e viziato virgulto della famiglia mafiosa di rom stanziali con il monopolio di spaccio, usura ed estorsioni”. Famiglia che da tempo Santarelli prova in ogni modo a incastrare.
Ma non si tratta di un regolamento di conti e il nostro piemmelo scoprirà presto, mentre torna a piedi a casa, dalle parole di Raffaele Locatelli, grassoccio chimico e ricercatore scientifico trentenne con tanti segreti e troppi nemici… che l’avvicina per strada per rivelargli di aver sparato a Spaghetto proprio nella piazzola e di temere la vendetta dei Romano. Ma avrà appena il tempo di ammettere una furibonda lite con Spaghetto, causata da divergenze per la comune società e accennare a un casale in campagna dove sta sperimentando le sue ricerche, prima che la sua voce venga sopraffatta dal rumore di una accelerata e da una 500 bianca, comparsa all’improvviso dal nulla, qualcuno gli sparerà, uccidendolo.
Due delitti ma anche due colpevoli prontamente individuati: con Raffaele Locatelli, reo confesso del primo delitto e presumibilmente assassinato per vendetta nel secondo . E il suo carnefice verrà facilmente identificato tramite le intercettazioni dei membri del clan.
Tanti piemme si fregherebbero le mani davanti all’occasione di chiudere in un solo colpo due casi, ma Paolo Santarelli è “uno strano pubblico ministero”: lui vuole vederci più chiaro, andare più a fondo a tutta la faccenda. Tanto per cominciare scoprire cosa combinava Locatelli, un giovane chimico nella società con il clan dei Romano, che campano con l’usura e la vendita di droga?
L’approfondita perquisizione della sua casa si rivelerà un buco nell’acqua, nonostante la vicinanza di una conturbante amica della vittima, una cartomante che sicuramente lo conosceva bene. Più interessante si rivelerà la visita fatta in bicicletta da Santarelli all’azienda agricola di cui Raffaele era titolare: all’interno di un capannone scoprirà infatti una meravigliosa serra con dentro piccoli stagni con una rigogliosa flora acquatica affollata da piccole rane.
Ma quale interesse avevano Locatelli e Spaghetto a trapiantare nell’Agro Pontino quello che pare un piccolo pezzo di Amazzonia? Per sbrogliare il mistero, che potrebbe avere lunghissimi e ramificati tentacoli internazionali, Paolo Santarelli dovrà darsi da fare e affrontare con determinazione e coraggio – e, se necessario, facendo anche uso di sostanze particolari –, un’ intricata e molto pericolosa situazione che affonda le sue radici addirittura oltreoceano.
Ma Santarelli è una persona prima di un magistrato. Una persona in grado di vivere e vedere la vita con un’ottica diversa , in grado di applicare la legge ma anche di farlo bene. Talvolta infatti non si possono giudicare le persone, valutando supinamente le loro azioni. Bisogna saper interpretare le regole con giustizia ed equità.
Una trama brillante con un protagonista brillante e ironico, un giovane quarantenne anticonformista aperto, intelligente e colto, che ogni tanto incespica un filino nei suoi rapporti al femminile.
L’incertezza della rana è una conferma per Giorgio Bastonini di saper raccontare con il giusto mix di commedia e tragedia una certa vita di provincia italiana, creando un’altra storia non comune, divertente e che non ha scordato in questo caso di rifarsi persino a un fatto di cronaca realmente accaduto. Santarelli infatti verrà chiamato a sostituire un collega nel dibattito finale di un processo in cui sono imputati alcuni giovani accusati di aver pestato a morte un ragazzo, colpevole volere far da paciere in una rissa. Chiari i riferimenti alla tragica storia del povero Willi Monteiro, ucciso a Colleferro due anni fa.

Giorgio Bastonini è nato nel 1961 a Parigi e vive fra Latina e Milano. Ama il caffè, il vin brulé e il suono del ticchettio della tastiera. Per pagare le bollette fa il commercialista. Il Giallo Mondadori ha pubblicato nel 2021 la prima avventura con protagonista il piemme Paolo Santarelli, Uno strano pubblico ministero.

Source: libro del recensore.

:: La fine è ignota di Bruno Morchio (Rizzoli 2023) a cura di Valeria Gatti

3 marzo 2023

Eccola che torna alla carica col ricatto degli affetti. Nonostante il conforto della bianchetta, il freddo che sale lungo la schiena sta diventando un tormento, avverto i primi brividi ed è tempo di chiudere questa conversazione senza capo né coda. Magari il modo di aiutare quella sciaccæla della Rubia, una vera stupida, la trovo…”

Come si misura l’umanità di una persona? È una caratteristica innata o la si acquisisce per esperienza? E, ancora, è legata a gesti quotidiani, parole pronunciate, stili di vita o, forse, si tratta più di una faccenda di legalità, coerenza, equilibrio?

Domande simili nascono spontanee, durante la lettura dell’ultimo romanzo di Bruno Morchio, “La fine è ignota”, edito da Rizzoli. La figura di Mariolino Migliaccio – il protagonista – e la sua complessa personalità costituiscono una fonte interessante per riflettere sul tema.

Andiamo con ordine, però.

Iniziando dal titolo, si avverte un altro concetto che ritorna spesso, nell’opera: una specie di contrapposizione, simile a un effetto bilancia. La fine, un atto che è legato a un fatto certo e definitivo, viene qui associata all’incognita, a qualcosa di incerto e sconosciuto. Il Bene e il Male, dunque, vengono miscelati, legati, potrebbero sembrare indissolubili.

Un altro segnale interessante, che anticipa molto della trama, è la copertina. È una grafica che rappresenta i caruggi tipici della Liguria, un’insegna sbiadita di un hotel e un uomo che cammina. Il viso dell’uomo è voltato: sembra scrutare e controllare, come se temesse un pericolo. L’atmosfera shady è percepibile e, anche in questo, le luci e le ombre si accostano, convivono l’una accanto all’altra.

Il racconto ruota attorno alla scena iniziale: Luigi il Vecchio, un boss senza scrupoli, assume Mariolino per ritrovare una delle sue “ragazze” che è sparita dalla casa di tolleranza che gestisce sotto forma di centro benessere. Da questo fatto, l’autore muove i suoi personaggi tra le vie di Genova, i locali promiscui, l’illegalità di una società “parallela”, storie di violenza e disperazione che coinvolgono ragazze arrivate nel nostro paese con la speranza di poter vivere una vita dignitosa.

Gli occhi del lettore vengono catturati da Mariolino che si presenta nudo e crudo. È un uomo solo – la mamma, una lucciola, è stata uccisa da un cliente -; è disoccupato, per la società, ma un lavoratore – investigatore privato senza licenza – dei bassifondi; vive in una stanza fredda e quando ha qualche soldo in tasca si concede un pasto caldo in trattoria. Ha una buona cultura – ha frequentato il liceo classico –, ama la buona musica, ed è dotato di un’intelligenza fine e spontanea, nonché di un grado di umanità e attenzione verso i problemi degli altri che colpisce, in positivo.

L’intera opera è narrata dal punto di vista di Mariolino: il lettore entra in contatto con il personaggio, le sue azioni, il suo pensiero, la sua solitudine, il suo disagio (che esprime spesso), quel suo modo di restare ancorato alla vita, le amicizie di strada e la solidarietà che si costruisce in questi legami, le strategie che improvvisa, il suo straordinario talento nell’ascoltare e nel comprendere gli Uomini. In sostanza, è tutto il suo mondo a essere messo in esposizione, in maniera semplice ma diretta. È con i suoi occhi che conosciamo la disperazione che regna nella realtà a luci rosse che gli sta intorno ed è grazie a lui che scopriamo gli angoli più bui della Genova nel periodo natalizio. E poi, ci sono i soprannomi e quel suo modo originale di analizzare le persone. Un modo unico e inconfondibile.

È un tipo tozzo e robusto, fisico da palestrato, sui cinquant’anni portati con orgoglio e prëzumìn: capelli brizzolati tagliati cortissimi, da ex ufficiale dei marines, e mascella squadrata da picchiatore fascio. Indossa abiti eleganti e in molte fotografie, anziché la cravatta, sfoggia uno sgargiante papillon rosso. Dà l’impressione del personaggio che conta, conscio e fiero della propria condizione di uomo di potere. Il Vecchio e Coscialunga devono tenerlo in grande considerazione …”

Altra caratteristica che emerge è l’uso del dialetto. Lo si trova soprattutto nei dialoghi, ma chi non ha dimestichezza con le espressioni dialettali non deve preoccuparsi perché affianco c’è la traduzione. Un ulteriore conferma, questa, di quanto lo stile narrativo di Bruno Morchio sia aperto, diretto ed efficace, quasi confidenziale. Uno stile fresco e originale che si contrappone efficacemente alla tematica trattata e che conferma l’equilibrio dell’intera opera.

Bruno Morchio è nato nel 1954 a Genova, dove vive e ha lavorato come psicologo e psicoterapeuta. È autore, tra l’altro, di una fortunata serie gialla che ha per protagonista l’investigatore privato Bacci Pagano. Per Rizzoli ha pubblicato anche Il testamento del Greco e Un piede in due scarpe, disponibili in BUR, e La fine è ignota (2023).

Source: libro inviato al recensore dall’editore. Ringraziamo Ambretta Senes Ufficio Stampa Rizzoli.

:: Il cadavere del Canal Grande di Enrico Vanzina, (HarperCollins 2022) di Patrizia Debicke

27 febbraio 2023

Dopo avere raccontato Roma e Milano, Enrico Vanzina chiude con una zampata da leone par suo la sua trilogia noir dedicata alle città italiane, tornando indietro nel tempo nel 1700, a Venezia in laguna e arrivando a coinvolgere addirittura il mitico Giacomo Casanova.
Vanzina scrive ma si diverte e si vede. Gioca con i modelli del Settecento, si lascia contagiare dal primo Dumas e dalla crudele malizia di Laclos , senza tuttavia dimenticare Goldoni e le Memorie di Casanova , poi arricchisce persino la sua trama con una carambolesca fuga dal sapore di spaghetti western alla Kill Bill 2 di Tarantino.
Insomma Il cadavere del Canal Grande è un singolare e provocante romanzo storico, intrigante, sanguinario quanto gli piace (un bel po’ direi), denso di colpi di scena, dotato uno stuzzicante congegno narrativo giallo e popolato da memorabili personaggi, dominati dalla locandiera Ginevra Trevisan, fascinosa protagonista femminile…
Jean de Briac, giovane venticinquenne alto biondo e bello, di nobili origini bretoni, aveva un sogno, diventare un pittore. Ma suo padre, squattrinato aristocratico di campagna, molto più interessato a fare rendere i suoi terreni e alla salute delle mucche che alla vocazione artistica della progenie, non ci sentiva da quell’orecchio.
Ragion per cui il giovanotto saltato in sella a un robusto cavallone della paterna scuderia, dopo un lungo e periglioso a viaggio era riuscito ad arrivare a Venezia. Là con la benevola lettera di intercessione del cugino, Mathieu de Briac, monsignore a Würzburg, dove il maestro Giambattista Tiepolo aveva affrescato la residenza del principe vescovo Karl Philipp von Greiffenclau, era stato preso a bottega, entrando a far parte del gruppetto di volenterosi allievi del grande pittore veneziano. Tiepolo, uomo di buon cuore, mosso forse da ammirazione o pietà per quel ragazzo che per un sogno era scappato dalle comodità di casa, l’aveva messo due mesi prima a mischiar colori, mentre lui stava lavorando all’affresco dell’Incoronazione di Maria Immacolata nella chiesa della Pietà. Nonostante i pochi spiccioli in tasca garantiti dalla paterna grettezza, che gli consentivano appena di alloggiare in una stanzuccia in una locanda vicino al Ponte di Rialto e di riempirsi la pancia in bettole malfamate, Jean de Briac finora si era sentito appagato dalla sua vita veneziana. Ma una sera, dopo cena ormai diretto a piedi al suo giaciglio, con la luna che si rifletteva nelle acque del Canal Grande, mentre camminava scansando l’eterogenea folla notturna che animava le calli, verrà travolto da una dama che correva all’impazzata tra la gente. Pur scaraventato a terra riuscirà ad afferrare la gonna della bellissima ed esotica sconosciuta sollecitando scuse. Ma l’immediato rapido, vivace e successivo scambio verbale, si chiuderà con il passaggio di un sacchetto di velluto, da parte della bellezza alla sbalordito giovanotto, unito alla preghiera di consegnarlo prima possibile alla signora Ginevra, padrona della locanda Alle due spade.
La curiosità, par logico, che spingerà il giovanotto ad aprirlo gli consentirà di scoprire che contiene uno splendido smeraldo di straordinarie dimensioni. L’ora tarda tuttavia gli suggerirà di rimandare all’indomani la consegna richiesta. Però, ripresa la sua strada, passati pochi minuti dopo aver imboccato il Ponte di Rialto, verrà raggiunto da un vociare e affacciandosi alla balustra, vedrà in acqua una gondola dalla quale un robusto barcaiolo stava tirando su il corpo di una donna annegata, riconoscerà dagli abiti indossati dalla ragazza che gli ha appena consegnato lo smeraldo e riuscirà a sentire il gondoliere gridare sconvolto: «Maria Vergine, le hanno tagliato la gola».
Ma la storia veneziana di Vanzina non si limiterà a far da teatro a un unico delitto.
Dopo una lunga notte insonne o quasi, passata rigirandosi tra le coltri del suo letto, Jean de Briac si recherà alla locanda Alle due spade. Là incontrerà e conoscerà, anche carnalmente, Ginevra Trevisan, la fascinosa, sensuale femme fatale e, cavallerescamente finirà da lei compromesso in un diabolico e misterioso intrigo, destinato a coinvolgere sbirri, signori e non, alti prelati, e persino artisti come Tiepolo, addirittura alcuni tra i potenti d’ Europa e con loro l’intrigante e famosissimo, forse il più celebre veneziano tra tutti: il cavalier Giacomo Casanova.
A ben vedere tutta la trama gravita intorno al misterioso smeraldo del sacchetto, e non spoileremo certo dicendovi cosa sarà della misteriosa e fulgente pietra dal valore incalcolabile .
Ciò nondimeno il fulcro portante della storia è lei e resterà solo lei, la seducente locandiera Ginevra Trevisan. Lei che, avvalendosi del suo irresistibile fascino saprà condurre doppi, triplici e quadruplici giochi, manovrando abilmente con il sesso e confrontandosi senza scrupoli con uomini influenti, unanimemente riveriti ma sempre da lei ridotti a succubi delle sue grazie. Con il sesso, usato come utile strumento per raggiungere il potere, e quel sesso a cui nessuno dimostra di saper resistere. Succede anche al giorno d’oggi? Che dire? Certo è che niente cambia su questa terra e certamente non certe fragilità della natura umana.
Con per scenario la Venezia di Carlo Goldoni, quella per intendersi con le sue magiche calli, con le acque torbide dei canali solcate dalle nere gondole, con la folla chiassosa che popola le sue giornate e con le brutte soprese di certi movimentati scorci notturni. Un’irrinunciabile Venezia che anche stavolta riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista. Una città da sempre senza tempo e fuori dal tempo, a fare da cornice a una storia ambientata nel secondo Settecento. Una storia che si dilata e scivola via lontano, veloce come cavalli e carrozze che percorrono avanti e indietro la campagna veneta (portandosi a Mestre e poi nel vicentino fino a raggiungere il trevigiano per un funambolico succedersi di avventurosi colpi di scena).
Un libro che ancora una volta ci dimostra le capacità e l’eclettico e straordinario talento del narrare di Enrico Vanzina.

Enrico Vanzina è figlio del grande regista Steno, uno dei fondatori della commedia italiana. Nel 1976 ha iniziato a scrivere sceneggiature e da allora ha collaborato con i maggiori esponenti del nostro cinema. Nel corso degli ultimi quarant’anni ha firmato, insieme al fratello Carlo, alcuni dei più grandi successi al botteghino italiano. Ha realizzato anche moltissime fiction televisive. Ma il cinema e la tv non sono la sua unica occupazione. Ha collaborato con il Corriere della Sera e scrive come editorialista su Il Messaggero. Ha pubblicato diversi libri, tra cui i recenti La sera a Roma (Mondadori, 2018) e, con HarperCollins, Mio fratello Carlo (2019), Una giornata di nebbia a Milano (2021), Diario diurno (2022). Ha vinto, in tutti questi ambiti, numerosi premi tra cui il Nastro d’argento, la Grolla d’oro, il Premio De Sica, il Premio Biagio Agnes, il Premio Flaiano e il Premio Casinò di Sanremo – Antonio Semeria.

Source: libro del recensore.

:: Isole carcere. Geografia e storia di Valerio Calzolaio (Edizioni Gruppo Abele 2022) a cura di Giulietta Iannone

23 febbraio 2023

“Un’isola non è, per natura, una prigione.”

L’isolamento insulare e la detenzione sono un binomio che fin dall’antichità, pensiamo all’Antica Grecia, ha trovato stretti legami e ripercussioni sul vivere civile e sociale. Allontanare dal consorzio umano determinati soggetti rei di gravi crimini, o perlomeno, anche se innocenti, accusati di averli commessi, è diventata un’aggravante dell’eventuale punizione, un inacidirsi coercitivo di una pena non volta al recupero del condannato, ma al suo allontanamento, anche dalla vista, dal contesto civile, quando non si vuole giungere a una vera e propria condanna a morte. Una crudeltà in più, insomma, che rende più difficile la fuga certo, ma anche solo, tramite l’isolamento più assoluto, rende più doloroso e crudele il castigo a volte inferto a oppositori politici, persone sgradite, o semplicemente scomode. Nel saggio Isole carcere. Geografia e storia Valerio Calzolaio analizza, con un approccio multidisciplinare, questa materia di per sé complessa e sottostimata. Forse non tutti sanno che esistono isole carcere ancora attive anche attualmente, insomma non è una vestigia delle barbarie del passato, anche in Italia. Le riflessioni sulle ripercussioni psicologiche e sociali dell’isolamento detentivo diventano occasione di riflessioni sul sistema detentivo stesso, e sulla sua utilità, oltre alla scarsa volontà politica di trovare pene sostitutive più costruttive per la società e l’individuo. Il saggio si compone di tre parti: la prima dal titolo Un doppio isolamento con riflessioni sugli aspetti storici, biologici e socioculturali del fenomeno. La seconda parte è composta da una serie di schede che descrivono alcune isole carcere, forse le più famose, da Alcatraz, all’Asinara, dall’Isola d’If, all’Isola del Diavolo, a Lampedusa. Infine nella terza parte c’è un tentativo, per quanto sperimentale, di classificazione globale di tutte le isole carcere esistenti nel mondo. Tra l’altro il lavoro non è solo il frutto di consultazioni di dati, tabelle, archivi, saggi scientifici, ma anche analizza le ripercussioni sull’immaginario: quanti libri, film, poesie hanno per tema la detenzione su un’isola, pensiamo al film Papillon, o al romanzo Il Conte di Montecristo, in cui il personaggio letterario di Edmond Dantes, dopo una prigionia di 15 anni, fu l’unico a poter scappare dall’Isola d’If, grazie alla fantasia di Dumas. Ricco l’apparato bibliografico e di approfondimento che rende il lavoro utile anche a coloro che vogliono intraprendere uno studio serio e articolato sulla materia.

Valerio Calzolaio, giornalista e saggista, è stato deputato dal 1992 al 2006 e sottosegretario al Ministero dell’ambiente tra il 1996 e il 2001. Tra le varie pubblicazioni è autore di Ecoprofughi (Nda 2010), Da Moro a Berlinguer (con Carlo Latini, Ediesse, 2016), La specie meticcia (People, 2019), Libertà di migrare (con Telmo Pievani, Einaudi, 2016).

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Christian Ufficio Stampa Edizioni Gruppo Abele.

:: Favola per rinnegati di Alessandro Bongiorni (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

17 febbraio 2023

Per il Giallo Mondadori, Alessandro Bongiorni ci offre un altro intenso ed espressivo romanzo poliziesco dai toni noir, agganciato alla più oscura cronaca criminale quotidiana.
Dopo sette anni di assenza (nel 2018 ha scritto invece un romanzo con il sequestro Moro per scenario) riporta in libreria con Favola per rinnegati il suo protagonista Rudy Carrera, vicecommissario alla questura milanese e un poliziotto fatto a modo suo.
Un Rudy Carrera che avrebbe potuto fare carriera, se solo ogni tanto fosse stato capace di tacere, di accettare qualche compromesso, di seguire le indagini “giuste”. Ma non sarebbe stato cosa da lui…
Per anni infatti pur nell’amarezza della routine e della frustrazione, ha fatto di testa sua seguendo caparbiamente la sua strada e accettandone il prezzo da pagare , con l’aiuto dell’ whisky, sempre e solo inesorabilmente JB è riuscito a galleggiare nella giungla d’asfalto milanese, barcamenandosi tra i fantasmi del passato, l’ostilità dei propri superiori e ormai la mancanza di una vera vita sentimentale.
Inizio novembre e una serata molto fredda per la stagione. Piazza San Marco il cuore di Brera sarà là che un ragazzo, vent’anni circa, con in mano un Kalashnikov, sceso da una Ford Ka viola con a bordo un altro ragazzo, aprirà ferocemente il fuoco davanti a un locale alla moda di Milano, il Bicèr de Vin, uccidendo otto persone a due passi dalla chiesa e lasciando a terra un numero imprecisato di feriti. Da quel momento tutta la zona e il centro vengono imprigionati da una terrificante atmosfera da incubo.
Dopo la strage l’assassino risalirà velocemente in macchina lanciandola su strada, a tutto gas. Richiamati da Achilli ( detto Pelide) che passava la serata in una locale poco lontano , arrivando , di corsa a piedi a Piazza San Marco, arriveranno in prima linea anche la Esposito e il vice questore Rudi Carrera, insomma praticamente tutta la squadra… La scena è da paura. Ovunque sangue, morte e desolazione . Nel frattempo l’assassino imboccati i viali, dopo una brutta sbandata, andato a sbattere contro un palo della luce e sbalzato per l’urto con violenza fuori dall’abitacolo, morirà sfracellato, incastrato in una cancellata del Parco Sempione. Il sopraggiungere di volanti e civette dei carabinieri, tutte a caccia della Ka viola, permetterà di estrarre dall’auto in fiamme, il ragazzo che era seduto accanto a lui , il passeggero ancora vivo.
Il massacro per le crudeli modalità attuative rimanderebbe all’attentato parigino, organizzato nel Bataclan.
Alla macabra conta finale, il numero delle vittime sarà di otto morti: sette donne e un uomo e dieci feriti: otto donne e due uomini e quella carneficina verrà subito strillata dai media e definita come: la strage delle donne . Secondo tutti i testimoni superstiti dell’accaduto, l’unico a sparare è stato il conducente della Ka e anche l’esame dello stub, fatto sul ferito in ospedale, scagionerà il passeggero e complice sopravvissuto e ricoverato in rianimazione.
Si dovrebbe pensare all’Isis? Seguire la Pista islamica? E magari lasciare subito libero spazio ai servizi segreti?
I due ragazzi che viaggiavano sulla Ka però sono italiani e incensurati.
L’indagine pertanto viene provvisoriamente affidata al vicecommissario Rudi Carrera e alla sua squadra.
Carrera, sarà costretto fin dall’inizio a confrontarsi con ingannevoli false piste a vuoto e pressanti richieste di rapide soluzioni di comodo, che gli vengono richieste dall’alto con per parola d’ordine: darsi una mossa e sbrigarsi a risolvere il caso. Ma Carrera che sente puzza di bruciato, non ci sta. Ha già capito che se vuole davvero sbrogliare quella bruttissima storia deve partire dall’arma utilizzata per la strage, non dalle presunte motivazioni del folle gesto, tipo implicazioni politiche e religiose, ma proprio solo dall’arma. Bisogna capire da dove arriva quel Kalashnikov in mano all’assassino. Cosa c’è dietro e come e perché due ragazzi timidi neanche ventenni, siano riusciti ad avere a disposizione un micidiale fucile d’assalto, in perfetto ordine ma con la matricola abrasa?
E mentre anche i servizi segreti scendono pesantemente in campo, Carrera con l’innato fiuto che anche i più accesi detrattori gli riconoscono e l’accanimento di chi si sente ai limiti dell’autodistruzione, si impegna e ci mette addirittura la faccia. E sapendo di non avere niente da perdere, riuscirà con la sua testardaggine a scavare nei punti più oscuri ma nevralgici di una società sfrenata e senza scrupoli, arrivando a mettere insieme tutte le fila di chi opera proficuamente nell’ombra senza scrupoli né remore e a scoprire diramazioni e anomalie addirittura inconcepibili. L’indagine lo porterà a confrontarsi con incredibili distorsioni sociali che spaventano, ma lo costringerà anche a muoversi sulla scena al convulso ritmo di una avventurosa pellicola mistery/spystory. Una filmografia ben rappresentata da Clint Estwood al cinema sempre insuperabile cow-boy e poliziotto.
Sue poche occasioni di relax, forse. qualche passeggiata di sera nella vecchissima Milano, impregnata di romanità , o meglio con ancora il marchio di capitale di un impero, l’amicizia e il confronto con la saggezza di Raimondo, barbone per scelta, la sua squadra sempre al suo fianco in ogni e qualunque condizione dunque una spinta a insistere e continuare. Ma sempre con quel vuoto, quel mugugno dentro che continua a mordere implacabile e il lancinante senso mancanza di qualcosa ormai chiusa e perduta.
Ormai un dannato, senza via d’uscita? O invece da una qualche parte potrebbe ancora esistere una buona favola, ritagliata apposta per lui?

Alessandro Bongiorni, nato a Milano nel 1985, è laureato in Scienze e Tecnologie della Comunicazione presso l’università IULM. Ha conseguito anche la laurea magistrale in Televisione, Cinema e New Media, con una tesi su Elmore Leonard. Dal 2008 è giornalista pubblicista e negli ultimi anni ha svolto diversi lavori nel campo dei media. Una voce del panorama giallo noir italiano.

Source: libro del recensore.

:: La vita paga il sabato di Davide Longo (Einaudi 2022) di Patrizia Debicke

15 febbraio 2023

Torino le cinque e ventisei, l’alba. Il commissario Vincenzo Arcadipane, già protagonista dei precedenti romanzi di Longo, tutti da leggere se non l’avete ancora fatto, viene svegliato dal suo vice Pedrelli.
A Clot, borgo sperduto nel cuneese quasi ai confini con la Francia, un uomo è stato trovato morto nella sua Jaguar. Una telefonata anonima dopo le 23 ha segnalato luogo e delitto e poco dopo la macchina con al volante il cadavere è stata avvistata dai carabinieri abbandonata in una radura.
Roba da prendere con le pinze, perché pare sia una faccenda che scotta, è fuori sede, non sarebbe di sua competenza ma il dirigente generale ha richiesto la sua presenza e se vuole saperne di più deve darsi una mossa e recarsi in loco…
Apprenderà subito dopo l’ arrivo a Clot , “un grumo di case più vecchie che antiche” vegliato a monte da una mastodontica diga, che devono raggiungere Gias Vej e la chiesa con il cimitero. La vittima, che secondo il medico legale Sarace, è stata strangolata con del vecchio filo elettrico tipo piattina, era Terenzio Fuci, ottantasette anni, residente in via del Babuino a Roma, titolare della casa di produzione cinematografica Veronica Film, fratello del politico Amilcare Fuci, eminenza grigia della Democrazia cristiana fino alla morte nel 1988 e tuttora molto ben ammanigliato con il Vaticano. La moglie, arrivata a Clot con lui, è Vera Ladich un’ex famosissima attrice che aveva fatto innamorare un’intera generazione, ribattezzata allora da Godard : Mademoiselle le look, invece è scomparsa. Morta anche lei? Ferita, sperduta per i boschi ? O forse rapita?
Ma allora l’ipotesi più probabile sarebbe che sia stata rapita dall’assassino. Bisogna dare il via tutto intorno a ricerche a tappeto e magari cercare di capire meglio perché marito e moglie erano venuti a Clot? Intanto avevano prenotato tutte le stanze dell’unico albergo del paese. Perché? Amore della privacy? Tanto per cominciare Arcadipane appurerà che Clot era il paese d’origine di Vera Ladich (all’anagrafe Anna Mattalia ), dove aveva conosciuto e sposato Fuci.
Con l’inchiesta tutta sulle sue spalle, il commissario Arcadipane per tentare di venire a capo di un rebus da paura deve trasferirsi temporaneamente a Clot, tra gente chiusa, cauta e ruvida, la cui esistenza e sopravvivenza paiono indissolubilmente legate all’enorme diga che circonda la valle, stringendola come un cappio.
Arcadipane, con in più il carico di Trepet, il suo cane a tre zampe, non riuscendo a trovare in fretta il bandolo della matassa, dovrà chiedere aiuto al vecchio amico, mentore ed ex capo Corso Bramard e all’indisciplinata ma indispensabile agente Isa Mancini, nessuno dei due al massimo di forma perché coinvolti in problemi personali di salute.
Ma le brutte sorprese non sono finite perché si scoprirà che anche di un’altra donna, coetanea della Ladich, anch’essa di Clot, si sono prese le tracce…
Non sarà una passeggiata arrivare alla verità, nascosta tra le pieghe di segreti antichi e di nuovi egoismi protetti da poteri apparentemente inviolabili. Si dovrà riuscire a scavare a fondo, districando una fitta trama tessuta a piú mani.
La vita paga il sabato, edito da Einaudi, è il quarto libro che vede come protagonisti il Commissario Arcadipane e il suo ex capo Corso Bramard. La coppia, collaudata e perfettamente caratterizzata da Davide Longo, questa volta allarga i propri orizzonti territoriali e umani. La Torino di Arcadipane, dolce e amara come i sucai (caramelle gommose con liquerizia), sua insopprimibile droga, stavolta lascia il posto alla rustica diffidenza della montagna piemontese, aspra e poco incline all’utilizzo della parola, cadenzata da propri ritmi, soprattutto se composta da borghi e paesi molto piccoli dove e spesso i cognomi sono tutti uguali. Dove come secondo un ancestrale codice le difficoltà o i problemi si risolvono insieme nella pubblica piazza e tutti sanno tutto degli altri ma l’omertà è d’obbligo.
E tuttavia pian piano, Archidipane, costretto a spingersi fino a Roma e a calarsi nella dissolutezza del caos capitolino, riuscirà a decifrare particolari e fatti precisi con radici nel passato , ispirati da personaggi pubblici reali.
Intrigo e mistero. Un contesto realistico, per la nuova avventura di Archidipane ma, e si sarebbe dovuto capire subito dall’ambientazione nello sperduto comune di Clot, contrariamente alle apparenze, non reale.
Clot non esiste, così come non esiste il vicino comune di Assiglio, Sì, certo, esistono due frazioni Clot, rispettivamente nei comuni di Inversa Pinasca e di Perrero, in provincia di Torino ma non sono quelle descritte da Longo.
Anche la chiesa di Clot, quella del romanzo e il suo ciclo di affreschi cinquecenteschi nella realtà non esistono o forse sì, ma in un diverso contesto. Longo scrive: sulla facciata sono disposti “piccoli volti in rilievo dagli occhi ciechi” e, sul lato della chiesa, “due volti, un animale a quattro zampe, un albero e uno stemma”. Chiesa della fantasia quella della Clot di Longo mentre è reale la chiesa di Santa Maria Assunta a Elva, in Valle Maira con i suoi bassorilievi e il suo interno affrescato dal pittore fiammingo Hans Clemer. Ma non con tutti gli elementi descritti da Longo in La vita paga il sabato . Altri però paiono collegare la finzione di Clot alla realtà di Elva.
Hans Clemer fu attivo nel Cuneese negli stessi anni in cui sarebbe stata affrescata la chiesa di Clot, “fiammingo” e reduce dalla Francia come Johannes Van Drift nel romanzo, e viene chiamato il Maestro di Elva, così come Johannes è il Maestro di Clot. Inoltre, sia a Elva che a Clot, sotto gli affreschi compaiono delle scritte. Possibile che Longo vi abbia tratto ispirazione anche per i versi in langue d’oc?
E anche a Elva, come a Clot, i personaggi locali hanno “strani” cognomi come Dao, Claro, Mattalia, Lunel, Dro.. L’identificazione di Clemer , negli anni Settanta del secolo scorso, come l’anonimo Maestro d’Elva, è stata confermata da un documento contabile del 1494 in cui i membri del comune di Revello (Cn) lo cercano per commissionargli un retablo. La sua attività in zona si colloca tra questa data e la morte, avvenuta attorno al 1511. Il ciclo per la parrocchiale di Elva con la Crocefissione e storie della Vergine è databile agli anni attorno al 1500.
Viene da qui la felice creazione di un pittore mai esistito dal nome Johannes Van Drift, ispirato da un vero Clemer che si dice anche fosse di origine piccarda? Attribuendogli, attraverso le memorie dell’allievo del Maestro di Clot, la leggenda del contenuto maledetto del ciclo di affreschi.
Iconografia straordinaria che coinvolge e colpisce Bramard spingendolo ad approfondire ogni particolare con Isa Mancini.
Niente è caso. Il romanzo di Longo, ambientato in un paesaggio montano dove il clima e le scabrosità del territorio hanno plasmato gente chiusa, solitaria, porta il lettore a non distinguere la finzione dalla realtà. Certo è un mixer geniale quello di tre personaggi tanto diversi ma perfettamente funzionali alla trama come Bramard, Arcadipane e Mancini: Arcadipane, tozzo, sanguigno, con un’intelligenza pratica, “umana”; Bramard, osservatore acuto, riservato e con un’intelligenza ricercata; Mancini, “brigantessa”, solida, sostanziale e con un’intelligenza intuitiva. Bramard, l’ex commissario, che sembra sempre voler sfidare la morte, e invece ha quel lampo di genio che lo tiene sempre più ancorato alla vita. Arcadipane, prima suo collega, ora colui che ha preso il suo posto di commissario di polizia, è un uomo che, vuoi per il lavoro, vuoi per la sua incertezza, si è fatto sfuggire la famiglia, i figli, la moglie di cui era distrattamente innamorato. Ora ha Ariel, psicoterepeuta, forse la cosa migliore che gli poteva capitare, e nell’inchiesta a fianco anche stavolta Isa, poliziotta determinata, iper tecnologica, con un passato problematico ma, in realtà, perfetto elemento di connessione tra Bramard e Arcadipane.
Accumunati tuttavia dalla complice e basilare capacità di discernere dietro ogni orizzonte quanto serve: per arrivare alla scoperta che per tutti, o quasi, la vita paga il sabato.

Davide Longo è uno scrittore italiano nato a Carmagnola, che vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. Tiene corsi di formazione per gli insegnanti su come utilizzare le tecniche narrative nelle scuole di ogni grado. Tra i suoi romanzi ricordiamo, Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos, 2001), Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos 2004), L’uomo verticale (Fandango, 2010), Maestro Utrecht (NN 2016), Ballata di un amore italiano (Feltrinelli 2011). Nel 2014 ha scritto il primo romanzo della serie che ha come protagonisti Arcadipane-Bramard Il caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), cui è seguito il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi) e il terzo Una rabbia semplice (Einaudi 2021).

Source: libro del recensore.

:: È così che si muore di Giuliano Pasini (Piemme 2023) a cura di Patrizia Debicke

7 febbraio 2023

Quando tutto il resto pare inaccettabile, l’unica salvezza potrebbe essere la certezza di un porto sicuro. Perché la solitudine è forse la vera condanna del principale protagonista dei romanzi di Pasini, il commissario Roberto Serra che crede di non aver più un posto dove ritrovare la sua pace. Aveva sperato perciò che, tornando dieci anni dopo a Case Rosse, paesino arroccato sull’Appennino dove la sua storia e la sua dannazione, erano ricominciate gli potesse servire. Proprio a Case Rosse, il borgo di mille anime arroccato sull’Appennino emiliano dove nel 1995 aveva trovato per la prima volta rifugio per fuggire da quelle indagini e da quegli omicidi che a Roma lo stavano distruggendo. Ma la notte di Capodanno , il 1 gennaio 1995, quando il suo pur fragile equilibrio pareva faticosamente riconquistato, aveva dovuto affrontare uno dei crimini più brutali della sua carriera. Uno spaventoso delitto commesso durante la notte in alto, al Prà grand, con due adulti e una bambina uccisi senza pietà. Un’ orribile rappresaglia che riconduceva alla sofferenza e all’orrore vissuti 50 anni prima in quel luogo, con il massacro commesso nel ‘45 dalle SS in ritirata e dai loro alleati repubblichini, decisi a far terra bruciata attorno a loro. L’inchiesta che l’aveva ghermito, l’aveva catapultato nell’inferno di un passato che pareva dimenticato e invece era ancora marchiato a fuoco nella memoria degli abitanti. E quell’ inferno era tornato a presentare il conto offendo spazio alla danza. Un dono o una maledizione?
Insomma aveva indelebilmente segnato anche lui. Il ritrovato rapporto con Alice, unico insicuro lumicino, appeso a nuove piccole sicurezze, pian piano si era fatto traballante. La sua vita, la sua non-malattia che era parte di lui, le sue fughe continue, che si accumulavano una sull’altra lasciando cicatrici, erano tutte intrecciate con il suo nome : Alice. Non era servito il suo trasferimento a Treviso come capo ufficio immigrazione e neppure il suo rifugiarsi a Termine , il paesino di vigne. Non gli avevano impedito di scontrarsi di nuovo e ferocemente con l’aberrazione del male. E neppure il ritorno a Bologna e la nascita di Silvia mentre era ancora sospeso dal servizio, l’avevano reso più sicuro.
Silvia era una bambina speciale, per certi aspetti, ma così forse come era speciale lui. E poco dopo il dottor Gardini, il medico che per tanti anni aveva tentato di trovare una spiegazione e curare la paurosa sindrome del commissario, era stato assassinato laggiù nella bassa, terra cara alla prosa di Guareschi, poco lontana dalle Reggia di Colorno. Anche senza l’appoggio della divisa si era sentito costretto ad andare. A far parte del ventaglio di detectives riuniti per uno strano e inesplicabile delitto: Massimo Minimo, comandante in capo del Ris, Mixielutzi capo della squadra mobile di Treviso in ferie e nume tutelare di Roberto Serra, commissario sospeso.
Poi però, tornato in servizio con encomio, la sua volontaria scelta di allontanarsi. Perchè? Inquietudine? Vigliaccheria?
Ha chiesto lui infatti tre anni prima di essere assegnato di nuovo a quel minuscolo commissariato di montagna. L’ha fatto perché forse lassù sperava di riuscire a chiudere con i fantasmi che l’ossessionavano e magari farcela a controllare in qualche modo la sua sindrome e la sua vita? Cosa tutt’altro che semplice. E fare il pieno di alcol di notte e poi correre come un pazzo chilometri su chilometri ogni mattina per sputare il veleno, non è la migliore scelta. Intanto il suo rapporto con Alice si sta avviando alla definitiva chiusura, lei ha ripreso la studio del padre, sta per sposarsi con un ricco coetaneo bolognese. Mentre lui annaspa inutilmente pare e la forzata e dolorosa separazione da Silvia, sua figlia, non aiuta.
Poi a maggio, in un giorno che sembra scorrere inutile , senza sorprese come tutti gli altri: la chiamata del vicesindaco con la richiesta di correre nella frazione di Ca’ di Sotto per un incendio che sta divorando una cascina. Una cascina dove abitano un uomo e la sua compagna.
Roberto Serra e l’agente scelta Rubina Tonelli, una romagnola dai capelli rossi giovane e stizzosa, mandata lassù, a Case Rosse, a scontare una punizione, devono raggiungere subito il posto sulla trentenne ma funzionante Campagnola del commissariato. I pompieri, chiamati per primi e già all’opera , stanno usando la schiuma per controllare il fuoco, ma la stalla con le bestie è già andata, solo una scrofa mezza arrostita è uscita ancora viva dalle fiamme. Tra i primi ad accorrere, per tentare di fare qualcosa, è stato Rigo Bagnaroli, il fratello maggiore di Burdigon, ex pugile , un omone di un metro e novanta che si è fatto medicare dai sanitari le ustioni per aver tentato invano di entrare.
Quando divorato dalle fiamme crollerà il tetto, il corpo di Eros Bagnaroli, detto il Burdigòn, lo scarafaggio, semi carbonizzato verrà estratto dai vigili del fuoco da quanto resta della casa, ma quando, su richiesta del dottor Cherubini medico condotto, il capo dei pompieri e uno dei suoi riusciranno a girarlo, apparirà lampante che la causa della morte non è stata l’incendio. Al Burdigon hanno tagliato la gola. Per fortuna il suo sarà l’unico cadavere ritrovato nella cascina perché la sua compagna, scesa poco prima con il motorino in paese, li ha raggiunti e sta piangendo disperata.
Il comandante dei vigili decreterà subito che secondo lui l’incendio è doloso e, per innescarlo , ritiene sia stata usata della miscela agricola.
Quando poi ormai sta per scendere la sera, ci sarà l’arrivo sulla scena del delitto, di una squadra di carabinieri del Ris e di una di poliziotti della questura di Modena, con al comando Vito Corazza, gigantesco e dimenticato amico d’infanzia di Roberto Serra e capo della squadra mobile. Arrivo quasi in contemporanea simile a una carica di cavalleria, provocato dalla telefonata del Commissario di Case Rosse a Massimo Minimo, generale comandante del Ris, erre moscia, quando parla, quasi sosia di Clint Estwood e ancora suo nume tutelare. Telefonata al di fuori dalle procedure che Serra ha fatto appena si è reso conto di trovarsi davanti a un omicidio.
Liquidati rapidamente dal collega di Modena, Roberto Serra e Rubina Tonelli credono di essere ormai tagliati fuori dal caso ma…
Il generale Minimo non la pensa così, ha passato la notte sul cadavere di Bagnaroli e decreta scannamento. Insomma qualcuno ha ammazzato il Burdigon come un maiale. Poi, visto che si è scomodato a fare tutto quel lavoro solo perché Serra gliel’ha chiesto, il giudice istruttore assegnerà l’inchiesta a lui e a Corazza.
Dopo dieci anni Serra ha un nuovo efferato delitto commesso a Case Rosse su cui deve indagare. Ma la gente del paese non collabora e lui si sente ingabbiato in un nuovo e insondabile muro di omertà, mentre la Danza, la sua complice e condanna, ricompare all’improvviso sempre pronta ad attaccare a tradimento… Con la falce della morte è già alzata per colpire ancora. Questa volta, però, Serra dovrà fare i conti anche sulla presenza della vivace, prepotente ma vulnerabile Rubina Tonelli, che, quanto lui, è costretta a confrontarsi con traumatici fantasmi. Un’improbabile aiutante ma forse per tutti e due arrivare a scoprire la verità potrebbe diventare il modo per darsi una meta, oppure farcela a superare le proprie dolorose ferite e in un certo qual senso persino pensare a sanarle. Chissà?
Un’indagine del commissario Roberto Serra e dell’agente scelto Rubina Tonelli, molto intensa e coinvolgente, con l’irrinunciabile scenario di un tempestoso Appennino primaverile. Un’ indagine poi che, lasciando alla fine una serie di interrogativi in sospeso, apre la strada a potenziali futuri sviluppi narrativi. Torneranno entrambi in scena? Leggeremo ancora di loro? Perché no?
Qualche commento: impossibile per me non citare il generale Minimo che definisce con malizia i poliziotti : figli illegittimi di Sherlock Holmes. E Ariston il ricchissimo, generoso ma forse inguaribile pasticcione padre di Rubina. Solo tenera e rassicurante invece la Nives coi suoi gatti, il suo sereno buon senso e le sue tagliatelle. E, a proposito di tagliatelle, per fortuna anche se ohimè molto più sfumato stavolta rispetto ai precedenti libri, con Serra e il suo creatore Pasini quando si mangia lo si fa e bene e Roberto Serra, quando trova la voglia di cucinare, resta sempre un mago ai fornelli.

Giuliano Pasini nato a Zocca, è un orgoglioso uomo d’Appennino che vive in pianura, a Treviso. Socio di Community, una delle più importanti società italiane che si occupano di reputazione, è presidente del Premio Letterario Massarosa e in giuria di altri concorsi italiani e internazionali. Il suo esordio, Venti corpi nella neve (ora Piemme), diventa subito un caso editoriale. Seguiranno Io sono lo straniero e Il fiume ti porta via (entrambi Mondadori), tutti con protagonista Roberto Serra, poliziotto anomalo e dotato di grande umanità, in perenne fuga da sé stesso e dal male che lo affligge. È così che si muore ne segna il ritorno a Case Rosse dieci anni dopo il primo romanzo.

Source: libro del recensore.

:: La scrittrice obesa di Marisa Salebelle (Arkadia Editore 2022) a cura di Patrizia Debicke

21 dicembre 2022

Da poco approdato in libreria, il nuovo libro di Marisa Salabelle, scrittrice che già abbiamo avuto modo di recensire nei precedenti romanzi da lei pubblicati. E proprio tornando al suo primo romanzo, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu, e alla sua protagonista donna chiusa, complessata e sgraziata, mi rendo conto quanto quel suo personaggio mi costringa a pensare a Susanna Rosso, la scrittrice obesa, tragico fulcro della nuova trama . Hanno tante cose in comune infatti Susanna e Efisia: la poca avvenenza, agli occhi della società fattore di emarginazione, le rare amicizie dovute al caratteraccio, una abitazione trasandata, oltre ogni possibile limite.
Anche Susanna come Efisia è un personaggio condannato a percorrere un buio tunnel emozionale infinito e del quale non riesce mai a intravedere la fine. Susanna dalla ragazza grassoccia di un tempo, si è trasformata ormai in una donna obesa, solo schiava della solitudine e della tristezza, ma è soprattutto sopraffatta e vittima di un pessimo carattere strettamente collegato e acuito dal suo stato di malessere.
Rimasta orfana in giovanissima età, chiusa in un ambito familiare soffocante, in rapporto conflittuale con la madre che, rimasta vedova, e unico specchio con cui confrontarsi, senza il controllo di freni educativi inibitori, quando le saltano i nervi (cosa che succede spesso) l’ha sempre trattata malissimo (finchè la povera donna è vissuta ).
Lo stesso atteggiamento negativo e scostante che ha riservato ai vicini di casa, ai pochi saltuari conoscenti, e persino alla sua migliore amica, Lorella. Amica che invano ha sempre cercato di distoglierla dalla letargia emozionale al di là delle sue pantagrueliche e croniche fissazioni. Sempre e comunque scontrosa, chiusa, Susanna, infatti, oltre al suo insano rapporto con il cibo, è preda di quello che, con espressione forse desueta, si potrebbe definire il sacro fuoco della scrittura. Coltiva infatti due passioni: leggere ( tutto il suo tempo viene dedicato ai romanzi dei quali si ingegna a scrivere appunti) e a mangiare, a dismisura e, in balia dei suoi deliri creativi che la inducono a mischiare realtà ed invenzione, non vuol ascoltare consigli né reprimende, anzi insiste nell’ampliare le sue fissazioni, in un mostruoso crescendo di dipendenza e di masochismo. La sua doppia bulimia, l’incontrollabile fame di frasi scritte e di cibo spazzatura, unita al suo brutto carattere e al suo crescente egocentrismo, che l’hanno portata a rinchiudersi in se stessa, ai limiti del patologico, finiranno con il condannarla all’isolamento e alla più brutale solitudine. A un livoroso silenzio accresciuto dalla continua rabbia di non riuscire, nonostante i continui e ripetuti sforzi, ad essere apprezzata e accettata come scrittrice dagli editori. Tutta la sua esistenza, imperniata sulla sua smodata passione per la scrittura, si è risolta nello sfornare senza posa, decine su decine di racconti. Ma i suoi tentativi di emergere e ogni suo sforzo per arrivare a pubblicare uno dei suoi romanzi, sono stati regolarmente frustrati. Sì ha preso parte e ha persino vinto, iscrivendosi a piccoli concorsi locali ma nonostante abbia un vero talento, è sottovalutata da chi le vive vicino e sistematicamente disprezzata dalle case editrici, che tormenta riempiendole di proposte e proteste. Unico suo sfogo: scrivere decine di lettere, probabilmente mai aperte o viste a scrittori, attori e cantanti di successo.
Il suo mondo pian piano, con il passare degli anni, si è ristretto al solo rapporto con i personaggi che riesce a inventare sulla carta, si commuove per le loro vicende, li immagina come persone vere. Nella vita reale, dalla scomparsa della madre, vede soltanto di tanto in tanto, l’unica vecchia amica, dai tempi della scuola, Lorella, Suor Maria Consolazione, una religiosa con cui prova a collaborare e una vicina di pianerottolo, la signora Lotti, che vorrebbe aiutarla ma…
Per mantenersi, ha lavorato saltuariamente per una piccola casa editrice della sua cittadina, e in seguito, con l’avvento della rete, si è accollata incarichi da home working: impegnandosi tra letture e valutazioni di manoscritti, traduzioni ed editing. La sua vita sentimentale sembrava avere trovato uno sbocco nella relazione con un poeta ma dopo una brevissima convivenza, anche quel rapporto si è spezzato. E benché le sue amiche tentino di tirarla fuori dal vortice di autodistruzione, Lorella coinvolgendola nella sua vita sentimentale, Suor Maria Consolazione nell’alfabetizzazione delle donne rom del campo vicino alla parrocchia, e persino la vicina provi a offrirle cibo sano e aiuto per ripulire l’appartamento, da lei ridotto a una specie di puzzolente porcilaia, Susanna si chiude come un riccio, considera i loro tentativi un’intromissione e le rifiuta al punto che tutte e tre finiranno con allontanarsi, abbandonandola al suo destino. Il tragico destino che conosciamo dal prologo: il ritrovamento del suo corpo senza vita e peggio in avanzato stato di decomposizione.
Ma la sua morte, la morte della scrittrice obesa, fa notizia. I suoi scritti snobbati dalle case editrici finché Susanna era in vita verranno, in virtù del dramma gonfiato dai media, pian piano uno dopo l’altro “riscoperti”, fino a farla diventare un’autrice ai primi posti nella classifica delle vendite.
Un’amara parabola raccontata con il solito savoir faire e con un certo compiacimento dall’autrice, che di questo mondo ben conosce i meccanismi e i retroscena, anche quelli tanto deleteri del mercato.
Marisa Salabelle tratteggia con amara ironia, una storia di emarginazione e solitudine ma approfitta dell’occasione per rivolgere una disincantata critica rivolta al panorama editoriale attuale: all’incontrollabile proliferare di premi… quanti poi davvero meritati? Alle troppo difficoltà di emergere e farsi accettare in un mondo difficile, poco obiettivo e troppo spesso legato a scelte pilotate . E il mercato italiano poi: strano panorama, un terno al lotto da giocare? Cosa conta davvero per un aspirante scrittore ? Cosa serve?
Una storia dura e cruda, che fa riflettere,

Marisa Salabelle è nata a Cagliari il 22 aprile 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di studi teologici presso il Seminario arcivescovile della stessa città. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme). Nel 2019 ha pubblicato il suo secondo romanzo, L’ultimo dei Santi (Tarka). Entrambi i romanzi sono stati finalisti al Premio letterario La Provincia in Giallo, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il romanzo storico-famigliare Gli ingranaggi dei ricordi (Arkadia Editore) e nel 2022 Il ferro da calza (Tarka), un giallo con ambientazione appenninica. Suoi articoli e racconti sono apparsi su riviste online e antologie cartacee.

Source: libro del recensore.