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:: La regina di Tebe di Annamaria Zizza Marlin a cura di Patrizia Debicke

21 marzo 2023

Tutti hanno sentito parlare del famoso re fanciullo, Tutankhamon, ma il nome di sua sorella e moglie Ankhesenamon viene raramente pronunciato. La tragica vita di Ankhesenamon è stata ben documentata negli antichi rilievi e nelle pitture del regno dei suoi familiari, dal faraone Akhenaton e la sua Grande Sposa Reale Nefertiti, fino alla morte di Tutankhamon, quando la giovane sovrana sembra scomparire completamente dalla documentazione storica. Come fosse stata volutemente annullata
Ankhesenamon (“colei che vive per Amon”) fu una regina della XVIII dinastia. Era la terza delle sei figlie di Akenaton e Nefertiti e divenne la Grande Sposa Reale del fratellastro Tutankhamon quando aveva 13 anni e lui 10 anni.
Dopo il matrimonio, la coppia restaurò l’antica religione, disconoscendo le azioni del padre, Akhenaton.Tutankhamon e Ankhesenamon due bambini, regnarono insieme in Egitto per dieci anni. Durante il loro regno, la storia ci mostra che il re aveva un consigliere ufficiale chiamato Ay, che giocò un importante ruolo nella vita e nelle decisioni di governo della giovane coppia.
Nei dieci anni sul trono, i sovrani concepirono due bambine, ma le due gravidanze finirono con due aborti (la conseguineità giocava contro),
A 19 anni circa, Tutankhamon morì all’improvviso (si ipotizza una malattia genetica) , lasciando sola Ankhesenamon e senza eredi, appena ventitreenne. La regina vedova voleva continuare con i suoi doveri ufficiali di sovrana d’Egitto e tentò senza successo la carta di interpretare un ruolo di rilievo nel trovare un successore.
La bella quarta di copertina a firma Dacia Maraini ci conferma che Annamaria Zizza ha adottato per il suo intrigante romanzo la famosa leggenda mai provata che Ankhesenamon sarebbe da individuare come la regina vedova che, alla morte del marito, nel gennaio del 1323 a.C., scrisse a Šuppiluliuma I re degli Ittiti una lettera molto particolare. Questa lettera infatti di cui è stata trovata copia in un archivio reale, nei pressi della moderna cittadina turca di Bogazkoy (nel sito dell’antica capitale hittita Ḫattuša), tra quelli che sono meglio noti come gli Annali di Muršili II, tav. VII, dal titolo: Gesta di Šuppiluliuma narrate dal figlio Mursili), contiene tra l’altro la frase:
“Mio marito è morto non ho figli. Si dice che Tu ne abbia parecchi, se me ne manderai uno, ne farò il mio Sposo. Non sceglierei mai uno dei miei sudditi/ servitori come marito“.
Detta missiva riservata raggiunse la corte ittita ma Suppiluliuma , trattandosi di un Paese nemico, temendo una trappola per ovvia diffidenza, anche per guadagnare tempo prima di prendere una decisione, mandò il proprio ambasciatore, Ḫattuša Zitiš, a chiedere conferma ma il suo passo, rendendo nota alla corte di Tebe l’iniziativa della regina gli fece perdere l’occasione di conquistare l’Egitto senza colpo ferire.
Anhesenamon scrisse invano in risposta: “Perché hai Tu pensato ch’io Ti volessi ingannare? Se avessi avuto un figlio, sarei forse io ricorsa, a Mia vergogna, a un Paese straniero? Non ho scritto ad altri, solo a Te, dammi uno dei Tuoi figli, per me sarà solo un marito, ma per l’Egitto sarà Re”.
Il romanzo di Annamaria Zizza incomincia infatti a Tebe, capitale dell’Egitto, nel XIV secolo a.C.
La bellissima e giovane Ankhesenamon, regina vedova di Tutankhamon ma senza figli, ancora impregnata degli ideali di suo padre che predicava la pace tra i popoli e decisa a tutto pur di salvare il suo Paese garantendo all’Egitto sicurezza e un erede di stirpe reale, decide di fare la sua mossa. Con una coraggiosa e anticonformista decisione ordina a Menthuotep, saggio e affermato scriba e medico babilonese, fidato uomo di umili origini con un infelice passato , di scrivere e far avere presentandosi come suo ambasciatore una lettera al re degli ittiti. Una mossa spregiudicata fatta di nascosto, scavalcando sia Ay il potente visir erede al trono in mancanza di stirpe reale, che il potente grande generale Horemheb marito della sorella di Nefertiti.
Siamo nel periodo delle massima gloriosa espansione dell’impero ittita, che approfitta di un formidabile atout: l’aver appreso il segreto di temprare e lavorare il ferro e non condividerlo con gli altri. Ragion per cui, disponendo di armi migliori, sono certi di vincere, altrettanto persuasi dalla fine e colta diplomazia di Menthuotep, di poter riuscire a conquistare e dominare l’Egitto senza combattere, decidono di accettare la richiesta della Regina vedova.
Il re ittita, Suppiliuma, sfavorevolmente condizionato tuttavia dalla seconda moglie, la subdola e infida Malnigal, bella e infelice principessa babilonese, attiva seguace della magia nera, manderà quello dei figli che ha deciso di allontanare… Il prescelto o la vittima designata fu il principe Zannanza, che, però non giunse mai a destinazione. Scomparso durante il viaggio. Assassinato? E forse…
Con l’Egitto coinvolto in una profonda, divisiva crisi dinastica e, dopo il “periodo amarniano”, privato di una valida e legittima successione al trono, tra diabolici e crudeli intrighi di corte, impossibili amori, drammi personali e spericolate avventure, si dipana la trama intessuta da una affascinante e sconosciuta regina, una giovane donna che si illudeva di poter ignorare il proprio fatale destino e, ribellandosi, cambiare il corso della storia..
Una perfetta ambientazione dovuta alla colta e approfondita ricostruzione storica dell’autrice contribuiscono alla realizzazione del romanzo vivacizzato dalla ben calibrata recitazione dei personaggi. Un suggestivo e palpabile scenario che travalica i secoli. Una vicenda che descrive e inquadra alla pefezione anche l’abissale differenza di costumi e mentalità tra due imperi tanto lontani da noi.

Annamaria Zizza è nata a Catania e insegna Italiano e Latino al Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale. Ha ideato il progetto “Dante nelle chiese di Acireale” e propone “lecturae Dantis” patrocinate dalla diocesi locale. Una sua raccolta di poesie ha ricevuto una menzione speciale al premio letterario “Salvatore Quasimodo”. Collabora con la rivista di egittologia e archeologia “Mediterraneo antico”, per la quale scrive articoli di antropologia della Roma repubblicana. Vive con la figlia in provincia di Catania.

:: Omicidio a Mallowan Hall di Colleen Cambridge (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

16 marzo 2023

Nascosto tra le dolci colline verdi del Devon, Mallowan Hall combina il meglio della tradizione inglese con le moderne comodità disponibili del 1930. Per un aspetto, tuttavia, Mallowan Hall si distingue dalle altre pittoresche case di campagna fuori città.
Il maniero infatti ospita l’archeologo Max Mallowan e la sua famosissima moglie, Agatha Christie.
La loro governante, Phyllida Bright, tanto efficiente quanto simpatica, gestisce, sopportando la supervisione del maggiordomo Mr Dobble, la grande casa e la servitù con pugno di ferro in guanto di velluto. Nella vita di Phyllida Bright infatti tutto sembra sempre al suo posto e sotto controllo. Ha accettato la sua più che decorosa occupazione, soprattutto per la vecchia e collaudata amicizia con la padrona di casa, moglie dell’archeologo, che stima come persona dalla quale è molto stimata avendo condiviso in guerra il servizio al fronte per l’organizzazione dei soccorsi ai feriti. Ogni mattina Mrs Bright, ignorando il burbero sguardo di semiriprovazione del maggiordomo, serra la sua bella folta capigliatura biondo rosso, ben pettinata e domata in uno chignon, ma continua a indossare abiti di buon gusto che mettano nel giusto risalto la sua aggraziata figura. Apprezza molto il fatto che la sua datrice di lavoro sia una giallista celebre in tutto il mondo, gode della sua confidenza , approfitta della lettura delle sue pagine in anteprima e proteggendo con rigore la sua privacy,le garantisce il tempo e la discrezione necessaria per scrivere in tranquillità.
Appassionata di narrativa poliziesca, Phyllida deve però ancora trovare nella vita reale un gentiluomo affascinante quanto l’eroe belga della signora Agatha, Hercule Poirot.
Ma benchè abituata all’omicidio e ai suoi metodi come frequenti argomenti di conversazione, e per aver dovuto sopportare la vista di tanti morti durante la Grande guerra, quella mattina, entrando per prima in biblioteca, sarà costretta ad affrontare un cadavere molto reale e “molto” morto disteso sul pavimento… Un primo impatto retto bene. Intanto non reagisce urlando ma si china invece per appurare l’identità del morto, notando che è coperto di sangue per una penna stilografica conficcata nel collo e riconoscendo in lui Philip Waring, nome con il quale si era presentato la sera prima durante una cena organizzata dai padroni di casa. Il suo nome non figurava sulla lista degli invitati e lui era piombato all’improvviso a Mallowan Hall, dichiarandosi un giornalista pronto a fare l’intervista a suo dire promessagli da Mrs Christie. La successiva tempesta con pioggia e vento nella zona aveva costretto la scrittrice a invitarlo a fermarsi anche per la notte…
E ora qualcuno l’aveva ammazzato.

Phyllida sa che di fronte a una situazione del genere bisogna agire bene e in fretta, ragion per cui come prima cosa telefona alla polizia e subito dopo fa chiamare il maggiordomo per organizzare con discrezione gli interrogatori degli ospiti e della servitù, ben diciotto dipendenti.
C’è il rischio infatti che la notizia, per forza già rimbalzata in zona via etere, diventi troppo presto di dominio pubblico, mettendo a rischio la privacy della sua amica e padrona. Cosa che non gioverebbe a nessuno e tanto meno a lei con sul groppone una casa piena di ospiti e gran parte dello staff distratto e impaurito.
Ma a suo vedere la polizia locale, che fin dai primi passi navigherà nella nebbia più totale, non sapendo da dove cominciare a indagare, tratta il caso con superficialità, lasciando orde di giornalisti affamati di notizie accampati fuori dalle mura della proprietà e che persino sconfinano indecorosamente in giardino.
Quando poi verrà scoperto un altro cadavere, una delle sue cameriere stavolta, con la testa fracassata da un corpo contundente, a Phyllida non resterà che impegnarsi in prima persona sulle orme del suo beniamino Monsieur Poirot, e seguire ogni possibile pista per poter incastrare una alla volta tutte le tessere del complicato puzzle .
Ciò nondimeno qualcosa nella sua testa le dice che l’assassino è vicino, in agguato e minacciosamente pronto a colpire ancora. Magari si nasconde addirittura tra gli ospiti di Mallowan Hall. Con l’aiuto del bel medico del villaggio, il dottor Bhatt, de maggiordomo, Mr Dobble, di Mr Bradford, nuovo misterioso e atletico autista, e sguinzagliando tutto il personale domestico, non si lascerà fermare.
E la nostra Poirot in gonnella dovrà prendere alcune decisioni barcamenandosi tra due omicidi, infedeltà con succose situazioni vicine allo scandalo , false piste, indizi e presagi, il tutto sufficiente per riempire un romanzo di Agatha Christie e qui inserito per sviare il lettore e abbastanza per consentire a quello più intelligente di riflettere. Ma solo la prontezza e l’intelligenza di Phillida, durante un raduno di potenziali sospetti, la porteranno a rivelare il nome di chi ha ucciso…
Omicidio a Mallowan Hall, con l’ambientazione a casa della scrittrice di gialli più amata di sempre, è l’ indovinato atout di questo romanzo fresco, ironico e denso di colpi di scena, il primo della serie con Phillida Bright come protagonista, che l’autrice l’americana Cambridge dedica alla società inglese anni trenta . Quella stessa società che molti tra i lettori avranno già imparato a conoscere attraverso l’ormai famosissimo Downton Abbey.
L’autrice ha “studiato” e descrive molto bene, con i giusti toni e particolari il mondo e i protagonisti collocati in quell’epoca. La sua eroina è una detective improvvisata ma dall’intuito brillante, inquadrata in una elegante cornice che appassionerà i fan di Agatha Christie.

Colleen Cambridge, è lo pseudonimo che Colleen Gleason prolifica e ben nota scrittrice americana ha utilizzato per la sua nuova serie dai calibrati toni Inghilterra anni 30, dedicata al personaggio (immaginario) di Phyllida Bright, governante di Agatha Christie (1890 – 1976).

Source: libro del recensore.

:: Corpo a Corpo di Elena Mearini (Arkadia 2023) a cura di Patrizia Debicke

10 marzo 2023

Corpo a corpo si svolge nell’arco di diciotto ore, durante lo scorrere e più, di una giornata di una palestra della periferia milanese, ad Arluno, luogo in apparenza fuori dal tempo, dove cerca appoggio e asilo Stefano, oggi giovane professore di Italiano al liceo, ex promessa del pugilato che qualcosa ha obbligato ad abbandonare i guantoni…
Come una belva ferita fa ritorno al suo antro, così Stefano Santi si rifugia in quella palestra , un tempo quasi sua casa e famiglia per confessare a Mario, proprietario della sala e suo ex allenatore, tutta la sua storia.
Durante la sua lunga e sofferta confessione, Stefano legge alcuni estratti del diario di Marta, perché “serve conoscere la voce di lei per arrivare alla disfatta di lui”.
Marta che, a suo dire, voleva a tutti i costi salvare la sorella Ada dalla condanna della sua perfezione. Ada che di nascosto si allenava sfogandosi e picchiando con la boxe alla ricerca dell’autenticità e per non esplodere, imprigionata nei canoni di un’assoluta eccellenza. Ada che, arrivata al culmine di ogni desiderata, ovverosia essere una stella della danza, si era uccisa ma nessuno aveva mai capito il perché, quali fossero i motivi di quel terribile gesto di disperazione. Drammatico e al contempo folle diario di Marta, ragazza ventenne che si sentiva troppo normale per essere notata, ma sempre pronta a riconoscere ogni eccesso altrui e immaginarne la sofferenza e troppo severa con se stessa per non rischiare di impazzire. Marta con l’intollerante convinzione di essere una mediocre e l’insofferente attaccamento nei confronti della sorella, vuole con le sue parole solo giustificare le sue azioni. Azioni lucide e deleterie con per vittime Ada e Stefano che lei, nella sua contorta e malata fissazione, è sicura di aver salvato da una vita perfetta, perché solo la mediocrità ha il diritto di sopravvivere… Ada e Marta, due sorelle che non avrebbero dovuto mai essere divise … e invece quell’orribile fatalità. Con la morte di Ada che ha scatenato solo angoscianti dubbi, rimorsi e ineluttabili conseguenze.
Mario, il pugile, la roccia, il vero punto fermo e stabile della narrazione, orecchio attento che non giudica o condanna ma tramite le ferree regole del suo sport e il richiamo ad alcuni campioni del passato come Joe Louis, Willy Pep e James Walter Braddock – quasi sull’ altare della storia della boxe – e la concretezza dei fatti, aiuterà Stefano, stretto nella morsa del tormento, a comprendere quale dovrà essere “la cosa giusta da fare”. Ma la sua scelta sarà davvero giusta? Potrà forse esserlo solo se il farlo gli servirà a dare un significato a un’esistenza ormai rovinata per quanto irrimediabilmente accaduto e a imboccare la strada dell’espiazione .
Elena Mearini che con la sua intensa e consueta capacità di scrittura, spesso ogni sua frase nasconde un pensiero e in questo suo romanzo affronta problematiche crude e scottanti , racconta del bene e del male insito in noi tutti. Per farlo si serve di una perfetta metafora pugilistica, la “nobile arte” utilizzata sia come libertà da parte delle donne che indirettamente come simbolo di lotta e implicità accusa all’eccesso di conformistica perfezione reclamato oggi dalla società. Quella costante pretesa di dover piacere a tutti, di voler essere migliore a ogni costo senza riuscire ad accettare i limiti di una ragionevole normalità, che costringe a trovare a ogni costo la colpa e sfogarsi su qualcuno da punire, rischiando di scivolare in rapporti di dipendenza che penalizzano e tolgono la libertà. Una costrizione che obbliga a coinvolgersi in qualcosa di pericolosamente malsano, in grado di ferire e far male. E di rischiare il diretto confronto conpersone con pregresse turbe mentali mai individuate , che magari nascondono i loro malessere o addirittura una peculiare patologia.
Con un complesso reticolo di vite che si avversano, affrontandosi come sul ring, Elena Mearini ci narra con coinvolgente ma tragico realismo, la crudezza del bene e del male, stavolta fulcro trainante del suo “Corpo a corpo” con le conseguenze di amori talmente snaturati da trasformarsi in fatali. Amori snaturati che conducono ineluttabilmente alla audistruzione, ma contemporaneamente esalta come impagabile e insostituibile, il valore di vere affinità elettive allacciate all’ombra della comune passione sportiva, in questo caso la boxe, assimilata al perenne lottare, insito nella vita di ciascuno di noi qui simbolico emblema dell’incontro-scontro della vita. Pian piano la trama, sovrapponendo il senso della vita al pugilato, sviluppa il suo colto intreccio di sentimenti e azioni in una speciale atmosfera descritta con linguaggio chiaro e preciso. E sarà proprio la lineare forza della parola e del racconto a svelare alla fine tutta la verità.

Proposto da Ilaria Catastini al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:

«Corpo a corpo, di Elena Mearini, è un noir psicologico costruito come una sequenza di round, quasi fosse un incontro di boxe, sport che fa da sfondo e da elemento strutturale del romanzo e che lega l’allenatore di pugilato Mario, il protagonista Stefano e le due figure femminili, centrali nella trama ma di sfondo nel chiaroscuro della narrazione. Il ring che rappresenta la vita, con l’attacco e la difesa, lo stare in guardia, lo studio dell’avversario. Catturare il momento giusto per assestare il colpo, non fermarsi mai. Nel ring della vita si sfidano anche l’amore e la volontà di controllare l’altro; si sfidano il fato e la capacità di governare il proprio destino. È in questo ring simbolico della vita che Marta sfida in un corpo a corpo la sorella Ada, la ragazza perfetta e inarrivabile, andata incontro a un tragico destino. E un ring diventa il rifugio di Stefano dopo aver ucciso Marta; su quel ring altrettanto simbolico Stefano lotta con se stesso svelando al lettore, attraverso le pagine di un diario, il colpo di scena inquietante che metterà in luce la mente psicologicamente disturbata di Marta e il gesto sconsiderato e irreversibile di Stefano. Gli incidenti che cambiano il destino delle persone, individui che si crede di conoscere e che si rivelano diversi da come pensavamo: Corpo a corpo è un romanzo che riesce a cogliere una quantità di sfumature che non comprendono solo il noir, attraversando diversi generi letterari e che tiene il lettore sospeso in una condizione psicologica nella quale ognuno di noi potrebbe ritrovarsi.»

Elena Mearini vive a Milano ed è autrice e docente di scrittura creativa e poesia. Dirige la Piccola Accademia di Poesia fondata nel 2020. Ha pubblicato una raccolta di poesia per LiberAria Editrice, Strategie dell’addio, e due per Marco Saya Editore, Per silenzio e voce e Separazioni. Nella narrativa ha esordito con 360 gradi di rabbia (Excelsior 1881), cui ha fatto seguito A testa in giù (Morellini Editore), Undicesimo comandamento (Perdisa pop editore), Bianca da morire (Cairo Editore, selezionato al Premio Campiello), e È stato breve il nostro lungo viaggio (Cairo Editore, selezionato al Premio Strega 2018 e finalista nella cinquina per il Premio Scerbanenco). Il romanzo I passi di mia madre è stato candidato al Premio Strega 2021 con la presentazione di Lia Levi. Nel 2019 ha pubblicato per Perrone Editore Felice all’infinito. Ha curato l’antologia Tra Uomini e Dei, storie di rinascita e riscatto attraverso lo sport (Morellini Editore) ed è presente in diverse antologie di narrativa, tra cui Lettere alla madre e Lettere al padre (Morellini Editore) e Nel mare di Lombardia (Les Flaneurs Edizioni).

:: L’incertezza della rana di Giorgio Bastonini, (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

9 marzo 2023

Sembra una sera come tante, nelle strade e i nei vicoli di Latina che conserva ancora i segni del suo passato fascista, quando tornerà in pista Paolo Santarelli lo strano piemme in servizio presso la procura di Latina, quello con alla destra Palazzo Emme, storico edificio costruito al battesimo della nuova città che, a quell’epoca si chiamava, Littoria.
Lui, Paolo Santarelli , che Giorgio Bastonini ci aveva già presentato nel suo precedente giallo uscito due anni fa. Strano personasggio ma soprattutto completamente diverso dall’immagine formale che uno può aspettarsi da un magistrato.
Paolo Santarelli infatti è una persona che si presenta tutti i giorni in ufficio, con ai piedi le Converse e indossando una felpa colorata. Uno poi che, ignorando la macchina di servizio con qualunque tempo va in giro pedalando in bicicletta e con uno strano rapporto con l’universo femminile: ha una ex alle spalle, attualmente è impegnato con un’accomodante fidanzata con la quale mantiene soprattutto un rapporto a distanza, anche a ore impossibili, fatto soprattutto di messaggi.
Mantiene una rispettosa e proficua convivenza con il commissario Bertoni, acuto funzionario della mobile, ma in città, visto che lo si considera ancora un estraneo perché campano di origine, ha pochi amici. Tra loro Livio, padrone del bar Piccolino dove subito, più veloce del vento, arrivano tutte le notizie di quanto succede a Latina…
Fine novembre, dopo aver adempiuto con rassegnazione al sacrificio del suo sangue preteso dall’implacabile nugolo delle locali zanzare autunnali, Santarelli ha raggiunto a piedi il bar Piccolino per accordarsi con il proprietario su una cacio e pepe serale. Ma appena arrivato verrà informato da Livio di una sparatoria appena avvenuta in città, e dopo aver ricuperato il cellulare, come al solito dimenticato in ufficio, ci troverà dentro l’avviso che anche una telefonata anonima ha segnalato il fattaccio. Non gli resta che saltare in bicicletta e pedalare verso il luogo del delitto.
dove il commissario Bertoni è già al lavoro con i suoi uomini. A prima vista, parrebbe trattarsi di un regolamento di conti e dunque per Santerelli vorrebbe dire un’ indagine di routine. Sul litorale, infatti, qualcuno ha sparato al giovane rampollo del clan Romano, a Gianluca, detto “Spaghetto”, il giovane e viziato virgulto della famiglia mafiosa di rom stanziali con il monopolio di spaccio, usura ed estorsioni”. Famiglia che da tempo Santarelli prova in ogni modo a incastrare.
Ma non si tratta di un regolamento di conti e il nostro piemmelo scoprirà presto, mentre torna a piedi a casa, dalle parole di Raffaele Locatelli, grassoccio chimico e ricercatore scientifico trentenne con tanti segreti e troppi nemici… che l’avvicina per strada per rivelargli di aver sparato a Spaghetto proprio nella piazzola e di temere la vendetta dei Romano. Ma avrà appena il tempo di ammettere una furibonda lite con Spaghetto, causata da divergenze per la comune società e accennare a un casale in campagna dove sta sperimentando le sue ricerche, prima che la sua voce venga sopraffatta dal rumore di una accelerata e da una 500 bianca, comparsa all’improvviso dal nulla, qualcuno gli sparerà, uccidendolo.
Due delitti ma anche due colpevoli prontamente individuati: con Raffaele Locatelli, reo confesso del primo delitto e presumibilmente assassinato per vendetta nel secondo . E il suo carnefice verrà facilmente identificato tramite le intercettazioni dei membri del clan.
Tanti piemme si fregherebbero le mani davanti all’occasione di chiudere in un solo colpo due casi, ma Paolo Santarelli è “uno strano pubblico ministero”: lui vuole vederci più chiaro, andare più a fondo a tutta la faccenda. Tanto per cominciare scoprire cosa combinava Locatelli, un giovane chimico nella società con il clan dei Romano, che campano con l’usura e la vendita di droga?
L’approfondita perquisizione della sua casa si rivelerà un buco nell’acqua, nonostante la vicinanza di una conturbante amica della vittima, una cartomante che sicuramente lo conosceva bene. Più interessante si rivelerà la visita fatta in bicicletta da Santarelli all’azienda agricola di cui Raffaele era titolare: all’interno di un capannone scoprirà infatti una meravigliosa serra con dentro piccoli stagni con una rigogliosa flora acquatica affollata da piccole rane.
Ma quale interesse avevano Locatelli e Spaghetto a trapiantare nell’Agro Pontino quello che pare un piccolo pezzo di Amazzonia? Per sbrogliare il mistero, che potrebbe avere lunghissimi e ramificati tentacoli internazionali, Paolo Santarelli dovrà darsi da fare e affrontare con determinazione e coraggio – e, se necessario, facendo anche uso di sostanze particolari –, un’ intricata e molto pericolosa situazione che affonda le sue radici addirittura oltreoceano.
Ma Santarelli è una persona prima di un magistrato. Una persona in grado di vivere e vedere la vita con un’ottica diversa , in grado di applicare la legge ma anche di farlo bene. Talvolta infatti non si possono giudicare le persone, valutando supinamente le loro azioni. Bisogna saper interpretare le regole con giustizia ed equità.
Una trama brillante con un protagonista brillante e ironico, un giovane quarantenne anticonformista aperto, intelligente e colto, che ogni tanto incespica un filino nei suoi rapporti al femminile.
L’incertezza della rana è una conferma per Giorgio Bastonini di saper raccontare con il giusto mix di commedia e tragedia una certa vita di provincia italiana, creando un’altra storia non comune, divertente e che non ha scordato in questo caso di rifarsi persino a un fatto di cronaca realmente accaduto. Santarelli infatti verrà chiamato a sostituire un collega nel dibattito finale di un processo in cui sono imputati alcuni giovani accusati di aver pestato a morte un ragazzo, colpevole volere far da paciere in una rissa. Chiari i riferimenti alla tragica storia del povero Willi Monteiro, ucciso a Colleferro due anni fa.

Giorgio Bastonini è nato nel 1961 a Parigi e vive fra Latina e Milano. Ama il caffè, il vin brulé e il suono del ticchettio della tastiera. Per pagare le bollette fa il commercialista. Il Giallo Mondadori ha pubblicato nel 2021 la prima avventura con protagonista il piemme Paolo Santarelli, Uno strano pubblico ministero.

Source: libro del recensore.

:: Il cadavere del Canal Grande di Enrico Vanzina, (HarperCollins 2022) di Patrizia Debicke

27 febbraio 2023

Dopo avere raccontato Roma e Milano, Enrico Vanzina chiude con una zampata da leone par suo la sua trilogia noir dedicata alle città italiane, tornando indietro nel tempo nel 1700, a Venezia in laguna e arrivando a coinvolgere addirittura il mitico Giacomo Casanova.
Vanzina scrive ma si diverte e si vede. Gioca con i modelli del Settecento, si lascia contagiare dal primo Dumas e dalla crudele malizia di Laclos , senza tuttavia dimenticare Goldoni e le Memorie di Casanova , poi arricchisce persino la sua trama con una carambolesca fuga dal sapore di spaghetti western alla Kill Bill 2 di Tarantino.
Insomma Il cadavere del Canal Grande è un singolare e provocante romanzo storico, intrigante, sanguinario quanto gli piace (un bel po’ direi), denso di colpi di scena, dotato uno stuzzicante congegno narrativo giallo e popolato da memorabili personaggi, dominati dalla locandiera Ginevra Trevisan, fascinosa protagonista femminile…
Jean de Briac, giovane venticinquenne alto biondo e bello, di nobili origini bretoni, aveva un sogno, diventare un pittore. Ma suo padre, squattrinato aristocratico di campagna, molto più interessato a fare rendere i suoi terreni e alla salute delle mucche che alla vocazione artistica della progenie, non ci sentiva da quell’orecchio.
Ragion per cui il giovanotto saltato in sella a un robusto cavallone della paterna scuderia, dopo un lungo e periglioso a viaggio era riuscito ad arrivare a Venezia. Là con la benevola lettera di intercessione del cugino, Mathieu de Briac, monsignore a Würzburg, dove il maestro Giambattista Tiepolo aveva affrescato la residenza del principe vescovo Karl Philipp von Greiffenclau, era stato preso a bottega, entrando a far parte del gruppetto di volenterosi allievi del grande pittore veneziano. Tiepolo, uomo di buon cuore, mosso forse da ammirazione o pietà per quel ragazzo che per un sogno era scappato dalle comodità di casa, l’aveva messo due mesi prima a mischiar colori, mentre lui stava lavorando all’affresco dell’Incoronazione di Maria Immacolata nella chiesa della Pietà. Nonostante i pochi spiccioli in tasca garantiti dalla paterna grettezza, che gli consentivano appena di alloggiare in una stanzuccia in una locanda vicino al Ponte di Rialto e di riempirsi la pancia in bettole malfamate, Jean de Briac finora si era sentito appagato dalla sua vita veneziana. Ma una sera, dopo cena ormai diretto a piedi al suo giaciglio, con la luna che si rifletteva nelle acque del Canal Grande, mentre camminava scansando l’eterogenea folla notturna che animava le calli, verrà travolto da una dama che correva all’impazzata tra la gente. Pur scaraventato a terra riuscirà ad afferrare la gonna della bellissima ed esotica sconosciuta sollecitando scuse. Ma l’immediato rapido, vivace e successivo scambio verbale, si chiuderà con il passaggio di un sacchetto di velluto, da parte della bellezza alla sbalordito giovanotto, unito alla preghiera di consegnarlo prima possibile alla signora Ginevra, padrona della locanda Alle due spade.
La curiosità, par logico, che spingerà il giovanotto ad aprirlo gli consentirà di scoprire che contiene uno splendido smeraldo di straordinarie dimensioni. L’ora tarda tuttavia gli suggerirà di rimandare all’indomani la consegna richiesta. Però, ripresa la sua strada, passati pochi minuti dopo aver imboccato il Ponte di Rialto, verrà raggiunto da un vociare e affacciandosi alla balustra, vedrà in acqua una gondola dalla quale un robusto barcaiolo stava tirando su il corpo di una donna annegata, riconoscerà dagli abiti indossati dalla ragazza che gli ha appena consegnato lo smeraldo e riuscirà a sentire il gondoliere gridare sconvolto: «Maria Vergine, le hanno tagliato la gola».
Ma la storia veneziana di Vanzina non si limiterà a far da teatro a un unico delitto.
Dopo una lunga notte insonne o quasi, passata rigirandosi tra le coltri del suo letto, Jean de Briac si recherà alla locanda Alle due spade. Là incontrerà e conoscerà, anche carnalmente, Ginevra Trevisan, la fascinosa, sensuale femme fatale e, cavallerescamente finirà da lei compromesso in un diabolico e misterioso intrigo, destinato a coinvolgere sbirri, signori e non, alti prelati, e persino artisti come Tiepolo, addirittura alcuni tra i potenti d’ Europa e con loro l’intrigante e famosissimo, forse il più celebre veneziano tra tutti: il cavalier Giacomo Casanova.
A ben vedere tutta la trama gravita intorno al misterioso smeraldo del sacchetto, e non spoileremo certo dicendovi cosa sarà della misteriosa e fulgente pietra dal valore incalcolabile .
Ciò nondimeno il fulcro portante della storia è lei e resterà solo lei, la seducente locandiera Ginevra Trevisan. Lei che, avvalendosi del suo irresistibile fascino saprà condurre doppi, triplici e quadruplici giochi, manovrando abilmente con il sesso e confrontandosi senza scrupoli con uomini influenti, unanimemente riveriti ma sempre da lei ridotti a succubi delle sue grazie. Con il sesso, usato come utile strumento per raggiungere il potere, e quel sesso a cui nessuno dimostra di saper resistere. Succede anche al giorno d’oggi? Che dire? Certo è che niente cambia su questa terra e certamente non certe fragilità della natura umana.
Con per scenario la Venezia di Carlo Goldoni, quella per intendersi con le sue magiche calli, con le acque torbide dei canali solcate dalle nere gondole, con la folla chiassosa che popola le sue giornate e con le brutte soprese di certi movimentati scorci notturni. Un’irrinunciabile Venezia che anche stavolta riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista. Una città da sempre senza tempo e fuori dal tempo, a fare da cornice a una storia ambientata nel secondo Settecento. Una storia che si dilata e scivola via lontano, veloce come cavalli e carrozze che percorrono avanti e indietro la campagna veneta (portandosi a Mestre e poi nel vicentino fino a raggiungere il trevigiano per un funambolico succedersi di avventurosi colpi di scena).
Un libro che ancora una volta ci dimostra le capacità e l’eclettico e straordinario talento del narrare di Enrico Vanzina.

Enrico Vanzina è figlio del grande regista Steno, uno dei fondatori della commedia italiana. Nel 1976 ha iniziato a scrivere sceneggiature e da allora ha collaborato con i maggiori esponenti del nostro cinema. Nel corso degli ultimi quarant’anni ha firmato, insieme al fratello Carlo, alcuni dei più grandi successi al botteghino italiano. Ha realizzato anche moltissime fiction televisive. Ma il cinema e la tv non sono la sua unica occupazione. Ha collaborato con il Corriere della Sera e scrive come editorialista su Il Messaggero. Ha pubblicato diversi libri, tra cui i recenti La sera a Roma (Mondadori, 2018) e, con HarperCollins, Mio fratello Carlo (2019), Una giornata di nebbia a Milano (2021), Diario diurno (2022). Ha vinto, in tutti questi ambiti, numerosi premi tra cui il Nastro d’argento, la Grolla d’oro, il Premio De Sica, il Premio Biagio Agnes, il Premio Flaiano e il Premio Casinò di Sanremo – Antonio Semeria.

Source: libro del recensore.

:: Favola per rinnegati di Alessandro Bongiorni (Mondadori 2023) a cura di Patrizia Debicke

17 febbraio 2023

Per il Giallo Mondadori, Alessandro Bongiorni ci offre un altro intenso ed espressivo romanzo poliziesco dai toni noir, agganciato alla più oscura cronaca criminale quotidiana.
Dopo sette anni di assenza (nel 2018 ha scritto invece un romanzo con il sequestro Moro per scenario) riporta in libreria con Favola per rinnegati il suo protagonista Rudy Carrera, vicecommissario alla questura milanese e un poliziotto fatto a modo suo.
Un Rudy Carrera che avrebbe potuto fare carriera, se solo ogni tanto fosse stato capace di tacere, di accettare qualche compromesso, di seguire le indagini “giuste”. Ma non sarebbe stato cosa da lui…
Per anni infatti pur nell’amarezza della routine e della frustrazione, ha fatto di testa sua seguendo caparbiamente la sua strada e accettandone il prezzo da pagare , con l’aiuto dell’ whisky, sempre e solo inesorabilmente JB è riuscito a galleggiare nella giungla d’asfalto milanese, barcamenandosi tra i fantasmi del passato, l’ostilità dei propri superiori e ormai la mancanza di una vera vita sentimentale.
Inizio novembre e una serata molto fredda per la stagione. Piazza San Marco il cuore di Brera sarà là che un ragazzo, vent’anni circa, con in mano un Kalashnikov, sceso da una Ford Ka viola con a bordo un altro ragazzo, aprirà ferocemente il fuoco davanti a un locale alla moda di Milano, il Bicèr de Vin, uccidendo otto persone a due passi dalla chiesa e lasciando a terra un numero imprecisato di feriti. Da quel momento tutta la zona e il centro vengono imprigionati da una terrificante atmosfera da incubo.
Dopo la strage l’assassino risalirà velocemente in macchina lanciandola su strada, a tutto gas. Richiamati da Achilli ( detto Pelide) che passava la serata in una locale poco lontano , arrivando , di corsa a piedi a Piazza San Marco, arriveranno in prima linea anche la Esposito e il vice questore Rudi Carrera, insomma praticamente tutta la squadra… La scena è da paura. Ovunque sangue, morte e desolazione . Nel frattempo l’assassino imboccati i viali, dopo una brutta sbandata, andato a sbattere contro un palo della luce e sbalzato per l’urto con violenza fuori dall’abitacolo, morirà sfracellato, incastrato in una cancellata del Parco Sempione. Il sopraggiungere di volanti e civette dei carabinieri, tutte a caccia della Ka viola, permetterà di estrarre dall’auto in fiamme, il ragazzo che era seduto accanto a lui , il passeggero ancora vivo.
Il massacro per le crudeli modalità attuative rimanderebbe all’attentato parigino, organizzato nel Bataclan.
Alla macabra conta finale, il numero delle vittime sarà di otto morti: sette donne e un uomo e dieci feriti: otto donne e due uomini e quella carneficina verrà subito strillata dai media e definita come: la strage delle donne . Secondo tutti i testimoni superstiti dell’accaduto, l’unico a sparare è stato il conducente della Ka e anche l’esame dello stub, fatto sul ferito in ospedale, scagionerà il passeggero e complice sopravvissuto e ricoverato in rianimazione.
Si dovrebbe pensare all’Isis? Seguire la Pista islamica? E magari lasciare subito libero spazio ai servizi segreti?
I due ragazzi che viaggiavano sulla Ka però sono italiani e incensurati.
L’indagine pertanto viene provvisoriamente affidata al vicecommissario Rudi Carrera e alla sua squadra.
Carrera, sarà costretto fin dall’inizio a confrontarsi con ingannevoli false piste a vuoto e pressanti richieste di rapide soluzioni di comodo, che gli vengono richieste dall’alto con per parola d’ordine: darsi una mossa e sbrigarsi a risolvere il caso. Ma Carrera che sente puzza di bruciato, non ci sta. Ha già capito che se vuole davvero sbrogliare quella bruttissima storia deve partire dall’arma utilizzata per la strage, non dalle presunte motivazioni del folle gesto, tipo implicazioni politiche e religiose, ma proprio solo dall’arma. Bisogna capire da dove arriva quel Kalashnikov in mano all’assassino. Cosa c’è dietro e come e perché due ragazzi timidi neanche ventenni, siano riusciti ad avere a disposizione un micidiale fucile d’assalto, in perfetto ordine ma con la matricola abrasa?
E mentre anche i servizi segreti scendono pesantemente in campo, Carrera con l’innato fiuto che anche i più accesi detrattori gli riconoscono e l’accanimento di chi si sente ai limiti dell’autodistruzione, si impegna e ci mette addirittura la faccia. E sapendo di non avere niente da perdere, riuscirà con la sua testardaggine a scavare nei punti più oscuri ma nevralgici di una società sfrenata e senza scrupoli, arrivando a mettere insieme tutte le fila di chi opera proficuamente nell’ombra senza scrupoli né remore e a scoprire diramazioni e anomalie addirittura inconcepibili. L’indagine lo porterà a confrontarsi con incredibili distorsioni sociali che spaventano, ma lo costringerà anche a muoversi sulla scena al convulso ritmo di una avventurosa pellicola mistery/spystory. Una filmografia ben rappresentata da Clint Estwood al cinema sempre insuperabile cow-boy e poliziotto.
Sue poche occasioni di relax, forse. qualche passeggiata di sera nella vecchissima Milano, impregnata di romanità , o meglio con ancora il marchio di capitale di un impero, l’amicizia e il confronto con la saggezza di Raimondo, barbone per scelta, la sua squadra sempre al suo fianco in ogni e qualunque condizione dunque una spinta a insistere e continuare. Ma sempre con quel vuoto, quel mugugno dentro che continua a mordere implacabile e il lancinante senso mancanza di qualcosa ormai chiusa e perduta.
Ormai un dannato, senza via d’uscita? O invece da una qualche parte potrebbe ancora esistere una buona favola, ritagliata apposta per lui?

Alessandro Bongiorni, nato a Milano nel 1985, è laureato in Scienze e Tecnologie della Comunicazione presso l’università IULM. Ha conseguito anche la laurea magistrale in Televisione, Cinema e New Media, con una tesi su Elmore Leonard. Dal 2008 è giornalista pubblicista e negli ultimi anni ha svolto diversi lavori nel campo dei media. Una voce del panorama giallo noir italiano.

Source: libro del recensore.

:: La vita paga il sabato di Davide Longo (Einaudi 2022) di Patrizia Debicke

15 febbraio 2023

Torino le cinque e ventisei, l’alba. Il commissario Vincenzo Arcadipane, già protagonista dei precedenti romanzi di Longo, tutti da leggere se non l’avete ancora fatto, viene svegliato dal suo vice Pedrelli.
A Clot, borgo sperduto nel cuneese quasi ai confini con la Francia, un uomo è stato trovato morto nella sua Jaguar. Una telefonata anonima dopo le 23 ha segnalato luogo e delitto e poco dopo la macchina con al volante il cadavere è stata avvistata dai carabinieri abbandonata in una radura.
Roba da prendere con le pinze, perché pare sia una faccenda che scotta, è fuori sede, non sarebbe di sua competenza ma il dirigente generale ha richiesto la sua presenza e se vuole saperne di più deve darsi una mossa e recarsi in loco…
Apprenderà subito dopo l’ arrivo a Clot , “un grumo di case più vecchie che antiche” vegliato a monte da una mastodontica diga, che devono raggiungere Gias Vej e la chiesa con il cimitero. La vittima, che secondo il medico legale Sarace, è stata strangolata con del vecchio filo elettrico tipo piattina, era Terenzio Fuci, ottantasette anni, residente in via del Babuino a Roma, titolare della casa di produzione cinematografica Veronica Film, fratello del politico Amilcare Fuci, eminenza grigia della Democrazia cristiana fino alla morte nel 1988 e tuttora molto ben ammanigliato con il Vaticano. La moglie, arrivata a Clot con lui, è Vera Ladich un’ex famosissima attrice che aveva fatto innamorare un’intera generazione, ribattezzata allora da Godard : Mademoiselle le look, invece è scomparsa. Morta anche lei? Ferita, sperduta per i boschi ? O forse rapita?
Ma allora l’ipotesi più probabile sarebbe che sia stata rapita dall’assassino. Bisogna dare il via tutto intorno a ricerche a tappeto e magari cercare di capire meglio perché marito e moglie erano venuti a Clot? Intanto avevano prenotato tutte le stanze dell’unico albergo del paese. Perché? Amore della privacy? Tanto per cominciare Arcadipane appurerà che Clot era il paese d’origine di Vera Ladich (all’anagrafe Anna Mattalia ), dove aveva conosciuto e sposato Fuci.
Con l’inchiesta tutta sulle sue spalle, il commissario Arcadipane per tentare di venire a capo di un rebus da paura deve trasferirsi temporaneamente a Clot, tra gente chiusa, cauta e ruvida, la cui esistenza e sopravvivenza paiono indissolubilmente legate all’enorme diga che circonda la valle, stringendola come un cappio.
Arcadipane, con in più il carico di Trepet, il suo cane a tre zampe, non riuscendo a trovare in fretta il bandolo della matassa, dovrà chiedere aiuto al vecchio amico, mentore ed ex capo Corso Bramard e all’indisciplinata ma indispensabile agente Isa Mancini, nessuno dei due al massimo di forma perché coinvolti in problemi personali di salute.
Ma le brutte sorprese non sono finite perché si scoprirà che anche di un’altra donna, coetanea della Ladich, anch’essa di Clot, si sono prese le tracce…
Non sarà una passeggiata arrivare alla verità, nascosta tra le pieghe di segreti antichi e di nuovi egoismi protetti da poteri apparentemente inviolabili. Si dovrà riuscire a scavare a fondo, districando una fitta trama tessuta a piú mani.
La vita paga il sabato, edito da Einaudi, è il quarto libro che vede come protagonisti il Commissario Arcadipane e il suo ex capo Corso Bramard. La coppia, collaudata e perfettamente caratterizzata da Davide Longo, questa volta allarga i propri orizzonti territoriali e umani. La Torino di Arcadipane, dolce e amara come i sucai (caramelle gommose con liquerizia), sua insopprimibile droga, stavolta lascia il posto alla rustica diffidenza della montagna piemontese, aspra e poco incline all’utilizzo della parola, cadenzata da propri ritmi, soprattutto se composta da borghi e paesi molto piccoli dove e spesso i cognomi sono tutti uguali. Dove come secondo un ancestrale codice le difficoltà o i problemi si risolvono insieme nella pubblica piazza e tutti sanno tutto degli altri ma l’omertà è d’obbligo.
E tuttavia pian piano, Archidipane, costretto a spingersi fino a Roma e a calarsi nella dissolutezza del caos capitolino, riuscirà a decifrare particolari e fatti precisi con radici nel passato , ispirati da personaggi pubblici reali.
Intrigo e mistero. Un contesto realistico, per la nuova avventura di Archidipane ma, e si sarebbe dovuto capire subito dall’ambientazione nello sperduto comune di Clot, contrariamente alle apparenze, non reale.
Clot non esiste, così come non esiste il vicino comune di Assiglio, Sì, certo, esistono due frazioni Clot, rispettivamente nei comuni di Inversa Pinasca e di Perrero, in provincia di Torino ma non sono quelle descritte da Longo.
Anche la chiesa di Clot, quella del romanzo e il suo ciclo di affreschi cinquecenteschi nella realtà non esistono o forse sì, ma in un diverso contesto. Longo scrive: sulla facciata sono disposti “piccoli volti in rilievo dagli occhi ciechi” e, sul lato della chiesa, “due volti, un animale a quattro zampe, un albero e uno stemma”. Chiesa della fantasia quella della Clot di Longo mentre è reale la chiesa di Santa Maria Assunta a Elva, in Valle Maira con i suoi bassorilievi e il suo interno affrescato dal pittore fiammingo Hans Clemer. Ma non con tutti gli elementi descritti da Longo in La vita paga il sabato . Altri però paiono collegare la finzione di Clot alla realtà di Elva.
Hans Clemer fu attivo nel Cuneese negli stessi anni in cui sarebbe stata affrescata la chiesa di Clot, “fiammingo” e reduce dalla Francia come Johannes Van Drift nel romanzo, e viene chiamato il Maestro di Elva, così come Johannes è il Maestro di Clot. Inoltre, sia a Elva che a Clot, sotto gli affreschi compaiono delle scritte. Possibile che Longo vi abbia tratto ispirazione anche per i versi in langue d’oc?
E anche a Elva, come a Clot, i personaggi locali hanno “strani” cognomi come Dao, Claro, Mattalia, Lunel, Dro.. L’identificazione di Clemer , negli anni Settanta del secolo scorso, come l’anonimo Maestro d’Elva, è stata confermata da un documento contabile del 1494 in cui i membri del comune di Revello (Cn) lo cercano per commissionargli un retablo. La sua attività in zona si colloca tra questa data e la morte, avvenuta attorno al 1511. Il ciclo per la parrocchiale di Elva con la Crocefissione e storie della Vergine è databile agli anni attorno al 1500.
Viene da qui la felice creazione di un pittore mai esistito dal nome Johannes Van Drift, ispirato da un vero Clemer che si dice anche fosse di origine piccarda? Attribuendogli, attraverso le memorie dell’allievo del Maestro di Clot, la leggenda del contenuto maledetto del ciclo di affreschi.
Iconografia straordinaria che coinvolge e colpisce Bramard spingendolo ad approfondire ogni particolare con Isa Mancini.
Niente è caso. Il romanzo di Longo, ambientato in un paesaggio montano dove il clima e le scabrosità del territorio hanno plasmato gente chiusa, solitaria, porta il lettore a non distinguere la finzione dalla realtà. Certo è un mixer geniale quello di tre personaggi tanto diversi ma perfettamente funzionali alla trama come Bramard, Arcadipane e Mancini: Arcadipane, tozzo, sanguigno, con un’intelligenza pratica, “umana”; Bramard, osservatore acuto, riservato e con un’intelligenza ricercata; Mancini, “brigantessa”, solida, sostanziale e con un’intelligenza intuitiva. Bramard, l’ex commissario, che sembra sempre voler sfidare la morte, e invece ha quel lampo di genio che lo tiene sempre più ancorato alla vita. Arcadipane, prima suo collega, ora colui che ha preso il suo posto di commissario di polizia, è un uomo che, vuoi per il lavoro, vuoi per la sua incertezza, si è fatto sfuggire la famiglia, i figli, la moglie di cui era distrattamente innamorato. Ora ha Ariel, psicoterepeuta, forse la cosa migliore che gli poteva capitare, e nell’inchiesta a fianco anche stavolta Isa, poliziotta determinata, iper tecnologica, con un passato problematico ma, in realtà, perfetto elemento di connessione tra Bramard e Arcadipane.
Accumunati tuttavia dalla complice e basilare capacità di discernere dietro ogni orizzonte quanto serve: per arrivare alla scoperta che per tutti, o quasi, la vita paga il sabato.

Davide Longo è uno scrittore italiano nato a Carmagnola, che vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. Tiene corsi di formazione per gli insegnanti su come utilizzare le tecniche narrative nelle scuole di ogni grado. Tra i suoi romanzi ricordiamo, Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos, 2001), Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos 2004), L’uomo verticale (Fandango, 2010), Maestro Utrecht (NN 2016), Ballata di un amore italiano (Feltrinelli 2011). Nel 2014 ha scritto il primo romanzo della serie che ha come protagonisti Arcadipane-Bramard Il caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), cui è seguito il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi) e il terzo Una rabbia semplice (Einaudi 2021).

Source: libro del recensore.

:: Aperitivo all’arsenico di Dario Falleti (Fratelli Frilli 2023) di Patrizia Debicke

13 febbraio 2023

Il professor Corradi, docente universitario di chimica e scienziato di fama mondiale, è stato trovato morto nel suo appartamento per avvelenamento da arsenico. Ma non c’è traccia di lettera d’addio, niente suono di trombe o di campane. Era partito un giovedì notte senza far rumore e tutto attorno a lui gridava al suicidio, a partire dalla casa chiusa dall’interno e dalle serrature che non mostravano segni di scasso. E anche i primi riscontri investigativi paiono confermare quell’ipotesi. Ma perché si sarebbe suicidato?
La mancata assegnazione del premio Nobel potrebbe essere il motivo , ma tutti, colleghi, collaboratori, moglie separata con la quale ha sempre mantenuto rapporti civili , amici e conoscenti hanno già categoricamente escluso che Corradi ne avesse fatto un dramma o mostrasse sintomi di depressione. Più semplicemente non ci aveva contato davvero .
E anche altre possibili cause quali problemi economici, pene d’amore o malattie incurabili dai primi controlli risulteranno da bocciare in toto . Corradi viaggiava molto, si godeva i lucrosi frutti di contratti di consulenza con aziende , amministrava ricchi finanziamenti europei finalizzati alla ricerca, non si era mai fatto mancare la piacevolezza di amicizie femminili. Un quadro che non combacia certo con la voglia di suicidarsi. E infatti, secondo il commissario Negroni, (l’alcolico bevitore di whisky torbato, fumatore di toscano e raffinata forchetta, eroe e protagonista degli altri libri di Falleti), in quella morte c’è qualcosa che non convince. Primo particolare intanto la finestra spalancata nonostante il gelo notturno, secondo, e di peso, perché diavolo Corradi avrebbe scelto di ammazzarsi con l’arsenico, il più classico veleno da topi. E farlo addirittura ingoiandone una dose esagerata che per di più provoca atroci dolori e peggio. Costringendo il morituro, che so, a piegarsi in due, a contorcersi, mentre invece eccolo là: rilassato comodamente sdraiato in poltrona come una persona che dorme? Gatta ci cova.
Insomma secondo il commissario Negroni, c’è ben più di qualche particolare che non quadra e se si vuole dare per acquisita l’ipotesi del suicidio non resta che sollecitare un completo esame tossicologico sul defunto.
E anche se il magistrato che, preoccupato dalla cassa di risonanza dei media, non sogna altro di arrivare a chiudere l’inchiesta e nicchia, finalmente gliela darà vinta. E l’esame tossicologico deluciderà come prima cosa che il “suicida” Corradi oltre all’arsenico ha ingoiato una dose da cavallo di benzedrina in grado solo quella di spedirlo all’altro mondo. Faccenda indubbiamente molto, ma molto sospetta, ragion per cui l’ipotesi suicidio va a farsi benedire.
Ma quando un giovane giornalista free lance, anche lui dubbioso sul suicidio di Corradi , che nel frattempo aveva portato avanti una sua inchiesta, contattando Negroni e proponendogli addirittura di scambiarsi le informazioni, mentre attraversava sulle strisce pedonali è vittima di un incidente, investito da un auto pirata, rubata poche ore prima, Negroni, accende un toscano, drizza le antenne e si mette in caccia.
Scava, scava, comincia ad affiorare un complicato intreccio che vede in pista rivalità accademiche, intrighi e gelosie di amanti, ma anche complicati semifantascientifici brevetti industriali pericolosamente legati a grandi interessi economici di enormi aziende con basi anche in tutta Italia. Tante e ben ammanicate a ogni livello. Con l’indagine che si allarga pericolosamente tra Roma, Napoli e Monaco di Baviera, i morti aumentano a vista d’occhio. Ahinoi!
Ma pian piano alcune tessere del puzzle, anche per il prezioso supporto di un collega commissario tedesco ma per metà italiano, che ha ben coltivato ogni anno la lingua passando le vacanze nella campagna toscana, cominciano a incastrarsi : ma il prezioso manoscritto del professore sul quale lavorava da tempo non si trova.
Nello scenario sempre più ampio e farraginoso che vede coinvolte grandi lobby industriali strettamente legate a clan camorristici campani, le dimensioni dell’affare si dilatano in lungo e largo, compromettendo anche le teste di persone considerate insospettabili. Emergono qua e là ovunque tracce precise di favoreggiamenti e connivenze, di tradimenti e la tristezza di tanta morti ignorate o annegate nei velenosi gorghi di criminali sabbie mobili. Delitti che in qualche modo devono essere puniti con i colpevoli assicurati alla giustizia.
Con il manoscritto perduto ricomparso, gelosamente custodito in una chiavetta, bisogna ingegnarsi a spiegare l’omicidio suicidio di Corradi e trovare le prove concrete di tutte le macchinazioni orchestrate con il suo autorevole avallo ma, anche se sporcizia è ben tutelata dall’omertà, il commissario Negroni non si arrende e, seguendo la labile traccia rimasta, riesce a decifrare la macchinazione di unapremeditata, duplice vendetta.
E non solo poi, perché a conti fatti visto che tutto era collegato, diventa persino quasi un gioco da ragazzi infilare un’ardita trappola nel perverso ingranaggio di alterazione e bloccare finalmente il diabolico traffico internazionale.

Dario Falleti è nato a Roma nel novembre 1954 ed è laureato in chimica. Il romanzo d’esordio, La virtù del cerchio, prima avventura del commissario Negroni, è stato finalista al Premio Azzeccagarbugli 2008 e ha vinto il Premio Raffaele Crovi per la migliore opera prima. La seconda avventura del commissario Negroni, Le regole dell’anagramma (Hobby & Work), una spy story con prefazione di Luca Crovi, è stata pubblicata nel 2010. Nel 2011, il racconto I Macellai di Montevideo ha contribuito all’antologia garibaldina Camicie rosse, storie nere (Hobby & Work). Altri racconti sono comparsi in e-book e antologie. Aperitivo all’arsenico a Roma è stato finalista al premio Tedeschi 2018.

Source: libro del recensore.

:: Eredità colpevole di Diego Zandel (Voland 2023) di Patrizia Debicke

11 febbraio 2023

Roma, anni 2000. Il giudice La Spina viene freddato davanti al portone di casa con cinque colpi di pistola, l’ultimo, fatale, alla nuca. A rivendicare l’attentato un sedicente gruppo di estrema destra, Falange Nera, che con un comunicato alla stampa accusa il giudice di essere stato complice e responsabile dell’assoluzione dell’infoibatore Josip Strčić.
Diego Zandel ho scelto per immedesimarsi meglio nel suo nuovo romanzo/fiction di prestare all’autobiografia del protagonista il vero tracciato della sua vita , dove e come lui è nato, la personalità dei suoi genitori, di sua nonna che l’ha cresciuto, insomma tutti i suoi veri ricordi. Ha cucito infatti addosso i suoi panni a Guido Lednaz, giornalista e scrittore, che descrive come lui figlio di profughi fiumani, per sopravvivere partiti abbandonando tutto dietro di sé, nato a Fermo mentre la famiglia sopravviveva nel campo profughi di Servigliano nella Marche per poi passare al Villaggio Giuliano Dalmata di Roma ex Villaggio E42. Non solo, per meglio completare la sua finzione gli presta, in toto e con generosità oltre al suo vissuto, la carriera letteraria, per poi regalare al suo ideale gemello un’avvincente avvventura, un giallo d’indagine neppure tanto velatamente mascherato da spy story giallo noir .
Quindi Guido Lednaz alter ego dell’autore, fin dall’inizio emotivamente coinvolto vuole solo approfondire le circostanze e le motivazioni dell’omicidio del giudice La Spina, prima crivellato per strada a pistolettate per poi essere finito con un colpo alla nuca da un motociclista, un irriconoscibile centauro in tuta e casco integrale in sella a una moto da cross. . Unici testimoni la moglie affacciata alla finestra e un commerciante che stava alzando la serranda del suo negozio. Brutale omicidio che verrà rivendicato con una lettera al Quotidiano la Repubblica da un fantomatico gruppo di estrema destra “Falange nera” adducendo la motivazione: complicità del magistrato con gli infoibatori titini. “Onore ai martiri”. Colpa attribuita alla vittima: l’assoluzione per difetto di giurisdizione per il non luogo a procedere – in pratica un’assoluzione- nel processo intentato contro dell’imputato, il criminale di guerra titino Josip Strčić (personaggio liberamente ispirato a Oskar Piškulić, capo della polizia politica di Tito, reale autore degli eccidi nelle foibe).
Prima di lui il pubblico ministero era stato addirittura sollevato dall’incarico.
C’era qualcosa? Cosa? Dietro la determinazione di insabbiare il tutto, di non consegnare un criminale alla giustizia?
Così prende il via l’ardita fiction, basata per altro su puntelli ben documentati che, seguendo varie piste e rintracciando meticolosamente alcune delle tante figure di una lontano passato ci costringe a ripercorrere una delle pagine tanto misconosciute quanto sanguinose della storia del Novecento, legate sia alle atrocità della Seconda guerra mondiale che al successivo esodo di un intero popolo, quello istriano.
Un’avvincente indagine dalle tenebrose tinte noir, una lunga minuziosa e rischiosa investigazione, che finirà per tramutarsi in un sofferto e frammentario viaggio verso una tremenda conclusione , condotta faticosamente tra Roma e Trieste pur con l’indiretto ma fattivo apporto delle forze dell’ordine (non è il primo delitto del fantomatico centauro che ha già colpito, ma non c’è il via libera per scavare di più ), di un inviato speciale in caccia di indizi, tracce, documenti sepolti in polverosi archivi semidimenticati per arrivare a volti e nomi.
Seguendo variegate piste esplorative, senza lasciarsi fuorviare, riprendendo contatto con alcune figure del suo passato, in grado di offrire indizi, fornire prime spiegazioni e proporre altre complicate piste da seguire, Lednaz dovrà ripercorrere una delle pagine più sanguinose della storia, cercare di scardinare la quasi inviolabile cassaforte del resoconto delle peggiori atrocità della Seconda guerra mondiale nei confronti di essere umani innocenti e il conseguente esodo di un intero popolo che viveva sereno e ha dovuto rinunciare per sempre alle proprie radici.
Un’avvincente indagine dalle tenebrose tinte noir, anche insozzate da un’insanabile forma di razzismo e atroce disumanità, condotta tra Roma e Trieste, che porterà il protagonista a raggiungere una drammatica verità.
Un’indagine dura, molto dura e rischiosa anche per chi gli sta vicino, ma Guido Lednaz non si lascerà fermare dai consigli o dalle minacce. Una difficile e ingarbugliata inchiesta che tuttavia alla fine gli consentirà di rialzare quei veli calati a tombale copertura di una storia, arrivando al nocciolo di una triste e tragica e crudele realtà, nata, provocata, , mai dimenticata e soprattutto tenacemente coltivata fino alla vendetta.

Diego Zandel, figlio di esuli fiumani, è nato nel campo profughi di Servigliano nel 1948. Ha all’attivo una ventina di romanzi, tra i quali Massacro per un presidente (Mondadori 1981), Una storia istriana (Rusconi 1987), I confini dell’odio (Aragno 2002, Gammarò 2022), Il fratello greco (Hacca 2010), I testimoni muti (Mursia 2011). Esperto di Balcani, è anche uno degli autori del docufilm Hotel Sarajevo, prodotto da Clipper Media e Rai Cinema (2022).

Source: libro del rcensore.

:: È così che si muore di Giuliano Pasini (Piemme 2023) a cura di Patrizia Debicke

7 febbraio 2023

Quando tutto il resto pare inaccettabile, l’unica salvezza potrebbe essere la certezza di un porto sicuro. Perché la solitudine è forse la vera condanna del principale protagonista dei romanzi di Pasini, il commissario Roberto Serra che crede di non aver più un posto dove ritrovare la sua pace. Aveva sperato perciò che, tornando dieci anni dopo a Case Rosse, paesino arroccato sull’Appennino dove la sua storia e la sua dannazione, erano ricominciate gli potesse servire. Proprio a Case Rosse, il borgo di mille anime arroccato sull’Appennino emiliano dove nel 1995 aveva trovato per la prima volta rifugio per fuggire da quelle indagini e da quegli omicidi che a Roma lo stavano distruggendo. Ma la notte di Capodanno , il 1 gennaio 1995, quando il suo pur fragile equilibrio pareva faticosamente riconquistato, aveva dovuto affrontare uno dei crimini più brutali della sua carriera. Uno spaventoso delitto commesso durante la notte in alto, al Prà grand, con due adulti e una bambina uccisi senza pietà. Un’ orribile rappresaglia che riconduceva alla sofferenza e all’orrore vissuti 50 anni prima in quel luogo, con il massacro commesso nel ‘45 dalle SS in ritirata e dai loro alleati repubblichini, decisi a far terra bruciata attorno a loro. L’inchiesta che l’aveva ghermito, l’aveva catapultato nell’inferno di un passato che pareva dimenticato e invece era ancora marchiato a fuoco nella memoria degli abitanti. E quell’ inferno era tornato a presentare il conto offendo spazio alla danza. Un dono o una maledizione?
Insomma aveva indelebilmente segnato anche lui. Il ritrovato rapporto con Alice, unico insicuro lumicino, appeso a nuove piccole sicurezze, pian piano si era fatto traballante. La sua vita, la sua non-malattia che era parte di lui, le sue fughe continue, che si accumulavano una sull’altra lasciando cicatrici, erano tutte intrecciate con il suo nome : Alice. Non era servito il suo trasferimento a Treviso come capo ufficio immigrazione e neppure il suo rifugiarsi a Termine , il paesino di vigne. Non gli avevano impedito di scontrarsi di nuovo e ferocemente con l’aberrazione del male. E neppure il ritorno a Bologna e la nascita di Silvia mentre era ancora sospeso dal servizio, l’avevano reso più sicuro.
Silvia era una bambina speciale, per certi aspetti, ma così forse come era speciale lui. E poco dopo il dottor Gardini, il medico che per tanti anni aveva tentato di trovare una spiegazione e curare la paurosa sindrome del commissario, era stato assassinato laggiù nella bassa, terra cara alla prosa di Guareschi, poco lontana dalle Reggia di Colorno. Anche senza l’appoggio della divisa si era sentito costretto ad andare. A far parte del ventaglio di detectives riuniti per uno strano e inesplicabile delitto: Massimo Minimo, comandante in capo del Ris, Mixielutzi capo della squadra mobile di Treviso in ferie e nume tutelare di Roberto Serra, commissario sospeso.
Poi però, tornato in servizio con encomio, la sua volontaria scelta di allontanarsi. Perchè? Inquietudine? Vigliaccheria?
Ha chiesto lui infatti tre anni prima di essere assegnato di nuovo a quel minuscolo commissariato di montagna. L’ha fatto perché forse lassù sperava di riuscire a chiudere con i fantasmi che l’ossessionavano e magari farcela a controllare in qualche modo la sua sindrome e la sua vita? Cosa tutt’altro che semplice. E fare il pieno di alcol di notte e poi correre come un pazzo chilometri su chilometri ogni mattina per sputare il veleno, non è la migliore scelta. Intanto il suo rapporto con Alice si sta avviando alla definitiva chiusura, lei ha ripreso la studio del padre, sta per sposarsi con un ricco coetaneo bolognese. Mentre lui annaspa inutilmente pare e la forzata e dolorosa separazione da Silvia, sua figlia, non aiuta.
Poi a maggio, in un giorno che sembra scorrere inutile , senza sorprese come tutti gli altri: la chiamata del vicesindaco con la richiesta di correre nella frazione di Ca’ di Sotto per un incendio che sta divorando una cascina. Una cascina dove abitano un uomo e la sua compagna.
Roberto Serra e l’agente scelta Rubina Tonelli, una romagnola dai capelli rossi giovane e stizzosa, mandata lassù, a Case Rosse, a scontare una punizione, devono raggiungere subito il posto sulla trentenne ma funzionante Campagnola del commissariato. I pompieri, chiamati per primi e già all’opera , stanno usando la schiuma per controllare il fuoco, ma la stalla con le bestie è già andata, solo una scrofa mezza arrostita è uscita ancora viva dalle fiamme. Tra i primi ad accorrere, per tentare di fare qualcosa, è stato Rigo Bagnaroli, il fratello maggiore di Burdigon, ex pugile , un omone di un metro e novanta che si è fatto medicare dai sanitari le ustioni per aver tentato invano di entrare.
Quando divorato dalle fiamme crollerà il tetto, il corpo di Eros Bagnaroli, detto il Burdigòn, lo scarafaggio, semi carbonizzato verrà estratto dai vigili del fuoco da quanto resta della casa, ma quando, su richiesta del dottor Cherubini medico condotto, il capo dei pompieri e uno dei suoi riusciranno a girarlo, apparirà lampante che la causa della morte non è stata l’incendio. Al Burdigon hanno tagliato la gola. Per fortuna il suo sarà l’unico cadavere ritrovato nella cascina perché la sua compagna, scesa poco prima con il motorino in paese, li ha raggiunti e sta piangendo disperata.
Il comandante dei vigili decreterà subito che secondo lui l’incendio è doloso e, per innescarlo , ritiene sia stata usata della miscela agricola.
Quando poi ormai sta per scendere la sera, ci sarà l’arrivo sulla scena del delitto, di una squadra di carabinieri del Ris e di una di poliziotti della questura di Modena, con al comando Vito Corazza, gigantesco e dimenticato amico d’infanzia di Roberto Serra e capo della squadra mobile. Arrivo quasi in contemporanea simile a una carica di cavalleria, provocato dalla telefonata del Commissario di Case Rosse a Massimo Minimo, generale comandante del Ris, erre moscia, quando parla, quasi sosia di Clint Estwood e ancora suo nume tutelare. Telefonata al di fuori dalle procedure che Serra ha fatto appena si è reso conto di trovarsi davanti a un omicidio.
Liquidati rapidamente dal collega di Modena, Roberto Serra e Rubina Tonelli credono di essere ormai tagliati fuori dal caso ma…
Il generale Minimo non la pensa così, ha passato la notte sul cadavere di Bagnaroli e decreta scannamento. Insomma qualcuno ha ammazzato il Burdigon come un maiale. Poi, visto che si è scomodato a fare tutto quel lavoro solo perché Serra gliel’ha chiesto, il giudice istruttore assegnerà l’inchiesta a lui e a Corazza.
Dopo dieci anni Serra ha un nuovo efferato delitto commesso a Case Rosse su cui deve indagare. Ma la gente del paese non collabora e lui si sente ingabbiato in un nuovo e insondabile muro di omertà, mentre la Danza, la sua complice e condanna, ricompare all’improvviso sempre pronta ad attaccare a tradimento… Con la falce della morte è già alzata per colpire ancora. Questa volta, però, Serra dovrà fare i conti anche sulla presenza della vivace, prepotente ma vulnerabile Rubina Tonelli, che, quanto lui, è costretta a confrontarsi con traumatici fantasmi. Un’improbabile aiutante ma forse per tutti e due arrivare a scoprire la verità potrebbe diventare il modo per darsi una meta, oppure farcela a superare le proprie dolorose ferite e in un certo qual senso persino pensare a sanarle. Chissà?
Un’indagine del commissario Roberto Serra e dell’agente scelto Rubina Tonelli, molto intensa e coinvolgente, con l’irrinunciabile scenario di un tempestoso Appennino primaverile. Un’ indagine poi che, lasciando alla fine una serie di interrogativi in sospeso, apre la strada a potenziali futuri sviluppi narrativi. Torneranno entrambi in scena? Leggeremo ancora di loro? Perché no?
Qualche commento: impossibile per me non citare il generale Minimo che definisce con malizia i poliziotti : figli illegittimi di Sherlock Holmes. E Ariston il ricchissimo, generoso ma forse inguaribile pasticcione padre di Rubina. Solo tenera e rassicurante invece la Nives coi suoi gatti, il suo sereno buon senso e le sue tagliatelle. E, a proposito di tagliatelle, per fortuna anche se ohimè molto più sfumato stavolta rispetto ai precedenti libri, con Serra e il suo creatore Pasini quando si mangia lo si fa e bene e Roberto Serra, quando trova la voglia di cucinare, resta sempre un mago ai fornelli.

Giuliano Pasini nato a Zocca, è un orgoglioso uomo d’Appennino che vive in pianura, a Treviso. Socio di Community, una delle più importanti società italiane che si occupano di reputazione, è presidente del Premio Letterario Massarosa e in giuria di altri concorsi italiani e internazionali. Il suo esordio, Venti corpi nella neve (ora Piemme), diventa subito un caso editoriale. Seguiranno Io sono lo straniero e Il fiume ti porta via (entrambi Mondadori), tutti con protagonista Roberto Serra, poliziotto anomalo e dotato di grande umanità, in perenne fuga da sé stesso e dal male che lo affligge. È così che si muore ne segna il ritorno a Case Rosse dieci anni dopo il primo romanzo.

Source: libro del recensore.

:: La biblioteca dei segreti di Bella Osborne (Newton Compton 2023) di Patrizia Debicke

6 febbraio 2023

Tom ha appena sedici anni ma sa da tempo che la vita può essere crudele e per evitare i problemi è meglio se si riesce a passare inosservati dai compagni, o meglio diventare invisibili. Frequenta senza grandi risultati la scuola superiore, anche se sognerebbe di riuscire ad andare all’università, ma è partito molto svantaggiato rispetto ai suoi coetanei . Sua madre è morta di parto quando lui aveva appena otto anni. Da quel momento ha vissuto male e da solo, con un padre che lavora di notte e beve troppo, sia probabilmente per affrontare il suo dolore che perché non riesce a garantirsi una vita migliore. Convivono infatti rincorrendo le bollette in una casa sudicia e maltenuta, mangiando cibi spazzatura e senza vedere mai nessuno. Una casa priva di ogni comodità, unico urlante emblema di modernità una vecchia televisione. Con i pochi spiccioli guadagnati, consegnando il giornali e racimolando tutti i suoi regali di Natale e compleanno, Tom era riuscito a comprarsi una console per giochi. Un oggetto costoso, che gli permetteva di giocare con amici sconosciuti, rallegrava le lunghe ore passate in casa e alleggeriva la sua solitudine.
Ma nessuno poteva impedirgli di sognare Farah, bellissima e gentile compagna di studi, che credeva fuori dalla sua portata, anzi addirittura già impegnata con uno dei ragazzi più prepotenti della classe. Ciò nondimeno, pur sentendosi inadeguato, avrebbe voluto almeno poter comunicare con lei e quel giorno, un sabato, nella speranza di scoprire un comune interesse, troverà il coraggio di entrare nella Biblioteca del paese. Il suo ingresso in realtà è un ritorno. Sua madre infatti amava molto leggere e prima della sua morte era andato tante volte con lei a prendere e riportare dei libri. E sarà proprio là nella Biblioteca, mentre fingendo che sia ancora viva, sta cercando dei romanzi del genere preferiti da lei, che attirerà l’attenzione di Maggie.
Maggie è una vivace vedova settantenne che gestisce da sola una piccola fattoria nel comprensorio dalle parti di Furrow Cross e arriva ogni sabato in biblioteca dove fa parte del circolo di lettura. E quel giorno sarà Tom ad accorrere in suo aiuto mentre viene scippata della borsa, appena uscita per ritornare a casa. Il ragazzo, in compenso, si beccherà un pugno e un occhio nero, però dopo essere stato medicato, le farà la gentilezza di prestarle il denaro per l’autobus e di accompagnarla fino alla fermata.
Ma al suo ritorno a casa suo padre, che ha bevuto troppo, dopo un pesante scontro verbale causato dal suo rifiuto di rinunciare a un’università e lavorare in una fabbrica di mangime per cani, prima gli ha sequestrato la console e poi, infuriato, gliela ha sfasciata irrimediabilmente.
A Tom non resterà che cominciare a leggere i libri che aveva preso in prestito in biblioteca…
Maggie da dieci anni, dalla morte del marito si dichiara autosufficiente. E infatti oltre a produrre ortaggi. frutta e legumi nella sua piccola e ben tenuta fattoria, alla periferia del villaggio, occupandosi anche di galline, pecore, agnelli e di un montone scontroso, continua a praticare lo yoga e a praticare l’autodifesa, frequenta regolarmente la Biblioteca cittadina, ma in realtà come Tom soffre di una tangibile mancanza di affetti e le pesa la solitudine.
Il fortuito incontro tra loro, due esseri umani, forse solo apparentemente molto diversi, provocato sia dalla curiosità di Maggie che dal generoso tentativo di aiuto di Tom, finirà con avvicinare e poi legare i loro due mondi: quello sofferto e doloroso di un timido adolescente e quello di una donna il cui passato nasconde la obbligata scelta di un grave segreto.
E non solo, il ragazzo le lascerà il suo numero di telefono in caso di bisogno. E, quando accadrà, riscopriranno insieme il quieto sapore di una normale vita familiare fatta di dare e avere e di come prendersi cura l’una dell’altro..
Mentre Maggie insegnerà a Tom a difendersi e a cercare il confronto con il padre, spiegandosi (e l’uomo si sforzerà di uscire dal suo buio sociale e interiore), Tom aiuterà Maggie a capire che gli errori commessi nel passato non dovranno per forza gravare per sempre sulle sue spalle.
Nascerà così spontaneamente l’improbabile ma vera e costruttiva amicizia tra un adolescente problematico e una settantenne un po’ fissata. Una bella e grande amicizia in grado di cambiare il corso delle loro vite e persino il loro futuro.
Due generazioni diverse. Due persone inconsuete che poi, quando la minaccia della chiusura della biblioteca per mancanza di fondi e progressivo calo di utenti si farà concreta e pericolosamente vicina, si uniranno con coraggio e spirito di iniziativa per salvarla, inventeranno occasioni di incontro, organizzeranno pubbliche manifestazioni e radunando attorno a loro tutto il paese e le frazioni vicine, provocheranno piano piano la partecipazione delle autorità e il coinvolgimento dei media. E un nutrito e indispensabile afflusso di volontari. Perché ognuno di loro deve poter dimostrare che la biblioteca non riguarda solo i libri: quel luogo è il cuore pulsante di cultura della loro comunità e deve sempre esistere e restare aperto, pronto ad accogliere tutti.

Bella Osborne è un’autrice inglese di romanzi di successo. Il suo libro d’esordio è stato finalista a prestigiosi premi, tra cui il Contemporary Romantic Novel of the Year. Osborne ha inoltre vinto il RNA Romantic Comedy Novel of the Year Award. Vive nelle Midlands, nel Regno Unito, con la sua famiglia. Per saperne di più: www.bellaosborne.com

Source: libro del recensore.

:: Un’intervista con Patrizia Debicke a cura di Giulietta Iannone

31 gennaio 2023

Oggi abbiamo il piacere di intervistare Patrizia Debicke, autrice del libro “Il segreto del calice fiammingo”(Ali Ribelli Edizioni) seconda classificata alla tredicesima edizione del Liberi di Scrivere Award.

Benvenuta Patrizia su Liberi di scrivere e grazie di cuore di aver accettato questa intervista. Innanzitutto complimenti per il suo secondo posto più che meritato al nostro Liberi di scrivere Award con il libro Il segreto del calice fiammingo. Davvero tanti lettori hanno votato per il tuo libro.

Tanti amici che ringrazio soprattutto perché sono stati abilissimi a giostrare sull’web.

Ho avuto il piacere di leggerlo ed è davvero un libro interessante, ricco di un profondo scavo storico, e soprattutto ben scritto. Ce ne vuoi parlare? Come è nata l’idea di scriverlo?

In realtà dal rivedere perfettamente restaurato dopo tanti anni il monumentale e magnifico polittico dell’Agnello mistico, opera di Jan van Eyck nella cattedrale di San Bavone a Gand, commissionato inizialmente dai coniugi Vjidi per la loro cappella funebre a Hubert van Eyck, fratello maggiore di Jan, e alla sua morte (il tutto era stata appena abbozzato) ripreso in mano, rivoluzionato e reso forse il suo massimo capolavoro da Jan van Eyck, emerito Maestro pittore di Philip le Bon, duca di Borgogna. Poi per fortuna di aver trovato dei pagamenti dell’epoca che mi indicavano che Jan van Eyck oltre che per dipingere veniva pagato e lautamente per speciali incarichi, molti basati sullo spionaggio . .. Avevo in mano abbastanza per cominciare…

Il romanzo ci racconta le congiure e gli intrighi nell’Europa del XV secolo, precisamente dal 1426 al 1446, con la Guerra del Cento anni che infuria contrapponendo Inghilterra e Francia, immagino ci hai messo anni per approfondire i tuoi studi e le tue ricerche storiche.

Visto poi che affrontavo con spavalderia un secolo molto importante, burrascoso e controverso della storia europea (Inghilterra , Francia, Borgogna, Fiandre, Paesi Bassi, Portogallo, Castiglia, Aragona, Regno di Napol, Stato della Chiesa, i vari stati e staterelli della penisola italica, Genova, Firenze, Venezia, Savoia, Ducato di Milano… ) per me tutto da approfondire , indubbiamente è stato il romanzo che ha richiesto più tempo e ricerche sia per ricostruire una corretta ambientazione, che per mettere insieme tutta la mole di dettagli e fatti storici avvenuti in quell’epoca da utilizzare come scenario. Dai tornei, alle cerimonie, dalle feroci battaglie navali ai complotti, ai repentini cambi di alleanze. Tregue cavallerescamente rispettate in mostruose guerre fratricide ecc. ecc. Anni sì!

Sullo sfondo il Calice, di agata corallina, impreziosito da incastonature d’oro e preziosi successive, dell’Ultima Cena di Nostro Signore Gesù, giunto fortunosamente nelle mani del re Alfonso di Aragona. Come hai seguito le sue tracce? Dove è conservato oggi? O è un oggetto puramente leggendario?


Detto il Santo Calice è stato usato da ben due pontefici. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, in occasione della loro visita pastorale. Lo splendido Calice di Valencia è composto da tre parti: la coppa superiore e il piatto inferiore in pietra e una parte centrale in metallo e pietre preziose. Secondo le prove svolte già molti anni fa dall’ archelogo Antonio Beltran e con l’aiuto di altri scienziati, la coppa superiore di agata è sicuramente risalente a un periodo tra un secolo prima di Cristo e un secolo dopo Cristo. Il piatto o coppa inferiore è invece di origine araba di circa tre secoli più giovane. La leggenda narra che la coppa superiore sia quella usata da Gesù Cristo nell’ultima cena e che, nel terzo secolo un diacono romano, il San Lorenzo della graticola, l’abbia portato con sé da Roma in Spagna a Huesca . Da Huesca poi per sfuggire all’invasione dei Mori, trovò rifugio sui Pirenei dove per secoli restò al sicuro nel monastero benedettino di San Juan de la Peña , fino a quando re Martino I convinse i monaci a donarglielo e in seguito come proprietà della corona di Aragona, fu portato a Valencia. Nel 1424 il re Alfonso V, il Magnanimo, spostò il reliquario nel Palazzo Reale ma dal 1437 fu affidato alla cattedrale di Valencia, dove è tuttora conservato e in esposizione.

Parlaci del tuo personaggio principale, Jan van Eyck , come è nato nella tua mente, come si è delineato per psicologia e carattere? Si discosta molto dal vero Jan van Eyck, come almeno ce lo tramandano i documenti?

Leggendo quanto si è scritto e detto di lui, della sua volontà e immane capacità lavorativa anche descritta nei documenti dell’epoca, diventava più facile creargli una personalità. Ho fatto del mio meglio.
Quindi penso che il mio Jan van Eyck non si discosti troppo da quello vero. Almeno non per quanto si sa della sua vita, della sua eccezionale duttilità come uomo e artista , della vita familiare e delle grandi e difficili imprese portate a termine agli ordini del suo committente. Naturalmente però per il resto ovverosia tante delle azzardate avventure che gli ho attribuito sono frutto della mia fantasia.

Sei considerata una delle autrici di romanzi e gialli storici più autorevoli nel panorama editoriale italiano. Ti aspettavi una carriera così felice quando hai iniziato a scrivere da “ragazza”?

Grazie le tue parole sono un vero balsamo per il mio cuore. Ma non so se la mia carriera possa considerarsi veramente felice. Diciamo che io sono molto felice di avere qualcuno che apprezza davvero il mio lavoro. Per me che ho cominciato a scrivere da “ragazza quasi sessantenne” non è stato poi così male.

Come è nato il suo amore per i libri e la scrittura?

Non è nato, c’è stato sempre. Che io ricordi ho cominciato a leggere piccolissima e non ho mai smesso. Poi ho provato a scrivere.

Infine, ringraziandoti della disponibilità, l’ultima domanda. Stai lavorando a un nuovo romanzo storico? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Intanto grazie a Liberi di scrivere per queste gradite domande molto stuzzicanti e per avermi concesso spazio e fiducia. Un nuovo romanzo? Ci sto provando. Sono a un bivio tra due soggetti che ho portato avanti a lungo ma ora a conti fatti non mi convincono davvero . Credo che dovrò cambiare strada. Troppe idee o forse troppo poco tempo a disposizione?