:: La regina di Tebe di Annamaria Zizza Marlin a cura di Patrizia Debicke

21 marzo 2023 by

Tutti hanno sentito parlare del famoso re fanciullo, Tutankhamon, ma il nome di sua sorella e moglie Ankhesenamon viene raramente pronunciato. La tragica vita di Ankhesenamon è stata ben documentata negli antichi rilievi e nelle pitture del regno dei suoi familiari, dal faraone Akhenaton e la sua Grande Sposa Reale Nefertiti, fino alla morte di Tutankhamon, quando la giovane sovrana sembra scomparire completamente dalla documentazione storica. Come fosse stata volutemente annullata
Ankhesenamon (“colei che vive per Amon”) fu una regina della XVIII dinastia. Era la terza delle sei figlie di Akenaton e Nefertiti e divenne la Grande Sposa Reale del fratellastro Tutankhamon quando aveva 13 anni e lui 10 anni.
Dopo il matrimonio, la coppia restaurò l’antica religione, disconoscendo le azioni del padre, Akhenaton.Tutankhamon e Ankhesenamon due bambini, regnarono insieme in Egitto per dieci anni. Durante il loro regno, la storia ci mostra che il re aveva un consigliere ufficiale chiamato Ay, che giocò un importante ruolo nella vita e nelle decisioni di governo della giovane coppia.
Nei dieci anni sul trono, i sovrani concepirono due bambine, ma le due gravidanze finirono con due aborti (la conseguineità giocava contro),
A 19 anni circa, Tutankhamon morì all’improvviso (si ipotizza una malattia genetica) , lasciando sola Ankhesenamon e senza eredi, appena ventitreenne. La regina vedova voleva continuare con i suoi doveri ufficiali di sovrana d’Egitto e tentò senza successo la carta di interpretare un ruolo di rilievo nel trovare un successore.
La bella quarta di copertina a firma Dacia Maraini ci conferma che Annamaria Zizza ha adottato per il suo intrigante romanzo la famosa leggenda mai provata che Ankhesenamon sarebbe da individuare come la regina vedova che, alla morte del marito, nel gennaio del 1323 a.C., scrisse a Šuppiluliuma I re degli Ittiti una lettera molto particolare. Questa lettera infatti di cui è stata trovata copia in un archivio reale, nei pressi della moderna cittadina turca di Bogazkoy (nel sito dell’antica capitale hittita Ḫattuša), tra quelli che sono meglio noti come gli Annali di Muršili II, tav. VII, dal titolo: Gesta di Šuppiluliuma narrate dal figlio Mursili), contiene tra l’altro la frase:
“Mio marito è morto non ho figli. Si dice che Tu ne abbia parecchi, se me ne manderai uno, ne farò il mio Sposo. Non sceglierei mai uno dei miei sudditi/ servitori come marito“.
Detta missiva riservata raggiunse la corte ittita ma Suppiluliuma , trattandosi di un Paese nemico, temendo una trappola per ovvia diffidenza, anche per guadagnare tempo prima di prendere una decisione, mandò il proprio ambasciatore, Ḫattuša Zitiš, a chiedere conferma ma il suo passo, rendendo nota alla corte di Tebe l’iniziativa della regina gli fece perdere l’occasione di conquistare l’Egitto senza colpo ferire.
Anhesenamon scrisse invano in risposta: “Perché hai Tu pensato ch’io Ti volessi ingannare? Se avessi avuto un figlio, sarei forse io ricorsa, a Mia vergogna, a un Paese straniero? Non ho scritto ad altri, solo a Te, dammi uno dei Tuoi figli, per me sarà solo un marito, ma per l’Egitto sarà Re”.
Il romanzo di Annamaria Zizza incomincia infatti a Tebe, capitale dell’Egitto, nel XIV secolo a.C.
La bellissima e giovane Ankhesenamon, regina vedova di Tutankhamon ma senza figli, ancora impregnata degli ideali di suo padre che predicava la pace tra i popoli e decisa a tutto pur di salvare il suo Paese garantendo all’Egitto sicurezza e un erede di stirpe reale, decide di fare la sua mossa. Con una coraggiosa e anticonformista decisione ordina a Menthuotep, saggio e affermato scriba e medico babilonese, fidato uomo di umili origini con un infelice passato , di scrivere e far avere presentandosi come suo ambasciatore una lettera al re degli ittiti. Una mossa spregiudicata fatta di nascosto, scavalcando sia Ay il potente visir erede al trono in mancanza di stirpe reale, che il potente grande generale Horemheb marito della sorella di Nefertiti.
Siamo nel periodo delle massima gloriosa espansione dell’impero ittita, che approfitta di un formidabile atout: l’aver appreso il segreto di temprare e lavorare il ferro e non condividerlo con gli altri. Ragion per cui, disponendo di armi migliori, sono certi di vincere, altrettanto persuasi dalla fine e colta diplomazia di Menthuotep, di poter riuscire a conquistare e dominare l’Egitto senza combattere, decidono di accettare la richiesta della Regina vedova.
Il re ittita, Suppiliuma, sfavorevolmente condizionato tuttavia dalla seconda moglie, la subdola e infida Malnigal, bella e infelice principessa babilonese, attiva seguace della magia nera, manderà quello dei figli che ha deciso di allontanare… Il prescelto o la vittima designata fu il principe Zannanza, che, però non giunse mai a destinazione. Scomparso durante il viaggio. Assassinato? E forse…
Con l’Egitto coinvolto in una profonda, divisiva crisi dinastica e, dopo il “periodo amarniano”, privato di una valida e legittima successione al trono, tra diabolici e crudeli intrighi di corte, impossibili amori, drammi personali e spericolate avventure, si dipana la trama intessuta da una affascinante e sconosciuta regina, una giovane donna che si illudeva di poter ignorare il proprio fatale destino e, ribellandosi, cambiare il corso della storia..
Una perfetta ambientazione dovuta alla colta e approfondita ricostruzione storica dell’autrice contribuiscono alla realizzazione del romanzo vivacizzato dalla ben calibrata recitazione dei personaggi. Un suggestivo e palpabile scenario che travalica i secoli. Una vicenda che descrive e inquadra alla pefezione anche l’abissale differenza di costumi e mentalità tra due imperi tanto lontani da noi.

Annamaria Zizza è nata a Catania e insegna Italiano e Latino al Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale. Ha ideato il progetto “Dante nelle chiese di Acireale” e propone “lecturae Dantis” patrocinate dalla diocesi locale. Una sua raccolta di poesie ha ricevuto una menzione speciale al premio letterario “Salvatore Quasimodo”. Collabora con la rivista di egittologia e archeologia “Mediterraneo antico”, per la quale scrive articoli di antropologia della Roma repubblicana. Vive con la figlia in provincia di Catania.

:: Un’intervista con Gaetano Colonna, autore di Ucraina tra Russia e Occidente – Un’identità contesa a cura di Giulietta Iannone

21 marzo 2023 by

Buongiorno professor Colonna e grazie di averci concesso questa intervista. Inanzitutto ci parli di lei, si presenti ai nostri lettori.

Dopo laurea e dottorato di ricerca in storia, opero come insegnante di italiano e storia nella scuola pubblica e nella formazione professionale del terzo settore. Da molto tempo mi occupo quindi di storia, partendo dalla storia antica – per occuparmi sempre più di tematiche contemporanee, pubblicando, oltre al testo sull’Ucraina, qualche altro lavoro: Medio Oriente senza pace, relativo appunto alla storia del Medio Oriente e La Resurrezione della Patria, un excursus piuttosto anticonformista sulla storia italiana.

Dopo la lettura del suo interessante libro Ucraina tra Russia e Occidente – Un’identità contesa (seconda edizione) che mi riprometto di analizzare a breve su queste pagine, vorrei farle alcune domande partendo se vogliamo dalle sue conclusioni: dunque secondo le sue impressioni parte tutto dallo “spirito di Versailles” quel germe che ha minato le basi del nascente spirito comunitario che avrebbe dovuto affratellare i popoli europei e occidentali in un’ottica di pacifica convivenza. Può esplicitarci meglio questo concetto?

Con l’espressione “spirito di Versailles” intendo semplicemente la singolare combinazione ideologica che le potenze anglosassoni vincitrici alla fine della Prima Guerra Mondiale hanno saputo imporre all’Europa: da una parte, l’attribuzione della “colpa della guerra”, e da allora di tutte le guerre, ad un solo attore (la Germania, in quel caso); dall’altra, l’utilizzo della nazionalità come principio in base al quale frammentare i grandi imperi ottocenteschi, creando ovunque mosaici di nazioni i cui confini sono stati astrattamente definiti in maniera da includere e/o escludere minoranze etnico-religiose: in tal modo creano strutture politiche fragili e facilmente controllabili, innescando così anche una serie di conflitti dei quali quello russo-ucraino non è che l’ultima derivazione.

Dai suoi studi e dalle sue ricerche le forze “nazionaliste ucraine” possono avere connotazioni neo naziste o ascrivibili a questa area di pensiero? O fa tutto parte “solo” della propaganda russa?

Che ampi settori del popolo ucraino, soprattutto delle aree occidentali del Paese, abbiano simpatizzato per le truppe tedesche quando esse invasero l’Unione Sovietica nel 1941, non è un mistero per nessuno. L’Ucraina era del resto la nazione dell’Urss che aveva maggiormente subìto prima la guerra civile, seguita alla rivoluzione bolscevica (1918-1920), fra “rossi” sovietici e “bianchi” anticomunisti; poi le deportazioni ed i massacri dei kulaki; nonché la spaventosa carestia tra anni Venti e Trenta. Entrambi questi due ultimi fatti dovuti alla determinazione di Stalin di piegare le repubbliche dell’Urss alla sua visione totalitaria ed alla sua politica di potenza. È altrettanto vero che poi gli Stati Uniti si sono serviti degli anticomunisti ucraini rifugiatisi in Occidente alla fine della Seconda Guerra mondiale per far loro condurre proprio in Ucraina operazioni di guerra coperta contro l’Urss nei primi anni della Guerra Fredda. Nonché, più di recente, per rivolgersi agli stessi ambienti per promuovere in Ucraina l’ostilità anti-russa, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Putin ovviamente, usando i temi della propaganda russa della Seconda Guerra Mondiale, ha buon gioco a chiamare “neo-nazisti” i nazionalisti anti-russi ucraini, esattamente come in Italia si è parlato e si continua a parlare di “neo-fascisti”, pur sapendo tutti benissimo che il fascismo italiano è morto nell’aprile del ’45.

Interessanti le osservazioni e le preoccupazioni del contrammiraglio tedesco Kay-Achim Schonbach, che per quanto vale personalmente condivido (p.134). A prescindere da un discorso di influenze e di convenienze economiche non sarebbe stato più utile a livello internazionale un’alleanza strategica e politica tra Europa e Russia, paesi di forte matrice cristiana, che praticamente costringere la Russia a trovare un’altra sponda nella Cina comunista? Fare tre poli, tre aree di influenza, da un lato Stati Uniti, al centro Europa e Russia e dall’altro India e Cina, non sarebbe stato un riequilibramento geostrategico più utile agli interessi della pace internazionale? Cosa l’ha impedito? La solita hybris statunitense? O c’è di più?


Un di più c’è, a mio avviso. Se si vuole parlare seriamente di identità europea, dovremmo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che, se esiste una simile identità, essa può risultare solo dall’integrazione fra popoli neo-latini, germanici e slavi, nel corso della tormentata storia del nostro continente: integrazione già da tempo avvenuta sul piano culturale, basti guardare alla letteratura, all’arte, alla musica europea.
Se, dopo la Seconda Guerra Mondiale, invece di una divisione in blocchi, si fosse potuto agire in questa direzione, avremmo avuto delle linee guida, ripeto assai più culturali che politico-militari, per la costruzione di un’Europa effettivamente. Essa avrebbe potuto favorire un equilibrio globale, a beneficio della pace, evitando instabilità economico-sociali e conflitti, in aree come America Latina, Africa, per non parlare del Medio Oriente, che sono state e sono invece da decenni terreni di sfruttamento e di scontro fra le superpotenze.
Per questo ritengo che la guerra in Ucraina sia senza dubbio un’immensa tragedia per il futuro dei popoli slavi, ma un’ancor più una grande sventura per il futuro dell’Europa: cosa di cui l’Unione Europea della sig.ra Merkel non sembra nemmeno rendersi conto.


In un’intervista afferma “Vi sono uomini e donne ucraini nati in Usa che sono stati direttamente “trasferiti” dagli uffici governativi americani a quelli ucraini ” secondo lei questa stretta connessione tra USA e Ucraina è stata richiesta o imposta, da ragioni di convenienza, affinità ideologica e politica o altro?


Come ho già accennato prima, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Ucraini anticomunisti che si erano rifugiati in Occidente seguendo la ritirata delle armate tedesche, sono stati spesso reclutati per operazioni speciali, a dire il vero in gran parte fallimentari, per quello che ne possiamo sapere, contro l’Urss: ad esempio l’operazione Red Sox condotta dalla CIA in Ucraina.
L’anticomunismo, ovunque nel mondo (e l’Italia ne sa qualcosa), è stato del resto sempre intensivamente utilizzato dagli Usa semplicemente come utile strumento di guerra non convenzionale mediante il quale condizionare nazioni e classi dirigenti in funzione antisovietica: contro l’Unione Sovietica, ieri, contro la Russia, oggi.


Vede similitudini tra la questione ucraina, e quello che è successo nell’ex Jugoslavia?


La Jugoslavia è un esempio dei terrificanti puzzle di nazionalità che lo “spirito di Versailles” ha disseminato in giro per il mondo: vere e proprie bombe ad orologeria etnico-religioso-sociali. La differenza è che sottrarre alla Serbia il Kosovo non è come schierare la Nato in Ucraina, il nocciolo della preoccupazione della Russia di Putin, una preoccupazione che lo stesso Kissinger ha considerato ampiamente giustificata, soprattutto date le assicurazioni fornite alla Russia, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, che la Nato non si sarebbe mai spinta tanto avanti.
Il mio timore però è che ci siano delle affinità anche con la dimenticata decennale guerra Irak-Iran, un terribile conflitto, durante il quale gli Stati Uniti e l’Occidente favorirono Saddam Hussein per tenere a bada l’Iran divenuto anti-americano, esattamente come ora si vuole fare armando l’Ucraina contro la Russia: forse anche Zelensky, quando rifiuta di aprire trattative di pace con Putin, contando sulla potenza americana, dovrebbe ricordarsi della fine fatta poi fare a Saddam dai suoi ex-sostenitori statunitensi.


La salvezza, l’unità e l’indipendenza ucraina non sarebbero state garantite da un governo federale del paese (con magari regioni a statuto speciale nelle aree russofone e a prevalenza di russi etnici) e da una sua finlandizzazione e neutralità? Cosa l’ha impedito? Secondo lei all’Ucraina questa promessa è stata fatta dagli Usa o dalla Nato per motivarli in questi tragici frangenti?


Il tema è a mio avviso molto ampio e complesso. Contro la “logica di Versailles”, e la potenza finanziaria e militare che l’ha alimentata fino ai giorni nostri, la risposta non è agevole, perché presupporrebbe una capacità di ideazione di nuove forme politiche.
Personalmente, ho trovato di grande attualità il disegno di riorganizzazione politica economica e culturale che Rudolf Steiner fece alle massime autorità dirigenti di Austria e Germania nel 1917, restando del tutto inascoltato. Essa richiede però una diversa concezione dello Stato e del suo rapporto con l’economia e la cultura. Un simile salto di qualità ideale però non è stato putroppo compiuto da nessuno dei politici del XXI secolo.
L’Ucraina avrebbe potuto rappresentare un ponte fra Russia ed Europa: in effetti, una strategia del ponte fu effettivamente tentata, fino alla cosiddetta rivoluzione di piazza Majdan, almeno da alcuni dei dirigenti ucraini. Ma è proprio ciò che gli Stati Uniti d’America non avrebbero mai potuto permettere. Ed infatti non lo hanno permesso perché, come ebbe a dire nel lontano dicembre 1949 il segretario di Stato Usa, Dean Acheson: «Nell’attuale contesto delle tensioni fra Est e Ovest la neutralità è un’illusione». A distanza di oltre settant’anni la sostanza della visione della classe dirigente statunitense resta la stessa: a maggior ragione ora che la Nato controlla l’Europa fino ai confini della Russia.


Che prospettive ci sono per una pace possibile, tanto auspicata dall’anziano Papa Francesco, e per il riallineamneto di assi strategici ora particolarmente sbilanciati verso Oriente? Si ricucirà mai la frattura tra Russia ed Europa, anche in prospettiva di un dopo Putin? Grazie.


La pace è auspicabile se davvero ci consideriamo Europei. Difficile favorire la pace, però, se ci facciamo influenzare ogni giorno dalla propaganda nordamericana, di cui si fanno strumenti tutti i principali media italiani ed europei, non riconoscendo ad esempio la minaccia che una Nato spinta fino ai suoi confini rappresenta concretamente per la Russia: e dunque la responsabilità in questa guerra di chi ha voluto questa espansione.
Difficile intravedere prospettive di pace quando, come già prima dei due grandi conflitti mondiali, si ripete per anni che i buoni stanno da una parte ed i cattivi dall’altra. L’Occidente atlantico continua a voler far credere al mondo che esso combatte per il pacifico ordine mondiale del futuro.
Nonostante la sua politica interventista, il suo considerarsi il gendarme dell’ordine mondiale, abbia solo portato guerra, terrorismo e disgregazione ovunque sia stata applicata: dall’Iraq alla Siria all’Afghanistan.
Fino a quando nuove classi dirigenti in Europa non avranno il coraggio di riconoscere il fallimentare bilancio del lungo secondo dopoguerra, così come è stato gestito dall’Occidente atlantico, difficilmente si potrà ricucire la frattura fra Russia ed Europa. Con conseguenze assai pericolose per la pace nel mondo, qualora si dovesse anche profilare uno scontro epocale fra Cina e Occidente, dal quale l’Europa, con quello che ancora resta della sua civiltà, non potrebbe che essere definitivamente travolta.

21 marzo 2023

::Alla conquista del Polo, Nord Philippe Nessmann (Gallucci 2022) A cura di Viviana Filippini

20 marzo 2023 by

Sarà capitato a tutti di sentire parlare delle spedizioni di conquista del Polo Nord. Lo hanno raccontato film, libri, documentari e anche in “Alla conquista del Polo Nord” Philippe Nessmann narra ai piccoli lettori l’avvincente vicenda. Protagonista e narratore dell’impresa, ambientata nell’estate del 1908, è Matthew Henson un esploratore artico di origini afroamericane, che per sette volte, in 17 anni, affiancò il comandante Peary nelle spedizioni per raggiungere la banchisa con la speranza di essere i primi a piantare la bandiera al Polo Nord. La storia è avvincente, curiosa e intrigante, perché è una vera e propria avventurosa cronaca del tentativo di conquista del Polo Nord. Quello che emerge è l’entusiasmo, unito anche alle preoccupazione per le difficoltà e gli ostacoli incontrati nell’impresa, che sono rese ancora più gravose dalla presenza costante del gelo. Il romanzo di Nessmann, che già abbiamo conosciuto con i libri “Tutankhamon” e “La notte di Pompei”, è la storia di un’impresa eroica che vede per protagonista un afroamericano, nipote di uno schiavo, al fianco di un bianco (comandante Peary), che con l’aiuto, importante e fondamentale, di un piccolo gruppo di Inuit (49) e di 246 cani da slitta riuscironoad arrivare vicini all’ambito traguardo dell’artico dove, come racconta la storia, Peary scelse Henson ed altri quattro Inuit come parte della suo team di sei persone per fare l’ultimo tratto fino al polo.  La trama è coinvolgente, ricca di suspense dovuta anche alla difficoltà di movimento dei protagonisti in mezzo al gelo. Allo stesso tempo il romanzo di Nessmann fa pensare, perché Henson, il personaggio narrante è un uomo di umili origini e dalla pelle scura, che nella sua vita ha affrontato difficoltà non solo dovute alle condizioni atmosferiche, come per la conquista del polo nord. Henson ha dovuto confrontarsi anche con i pregiudizi, le chiacchiere e le limitazioni dovute al colore della sua pelle, in un’epoca in cui negli Stati Uniti d’America, l’avere il colore della pelle differente dal bianco comportava problematiche sociali, lavorative e relazionali. Come emerge durante la lettura, tutto è invece diverso nel rapporto tra Henson e gli Inuit, perché questa comunità, lontana da tutto e tutti, lo accetta senza nessun problema, nel senso che a loro non importa il colore della pelle di Henson, per loro è fondamentale che una persona sia brava e si comporti bene e in modo rispettoso, come il protagonista di questa storia. “Alla conquista del Polo Nord”  di Philippe Nessmann è un romanzo d’avventura, d’amicizia, di coraggio e di condivisione di esperienze che, nel corso del tempo, permisero a tutti i protagonisti -Henson compreso-  di avere gli adeguati riconoscimenti per la loro memorabile impresa. Traduzione dal francese di Sara Aggazio, Chiara Licata e Martina Mancuso a cura della Fusp – Fondazione Unicampus San Pellegrino.

Philippe Nessmann (Saint-Dié-des-Vosges, 1967) ha sempre coltivato tre passioni: la scienza, la storia e la scrittura. Dopo una laurea in Ingegneria e un master in Storia dell’arte, si è dedicato alla divulgazione, in particolare come autore di libri per ragazzi. Gallucci ha pubblicato i suoi romanzi “Tutankhamon” e “La notte di Pompei”.

Source: ricevuto dall’editore, grazie a Marina Fanasca dell’ufficio stampa Gallucci.

:: Il regno di Dio è in voi. Il testo fondamentale della dottrina della non violenza di Lev Tolstoj

19 marzo 2023 by

Il regno di Dio è in voi è uno dei libri più seminali che si conoscano. Lo stesso Tolstoj lo collocava al vertice della sua produzione letteraria e saggistica. Le idee espresse in questo lavoro, osteggiato dalle autorità, hanno avuto un impatto straordinario sulla società dell’epoca e valicato limiti geografici, culturali e temporali. Il pensiero di Tolstoj non ha influenzato solamente i contemporanei come Gandhi, ma ha raggiunto anche i movimenti pacifisti e non violenti contemporanei. Partendo dal Discorso della montagna di Gesù, Tolstoj muove una critica durissima e radicale alla società e alle istituzioni con argomenti attualissimi. Riprenderlo oggi ha un profondo senso spirituale e politico. E lo si può fare adesso in una traduzione italiana modernizzata e leggibile. In un saggio a corredo al testo di Tolstoj, Giuliano Procacci, che ha dedicato l’ultima parte della sua ricerca ai temi della pace e della guerra, ricostruisce il fallito tentativo di portare Tolstoj al XVIII Congresso internazionale della pace di Stoccolma del 1909. L’introduzione di Stefano Garzonio, docente di lingua e letteratura russa, inquadra il libro nella poetica, nell’opera e nella vita di Tolstoj.

:: Al via le iscrizioni alla 14esima edizione del torneo letterario IoScrittore

19 marzo 2023 by

Prende il via la 14esima edizione di IoScrittore, il torneo letterario online gratuito promosso dal Gruppo editoriale Mauri Spagnol, in partnership con ilLibraio.it, IBS.it, Ubik, il Libraccio e Taobuk – Taormina International Book Festival.
Diventato nel corso del tempo un punto di riferimento per gli aspiranti scrittori e le aspiranti autrici in cerca di un’occasione per mettere alla prova il loro talento, il torneo letterario IoScrittore è una realtà in continua evoluzione, che coinvolge ogni anno migliaia di iscritti su http://www.ioscrittore.it. Ricordiamo che quest’anno è possibile iscriversi sul sito entro e non oltre il 30 marzo 2023.
IoScrittore è il torneo letterario organizzato dalle case editrici di GeMS, il più grande gruppo editoriale indipendente italiano (astoria, Bollati Boringhieri, Chiarelettere, Corbaccio, Garzanti, Guanda, Longanesi, Magazzini Salani, Newton Compton, Nord, Orville Press, Ponte alle Grazie, Salani, TEA, Tre60). Un progetto di scouting editoriale, che riesce con successo a mettere in contatto aspiranti autori e professionisti dell’editoria. I partecipanti, iscritti sotto pseudonimo, sono impegnati sia nella veste di scrittori che in quella di lettori, valutando le opere degli altri partecipanti e ricevendo a loro volta critiche costruttive. Una formula innovativa che ha portato tanti autori a migliorarsi, avvicinandoli al mondo dell’editoria italiana, come è accaduto a Sara Gambazza, con il suo Ci sono mani che odorano di buono, Longanesi, e Bruno Manca, autore di A che distanza è il cielo, TEA.
Ma quest’anno IoScrittore si arricchisce di un’importante novità, il “Premio speciale under 30”.
Il vincitore o la vincitrice riceveranno 1000 (mille) euro di libri delle case editrici del Gruppo editoriale Mauri Spagnol a propria scelta tra le edizioni in commercio. Inoltre avranno la possibilità di confrontarsi con un editor professionista per capire come lavorare sul testo, per migliorarlo e metterne in luce i punti forti.
Un’occasione davvero unica per tanti giovani autori!
È stato inoltre molto partecipato l’appuntamento di LibLive Consigli d’autore per scrivere un romanzo di successo che si è svolto in diretta sulle pagine Facebook di IoScrittore e del Libraio, in occasione dell’apertura delle iscrizioni a questa quattordicesima edizione. Un incontro tutto dedicato al mondo degli esordi narrativi, in cui il pubblico ha avuto l’opportunità di ascoltare i consigli di autori e editor affermati.
Hanno partecipato Francesca Giannone, autrice di La portalettere (Nord) e Matteo Strukul, autore di Paolo e Francesca (Nord-Sud Edizioni). E con loro Marco Figini, direttore editoriale di Magazzini Salani e di Nord-Sud Edizioni e Cristina Prasso, direttore editoriale di Nord. Ha moderato l’incontro Marta Perego (autrice, conduttrice, content creator e giornalista).

A questo link è possibile recuperare la diretta – https://fb.watch/jaIY_ZoAF5/ .


In occasione dell’apertura delle iscrizioni a questa quattordicesima edizione, un incontro tutto dedicato al mondo degli esordi narrativi, per avere l’opportunità di ascoltare i consigli di autori e editor affermati.
Parteciperanno Francesca Giannone, autrice di La portalettere (Nord) e Matteo Strukul, autore di Paolo e Francesca (Nord-Sud Edizioni). E con loro Marco Figini, direttore editoriale di Magazzini Salani e di Nord-Sud Edizioni e Cristina Prasso, direttore editoriale di Nord. Modera Marta Perego (autrice, conduttrice, content creator e giornalista).
Il calendario di IoScrittore 2023: in questa prima fase che termina il 30 marzo i partecipanti dovranno caricare sulla piattaforma online l’incipit della propria opera. Sarà quindi Taobuk a ospitare in streaming e in presenza l’evento in cui saranno annunciati i 400 finalisti che potranno accedere alla seconda fase del torneo caricando sul sito http://www.ioscrittore.it il testo nella sua versione integrale. L’evento di proclamazione dei dieci romanzi vincitori si svolgerà a novembre in occasione di Bookcity Milano.IoScrittore premia ogni anno 10 opere con la pubblicazione in e-book e cartaceo on demand dopo un accurato editing professionale, e saranno distribuite in tutti i principali negozi online italiani e internazionali. Inoltre, a insindacabile giudizio delle direzioni editoriali, uno o più romanzi che hanno partecipato al torneo verrà pubblicato in cartaceo da una delle case editrici del Gruppo editoriale Mauri Spagnol. Sono inoltre previsti premi per i migliori lettori, a sottolineare l’importanza della fase di valutazione nel processo di selezione e pubblicazione editoriale.

:: Essere leader di Daniel Goleman, Richard E. Boyatzis, Annie McKee (Rizzoli 2022) a cura di Valeria Gatti

17 marzo 2023 by

“Il successo di un leader dipende da come egli agisce”.

Vi sarà capitato, qualche volta, di focalizzare l’attenzione sui vostri punti deboli, piuttosto che sui punti di forza che vi caratterizzano. Capita a tutti, a volte, senza neppure esserne consapevoli. Fate attenzione, però, perché se dovesse diventare un’abitudine consolidata, un’area del vostro cervello si attiverebbe e causerebbe una serie di condizioni non proprio favorevoli alla vostra crescita professionale.

Questo è soltanto uno dei tanti insegnamenti che si possono trarre dalla lettura di “Essere leader – Guidare gli altri grazie all’intelligenza emotiva”, edito da Rizzoli. Il manuale è un’opera firmata da Daniel Goleman che in questa indagine-studio ha scelto di essere affiancato da Richard E. Boyatzis e Annie McKee.

Daniel Goleman è uno psicologo di fama mondiale che ha al suo attivo numerosi studi – e pubblicazioni – circa un tema che continua a essere uno dei più interessanti, nel settore: l’intelligenza emotiva. L’IE – “la capacità di essere intelligenti nella sfera delle emozioni” – è, secondo Goleman e i suoi colleghi, una skills indispensabile se si vuole diventare persone di successo, capaci di ispirare e di trainare un gruppo verso uno stile di lavoro – e di vita – più che soddisfacente.

“Essere leader – Guidare gli altri grazie all’intelligenza emotiva” è dunque centrato sul tema della crescita professionale e personale. Una crescita che leggiamo sotto forma di analisi, consigli, stili e testimonianze atte a intraprendere un viaggio dentro noi stessi. La buona notizia che si apprende, durante la lettura, è che le abilità a cui il testo fa riferimento non sono innate, ma possono essere acquisite durante tutto l’arco della nostra vita.

Le esperienze di vita a cui fanno riferimento gli studiosi sono legate alle relazioni interpersonali, ai fattori motivanti, ai valori e ai sogni, alle regole e alla cultura aziendale – strettamente legata all’uomo che vive al suo interno -, ai programmi di formazione, ai cambiamenti, all’ascolto attivo, al concetto di risonanza e primal leadership, al sequestro emozionale e all’importanza dello humor… giusto per citarne alcune.

Non mancano, nel testo, citazioni e riferimenti bibliografici a piè pagina, e, naturalmente, alcune spiegazioni scientifiche relative alla funzionalità cognitiva ma gli autori, in queste sezioni, hanno semplificato la narrazione affinché sia facilmente comprensibile anche per chi non conosce la materia in maniera approfondita.

In conclusione, “Essere leader – Guidare gli altri grazie all’intelligenza emotiva” potrebbe sembrare una lettura dedicata solo a chi ricopre posizioni lavorative di responsabilità: il leader, appunto. Colui che costruisce, che si mette in gioco e che rischia; che deve ascoltare, che non dà nulla per scontato, che è obbligato a imparare dai suoi errori e che maneggia l’empatia per stabilire connessioni profonde e cambiamenti radicali.

In verità, è una lettura che istruisce tutti noi perché, anche se non ricopriamo posizioni manageriali, siamo costruttori attivi della nostra vita. O meglio, leader della nostra vita.

Daniel Goleman ha insegnato psicologia ad Harvard, collaboratore scientifico del “New York Times” è uno dei più apprezzati consulenti e conferenzieri a livello mondiale. Oltre al bestseller Intelligenza emotiva, in BUR sono disponibili: Menzogna, autoinganno, illusione, Lavorare con intelligenza emotiva, Lo spirito creativo (con Paul Kaufman e Michael Ray), La forza della meditazione, Intelligenza sociale, Intelligenza ecologica, Leadership emotiva, Focus, La forza del bene e Trasparenza (con Warren Bennis e James O’ Toole).

Richard E. Boyatzis è professore e direttore del Dipartimento di Comportamento organizzativo alla Scuola di Management della Case Western Reserve University.

Annie McKee insegna presso l’Università della Pennsylvania e svolge un’intensa attività di consulenza nel campo organizzativo.

Source: libro inviato al recensore dall’editore. Ringraziamo l’Ufficio stampa Rizzoli nella persona di Giulia Magi.

:: Omicidio a Mallowan Hall di Colleen Cambridge (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

16 marzo 2023 by

Nascosto tra le dolci colline verdi del Devon, Mallowan Hall combina il meglio della tradizione inglese con le moderne comodità disponibili del 1930. Per un aspetto, tuttavia, Mallowan Hall si distingue dalle altre pittoresche case di campagna fuori città.
Il maniero infatti ospita l’archeologo Max Mallowan e la sua famosissima moglie, Agatha Christie.
La loro governante, Phyllida Bright, tanto efficiente quanto simpatica, gestisce, sopportando la supervisione del maggiordomo Mr Dobble, la grande casa e la servitù con pugno di ferro in guanto di velluto. Nella vita di Phyllida Bright infatti tutto sembra sempre al suo posto e sotto controllo. Ha accettato la sua più che decorosa occupazione, soprattutto per la vecchia e collaudata amicizia con la padrona di casa, moglie dell’archeologo, che stima come persona dalla quale è molto stimata avendo condiviso in guerra il servizio al fronte per l’organizzazione dei soccorsi ai feriti. Ogni mattina Mrs Bright, ignorando il burbero sguardo di semiriprovazione del maggiordomo, serra la sua bella folta capigliatura biondo rosso, ben pettinata e domata in uno chignon, ma continua a indossare abiti di buon gusto che mettano nel giusto risalto la sua aggraziata figura. Apprezza molto il fatto che la sua datrice di lavoro sia una giallista celebre in tutto il mondo, gode della sua confidenza , approfitta della lettura delle sue pagine in anteprima e proteggendo con rigore la sua privacy,le garantisce il tempo e la discrezione necessaria per scrivere in tranquillità.
Appassionata di narrativa poliziesca, Phyllida deve però ancora trovare nella vita reale un gentiluomo affascinante quanto l’eroe belga della signora Agatha, Hercule Poirot.
Ma benchè abituata all’omicidio e ai suoi metodi come frequenti argomenti di conversazione, e per aver dovuto sopportare la vista di tanti morti durante la Grande guerra, quella mattina, entrando per prima in biblioteca, sarà costretta ad affrontare un cadavere molto reale e “molto” morto disteso sul pavimento… Un primo impatto retto bene. Intanto non reagisce urlando ma si china invece per appurare l’identità del morto, notando che è coperto di sangue per una penna stilografica conficcata nel collo e riconoscendo in lui Philip Waring, nome con il quale si era presentato la sera prima durante una cena organizzata dai padroni di casa. Il suo nome non figurava sulla lista degli invitati e lui era piombato all’improvviso a Mallowan Hall, dichiarandosi un giornalista pronto a fare l’intervista a suo dire promessagli da Mrs Christie. La successiva tempesta con pioggia e vento nella zona aveva costretto la scrittrice a invitarlo a fermarsi anche per la notte…
E ora qualcuno l’aveva ammazzato.

Phyllida sa che di fronte a una situazione del genere bisogna agire bene e in fretta, ragion per cui come prima cosa telefona alla polizia e subito dopo fa chiamare il maggiordomo per organizzare con discrezione gli interrogatori degli ospiti e della servitù, ben diciotto dipendenti.
C’è il rischio infatti che la notizia, per forza già rimbalzata in zona via etere, diventi troppo presto di dominio pubblico, mettendo a rischio la privacy della sua amica e padrona. Cosa che non gioverebbe a nessuno e tanto meno a lei con sul groppone una casa piena di ospiti e gran parte dello staff distratto e impaurito.
Ma a suo vedere la polizia locale, che fin dai primi passi navigherà nella nebbia più totale, non sapendo da dove cominciare a indagare, tratta il caso con superficialità, lasciando orde di giornalisti affamati di notizie accampati fuori dalle mura della proprietà e che persino sconfinano indecorosamente in giardino.
Quando poi verrà scoperto un altro cadavere, una delle sue cameriere stavolta, con la testa fracassata da un corpo contundente, a Phyllida non resterà che impegnarsi in prima persona sulle orme del suo beniamino Monsieur Poirot, e seguire ogni possibile pista per poter incastrare una alla volta tutte le tessere del complicato puzzle .
Ciò nondimeno qualcosa nella sua testa le dice che l’assassino è vicino, in agguato e minacciosamente pronto a colpire ancora. Magari si nasconde addirittura tra gli ospiti di Mallowan Hall. Con l’aiuto del bel medico del villaggio, il dottor Bhatt, de maggiordomo, Mr Dobble, di Mr Bradford, nuovo misterioso e atletico autista, e sguinzagliando tutto il personale domestico, non si lascerà fermare.
E la nostra Poirot in gonnella dovrà prendere alcune decisioni barcamenandosi tra due omicidi, infedeltà con succose situazioni vicine allo scandalo , false piste, indizi e presagi, il tutto sufficiente per riempire un romanzo di Agatha Christie e qui inserito per sviare il lettore e abbastanza per consentire a quello più intelligente di riflettere. Ma solo la prontezza e l’intelligenza di Phillida, durante un raduno di potenziali sospetti, la porteranno a rivelare il nome di chi ha ucciso…
Omicidio a Mallowan Hall, con l’ambientazione a casa della scrittrice di gialli più amata di sempre, è l’ indovinato atout di questo romanzo fresco, ironico e denso di colpi di scena, il primo della serie con Phillida Bright come protagonista, che l’autrice l’americana Cambridge dedica alla società inglese anni trenta . Quella stessa società che molti tra i lettori avranno già imparato a conoscere attraverso l’ormai famosissimo Downton Abbey.
L’autrice ha “studiato” e descrive molto bene, con i giusti toni e particolari il mondo e i protagonisti collocati in quell’epoca. La sua eroina è una detective improvvisata ma dall’intuito brillante, inquadrata in una elegante cornice che appassionerà i fan di Agatha Christie.

Colleen Cambridge, è lo pseudonimo che Colleen Gleason prolifica e ben nota scrittrice americana ha utilizzato per la sua nuova serie dai calibrati toni Inghilterra anni 30, dedicata al personaggio (immaginario) di Phyllida Bright, governante di Agatha Christie (1890 – 1976).

Source: libro del recensore.

:: Costruisci la tua casa intorno al mio corpo di Violet Kupersmith (NN editore 2023) a cura di Fabio Orrico

15 marzo 2023 by

Spesso la nozione di genere è un fardello, un qualcosa di troppo se forzatamente applicato a determinate narrazioni. Allo stesso modo, esistono romanzi che, pur esondando da etichette e mode, rispondono con intelligenza alla logica di genere ma rifiutando di accoglierla in toto e piuttosto facendone uso soltanto laddove lo si ritiene utile. Mi sembra che l’esordio della giovane (classe ’89) quanto talentuosa Violet Kupersmith si muova proprio in questa direzione. Innanzitutto, il titolo, bellissimo e labirintico: Costruisci la tua casa intorno al mio corpo, un titolo interlocutorio e assertivo e insieme una sorta di invocazione al gesto pensante del lettore. Il romanzo di Kupersmith (d’ora in poi per comodità taglio il titolo riducendolo alla prima parola, Costruisci) lavora ostinatamente sul concetto di confine. Non sono confini geografici, che sarebbe il minimo, visto che Winnie, la ragazza al centro della storia, lascia l’America per raggiungere il Vietnam e spostarsi occasionalmente in Cambogia. Il confine che più significativamente tratta Kupersmith è un confine fisico e riguarda il proprio corpo, l’ultimo strato di pelle che ci protegge dalle insidie del mondo; il confine della propria scatola cranica che segna il passo prima che pensieri impossibili si impadroniscano della nostra volontà raziocinante. Ho cominciato parlando di genere perché qui abbiamo topoi fieramente branditi ma anche questi a rischio di continuo sconfinamento. Il romanzo di formazione si fonde con l’horror o con una più generica atmosfera da urban fantasy e allo stesso tempo non credo sarebbe sbagliato definire Costruisci come una lunga e stratificata ghost story in cui i fantasmi, tale è la potenza della prosa di Kupersmith, sembrano principalmente trovarsi fra le persone vive.

La scrittura dell’autrice, americana di origine vietnamita esattamente come la sua protagonista, è rarefatta e vischiosa; leggere le vicende di Winnie in terra straniera restituisce a noi lettori lo stesso spaesamento della ragazza e in questo senso l’autrice raggiunge vette di autentico virtuosismo descrittivo: l’evocazione della routine vietnamita, gli scorci di uno Saigon a tratti immobile a tratti sincopata, sono punti di forza del romanzo e forse rappresentano anche il mezzo più efficace per tenere insieme una trama che tende naturalmente alla digressione se non addirittura alla dissipazione. Se infatti possiamo rintracciare in Winnie e la sua improvvisa scomparsa il cuore della narrazione, dobbiamo tenere a mente che Costruisci è un romanzo corale, una storia di storie, che attraversa almeno settant’anni di cronaca vietnamita, colonialismo, guerra, assetti politici mutati e soprattutto un profondissimo senso del folklore che apre la porta a visioni orrorifiche. Bisogna fare attenzione a parlare di Costruisci e non perché, banalmente, si rischia di spoilerare parti della trama, quanto perché i colpi di scena non sono messi lì per sorprendere il lettore ma semmai per misurare la tenuta della sua sospensione dell’incredulità, la sua propensione a lasciarsi trascinare da un continuum di avvenimenti radicati in una cultura di cui tutto sommato, almeno nelle nostre contrade, si sa poco. Violet Kupersmith, infatti, attraverso l’odissea di Winnie, sembra voler fare i conti con le proprie radici a tutti i livelli, culturali ma anche naturali e in questo senso non può essere un caso l’insistenza con cui ci viene descritta la natura vietnamita. Organizzato per imponenti blocchi narrativi, sostenuti da una suspense discreta quanto ammorbante, Costruisci definisce il ritratto di una giovane donna a partire dal suo scomparire. Da lì in poi sarà solo indagine, ricordo, rievocazione, il tutto incastrato in almeno altre tre linee narrative di pari importanza e teletrasportate lungo il novecento asiatico per oltre quattrocento pagine. È un romanzo, Costruisci la tua casa intorno al mio corpo, che pretende attenzione dal suo lettore ma che sa rifonderlo con gli interessi in termini di suggestione e malìa.

Violet Kupersmith (1989) è una scrittrice americana di origine vietnamita. Tra il 2011 e il 2015 ha vissuto in diverse città del Vietnam, e nel 2014 ha esordito con la raccolta di racconti The Frangipani Hotel. Tra il 2015 e il 2016 è stata “creative writing fellow” alla University of East Anglia, mentre nel 2022 ha ricevuto la fellowship del National Endownment for the Arts. Selezionato per il First Novel Prize del Center for Fiction, per il Women’s Prize for Fiction, e vincitore del Bard Fiction Prize, Costruisci la tua casa intorno al mio corpo è il suo primo romanzo.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo Francesca Ufficio stampa NN.

:: Intervista a Marco Badini per il suo “L’ombra sul colosso. La prima indagine del commissario Villata” A cura di Viviana Filippini

14 marzo 2023 by

“L’ombra sul colosso. La prima indagine del commissario Villata” è il romanzo ad ambientazione storica di Marco Badini, edito da Todaro. Luogo del giallo è la Brescia del 1932, poco tempo prima dell’arrivo di Benito Mussolini per l’inaugurazione di Piazza della Vittoria. Ai piedi della scultura realizzata da Dazzi, nota a Brescia con il soprannome di “Bigio” è ritrovato il corpo senza vita di una giovane donna. A sbrogliare la matassa di questo romanzo carico di suspense dovrà pensarci il commissario Fulvio Villata, noto a tutti come “Il Mastino”. Abbiamo parlato con Marco Badini dell’origine del suo giallo ad ambientazione bresciana.

Come ti è venuta l’idea di scrivere un romanzo giallo? Il genere poliziesco è sempre stato tra i miei preferiti e da tempo desideravo misurarmi con la stesura di un giallo. Una volta trovato lo spunto, scrivere è stato naturale: un processo creativo e costruttivo più complesso rispetto ad altri generi narrativi, ma molto gratificante e istruttivo sotto il profilo letterario.

Perché hai deciso di ambientarlo a Brescia e perché nel 1932, poco prima dell’inaugurazione di Piazza della Vittoria? Ho scelto questa precisa collocazione spaziotemporale perché l’ho trovata una formidabile opportunità di sviluppo narrativo per un poliziesco con venature storiche. L’inaugurazione di Piazza Vittoria fu molto importante per la città che, in quella circostanza, si trovò sotto i riflettori dell’attenzione nazionale. Mussolini in persona giunse per tenere a battesimo la nuova piazza: un clima effervescente e teso… il momento ideale per un delitto.

Fulvio Villata è il protagonista, detto “Il Mastino” (ho pensato a “Il mastino di Baskerville”), come hai creato il tuo protagonista, ti sei ispirato a persone reali? Il tuo pensiero fa molto onore al mio commissario, ti ringrazio! In effetti i romanzi di Arthur Conan Doyle occupano un posto d’onore nella mia piccola biblioteca. Fulvio, il mio commissario, in realtà non è ispirato a nessuna figura reale. È piuttosto un insieme dei tratti che più ho apprezzato nei vari investigatori letterari che mi è capitato di leggere. Principalmente, per nominarne due, Sherlock Holmes e il commissario Maigret di Simenon. Ci sono poi aspetti più superficiali, piccole cose o atteggiamenti che ho preso in prestito dalle persone che mi capita di osservare nella vita di ogni giorno. Non esiste comunque una persona in particolare a cui mi sono ispirato: il Mastino è nato nella mia mente quasi d’improvviso, come d’improvviso è apparso in piazza Vittoria la notte del 16 ottobre 1932.


Brescia, la sua piazza in Art Déco, sono scenografia e parte integrante della narrazione, come ti sei documentato per ricostruire il periodo di quel momento storico bresciano? La fase di ricerca è stata la più laboriosa, anche perché si è estesa ben oltre la piazza e la sua architettura razionalista. Mi sono interessato anche agli aspetti più ordinari del quotidiano, per farmi un’idea di come potesse essere la vita per un cittadino di quasi cent’anni fa. Al giorno d’oggi disponiamo di una quantità impressionante di fonti potenziali, proprio per questo mai come ora è necessario applicare criteri rigorosi al vaglio dei dati. Quando possibile preferisco rifarmi ai classici testi scritti, l’ideale è se posso sfogliare concretamente le pagine di un volume di consultazione. Devo riconoscere però che anche immagini e filmati d’epoca mi sono stati di grande utilità, soprattutto per alcune parti strettamente descrittive.

Il colosso del titolo – a Brescia noto con il soprannome di Bigio, ma il suo nome vero è Era Fascista- che funzione ha nella storia. Il colosso è il cardine ideale dell’opera e nel titolo ha un valore polisemantico: indica la statua scolpita da Arturo Dazzi che hai citato, un manufatto di dimensioni ragguardevoli; il colosso però può anche significare per estensione il regime fascista con le sue aspirazioni totalitarie. Nello specifico del romanzo, la statua e il suo creatore prendono parte allo sviluppo delle indagini, rivelandosi un fattore di primaria importanza per far luce su diversi punti oscuri.

L’agente Ferri e il dottor Calligaris, medico legale, sono due i comprimari di Villata, quanto sono importanti per il protagonista dal punto di vista lavorativo e umano? Direi che sono fondamentali. Ne hai colto la duplice importanza: sul piano professionale costituiscono una risorsa irrinunciabile per il commissario. Il dottor Calligaris con le sue perizie è in grado di offrire una considerevole mole di indizi, mentre l’agente Amilcare Ferri in veste di vero e proprio uomo d’azione completa il quadro delle competenze necessarie alle indagini. C’è poi, come hai giustamente osservato, il lato umano. Amilcare è in particolar modo legato al commissario da una solida amicizia e lo rende partecipe della sua vita in molte circostanze come, ad esempio, il consueto pranzo della domenica. Possiamo dire che lui e il dottor Calligaris rivestono ruoli importanti nel lavoro del Mastino di Brescia ma sono anche una consistente presenza nella sua sfera privata.

Romanzo unico o primo di una serie? Sto mettendo a punto qualche idea, credo proprio che il Mastino e i suoi compagni si troveranno presto alle prese con un nuovo caso.

Quali sono le tue letture preferite? Amo molto leggere saggi storici, ma anche polizieschi, thriller e altri generi di narrativa. Mi piacciono anche alcuni fumetti, soprattutto quando dimostrano di possedere profondità e spessore non inferiori alla letteratura in senso stretto.

:: Un’intervista con Franco Forte, autore di “Karolus. Il romanzo di Carlo Magno”, a cura di Giulietta Iannone

13 marzo 2023 by

Benvenuto Franco su “Liberi di scrivere” e grazie di avere accettato questa intervista. Ho diverse domande che vorrei farti soprattutto sul tuo ultimo libro, il romanzo storico “Karolus” dedicato alla figura di Carlo Magno. Come prima domanda come ti è venuta in mente l’idea di scriverlo e quale motivazione ti ha portato a creare un romanzo così complesso e impegnativo? Anche perché la storia che racconti va proprio a scavare alle origini dell’Europa, del sogno del Sacro Romano Impero. Che idea ti sei fatto, in proposito? È importante conoscere la storia per comprendere anche il nostro presente?

R: Era da più di dieci anni che studiavo questo personaggio e cercavo documentazione storica, che in effetti è molto più abbondante di quanto si creda. L’idea che abbiamo tutti di Carlo Magno è quella un po’ polverosa e stantia che ci passa la scuola, con le solite fredde nozioni che più o meno conoscono tutti (come la famosa notte dell’incoronazione, avvenuta il giorno di Natale dell’800), ma ben poco si sa di chi fosse davvero quest’uomo, come è arrivato a essere prima re dei Franchi e poi imperatore del Sacro Romano Impero, e quanta importanza hanno avuto le sue imprese e i suoi editti nella costruzione dell’Europa moderna. l’Europa come la conosciamo oggi, di cui tanto si parla per questioni geopolitiche, energetiche, sociali, economiche e culturali, e che nasce proprio grazie a Carlo Magno, capace di difenderla dalle invasioni del mondo arabo dalla Spagna, da quello degli Avari e da Bisanzio dall’est, e dalle scorrerie di Sassoni e Norreni dal nord. Insomma, l’Europa unita è fortemente debitrice a Carlo Magno per avere fondato le basi della sua stessa esistenza, e nel mio romanzo cerco di far capire come questo sia avvenuto. Soprattutto oggi, quando non si fa altro che parlare di Europa unita e delle guerre e delle pressioni che arrivano da est, proprio da quei territori che un tempo si chiamavano Pannonia. Ottimo esempio di come la grande Storia sia capace di spiegare certi meccanismi del presente che troppi di noi ignorano.

Ricordo che prima della pubblicazione eri molto preoccupato di eventuali critiche legate al fatto che nel libro avresti dato spazio alla vita sessuale di questo personaggio, perché con la sensibilità di oggi alcuni aspetti certamente potrebbero essere criticabili. Erano paure tue infondate? Tutti hanno capito che ti sei attenuto semplicemente alla veridicità storica?

R: Al momento sembra che i lettori abbiano compreso quali sono stati i problemi a cui sono andato incontro. Descrivere la vita di Carlo Magno sarebbe stato impossibile, senza parlare delle sue donne. Non solo la madre, che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua crescita, ma anche le sorelle, le figlie e, soprattutto, le mogli, le amanti e le concubine. Perché era a loro che Carlo Magno si rivolgeva quando aveva un problema di qualsiasi titpo, era con loro che si confidava, era loro che ascoltava per schiarirsi le idee e prendere decisioni. Non c’era solo il desiderio, la necessità di avere rapporti per avere figli, ma anche l’esigenza di confrontarsi con loro nell’intimità, lontano dai giochi di potere della corte, per sentirsi perfettamente a suo agio quando doveva prendere decisioni importanti per se stesso, per la famiglia e per il regno. Dunque dovevo dare profondità a queste donne, che da quanto affermato dai documenti più antichi erano sinceramente innamorate di lui, così come lo era Carlo, e mettere il lettore a proprio agio, quando le scene da descrivere li mostravano insieme, magari nell’intimità, sotto le coperte. Il problema è che l’età media di queste mogli, amanti e concubine era davvero molto bassa, e dunque per la mentalità corrente poco più che bambine. Come affrontare la cosa? Sorvolare, per esempio, sul fatto che l’ultimo figlio Carlo Magno lo ebbe a 65 anni, da una concubina che ne aveva solo 13? Oppure provare semplicemente a rendere i tempi così com’erano, sperando che i lettori capissero che era solo l’esigenza di ricostruire nel modo più realistico possibile l’epoca che stavo descrivendo? Ho scelto questa seconda strada, e al momento sembrerebbe che sia stata quella giusta.

Secondo te è ancora vivo il preconcetto secondo cui i romanzi storici, dove si narrano battaglie, avvenuture, con connotazioni anche un po’ osè – scusa, questo termine mi fa sembrare arrivata dall’Ottocento in carrozza, ma per specificare cosa intendo mi sembra il più ideoneo – siano letture prevalentemente maschili, e che le donne prediligano i romanzi rosa, romantici e diciamo all’acqua di rose?

R: Purtroppo il preconcetto c’è ancora, e credo sia un peccato, perché il romanzo storico è un genere di narrativa valido per tutti i tipi di lettori. Da parte mia cerco sempre di inserire le donne che hanno avuto dei ruoli nelle storie che racconto, siano essi ruoli di primo piano o secondari, perché proprio come nella vita reale senza le donne i cosiddetti “grandi uomini” non sarebbero andati da nessuna parte. Il problema è che la Storia tende a dimenticarsi delle donne, limitandosi ad annotare fatti ed eventi legati alle imprese dei personaggi noti, che nell’antichità erano quasi sempre uomini (a parte qualche caso eclatante di donne di primo piano, come Cleopatra, Lucrezia Borgia, la regina Vittoria). E questa cosa mi ha sempre infastidito, perché senza donne valorizzate per quello che sono state, i romanzi storici si riducono a essere sterili resoconti di battaglie e scontri fra popoli. Troppo spesso in passato è stato così, e questo ha originato l’idea che il pubblico prevalente di questo genere di romanzi fosse maschile. Oggi non è più così, e il merito forse va anche al fatto che sempre più spesso si riconosce nei romanzi storici il ruolo fondamentale avuto dalle donne del passato, diversamente da quanto accade nei libri di storia.

Ricollegandomi alla precedente domanda, tu dirigi anche collane editoriali per cui hai il polso della situazione, in percentuale le donne che comprano libri sono più degli uomini? O hai altri dati?

R: I dati del mercato ci dicono che le donne sono la maggioranza di chi compra e legge libri. Almeno il 60%, secondo le ultime statistiche che ho letto. E lo fanno con più entusiasmo e voglia di condividere questa loro passione. Basta guardare cosa avviene sui social, dove esistono centinaia di donne e ragazze che hanno blog in cui parlano di libri, pagine Facebook o profili Instagram e Tik Tik in cui raccontano le loro esperienze e diffondono il valore della lettura, e la magia di questo atto che permette alle persone di compiere dei viaggi meravigliosi con la fantasia, per vivere avventure in prima persona in luoghi, tempi e situazioni che mai avrebbero immaginato. Cresce sempre più anche il numero delle autrici, e in editoria gli operatori che si occupano delle scelte dei titoli da pubblicare, della loro lavorazione, della promozione e della diffusione sono sempre più al femminile.

Che aspetti hai privilegiato nella stesura del tuo libro e come sti sei documentato?

R: Vedi, il senso del romanzo storico è uno solo: dare modo ai lettori di immergersi in un’epoca passata per vivere un’esperienza fuori dal comune, che non si potrebbe sperimentare in altro modo (almeno fino a quando non si inventerà la macchina del tempo). Per farlo, occorre dare la possibilità ai lettori di immedesimarsi nei personaggi delle nostre storie, perché solo così possono vivere nel romanzo come se tutto ciò che accade sia vero, e soprattutto ne siano protagonisti (insieme ai personaggi con cui si sono immedesimati). Essendo questo il meccanismo, diventa facile capire che quando si chiede al lettore di assumere le spoglie (fisiche e mentali) di un grande personaggio che ha fatto la Storia, si ottiene più facilmente il risultato di divertirlo ed eccitarlo. Prima, però, bisogna studiarlo a fondo, diventare una sola cosa con lui, e questo richiede impegno, studio, lavoro. D’altra parte, se si chiede al lettore di immedesimarsi in Mario Rossi, vissuto negli anni 2000, è una cosa, se lo si porta nel corpo e nella testa di Carlo Magno nell’ottavo secolo… be’, l’avventura che si promette di far vivere al lettore sarà molto più intensa, più coinvolgente. Ma a maggior ragione deve risultare un’esperienza realistica, per cui tutto ciò che si scrive deve essere credibile, coerente, plausibile e perfettamente contestualizzato con quanto ci dicono gli studi storici. È indubbio che il fascino di certi grandi uomini (o donne) della Storia può interessare a tutti, e questo è uno dei motivi per cui il romanzo storico non ha mai subito disaffezione da parte dei lettori. Nel mio “Karolus” si vive per 730 pagine immedesimati con uno degli uomini più straordinari, controversi, intelligenti e rivoluzionari che siano mai esistiti, e la promessa che faccio ai lettori è di vivere una bella avventura ma anche di capire con me e con Carlo Magno che cosa ha significato cambiare il mondo, per traghettarlo fino all’ordine sociale che conosciamo oggi.

Da narratore la figura di Carlo Magno ti è stata congeniale o hai trovato parti difficoltose da trattare?

R: Mi sono riconosciuto spesso in lui, in tante sue scelte e prese di posizione, ma come è giusto che sia mi sono anche scontrato con tante cose che ha fatto, frutto della mentalità dell’epoca in cui ha vissuto, che era ben diversa dalla nostra d’oggi. La difficoltà principale, quando si scrive di questi personaggi del passato, è riuscire a capire i percorsi psicologici – derivativi spesso della cultura e della società dell’epoca – che hanno seguito e che li hanno convinti a prenedere certe decisioni piuttosto che altre. Il compito del narratore storico non dovrebbe essere quello di giudicare, e dunque di interpretare secondo i propri parametri le gesta degli uomini del passato, bensì cercare di ricostruire nel modo più coerente, veritiero e plausibile possibile ciò che è avvenuto, e dare le chiavi di interpretazione psicologica che hanno portato i protagonisti coinvolti a fare certe scelte. Un’impresa non da poco, che però mi ha sempre affascinato.

Grazie della disponibilità e del tempo che mi hai dedicato. Come ultima domanda parlaci dei tuoi progetti futuri.

R: Grazie a te per l’ospitalità. Al momento i miei progetti prevedono un intenso tour di promozione di “Karolus”, che vorrei far conoscere a quanti più lettori possibile perché credo sia un romanzo – e un personaggio – che merita di essere letto. Nel frattempo mi sto dedicando al lavoro di costruzione della scaletta del prossimo libro, che vedrà la luce nel 2024, e di cui, per scaramanzia, preferisco non rivelare ancora a cosa si ispira.

:: Cuori di nebbia di Licia Giaquinto (TerraRossa Edizioni 2022) a cura di Nicola Vacca

13 marzo 2023 by

Giovanni Turi fondando Terrarossa Edizioni ha portato una bella ventata di aria pulita e nuova nel mondo della narrativa italiana contemporanea. Tra le brillanti intuizioni dell’editore c’è Fondanti, una collana che ripropone opera che hanno segnato un’epoca o hanno rappresentato un tassello fondamentale nel percorso narrativo di autori di talento.

Ultimo arrivato è Cuori di nebbia, il romanzo di Licia Giaquinto. Il libro fu pubblicato da Flaccovio nel 2007 e fu fortemente voluto da Luigi Bernardi, indimenticato direttore editoriale, ma soprattutto scrittore e intellettuale libero e lontano sempre dal mercimonio del mercato editoriale. E soprattutto, in virtù del suo essere sempre corsaro e irriverente, Luigi quando decideva di pubblicare un libro non sbagliava mai un colpo.

Cuori di nebbia è un romanzo nero che al suo interno contiene altrettante storie nere e personaggi oscuri che si muovono nella notte disillusa della pianura emiliana negli anni novanta.

Lungo la via Emilia sembra muoversi l’intera nazione. Infatti nella quarta di copertina il lettore ideale di questo libro è colui che cerca uno spaccato disilluso e vero dell’Italia degli ultimi decenni, chi leggendo vuole costeggiare le tenebre e non ama il lieto fine.

Cuori di nebbia è un noir nelle cui pagine troviamo lo stesso spaesamento che ammiriamo in una fotografia di Luigi Ghirri.

E la nebbia in cui sono immersi tutti i personaggi con le loro storie è una metafora del degrado morale e dello squallore esistenziale che Licia Giaquinto ci mostra con una lingua affilata che sanguina.

Mirella, Filippo, Nicola, Natascia, Mirco, Francesco, Patrizia. Questi sono i personaggi che con i loro demoni attraverso la grande notte e le loro esistenze sono avvolte da una nebbia che è portatrice di dilemmi e drammi.

Tutti danno vita a un puzzle a un romanzo corale in cui fragilità, disincanto e rabbia sono i simboli di vite disilluse che nella località di Bruciata precipitano nei loro personali abissi dove l’inconscio incontra le tenebre e la menzogna è una verità capovolta.

La scena in cui si svolge il romanzo assomiglia molto a una terra desolata. L’autrice prima di immergersi nella vita dannata dei sette personaggi la consegna al lettore con parole spiazzanti.

«Una distesa di campi piatti e sterili, glassati dalla galaverna, e tagliati dalla ferita grande della strada, con la slabbratura degli argini, e dei tanti graffi dei viottoli». Un paesaggio anemico e malinconico in cui il giorno avanza a fatica fa da sfondo a Cuori di nebbia, un romanzo in cui sette persone con le loro storie fanno i conti con i loro lati oscuri fino all’annientamento.

Licia Giaquinto ci conduce in un viaggio al termine della notte: i sette personaggi brancolano nella nebbia, sanno che si sono persi per sempre.

Le loro vite disilluse ci faranno sentire un freddo addosso e anche noi insieme ci perderemo nella nebbia, spaesati con i nostri lati oscuri ci sentiremo coinvolti da una anatomia dell’irrequietezza, che ci porteremo addosso, accorgendoci a lettura ultimata che questo libro ci ha cambiato per sempre.

Licia Giaquinto è nata in Irpinia, dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza, ora vive a Bologna. Ha esordito nella narrativa con Fa così anche il lupo (Feltrinelli 1993), a cui sono seguiti È successo così (Theoria 2000), Cuori di nebbia (Dario Flaccovio 2007, ora riproposto da TerraRossa Edizioni), La ianara (Adelphi 2010), La briganta e lo sparviero (Marsilio 2014). Ha scritto anche testi teatrali, l’ultimo è Carmine Crocco e le sue cento spose. È ideatrice e anima dell’associazione Aterrana – Ater Ianua che vuole contrastare il degrado e lo stato di abbandono del borgo storico di Aterrana (Av).

Source: libro inviato dall’Ufficio stampa al recensore.

:: Corpo a Corpo di Elena Mearini (Arkadia 2023) a cura di Patrizia Debicke

10 marzo 2023 by

Corpo a corpo si svolge nell’arco di diciotto ore, durante lo scorrere e più, di una giornata di una palestra della periferia milanese, ad Arluno, luogo in apparenza fuori dal tempo, dove cerca appoggio e asilo Stefano, oggi giovane professore di Italiano al liceo, ex promessa del pugilato che qualcosa ha obbligato ad abbandonare i guantoni…
Come una belva ferita fa ritorno al suo antro, così Stefano Santi si rifugia in quella palestra , un tempo quasi sua casa e famiglia per confessare a Mario, proprietario della sala e suo ex allenatore, tutta la sua storia.
Durante la sua lunga e sofferta confessione, Stefano legge alcuni estratti del diario di Marta, perché “serve conoscere la voce di lei per arrivare alla disfatta di lui”.
Marta che, a suo dire, voleva a tutti i costi salvare la sorella Ada dalla condanna della sua perfezione. Ada che di nascosto si allenava sfogandosi e picchiando con la boxe alla ricerca dell’autenticità e per non esplodere, imprigionata nei canoni di un’assoluta eccellenza. Ada che, arrivata al culmine di ogni desiderata, ovverosia essere una stella della danza, si era uccisa ma nessuno aveva mai capito il perché, quali fossero i motivi di quel terribile gesto di disperazione. Drammatico e al contempo folle diario di Marta, ragazza ventenne che si sentiva troppo normale per essere notata, ma sempre pronta a riconoscere ogni eccesso altrui e immaginarne la sofferenza e troppo severa con se stessa per non rischiare di impazzire. Marta con l’intollerante convinzione di essere una mediocre e l’insofferente attaccamento nei confronti della sorella, vuole con le sue parole solo giustificare le sue azioni. Azioni lucide e deleterie con per vittime Ada e Stefano che lei, nella sua contorta e malata fissazione, è sicura di aver salvato da una vita perfetta, perché solo la mediocrità ha il diritto di sopravvivere… Ada e Marta, due sorelle che non avrebbero dovuto mai essere divise … e invece quell’orribile fatalità. Con la morte di Ada che ha scatenato solo angoscianti dubbi, rimorsi e ineluttabili conseguenze.
Mario, il pugile, la roccia, il vero punto fermo e stabile della narrazione, orecchio attento che non giudica o condanna ma tramite le ferree regole del suo sport e il richiamo ad alcuni campioni del passato come Joe Louis, Willy Pep e James Walter Braddock – quasi sull’ altare della storia della boxe – e la concretezza dei fatti, aiuterà Stefano, stretto nella morsa del tormento, a comprendere quale dovrà essere “la cosa giusta da fare”. Ma la sua scelta sarà davvero giusta? Potrà forse esserlo solo se il farlo gli servirà a dare un significato a un’esistenza ormai rovinata per quanto irrimediabilmente accaduto e a imboccare la strada dell’espiazione .
Elena Mearini che con la sua intensa e consueta capacità di scrittura, spesso ogni sua frase nasconde un pensiero e in questo suo romanzo affronta problematiche crude e scottanti , racconta del bene e del male insito in noi tutti. Per farlo si serve di una perfetta metafora pugilistica, la “nobile arte” utilizzata sia come libertà da parte delle donne che indirettamente come simbolo di lotta e implicità accusa all’eccesso di conformistica perfezione reclamato oggi dalla società. Quella costante pretesa di dover piacere a tutti, di voler essere migliore a ogni costo senza riuscire ad accettare i limiti di una ragionevole normalità, che costringe a trovare a ogni costo la colpa e sfogarsi su qualcuno da punire, rischiando di scivolare in rapporti di dipendenza che penalizzano e tolgono la libertà. Una costrizione che obbliga a coinvolgersi in qualcosa di pericolosamente malsano, in grado di ferire e far male. E di rischiare il diretto confronto conpersone con pregresse turbe mentali mai individuate , che magari nascondono i loro malessere o addirittura una peculiare patologia.
Con un complesso reticolo di vite che si avversano, affrontandosi come sul ring, Elena Mearini ci narra con coinvolgente ma tragico realismo, la crudezza del bene e del male, stavolta fulcro trainante del suo “Corpo a corpo” con le conseguenze di amori talmente snaturati da trasformarsi in fatali. Amori snaturati che conducono ineluttabilmente alla audistruzione, ma contemporaneamente esalta come impagabile e insostituibile, il valore di vere affinità elettive allacciate all’ombra della comune passione sportiva, in questo caso la boxe, assimilata al perenne lottare, insito nella vita di ciascuno di noi qui simbolico emblema dell’incontro-scontro della vita. Pian piano la trama, sovrapponendo il senso della vita al pugilato, sviluppa il suo colto intreccio di sentimenti e azioni in una speciale atmosfera descritta con linguaggio chiaro e preciso. E sarà proprio la lineare forza della parola e del racconto a svelare alla fine tutta la verità.

Proposto da Ilaria Catastini al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:

«Corpo a corpo, di Elena Mearini, è un noir psicologico costruito come una sequenza di round, quasi fosse un incontro di boxe, sport che fa da sfondo e da elemento strutturale del romanzo e che lega l’allenatore di pugilato Mario, il protagonista Stefano e le due figure femminili, centrali nella trama ma di sfondo nel chiaroscuro della narrazione. Il ring che rappresenta la vita, con l’attacco e la difesa, lo stare in guardia, lo studio dell’avversario. Catturare il momento giusto per assestare il colpo, non fermarsi mai. Nel ring della vita si sfidano anche l’amore e la volontà di controllare l’altro; si sfidano il fato e la capacità di governare il proprio destino. È in questo ring simbolico della vita che Marta sfida in un corpo a corpo la sorella Ada, la ragazza perfetta e inarrivabile, andata incontro a un tragico destino. E un ring diventa il rifugio di Stefano dopo aver ucciso Marta; su quel ring altrettanto simbolico Stefano lotta con se stesso svelando al lettore, attraverso le pagine di un diario, il colpo di scena inquietante che metterà in luce la mente psicologicamente disturbata di Marta e il gesto sconsiderato e irreversibile di Stefano. Gli incidenti che cambiano il destino delle persone, individui che si crede di conoscere e che si rivelano diversi da come pensavamo: Corpo a corpo è un romanzo che riesce a cogliere una quantità di sfumature che non comprendono solo il noir, attraversando diversi generi letterari e che tiene il lettore sospeso in una condizione psicologica nella quale ognuno di noi potrebbe ritrovarsi.»

Elena Mearini vive a Milano ed è autrice e docente di scrittura creativa e poesia. Dirige la Piccola Accademia di Poesia fondata nel 2020. Ha pubblicato una raccolta di poesia per LiberAria Editrice, Strategie dell’addio, e due per Marco Saya Editore, Per silenzio e voce e Separazioni. Nella narrativa ha esordito con 360 gradi di rabbia (Excelsior 1881), cui ha fatto seguito A testa in giù (Morellini Editore), Undicesimo comandamento (Perdisa pop editore), Bianca da morire (Cairo Editore, selezionato al Premio Campiello), e È stato breve il nostro lungo viaggio (Cairo Editore, selezionato al Premio Strega 2018 e finalista nella cinquina per il Premio Scerbanenco). Il romanzo I passi di mia madre è stato candidato al Premio Strega 2021 con la presentazione di Lia Levi. Nel 2019 ha pubblicato per Perrone Editore Felice all’infinito. Ha curato l’antologia Tra Uomini e Dei, storie di rinascita e riscatto attraverso lo sport (Morellini Editore) ed è presente in diverse antologie di narrativa, tra cui Lettere alla madre e Lettere al padre (Morellini Editore) e Nel mare di Lombardia (Les Flaneurs Edizioni).