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:: La vita paga il sabato di Davide Longo (Einaudi 2022) di Patrizia Debicke

15 febbraio 2023

Torino le cinque e ventisei, l’alba. Il commissario Vincenzo Arcadipane, già protagonista dei precedenti romanzi di Longo, tutti da leggere se non l’avete ancora fatto, viene svegliato dal suo vice Pedrelli.
A Clot, borgo sperduto nel cuneese quasi ai confini con la Francia, un uomo è stato trovato morto nella sua Jaguar. Una telefonata anonima dopo le 23 ha segnalato luogo e delitto e poco dopo la macchina con al volante il cadavere è stata avvistata dai carabinieri abbandonata in una radura.
Roba da prendere con le pinze, perché pare sia una faccenda che scotta, è fuori sede, non sarebbe di sua competenza ma il dirigente generale ha richiesto la sua presenza e se vuole saperne di più deve darsi una mossa e recarsi in loco…
Apprenderà subito dopo l’ arrivo a Clot , “un grumo di case più vecchie che antiche” vegliato a monte da una mastodontica diga, che devono raggiungere Gias Vej e la chiesa con il cimitero. La vittima, che secondo il medico legale Sarace, è stata strangolata con del vecchio filo elettrico tipo piattina, era Terenzio Fuci, ottantasette anni, residente in via del Babuino a Roma, titolare della casa di produzione cinematografica Veronica Film, fratello del politico Amilcare Fuci, eminenza grigia della Democrazia cristiana fino alla morte nel 1988 e tuttora molto ben ammanigliato con il Vaticano. La moglie, arrivata a Clot con lui, è Vera Ladich un’ex famosissima attrice che aveva fatto innamorare un’intera generazione, ribattezzata allora da Godard : Mademoiselle le look, invece è scomparsa. Morta anche lei? Ferita, sperduta per i boschi ? O forse rapita?
Ma allora l’ipotesi più probabile sarebbe che sia stata rapita dall’assassino. Bisogna dare il via tutto intorno a ricerche a tappeto e magari cercare di capire meglio perché marito e moglie erano venuti a Clot? Intanto avevano prenotato tutte le stanze dell’unico albergo del paese. Perché? Amore della privacy? Tanto per cominciare Arcadipane appurerà che Clot era il paese d’origine di Vera Ladich (all’anagrafe Anna Mattalia ), dove aveva conosciuto e sposato Fuci.
Con l’inchiesta tutta sulle sue spalle, il commissario Arcadipane per tentare di venire a capo di un rebus da paura deve trasferirsi temporaneamente a Clot, tra gente chiusa, cauta e ruvida, la cui esistenza e sopravvivenza paiono indissolubilmente legate all’enorme diga che circonda la valle, stringendola come un cappio.
Arcadipane, con in più il carico di Trepet, il suo cane a tre zampe, non riuscendo a trovare in fretta il bandolo della matassa, dovrà chiedere aiuto al vecchio amico, mentore ed ex capo Corso Bramard e all’indisciplinata ma indispensabile agente Isa Mancini, nessuno dei due al massimo di forma perché coinvolti in problemi personali di salute.
Ma le brutte sorprese non sono finite perché si scoprirà che anche di un’altra donna, coetanea della Ladich, anch’essa di Clot, si sono prese le tracce…
Non sarà una passeggiata arrivare alla verità, nascosta tra le pieghe di segreti antichi e di nuovi egoismi protetti da poteri apparentemente inviolabili. Si dovrà riuscire a scavare a fondo, districando una fitta trama tessuta a piú mani.
La vita paga il sabato, edito da Einaudi, è il quarto libro che vede come protagonisti il Commissario Arcadipane e il suo ex capo Corso Bramard. La coppia, collaudata e perfettamente caratterizzata da Davide Longo, questa volta allarga i propri orizzonti territoriali e umani. La Torino di Arcadipane, dolce e amara come i sucai (caramelle gommose con liquerizia), sua insopprimibile droga, stavolta lascia il posto alla rustica diffidenza della montagna piemontese, aspra e poco incline all’utilizzo della parola, cadenzata da propri ritmi, soprattutto se composta da borghi e paesi molto piccoli dove e spesso i cognomi sono tutti uguali. Dove come secondo un ancestrale codice le difficoltà o i problemi si risolvono insieme nella pubblica piazza e tutti sanno tutto degli altri ma l’omertà è d’obbligo.
E tuttavia pian piano, Archidipane, costretto a spingersi fino a Roma e a calarsi nella dissolutezza del caos capitolino, riuscirà a decifrare particolari e fatti precisi con radici nel passato , ispirati da personaggi pubblici reali.
Intrigo e mistero. Un contesto realistico, per la nuova avventura di Archidipane ma, e si sarebbe dovuto capire subito dall’ambientazione nello sperduto comune di Clot, contrariamente alle apparenze, non reale.
Clot non esiste, così come non esiste il vicino comune di Assiglio, Sì, certo, esistono due frazioni Clot, rispettivamente nei comuni di Inversa Pinasca e di Perrero, in provincia di Torino ma non sono quelle descritte da Longo.
Anche la chiesa di Clot, quella del romanzo e il suo ciclo di affreschi cinquecenteschi nella realtà non esistono o forse sì, ma in un diverso contesto. Longo scrive: sulla facciata sono disposti “piccoli volti in rilievo dagli occhi ciechi” e, sul lato della chiesa, “due volti, un animale a quattro zampe, un albero e uno stemma”. Chiesa della fantasia quella della Clot di Longo mentre è reale la chiesa di Santa Maria Assunta a Elva, in Valle Maira con i suoi bassorilievi e il suo interno affrescato dal pittore fiammingo Hans Clemer. Ma non con tutti gli elementi descritti da Longo in La vita paga il sabato . Altri però paiono collegare la finzione di Clot alla realtà di Elva.
Hans Clemer fu attivo nel Cuneese negli stessi anni in cui sarebbe stata affrescata la chiesa di Clot, “fiammingo” e reduce dalla Francia come Johannes Van Drift nel romanzo, e viene chiamato il Maestro di Elva, così come Johannes è il Maestro di Clot. Inoltre, sia a Elva che a Clot, sotto gli affreschi compaiono delle scritte. Possibile che Longo vi abbia tratto ispirazione anche per i versi in langue d’oc?
E anche a Elva, come a Clot, i personaggi locali hanno “strani” cognomi come Dao, Claro, Mattalia, Lunel, Dro.. L’identificazione di Clemer , negli anni Settanta del secolo scorso, come l’anonimo Maestro d’Elva, è stata confermata da un documento contabile del 1494 in cui i membri del comune di Revello (Cn) lo cercano per commissionargli un retablo. La sua attività in zona si colloca tra questa data e la morte, avvenuta attorno al 1511. Il ciclo per la parrocchiale di Elva con la Crocefissione e storie della Vergine è databile agli anni attorno al 1500.
Viene da qui la felice creazione di un pittore mai esistito dal nome Johannes Van Drift, ispirato da un vero Clemer che si dice anche fosse di origine piccarda? Attribuendogli, attraverso le memorie dell’allievo del Maestro di Clot, la leggenda del contenuto maledetto del ciclo di affreschi.
Iconografia straordinaria che coinvolge e colpisce Bramard spingendolo ad approfondire ogni particolare con Isa Mancini.
Niente è caso. Il romanzo di Longo, ambientato in un paesaggio montano dove il clima e le scabrosità del territorio hanno plasmato gente chiusa, solitaria, porta il lettore a non distinguere la finzione dalla realtà. Certo è un mixer geniale quello di tre personaggi tanto diversi ma perfettamente funzionali alla trama come Bramard, Arcadipane e Mancini: Arcadipane, tozzo, sanguigno, con un’intelligenza pratica, “umana”; Bramard, osservatore acuto, riservato e con un’intelligenza ricercata; Mancini, “brigantessa”, solida, sostanziale e con un’intelligenza intuitiva. Bramard, l’ex commissario, che sembra sempre voler sfidare la morte, e invece ha quel lampo di genio che lo tiene sempre più ancorato alla vita. Arcadipane, prima suo collega, ora colui che ha preso il suo posto di commissario di polizia, è un uomo che, vuoi per il lavoro, vuoi per la sua incertezza, si è fatto sfuggire la famiglia, i figli, la moglie di cui era distrattamente innamorato. Ora ha Ariel, psicoterepeuta, forse la cosa migliore che gli poteva capitare, e nell’inchiesta a fianco anche stavolta Isa, poliziotta determinata, iper tecnologica, con un passato problematico ma, in realtà, perfetto elemento di connessione tra Bramard e Arcadipane.
Accumunati tuttavia dalla complice e basilare capacità di discernere dietro ogni orizzonte quanto serve: per arrivare alla scoperta che per tutti, o quasi, la vita paga il sabato.

Davide Longo è uno scrittore italiano nato a Carmagnola, che vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. Tiene corsi di formazione per gli insegnanti su come utilizzare le tecniche narrative nelle scuole di ogni grado. Tra i suoi romanzi ricordiamo, Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos, 2001), Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos 2004), L’uomo verticale (Fandango, 2010), Maestro Utrecht (NN 2016), Ballata di un amore italiano (Feltrinelli 2011). Nel 2014 ha scritto il primo romanzo della serie che ha come protagonisti Arcadipane-Bramard Il caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), cui è seguito il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi) e il terzo Una rabbia semplice (Einaudi 2021).

Source: libro del recensore.

:: Aperitivo all’arsenico di Dario Falleti (Fratelli Frilli 2023) di Patrizia Debicke

13 febbraio 2023

Il professor Corradi, docente universitario di chimica e scienziato di fama mondiale, è stato trovato morto nel suo appartamento per avvelenamento da arsenico. Ma non c’è traccia di lettera d’addio, niente suono di trombe o di campane. Era partito un giovedì notte senza far rumore e tutto attorno a lui gridava al suicidio, a partire dalla casa chiusa dall’interno e dalle serrature che non mostravano segni di scasso. E anche i primi riscontri investigativi paiono confermare quell’ipotesi. Ma perché si sarebbe suicidato?
La mancata assegnazione del premio Nobel potrebbe essere il motivo , ma tutti, colleghi, collaboratori, moglie separata con la quale ha sempre mantenuto rapporti civili , amici e conoscenti hanno già categoricamente escluso che Corradi ne avesse fatto un dramma o mostrasse sintomi di depressione. Più semplicemente non ci aveva contato davvero .
E anche altre possibili cause quali problemi economici, pene d’amore o malattie incurabili dai primi controlli risulteranno da bocciare in toto . Corradi viaggiava molto, si godeva i lucrosi frutti di contratti di consulenza con aziende , amministrava ricchi finanziamenti europei finalizzati alla ricerca, non si era mai fatto mancare la piacevolezza di amicizie femminili. Un quadro che non combacia certo con la voglia di suicidarsi. E infatti, secondo il commissario Negroni, (l’alcolico bevitore di whisky torbato, fumatore di toscano e raffinata forchetta, eroe e protagonista degli altri libri di Falleti), in quella morte c’è qualcosa che non convince. Primo particolare intanto la finestra spalancata nonostante il gelo notturno, secondo, e di peso, perché diavolo Corradi avrebbe scelto di ammazzarsi con l’arsenico, il più classico veleno da topi. E farlo addirittura ingoiandone una dose esagerata che per di più provoca atroci dolori e peggio. Costringendo il morituro, che so, a piegarsi in due, a contorcersi, mentre invece eccolo là: rilassato comodamente sdraiato in poltrona come una persona che dorme? Gatta ci cova.
Insomma secondo il commissario Negroni, c’è ben più di qualche particolare che non quadra e se si vuole dare per acquisita l’ipotesi del suicidio non resta che sollecitare un completo esame tossicologico sul defunto.
E anche se il magistrato che, preoccupato dalla cassa di risonanza dei media, non sogna altro di arrivare a chiudere l’inchiesta e nicchia, finalmente gliela darà vinta. E l’esame tossicologico deluciderà come prima cosa che il “suicida” Corradi oltre all’arsenico ha ingoiato una dose da cavallo di benzedrina in grado solo quella di spedirlo all’altro mondo. Faccenda indubbiamente molto, ma molto sospetta, ragion per cui l’ipotesi suicidio va a farsi benedire.
Ma quando un giovane giornalista free lance, anche lui dubbioso sul suicidio di Corradi , che nel frattempo aveva portato avanti una sua inchiesta, contattando Negroni e proponendogli addirittura di scambiarsi le informazioni, mentre attraversava sulle strisce pedonali è vittima di un incidente, investito da un auto pirata, rubata poche ore prima, Negroni, accende un toscano, drizza le antenne e si mette in caccia.
Scava, scava, comincia ad affiorare un complicato intreccio che vede in pista rivalità accademiche, intrighi e gelosie di amanti, ma anche complicati semifantascientifici brevetti industriali pericolosamente legati a grandi interessi economici di enormi aziende con basi anche in tutta Italia. Tante e ben ammanicate a ogni livello. Con l’indagine che si allarga pericolosamente tra Roma, Napoli e Monaco di Baviera, i morti aumentano a vista d’occhio. Ahinoi!
Ma pian piano alcune tessere del puzzle, anche per il prezioso supporto di un collega commissario tedesco ma per metà italiano, che ha ben coltivato ogni anno la lingua passando le vacanze nella campagna toscana, cominciano a incastrarsi : ma il prezioso manoscritto del professore sul quale lavorava da tempo non si trova.
Nello scenario sempre più ampio e farraginoso che vede coinvolte grandi lobby industriali strettamente legate a clan camorristici campani, le dimensioni dell’affare si dilatano in lungo e largo, compromettendo anche le teste di persone considerate insospettabili. Emergono qua e là ovunque tracce precise di favoreggiamenti e connivenze, di tradimenti e la tristezza di tanta morti ignorate o annegate nei velenosi gorghi di criminali sabbie mobili. Delitti che in qualche modo devono essere puniti con i colpevoli assicurati alla giustizia.
Con il manoscritto perduto ricomparso, gelosamente custodito in una chiavetta, bisogna ingegnarsi a spiegare l’omicidio suicidio di Corradi e trovare le prove concrete di tutte le macchinazioni orchestrate con il suo autorevole avallo ma, anche se sporcizia è ben tutelata dall’omertà, il commissario Negroni non si arrende e, seguendo la labile traccia rimasta, riesce a decifrare la macchinazione di unapremeditata, duplice vendetta.
E non solo poi, perché a conti fatti visto che tutto era collegato, diventa persino quasi un gioco da ragazzi infilare un’ardita trappola nel perverso ingranaggio di alterazione e bloccare finalmente il diabolico traffico internazionale.

Dario Falleti è nato a Roma nel novembre 1954 ed è laureato in chimica. Il romanzo d’esordio, La virtù del cerchio, prima avventura del commissario Negroni, è stato finalista al Premio Azzeccagarbugli 2008 e ha vinto il Premio Raffaele Crovi per la migliore opera prima. La seconda avventura del commissario Negroni, Le regole dell’anagramma (Hobby & Work), una spy story con prefazione di Luca Crovi, è stata pubblicata nel 2010. Nel 2011, il racconto I Macellai di Montevideo ha contribuito all’antologia garibaldina Camicie rosse, storie nere (Hobby & Work). Altri racconti sono comparsi in e-book e antologie. Aperitivo all’arsenico a Roma è stato finalista al premio Tedeschi 2018.

Source: libro del recensore.

:: Eredità colpevole di Diego Zandel (Voland 2023) di Patrizia Debicke

11 febbraio 2023

Roma, anni 2000. Il giudice La Spina viene freddato davanti al portone di casa con cinque colpi di pistola, l’ultimo, fatale, alla nuca. A rivendicare l’attentato un sedicente gruppo di estrema destra, Falange Nera, che con un comunicato alla stampa accusa il giudice di essere stato complice e responsabile dell’assoluzione dell’infoibatore Josip Strčić.
Diego Zandel ho scelto per immedesimarsi meglio nel suo nuovo romanzo/fiction di prestare all’autobiografia del protagonista il vero tracciato della sua vita , dove e come lui è nato, la personalità dei suoi genitori, di sua nonna che l’ha cresciuto, insomma tutti i suoi veri ricordi. Ha cucito infatti addosso i suoi panni a Guido Lednaz, giornalista e scrittore, che descrive come lui figlio di profughi fiumani, per sopravvivere partiti abbandonando tutto dietro di sé, nato a Fermo mentre la famiglia sopravviveva nel campo profughi di Servigliano nella Marche per poi passare al Villaggio Giuliano Dalmata di Roma ex Villaggio E42. Non solo, per meglio completare la sua finzione gli presta, in toto e con generosità oltre al suo vissuto, la carriera letteraria, per poi regalare al suo ideale gemello un’avvincente avvventura, un giallo d’indagine neppure tanto velatamente mascherato da spy story giallo noir .
Quindi Guido Lednaz alter ego dell’autore, fin dall’inizio emotivamente coinvolto vuole solo approfondire le circostanze e le motivazioni dell’omicidio del giudice La Spina, prima crivellato per strada a pistolettate per poi essere finito con un colpo alla nuca da un motociclista, un irriconoscibile centauro in tuta e casco integrale in sella a una moto da cross. . Unici testimoni la moglie affacciata alla finestra e un commerciante che stava alzando la serranda del suo negozio. Brutale omicidio che verrà rivendicato con una lettera al Quotidiano la Repubblica da un fantomatico gruppo di estrema destra “Falange nera” adducendo la motivazione: complicità del magistrato con gli infoibatori titini. “Onore ai martiri”. Colpa attribuita alla vittima: l’assoluzione per difetto di giurisdizione per il non luogo a procedere – in pratica un’assoluzione- nel processo intentato contro dell’imputato, il criminale di guerra titino Josip Strčić (personaggio liberamente ispirato a Oskar Piškulić, capo della polizia politica di Tito, reale autore degli eccidi nelle foibe).
Prima di lui il pubblico ministero era stato addirittura sollevato dall’incarico.
C’era qualcosa? Cosa? Dietro la determinazione di insabbiare il tutto, di non consegnare un criminale alla giustizia?
Così prende il via l’ardita fiction, basata per altro su puntelli ben documentati che, seguendo varie piste e rintracciando meticolosamente alcune delle tante figure di una lontano passato ci costringe a ripercorrere una delle pagine tanto misconosciute quanto sanguinose della storia del Novecento, legate sia alle atrocità della Seconda guerra mondiale che al successivo esodo di un intero popolo, quello istriano.
Un’avvincente indagine dalle tenebrose tinte noir, una lunga minuziosa e rischiosa investigazione, che finirà per tramutarsi in un sofferto e frammentario viaggio verso una tremenda conclusione , condotta faticosamente tra Roma e Trieste pur con l’indiretto ma fattivo apporto delle forze dell’ordine (non è il primo delitto del fantomatico centauro che ha già colpito, ma non c’è il via libera per scavare di più ), di un inviato speciale in caccia di indizi, tracce, documenti sepolti in polverosi archivi semidimenticati per arrivare a volti e nomi.
Seguendo variegate piste esplorative, senza lasciarsi fuorviare, riprendendo contatto con alcune figure del suo passato, in grado di offrire indizi, fornire prime spiegazioni e proporre altre complicate piste da seguire, Lednaz dovrà ripercorrere una delle pagine più sanguinose della storia, cercare di scardinare la quasi inviolabile cassaforte del resoconto delle peggiori atrocità della Seconda guerra mondiale nei confronti di essere umani innocenti e il conseguente esodo di un intero popolo che viveva sereno e ha dovuto rinunciare per sempre alle proprie radici.
Un’avvincente indagine dalle tenebrose tinte noir, anche insozzate da un’insanabile forma di razzismo e atroce disumanità, condotta tra Roma e Trieste, che porterà il protagonista a raggiungere una drammatica verità.
Un’indagine dura, molto dura e rischiosa anche per chi gli sta vicino, ma Guido Lednaz non si lascerà fermare dai consigli o dalle minacce. Una difficile e ingarbugliata inchiesta che tuttavia alla fine gli consentirà di rialzare quei veli calati a tombale copertura di una storia, arrivando al nocciolo di una triste e tragica e crudele realtà, nata, provocata, , mai dimenticata e soprattutto tenacemente coltivata fino alla vendetta.

Diego Zandel, figlio di esuli fiumani, è nato nel campo profughi di Servigliano nel 1948. Ha all’attivo una ventina di romanzi, tra i quali Massacro per un presidente (Mondadori 1981), Una storia istriana (Rusconi 1987), I confini dell’odio (Aragno 2002, Gammarò 2022), Il fratello greco (Hacca 2010), I testimoni muti (Mursia 2011). Esperto di Balcani, è anche uno degli autori del docufilm Hotel Sarajevo, prodotto da Clipper Media e Rai Cinema (2022).

Source: libro del rcensore.

:: È così che si muore di Giuliano Pasini (Piemme 2023) a cura di Patrizia Debicke

7 febbraio 2023

Quando tutto il resto pare inaccettabile, l’unica salvezza potrebbe essere la certezza di un porto sicuro. Perché la solitudine è forse la vera condanna del principale protagonista dei romanzi di Pasini, il commissario Roberto Serra che crede di non aver più un posto dove ritrovare la sua pace. Aveva sperato perciò che, tornando dieci anni dopo a Case Rosse, paesino arroccato sull’Appennino dove la sua storia e la sua dannazione, erano ricominciate gli potesse servire. Proprio a Case Rosse, il borgo di mille anime arroccato sull’Appennino emiliano dove nel 1995 aveva trovato per la prima volta rifugio per fuggire da quelle indagini e da quegli omicidi che a Roma lo stavano distruggendo. Ma la notte di Capodanno , il 1 gennaio 1995, quando il suo pur fragile equilibrio pareva faticosamente riconquistato, aveva dovuto affrontare uno dei crimini più brutali della sua carriera. Uno spaventoso delitto commesso durante la notte in alto, al Prà grand, con due adulti e una bambina uccisi senza pietà. Un’ orribile rappresaglia che riconduceva alla sofferenza e all’orrore vissuti 50 anni prima in quel luogo, con il massacro commesso nel ‘45 dalle SS in ritirata e dai loro alleati repubblichini, decisi a far terra bruciata attorno a loro. L’inchiesta che l’aveva ghermito, l’aveva catapultato nell’inferno di un passato che pareva dimenticato e invece era ancora marchiato a fuoco nella memoria degli abitanti. E quell’ inferno era tornato a presentare il conto offendo spazio alla danza. Un dono o una maledizione?
Insomma aveva indelebilmente segnato anche lui. Il ritrovato rapporto con Alice, unico insicuro lumicino, appeso a nuove piccole sicurezze, pian piano si era fatto traballante. La sua vita, la sua non-malattia che era parte di lui, le sue fughe continue, che si accumulavano una sull’altra lasciando cicatrici, erano tutte intrecciate con il suo nome : Alice. Non era servito il suo trasferimento a Treviso come capo ufficio immigrazione e neppure il suo rifugiarsi a Termine , il paesino di vigne. Non gli avevano impedito di scontrarsi di nuovo e ferocemente con l’aberrazione del male. E neppure il ritorno a Bologna e la nascita di Silvia mentre era ancora sospeso dal servizio, l’avevano reso più sicuro.
Silvia era una bambina speciale, per certi aspetti, ma così forse come era speciale lui. E poco dopo il dottor Gardini, il medico che per tanti anni aveva tentato di trovare una spiegazione e curare la paurosa sindrome del commissario, era stato assassinato laggiù nella bassa, terra cara alla prosa di Guareschi, poco lontana dalle Reggia di Colorno. Anche senza l’appoggio della divisa si era sentito costretto ad andare. A far parte del ventaglio di detectives riuniti per uno strano e inesplicabile delitto: Massimo Minimo, comandante in capo del Ris, Mixielutzi capo della squadra mobile di Treviso in ferie e nume tutelare di Roberto Serra, commissario sospeso.
Poi però, tornato in servizio con encomio, la sua volontaria scelta di allontanarsi. Perchè? Inquietudine? Vigliaccheria?
Ha chiesto lui infatti tre anni prima di essere assegnato di nuovo a quel minuscolo commissariato di montagna. L’ha fatto perché forse lassù sperava di riuscire a chiudere con i fantasmi che l’ossessionavano e magari farcela a controllare in qualche modo la sua sindrome e la sua vita? Cosa tutt’altro che semplice. E fare il pieno di alcol di notte e poi correre come un pazzo chilometri su chilometri ogni mattina per sputare il veleno, non è la migliore scelta. Intanto il suo rapporto con Alice si sta avviando alla definitiva chiusura, lei ha ripreso la studio del padre, sta per sposarsi con un ricco coetaneo bolognese. Mentre lui annaspa inutilmente pare e la forzata e dolorosa separazione da Silvia, sua figlia, non aiuta.
Poi a maggio, in un giorno che sembra scorrere inutile , senza sorprese come tutti gli altri: la chiamata del vicesindaco con la richiesta di correre nella frazione di Ca’ di Sotto per un incendio che sta divorando una cascina. Una cascina dove abitano un uomo e la sua compagna.
Roberto Serra e l’agente scelta Rubina Tonelli, una romagnola dai capelli rossi giovane e stizzosa, mandata lassù, a Case Rosse, a scontare una punizione, devono raggiungere subito il posto sulla trentenne ma funzionante Campagnola del commissariato. I pompieri, chiamati per primi e già all’opera , stanno usando la schiuma per controllare il fuoco, ma la stalla con le bestie è già andata, solo una scrofa mezza arrostita è uscita ancora viva dalle fiamme. Tra i primi ad accorrere, per tentare di fare qualcosa, è stato Rigo Bagnaroli, il fratello maggiore di Burdigon, ex pugile , un omone di un metro e novanta che si è fatto medicare dai sanitari le ustioni per aver tentato invano di entrare.
Quando divorato dalle fiamme crollerà il tetto, il corpo di Eros Bagnaroli, detto il Burdigòn, lo scarafaggio, semi carbonizzato verrà estratto dai vigili del fuoco da quanto resta della casa, ma quando, su richiesta del dottor Cherubini medico condotto, il capo dei pompieri e uno dei suoi riusciranno a girarlo, apparirà lampante che la causa della morte non è stata l’incendio. Al Burdigon hanno tagliato la gola. Per fortuna il suo sarà l’unico cadavere ritrovato nella cascina perché la sua compagna, scesa poco prima con il motorino in paese, li ha raggiunti e sta piangendo disperata.
Il comandante dei vigili decreterà subito che secondo lui l’incendio è doloso e, per innescarlo , ritiene sia stata usata della miscela agricola.
Quando poi ormai sta per scendere la sera, ci sarà l’arrivo sulla scena del delitto, di una squadra di carabinieri del Ris e di una di poliziotti della questura di Modena, con al comando Vito Corazza, gigantesco e dimenticato amico d’infanzia di Roberto Serra e capo della squadra mobile. Arrivo quasi in contemporanea simile a una carica di cavalleria, provocato dalla telefonata del Commissario di Case Rosse a Massimo Minimo, generale comandante del Ris, erre moscia, quando parla, quasi sosia di Clint Estwood e ancora suo nume tutelare. Telefonata al di fuori dalle procedure che Serra ha fatto appena si è reso conto di trovarsi davanti a un omicidio.
Liquidati rapidamente dal collega di Modena, Roberto Serra e Rubina Tonelli credono di essere ormai tagliati fuori dal caso ma…
Il generale Minimo non la pensa così, ha passato la notte sul cadavere di Bagnaroli e decreta scannamento. Insomma qualcuno ha ammazzato il Burdigon come un maiale. Poi, visto che si è scomodato a fare tutto quel lavoro solo perché Serra gliel’ha chiesto, il giudice istruttore assegnerà l’inchiesta a lui e a Corazza.
Dopo dieci anni Serra ha un nuovo efferato delitto commesso a Case Rosse su cui deve indagare. Ma la gente del paese non collabora e lui si sente ingabbiato in un nuovo e insondabile muro di omertà, mentre la Danza, la sua complice e condanna, ricompare all’improvviso sempre pronta ad attaccare a tradimento… Con la falce della morte è già alzata per colpire ancora. Questa volta, però, Serra dovrà fare i conti anche sulla presenza della vivace, prepotente ma vulnerabile Rubina Tonelli, che, quanto lui, è costretta a confrontarsi con traumatici fantasmi. Un’improbabile aiutante ma forse per tutti e due arrivare a scoprire la verità potrebbe diventare il modo per darsi una meta, oppure farcela a superare le proprie dolorose ferite e in un certo qual senso persino pensare a sanarle. Chissà?
Un’indagine del commissario Roberto Serra e dell’agente scelto Rubina Tonelli, molto intensa e coinvolgente, con l’irrinunciabile scenario di un tempestoso Appennino primaverile. Un’ indagine poi che, lasciando alla fine una serie di interrogativi in sospeso, apre la strada a potenziali futuri sviluppi narrativi. Torneranno entrambi in scena? Leggeremo ancora di loro? Perché no?
Qualche commento: impossibile per me non citare il generale Minimo che definisce con malizia i poliziotti : figli illegittimi di Sherlock Holmes. E Ariston il ricchissimo, generoso ma forse inguaribile pasticcione padre di Rubina. Solo tenera e rassicurante invece la Nives coi suoi gatti, il suo sereno buon senso e le sue tagliatelle. E, a proposito di tagliatelle, per fortuna anche se ohimè molto più sfumato stavolta rispetto ai precedenti libri, con Serra e il suo creatore Pasini quando si mangia lo si fa e bene e Roberto Serra, quando trova la voglia di cucinare, resta sempre un mago ai fornelli.

Giuliano Pasini nato a Zocca, è un orgoglioso uomo d’Appennino che vive in pianura, a Treviso. Socio di Community, una delle più importanti società italiane che si occupano di reputazione, è presidente del Premio Letterario Massarosa e in giuria di altri concorsi italiani e internazionali. Il suo esordio, Venti corpi nella neve (ora Piemme), diventa subito un caso editoriale. Seguiranno Io sono lo straniero e Il fiume ti porta via (entrambi Mondadori), tutti con protagonista Roberto Serra, poliziotto anomalo e dotato di grande umanità, in perenne fuga da sé stesso e dal male che lo affligge. È così che si muore ne segna il ritorno a Case Rosse dieci anni dopo il primo romanzo.

Source: libro del recensore.

:: La biblioteca dei segreti di Bella Osborne (Newton Compton 2023) di Patrizia Debicke

6 febbraio 2023

Tom ha appena sedici anni ma sa da tempo che la vita può essere crudele e per evitare i problemi è meglio se si riesce a passare inosservati dai compagni, o meglio diventare invisibili. Frequenta senza grandi risultati la scuola superiore, anche se sognerebbe di riuscire ad andare all’università, ma è partito molto svantaggiato rispetto ai suoi coetanei . Sua madre è morta di parto quando lui aveva appena otto anni. Da quel momento ha vissuto male e da solo, con un padre che lavora di notte e beve troppo, sia probabilmente per affrontare il suo dolore che perché non riesce a garantirsi una vita migliore. Convivono infatti rincorrendo le bollette in una casa sudicia e maltenuta, mangiando cibi spazzatura e senza vedere mai nessuno. Una casa priva di ogni comodità, unico urlante emblema di modernità una vecchia televisione. Con i pochi spiccioli guadagnati, consegnando il giornali e racimolando tutti i suoi regali di Natale e compleanno, Tom era riuscito a comprarsi una console per giochi. Un oggetto costoso, che gli permetteva di giocare con amici sconosciuti, rallegrava le lunghe ore passate in casa e alleggeriva la sua solitudine.
Ma nessuno poteva impedirgli di sognare Farah, bellissima e gentile compagna di studi, che credeva fuori dalla sua portata, anzi addirittura già impegnata con uno dei ragazzi più prepotenti della classe. Ciò nondimeno, pur sentendosi inadeguato, avrebbe voluto almeno poter comunicare con lei e quel giorno, un sabato, nella speranza di scoprire un comune interesse, troverà il coraggio di entrare nella Biblioteca del paese. Il suo ingresso in realtà è un ritorno. Sua madre infatti amava molto leggere e prima della sua morte era andato tante volte con lei a prendere e riportare dei libri. E sarà proprio là nella Biblioteca, mentre fingendo che sia ancora viva, sta cercando dei romanzi del genere preferiti da lei, che attirerà l’attenzione di Maggie.
Maggie è una vivace vedova settantenne che gestisce da sola una piccola fattoria nel comprensorio dalle parti di Furrow Cross e arriva ogni sabato in biblioteca dove fa parte del circolo di lettura. E quel giorno sarà Tom ad accorrere in suo aiuto mentre viene scippata della borsa, appena uscita per ritornare a casa. Il ragazzo, in compenso, si beccherà un pugno e un occhio nero, però dopo essere stato medicato, le farà la gentilezza di prestarle il denaro per l’autobus e di accompagnarla fino alla fermata.
Ma al suo ritorno a casa suo padre, che ha bevuto troppo, dopo un pesante scontro verbale causato dal suo rifiuto di rinunciare a un’università e lavorare in una fabbrica di mangime per cani, prima gli ha sequestrato la console e poi, infuriato, gliela ha sfasciata irrimediabilmente.
A Tom non resterà che cominciare a leggere i libri che aveva preso in prestito in biblioteca…
Maggie da dieci anni, dalla morte del marito si dichiara autosufficiente. E infatti oltre a produrre ortaggi. frutta e legumi nella sua piccola e ben tenuta fattoria, alla periferia del villaggio, occupandosi anche di galline, pecore, agnelli e di un montone scontroso, continua a praticare lo yoga e a praticare l’autodifesa, frequenta regolarmente la Biblioteca cittadina, ma in realtà come Tom soffre di una tangibile mancanza di affetti e le pesa la solitudine.
Il fortuito incontro tra loro, due esseri umani, forse solo apparentemente molto diversi, provocato sia dalla curiosità di Maggie che dal generoso tentativo di aiuto di Tom, finirà con avvicinare e poi legare i loro due mondi: quello sofferto e doloroso di un timido adolescente e quello di una donna il cui passato nasconde la obbligata scelta di un grave segreto.
E non solo, il ragazzo le lascerà il suo numero di telefono in caso di bisogno. E, quando accadrà, riscopriranno insieme il quieto sapore di una normale vita familiare fatta di dare e avere e di come prendersi cura l’una dell’altro..
Mentre Maggie insegnerà a Tom a difendersi e a cercare il confronto con il padre, spiegandosi (e l’uomo si sforzerà di uscire dal suo buio sociale e interiore), Tom aiuterà Maggie a capire che gli errori commessi nel passato non dovranno per forza gravare per sempre sulle sue spalle.
Nascerà così spontaneamente l’improbabile ma vera e costruttiva amicizia tra un adolescente problematico e una settantenne un po’ fissata. Una bella e grande amicizia in grado di cambiare il corso delle loro vite e persino il loro futuro.
Due generazioni diverse. Due persone inconsuete che poi, quando la minaccia della chiusura della biblioteca per mancanza di fondi e progressivo calo di utenti si farà concreta e pericolosamente vicina, si uniranno con coraggio e spirito di iniziativa per salvarla, inventeranno occasioni di incontro, organizzeranno pubbliche manifestazioni e radunando attorno a loro tutto il paese e le frazioni vicine, provocheranno piano piano la partecipazione delle autorità e il coinvolgimento dei media. E un nutrito e indispensabile afflusso di volontari. Perché ognuno di loro deve poter dimostrare che la biblioteca non riguarda solo i libri: quel luogo è il cuore pulsante di cultura della loro comunità e deve sempre esistere e restare aperto, pronto ad accogliere tutti.

Bella Osborne è un’autrice inglese di romanzi di successo. Il suo libro d’esordio è stato finalista a prestigiosi premi, tra cui il Contemporary Romantic Novel of the Year. Osborne ha inoltre vinto il RNA Romantic Comedy Novel of the Year Award. Vive nelle Midlands, nel Regno Unito, con la sua famiglia. Per saperne di più: www.bellaosborne.com

Source: libro del recensore.

:: Un’intervista con Patrizia Debicke a cura di Giulietta Iannone

31 gennaio 2023

Oggi abbiamo il piacere di intervistare Patrizia Debicke, autrice del libro “Il segreto del calice fiammingo”(Ali Ribelli Edizioni) seconda classificata alla tredicesima edizione del Liberi di Scrivere Award.

Benvenuta Patrizia su Liberi di scrivere e grazie di cuore di aver accettato questa intervista. Innanzitutto complimenti per il suo secondo posto più che meritato al nostro Liberi di scrivere Award con il libro Il segreto del calice fiammingo. Davvero tanti lettori hanno votato per il tuo libro.

Tanti amici che ringrazio soprattutto perché sono stati abilissimi a giostrare sull’web.

Ho avuto il piacere di leggerlo ed è davvero un libro interessante, ricco di un profondo scavo storico, e soprattutto ben scritto. Ce ne vuoi parlare? Come è nata l’idea di scriverlo?

In realtà dal rivedere perfettamente restaurato dopo tanti anni il monumentale e magnifico polittico dell’Agnello mistico, opera di Jan van Eyck nella cattedrale di San Bavone a Gand, commissionato inizialmente dai coniugi Vjidi per la loro cappella funebre a Hubert van Eyck, fratello maggiore di Jan, e alla sua morte (il tutto era stata appena abbozzato) ripreso in mano, rivoluzionato e reso forse il suo massimo capolavoro da Jan van Eyck, emerito Maestro pittore di Philip le Bon, duca di Borgogna. Poi per fortuna di aver trovato dei pagamenti dell’epoca che mi indicavano che Jan van Eyck oltre che per dipingere veniva pagato e lautamente per speciali incarichi, molti basati sullo spionaggio . .. Avevo in mano abbastanza per cominciare…

Il romanzo ci racconta le congiure e gli intrighi nell’Europa del XV secolo, precisamente dal 1426 al 1446, con la Guerra del Cento anni che infuria contrapponendo Inghilterra e Francia, immagino ci hai messo anni per approfondire i tuoi studi e le tue ricerche storiche.

Visto poi che affrontavo con spavalderia un secolo molto importante, burrascoso e controverso della storia europea (Inghilterra , Francia, Borgogna, Fiandre, Paesi Bassi, Portogallo, Castiglia, Aragona, Regno di Napol, Stato della Chiesa, i vari stati e staterelli della penisola italica, Genova, Firenze, Venezia, Savoia, Ducato di Milano… ) per me tutto da approfondire , indubbiamente è stato il romanzo che ha richiesto più tempo e ricerche sia per ricostruire una corretta ambientazione, che per mettere insieme tutta la mole di dettagli e fatti storici avvenuti in quell’epoca da utilizzare come scenario. Dai tornei, alle cerimonie, dalle feroci battaglie navali ai complotti, ai repentini cambi di alleanze. Tregue cavallerescamente rispettate in mostruose guerre fratricide ecc. ecc. Anni sì!

Sullo sfondo il Calice, di agata corallina, impreziosito da incastonature d’oro e preziosi successive, dell’Ultima Cena di Nostro Signore Gesù, giunto fortunosamente nelle mani del re Alfonso di Aragona. Come hai seguito le sue tracce? Dove è conservato oggi? O è un oggetto puramente leggendario?


Detto il Santo Calice è stato usato da ben due pontefici. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, in occasione della loro visita pastorale. Lo splendido Calice di Valencia è composto da tre parti: la coppa superiore e il piatto inferiore in pietra e una parte centrale in metallo e pietre preziose. Secondo le prove svolte già molti anni fa dall’ archelogo Antonio Beltran e con l’aiuto di altri scienziati, la coppa superiore di agata è sicuramente risalente a un periodo tra un secolo prima di Cristo e un secolo dopo Cristo. Il piatto o coppa inferiore è invece di origine araba di circa tre secoli più giovane. La leggenda narra che la coppa superiore sia quella usata da Gesù Cristo nell’ultima cena e che, nel terzo secolo un diacono romano, il San Lorenzo della graticola, l’abbia portato con sé da Roma in Spagna a Huesca . Da Huesca poi per sfuggire all’invasione dei Mori, trovò rifugio sui Pirenei dove per secoli restò al sicuro nel monastero benedettino di San Juan de la Peña , fino a quando re Martino I convinse i monaci a donarglielo e in seguito come proprietà della corona di Aragona, fu portato a Valencia. Nel 1424 il re Alfonso V, il Magnanimo, spostò il reliquario nel Palazzo Reale ma dal 1437 fu affidato alla cattedrale di Valencia, dove è tuttora conservato e in esposizione.

Parlaci del tuo personaggio principale, Jan van Eyck , come è nato nella tua mente, come si è delineato per psicologia e carattere? Si discosta molto dal vero Jan van Eyck, come almeno ce lo tramandano i documenti?

Leggendo quanto si è scritto e detto di lui, della sua volontà e immane capacità lavorativa anche descritta nei documenti dell’epoca, diventava più facile creargli una personalità. Ho fatto del mio meglio.
Quindi penso che il mio Jan van Eyck non si discosti troppo da quello vero. Almeno non per quanto si sa della sua vita, della sua eccezionale duttilità come uomo e artista , della vita familiare e delle grandi e difficili imprese portate a termine agli ordini del suo committente. Naturalmente però per il resto ovverosia tante delle azzardate avventure che gli ho attribuito sono frutto della mia fantasia.

Sei considerata una delle autrici di romanzi e gialli storici più autorevoli nel panorama editoriale italiano. Ti aspettavi una carriera così felice quando hai iniziato a scrivere da “ragazza”?

Grazie le tue parole sono un vero balsamo per il mio cuore. Ma non so se la mia carriera possa considerarsi veramente felice. Diciamo che io sono molto felice di avere qualcuno che apprezza davvero il mio lavoro. Per me che ho cominciato a scrivere da “ragazza quasi sessantenne” non è stato poi così male.

Come è nato il suo amore per i libri e la scrittura?

Non è nato, c’è stato sempre. Che io ricordi ho cominciato a leggere piccolissima e non ho mai smesso. Poi ho provato a scrivere.

Infine, ringraziandoti della disponibilità, l’ultima domanda. Stai lavorando a un nuovo romanzo storico? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Intanto grazie a Liberi di scrivere per queste gradite domande molto stuzzicanti e per avermi concesso spazio e fiducia. Un nuovo romanzo? Ci sto provando. Sono a un bivio tra due soggetti che ho portato avanti a lungo ma ora a conti fatti non mi convincono davvero . Credo che dovrò cambiare strada. Troppe idee o forse troppo poco tempo a disposizione?

:: Sindrome cinese a Genova di Andrea Novelli (Fratelli Frilli 2022) a cura di Patrizia Debicke

28 gennaio 2023

Ancora un nuovo capitolo, il quinto addirittura, dedicato da Andrea Novelli a Michele Astengo l’uomo dal Borsalino, il cappello portato da tanti grandi attori cinematografici, in veste di investigatore privato a Genova. Un hard boiled a tinte noir con sempre protagonista l’investigatore sui generis che ricalca il modello Philip Marlowe in salsa hard boiled genovese, creato dall’autore in coppia con il compianto Gianpaolo Zarini.
Michele Astengo dopo una lunga carriera nelle forze dell’ordine, da anni ormai ha scelto un’altra strada meno impervia. Ex poliziotto, ex marito, si è riciclato a investigatore privato, gode del vantaggio di un ufficio di rappresentanza in un palazzo Doria Danovaro, ereditato alla morte di un munifico zio. Insomma un Palazzo avito che offre una sede di gran prestigio, dominata da fastosi stucchi d’epoca ma arredata con mobili stile Ikea. Poi, ah dimenticavo e facevo male, Astengo condivide l’ufficio con la bella Dalia, suo braccio destro e segretaria. Lei lo ama, vorrebbe scalfire la sua dura scorza, contare, essere per lui, magari lanciarsi in una relazione, ma lui bah??? Preferisce vegetare in una semivita orfana di grandi complicazioni. Vivacchiare pigramente insomma, sbarcando il lunario con incarichi su questioni di tradimento e di spionaggio industriale. Se possibile niente di molto impegnativo e pericoloso. Oltre a Delia, le sue uniche altre certezze sono il fido collaboratore, il mezzo uomo (non scherzo l’altezza parla) Corrado o l’implacabile divoratore di focaccia e gli appuntamenti con il suo amico Giuseppe Bazzano, ex collega della Polizia, a cui qualche volta chiede e dà aiuto.
Anche perché ogni tanto deve pure darsi da fare visto che gli anni aumentano e con gli anni anche i fili bianchi della barba, l’unica cosa che cala invece è il conto in banca. Ciò nondimeno con qualche lavoretto tanto per far cassa tutto potrebbe continuare ad andare avanti senza grosse sorprese ma la sua abulia verrà forzosamente scossa un giorno con l’improvvisa comparsa nel suo ufficio di un misterioso ragazzino cinese che parla solo la sua lingua e la successiva scoperta di un delitto nel palazzo di fronte. Conseguenze pratiche: Michele Astengo si troverà invischiato in una delicata questione internazionale che riguarda la comunità cinese della città. Tanto per cominciare scoprirà intanto che la vittima era il protagonista del tormentone che lo perseguitava da anni: lui il “cinese”, il dirimpettaio, il lavoratore indefesso della compagnia di navigazione che ogni giorno spiava attraverso la finestra del suo ufficio. Ma quella scoperta, in un certo senso si rivelerà liberatoria perché gli darà modo di sapere che quella spasmodica e per lui ossessionante operatività dipendeva, visto che gli orientali si assomigliano tutti, dal giornaliero ricambio di tre diversi impiegati a quella scrivania. Non era sempre lo stesso quindi e comunque ora proprio uno dei tre è morto, ucciso con un colpo di pistola. Ma e il ragazzino? Primo, come ha fatto ad arrivare dentro il suo ufficio? Volando oppure? E poi cosa diavolo sa e nasconde di quell’omicidio? Bisogna assolutamente, a parte il traduttore telefonico, trovare qualcuno in grado di parlarci. Intanto, pare cosa non semplice arrivare a capirne di più su una faccenda dai contorni minacciosamente oscuri, dove tutti le tracce prendono di mira gli smisurati interessi commerciali della Compagnia di Navigazione Wang, con miliardi di affari che riguardano il porto di Genova e non solo. Interessi da proteggere ad ogni costo.
Michele Astengo si troverà così a dover da solo, con per unico appoggio Bansky, Parson Russel Terrier, nuovo volto o meglio impertinente muso della storia di questa nuova indagine tutto meno che facile, soprattutto perché dalle informazioni raccolte dal fido Corrado, l’aiutante mezzo uomo, ci sono diverse zone oscure che lo costringono a confrontarsi con avversari diversi, addirittura ai massimi livelli dunque ancora più temibili e potenti, perché apparentemente intoccabili.
L’esperienza, il coraggio e l’intuito questa volta forse potrebbero non bastare: in questa nuova realtà fatta di moderni giochi economici che si nutrono di poteri e scambi e verte intorno a colossali potenziali interessi in gioco con Genova punto focale di attracco tra il mare e il nord Europa, destinata a trasformarsi nel porto decisivo di una recente e particolare Via della Seta dalla Repubblica Popolare Cinese, destinata a favorire i suoi collegamenti commerciali marittimi.
Una storia collegata all’indagine di Astengo che si lega alla grande comunità cinese di Genova ormai contagiata dalla Sindrome degli affari internazionali, che presenta ramificati contorni non quantificabili e porrà a dura prova la sua esperienza e la sua capacità di percezione e gli chiederà faccia tosta e sprezzo del pericolo per riuscire a scoprire la verità affrontando avversari influenti, e pericolosi. Astengo dovrà battersi con oscuri demoni che vorrebbero sminuire o peggio rendere impossibile la sua indagine. Per fortuna c ha ancora buoni rapporti di collaborazione, conditi dal rituale appuntamento per le trofie al pesto, con il vecchio collega Bozzano. Ha ancora un “Santo” in Paradiso, ehm nella polizia, e un Santo che per di più gode dell’ insostituibile aiuto della rossa e quasi fantascientifica, agente Salamandra.
Da citare la pungente e talvolta caustica ironia, che spesso affiora negli incontri scontri verbali tra Astengo e Corrado e azzeccate le caratteristiche psicologiche dei protagonisti compreso il terrier Banskya, al quale Novelli accollerà un vero e proprio ruolo di primo piano nella storia. Ancora la grande e maestosa Genova e i suoi tanti, infiniti pregi e segreti a fare da scenario . Bella, calda, affascinante ma che, se attaccata, sa e può difendersi alla sua maniera.

Andrea Novelli dopo aver studiato ingegneria e aver intrapreso una carriera professionale in multinazionali di settore, ha iniziato a dedicarsi alla narrativa. Scrittore, sceneggiatore e critico è autore di romanzi gialli e thriller di successo. Ha costituito per anni un collaudato sodalizio con Gianpaolo Zarini con cui ha pubblicato Soluzione finale, Per esclusione, Il paziente zero (Marsilio), Manticora (Feltrinelli), Blind spot (Ink Edizioni). Con Fratelli Frilli Editori è autore della serie gialla dedicata all’investigatore privato Michele Astengo. Ha pubblicato in Italia e Germania Gli insoliti casi del professor Augusto Salbertrand.

Source: libro del recensore.

:: Se esiste un perdono di Fabiano Massimi (Longanesi 2023) a cura di Patrizia Debicke

27 gennaio 2023

La storia quasi dimenticata dello Schindler britannico. Fabiano Massimi ci regala una straordinaria e documentatissima cronaca di quei giorni, ammantata dal leggendario incantato alone della presenza di una bambina, l‘eterea introvabile e imprendibile Bambina del sale. La chiamano la Bambina del Sale, perché tutte le sere, quando il buio dilaga in città, puoi incrociarla in un vicolo, avvolta in un mantello bianco, mentre vende una manciata di sale, merce inesistente da tempo in città, dentro dei sacchetti di tela azzurra. Un sacchetto per una moneta, si muove solo di notte e si dilegua prima dell’alba. Nessuno a Praga sa chi sia. Nessuno sa come fa a trovare quella preziosa merce… mentre un orco si mette sulle sue tracce.
Atmosfera e descrizioni da favola per le antiche e magiche ambientazioni dell’vecchia capitale imperiale dominata dal suo castello , dove le strade si intrecciano a misteriosi vicoli fatti per smarrirsi, e monasteri, e accoglienti rifugi in palazzi legati ad antichi Ordini Cavallereschi.
Quasi fosse una fatina dai capelli biondi e gli occhi azzurrissimi, Fabiano Massimi ha scelto lei a simbolo e filo conduttore della sua intrigante rivisitazione di una storia vera, di quello che fu un tragico episodio della disumana hitleriana follia e alla quale solo pochi coraggiosi e misconosciuti eroi britannici tentarono di dare un lieto fine con l’operazione Kinder transport.
Guida, capo ed eroe riconosciuto dell’organizzazione e della pianificazione della Kinder transport, che riusci a salvare in un anno ben 669 bambini ebrei, fu Nicholas Winton , battezzato protestante e nato in Inghilterra nel 1909 da una famiglia naturalizzata britannica ma di origine tedesca di religione ebraica. Finanziere di successo, Winton aveva lavorato per banche a Berlino e Parigi per entrare a far parte nel 1938, come operatore, nella Borsa di Londra.
Ma a settembre di quell’anno Hitler aveva invaso la regione cecoslovacca dei Sudeti.
Un amico, Martin Blake, che lavorava all’ambasciata inglese a Praga, lo convinse a raggiungerlo e lo coinvolse nell’assistenza ai profughi. Esisteva già in Cecoslovacchia un’organizzazione umanitaria molto attiva messa in piedi da una volontaria, Doreen Warriner Herrinton con l’aiuto di Trevor Chadwick e appoggi locali, per lo più patrioti antinazisti, che si occupava di favorire l’espatrio di ebrei e dissidenti, anche se il Regno Unito finora era stata l’unica nazione ad aprire le frontiere ai rifugiati.
Winton decise altrimenti e dirottò tutte le forze a sua disposizione a raccogliere dati a favore dei bambini e si installò in un albergo di Praga, già occupata dai nazisti poi, non facendosi illusioni sul futuro né sul continuo rischio di essere arrestato, portò avanti un progetto più ambizioso. Ottenuta l’approvazione dal Ministero degli Interni inglese, riuscì a trovare in patria famiglie che fossero disposte ad ospitare i bambini a rischio di sterminio in modo da consentir loro di salvarsi, espatriando in Inghilterra. Winton, credendo fermamente alla sua idea , tentò il miracolo: creare i presupposto con i necessari documenti e predisporre dei treni diretti nel Regno Unito per portare via e mettere in salvo quanti più bambini possibile. Tra i mille ostacoli burocratici e politici, e con per guida e appoggio logistico una giovane ceca Petra e il fattivo aiuto di un compatriota Trevor Chadwick, intendeva riuscire nel suo eroico intento. Infatti con il nazismo già incombente in Cecoslovacchia, serpeggiava il terrore , soprattutto fra gli ebrei del Ghetto. Restava pochissimo tempo , si doveva fuggire. E soprattutto provare a salvare i più deboli, compresi i bambini senza famiglia, come la sfuggente Bambina del Sale. Ma come? Anche perché la Bambina del Sale non concedeva confidenza, non dava fiducia, sembrava quasi voler coprire qualche segreto. Quale segreto?
Winton dovrà gioco forza, per motivi di lavoro, tornare a Londra, ma di là continuerà a dirigere le operazioni restando sveglio la notte, mentre il suo principale collaboratore a Praga, Trevor Chadwick, muovendosi come un giocoliere, si barcamenava tra mille insidie e seguendo le sue orme approntava le carte con le liste di bambini disposti a partire, con la certezza di una scelta senza ritorno e che, con ogni probabilità, li avrebbe divisi per sempre dalle loro famiglie.
L’atmosfera si faceva greve, la popolazione ceca era divisa. Nel paese si cominciava a respirare un’aria pesante, c’era anche chi parteggiava per l’occupante nazista. Bisogna muoversi con discrezione usando mille precauzioni. Si temeva che tra i collaboratori esterni potesse esserci una talpa. Uno dei loro cooperanti cecoslovacchi della prima ora da giorni risultava irreperibile . Cosa gli era successo? Anche l’ambasciata finirà con mettere in guardia Doreen Warriner, la sua posizione è a rischio, deve andarsene, lasciare subito il paese.
Nel marzo del 1939 Hitler invase il resto della Cecoslovacchia : ciò nondimeno nello stesso anno otto grandi gruppi di bambini (669 in totale, fra cui molti ebrei) riuscirono a partire da Praga.
I piccoli lasciarono la Cecoslovacchia su otto treni, intraprendendo un lungo viaggio per arrivare a imbarcarsi in Olanda su una nave diretta in Inghilterra e un altro viaggio era previsto il 1 settembre 1939. Ma purtroppo quell’ultimo treno non riuscì mai a partire da Praga, perché due giorni prima, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, la Germania aveva chiuso definitivamente le frontiere. Il treno e i 250 bambini che erano riusciti a salire a bordo, scomparvero. Si pensa che nessuno di loro sia sopravvissuto.
Durante la guerra Nicholas Winton combattè come ufficiale nella Royal Air Force.
In tempo di pace non parlò mai della sua grande impresa, neppure in famiglia. Ma nel 1988, ben cinquant’anni dopo il Kinder Transport, sua moglie Greta scopri in un baule le carte con tutti i nomi dei bambini salvati e i dati delle famiglie che li avevano accolti. Ne scrisse alla trasmissione Tht’s Life! della BBC che organizzò un primo incontro televisivo con Winton e poi un secondo raccogliendo tutti i bambini che sapevano di dovergli la loro salvezza. Da quel momento Nicholas Winton divenne un personaggio molto popolare, fu nominato baronetto dalla Regina e fu più volte candidato al Premio Nobel per la Pace.
Nel 2009 a Praga venne organizzato un viaggio in treno attraverso l’Europa per commemorare i Kindertransport. E priprio in quell’ occasione Winton ebbe a dichiarare : “La vera sfortuna è stata che nessun altro Paese abbia fatto altrettanto. Avevo provato a sensibilizzare gli americani, ma senza successo . Se l’avessero fatto…”.
In un’atmosfera straordinariamente ben ricostruita, dove dominano la reticenza, la paura, ma anche il coraggio e la volontà di riscatto, un eccellente ricostruzione romanzata di una storia. Se esiste un perdono racconta l’impresa di Nicholas Winton, Doreen Warriner e Trevor Chadwick, che ci misero la faccia e tutte le loro capacità, rischiando la vita per salvare dei bambini e dare loro un possibile futuro. Un bel romanzo che mischia passione a spy story, denso di pathos, coinvolgente e commovente, che narra l’impresa di sir Nicholas Winton, tornata alla luce più di trent’anni fa solo grazie alla toccante inchiesta della BBC, Fabiano Massimi ci accompagna in un appassionante viaggio a metà fra verità e finzione, restituendo, alla fine di quello che è il compendio una delle pagine più buie e tragiche del passato, la possibilità di perdono e un barlume di luce e di speranza.

Fabiano Massimi è nato a Modena nel 1977. Laureato in Filosofia tra Bologna e Manchester, bibliotecario alla Biblioteca Delfini di Modena, da anni lavora come consulente per alcune tra le maggiori case editrici italiane. Tra le sue pubblicazioni: L’angelo di Monaco (Longanesi, 2020) e I demoni di Berlino (Longanesi, 2021).

Source: libro del recensore.

:: Colpe senza redenzione di Nicola Verde, (Giallo Mondadori 2022) a cura di Patrizia Debicke

19 gennaio 2023

Il commissario Ermes De Luzio da sempre si ritiene un funzionario di polizia al servizio del cittadino. Si è mosso con coscienza anche durante il regime fascista, coservandosi neutrale per quanto ha potuto. Finita la guerra è rimasto al suo posto, mantenendo con cocciuta determinazione la sua drittura morale mentre Roma veniva percossa e lacerata da scontri, ritorsioni e vendette.
E tuttavia in fondo a sé prova una punta di rimorso, teme di non essersi mai voluto impegnare, teme di non aver fatto abbastanza e alzando lo sguardo al ritratto appeso sulla parete dell’ufficio affronta di malavoglia lo sguardo del presidente Luigi Einaudi. Sguardo che sembra volerlo giudicare da dietro le sue lenti rotonde.
Ormai vicino alla pensione, però De Luzio non si fa più illusioni e si è buttato serenamene dietro le spalle le giovanili velleità di carriera. Tutto nel suo ufficio piccolo è squallido, sa di muffa, vecchiume e come sottofondo, si potrebbe quasi percepire l’odore del grasso per pistole e della polvere che aleggia per l’intero edificio.
Il suo un ufficio è una stanza dimessa in un piccolo commissariato del Quarticciolo. Davanti alla sua vecchia scrivania che ha visto tempi migliori, troneggia una cassettiera in legno massiccio che contiene i faldoni con i casi già risolti e quelli da risolvere. Poca roba di recente: risse fra ubriachi, furtarelli di piccolo calibro, come per esempio la scomparsa del proiettore dalla sala parrocchiale. Ma qualche volta a impegnare di più il commissario De Luzio sono le liti tra marito e moglie, e il guaio vero può scaturire da alcune di quelle che degenerano nella violenza.
Come forse è accaduto in uno degli appartamenti dei tanti palazzoni di periferia, tirati su frettolosamante nell’ affannata opera di ricostruzione postbellica della Roma degli anni Cinquanta, ancora in bilico tra le dolorose ferite della guerra e la crescita incontrollata, sotto la spinta di speculazioni immobiliari.
L’appartamento in questione, zona Villa dei Gordiani, dove De Luzio verrà chiamato a intervenire e dove si troverà davanti a un orrido teatro del delitto: la tragica e spaventosa scena dell’omicidio di una giovane donna, Emilia Palmieri e dei suoi due bambini. Sia la donna, che i piccoli sono stati ferocemente massacrati a colpi di ferro da stiro. Chi può aver fatto un tale macello?
L’inchiesta in un primo momento verrà presa in carico dal commissario Leopardo Malerba che tenterà di sbrogliarla in fretta, indirizzando le indagini su un delitto passionale: la vendetta di una donna, Caterina Toresin, commessa e amante del marito e padre delle vittime. Malerba organizza persino funamboliche carte false per riuscire a inchiodarla . Ma presto per lui tutta questa triste faccenda dovrà passare per forza in secondo piano.
Il barbaro triplice omicidio di periferia infatti verrà oscurato dal ritrovamento sulla spiaggia di Tor Vajanica del cadavere di Wilma Montesi, ben presto balzato sulle testate più importanti e di risonanza nazionale per l’identità di importanti personalità coinvolte e tutte le ricadute politiche e mediatiche che minacciano addirittura le sorti del governo. Ragion per cui, di necessità virtù, Malerba, anche per cronica mancanza di personale in questura, sarà costretto ad affidare gli accertamenti della strage di Villa Gordiani al commissario Ermes De Luzio.
Per De Luzio però qualcosa non torna nelle conclusioni tratte da Malerba, troppo facili e semplistiche. Per lui quella ipotesi di accusa: vendetta di un’amante abbandonata, non regge. E tanto per cominciare l’anziano commissario sa di dover approfondire interrogando a fondo l’accusata. Ciò nondimeno, dopo aver parlato a lungo con Caterina Toresin, aver sentito la sua storia e le sue giustificazioni, le sue perplessità aumenteranno, inquietandolo. La donna lo intriga ma non la crede un’assassina.
Intanto sa di dovere per forza andare avanti riprendendo le indagini da capo e muovendosi con tatto discrezione. Non sbaglia. Con l’aiuto del suo fedele brigadiere Da Ponte, porterà subito alla luce la mancanza di conferme, interpretazioni sbagliate ed errori stupidamente commessi dagli investigatori fino a quel momento. E allora bisogna ricominciare dai primi passi, risentire tutte le testimonianze dei condomini e, tra “una tirata di Nazionale e l’altra”, cercare di scoprire anche quanto più possibile sulla vittima e la sua famiglia. Il nostro commissario è un poliziotto molto serio, preciso, scrupoloso. Ma anche un personaggio particolare, assillato da qualcosa che avrebbe preferito non venisse mai alla luce, insomma afflitto da sensi di colpa e dal suo continuo rimuginare su un caso non preso abbastanza sul serio e sfociato in una tragedia, che l’ha fatto soprannominare “mister Anamnesi”. Se ne accorge persino sua moglie Elena. Ci saranno tra loro persino alcuni momenti di dubbi, di imbarazzo, prima che De Luzio riesca a sfogarsi e ad accettare il suo conforto e il suo incoraggiamento a proseguire le indagini. Che si presentano lunghe e difficili anche perché qualcuno nasconde una parte della verità. Ma qualcosa verrà fuori. Intanto che l’uccisa era incinta. Di chi?… Pare che il marito fosse all’oscuro. E qual’era la vera ora in cui è stata commessa la strage?
Aiutato anche dalla colte letture di sua moglie, e fiancheggiato dalla dedizione del fedele brigadiere Savio De Ponte, savio di nome e di fatto, il commissario De Luzio pian piano riuscirà a mettere in piedi un solido schema investigativo, in grado di driblare depistaggi e false piste e invece prefiggersi un’ipotesi in grado di offrire inattese svolte e inimmaginabili colpi di scena.
Nel suo bel romanzo giallo, Nicola Verde ci offre una puntuale ricostruzione di quei tempi, spaziando la sua ricognizione dalle borgate descritte amaramente da Pasolini ai quartieri borghesi come i Parioli con i suoi lussuosi palazzi, avvalendosi anche di continue, mirate citazioni di film e canzoni d’epoca e facendo un’approfondita analisi dell’animo umano dei diversi personaggi. Un’indagine poliziesca sì, ma su un ambiente, una città e un periodo che Nicola Verde valuta a fondo e condanna senza fare sconti inserendo con abilità le giuste notizie storiche, culturali e letterarie che fanno di “Colpe senza redenzione” un libro che va ben oltre i confini del giallo classico.
Senza voler poi calcolare i pensieri, i ricordi e gli incubi che angosciano l’assassino (riportati in corsivo nel romanzo).
Ma ad un certo punto finalmente il quid, l’idea che scaturita da un libro gli darà in mano la giusta tessera da inserire per far combaciare il puzzle di Colpe senza redenzione. Sarà quella la chiave che ha scatenato tutto, o il terrore di un’infamante test diagnostico? Come riuscirà il nostro commissario De Luzio a trovare la giusta strada da imboccare per poi proseguire fino in fondo, fino alla soluzione del caso. Ma anche a scoprire che l’origine di tutto quel male, di quella mostruosa follia omicida, deve per forza aver avuto un suo drammatico perché.

Nicola Verde è nato a Succivo (CE) nel 1951 e vive a Roma. Vincitore di alcuni prestigiosi premi dedicati al giallo, alla fantascienza e al fantastico, è presente in numerose antologie. Ha pubblicato i seguenti romanzi: “Sa morte secada”, “Un’altra verità”, “Le vie segrete del maestrale”, “La sconosciuta del lago”, “Verità imperfette”, “Il marchio della bestia”, “Il vangelo del boia”, “Maestro Titta e l’accusa del sangue”, “Il profumo dello stramonio”.

Source: libro del recensore.

:: La nave dei folli di Marco Steiner (Marcianum Press 2022) a cura di Patrizia Debicke

14 gennaio 2023

Marco Steiner bentornato.
Avevo già letto il suo “Isole di ordinaria follia”, un non romanzo e un non saggio. Forse un condensato di poesia ? Di fantastiche illusioni ? O qualcosa di più?
Steiner ci aveva regalato finora grandi orizzonti, multiformi magiche avventure dove il mare dominava la scena da protagonista. Lui sa bene cos’è il mare.
Stavolta invece l’unica, vera protagonista diventerà la mente umana con tutte le sue possibili scelte e il labirintico complesso delle possibilità e dei contenuti intellettuali e spirituali dell’individuo.
Comunque pare difficile riassumere in poche parole una trama tanto ricca e coinvolgente per la quale posso dare solo un suggerimento: attenzione alla fine perché quando tutto – o molto – sembra forse perduto si scoprirà il segreto in grado di lenire ogni male: la speranza.

In una notte illuminata da una strana doppia luna, un veliero nero accosta in silenzio a San Servolo, l’isola della laguna veneziana che fino al 1978 ospitava il manicomio veneziano.
Tutto è calma e silenzio a bordo e sul ponte deserto un gruppetto di internati s’imbarcherà frettolosamente, di nascosto, seguendo l’impulsiva scelta di Indio, provetto marinaio e capitano. Per tutti loro la speranza di una possibile fuga.
Comincia così una straordinaria e fiabesca peregrinazione alla ricerca di una sorta di libertà, una agognata e qualsiasi libertà forse generata dalla follia, un protettivo limbo in grado di offrire sponda , tregua, ma anche l’ opportunità di smarrirsi e fallire nel tentare nuove strade prima impensabili. Una salvezza dell’anima , una agognata via di fuga, da scovare forse nei meandri oscuri delle viscere di Venezia, paragonabili a una specie di gigantesco ventre umano dove cercare rifugio dalla tragedia portata dalla realtà.
Il loro timoniere, Efren Jorge Caminante detto Indio, uomo di mare di origini italo/sudamericane, e protagonista della storia, non sa solo navigare, lui riesce a comunicare empaticamente con lo sconfinato abisso oceanico e addirittura con la Luna. Indio conosce a menadito le sconfinate distese marine che man mano sveleranno a tutti universi sconosciuti da attraversare, lasciandosi trasportare dal vento e dal vibrare delle sublimi note che emergono nella nebbia.
Indio crede di aver capito di dover ritrovare il prezioso Altrove, cercandolo fra le misteriose isole che si allontanano o scompaiono all’orizzonte.
Non sono folli i personaggi della storia, ma uomini e donne solo dotati di fantasia, ciascuno in cerca di una possibile realtà, forse l’unico vero regalo per il loro lungo viaggio.
Principale scenario di tutto il romanzo il loro lento, lungo e inquieto girovagare per mare: a perenne simbolo di libertà, di movimento, di navigazione che riuscirà a costringere tutti a confrontarsi con il proprio io.
Una storia insolita, priva di modelli, che induce il lettore, insieme al protagonista del narrare, a fare omaggio alla grande letteratura fantastica di Poe, Borges e Lovecraft, ai percorsi di Conrad e alla ricerca della libertà fisica e spirituale influenzata nell’autore da Hugo Pratt che con le sue magiche vicende ha saputo spiegare l’avventura più bella: essere vivi.

Il capitano sarà la “guida” di questo ristretto e stravagante equipaggio. E tuttavia piano piano
gli uomini, le donne e il veliero perfezionano come per magia un rapporto di fusione che consentirà a ognuno di ritrovare, spartire e affrontare i tanti ricordi e dolori del passato dimenticati nel tempo. Ognuno poi a suo modo, spezzando le catene di timori e incertezze, vivrà l’ebbrezza della separazione e l’incanto di incredibili avventure tra esseri splendidi o mostruosi, veleggiando lungo coste e mari sconosciuti . Una rotta imprevedibile, quella sfidata della Nave dei Folli, che sarà densa di sorprese, pericoli, incontri e sorpassi fra onde anomale e vascelli colmi di immagini inconsuete. Per raggiungere l’armonia, l’unica meta agognata si dovrà abbandonare il passato, mollare ogni inutile ormeggio.
Durante tutto il loro viaggio Indio redigerà puntualmente il suo Libro di Bordo, descrivendo i luoghi visitati, gli incontri fatti ma e soprattutto confrontandosi ogni giorno direttamente con le storie e le traversie vissute dagli altri suoi compagni di cammino e saprà anche lui riscoprire in sé la forza di superare il suo personale dramma e la voglia di ricostruirsi.

Ma come si potrebbe definire La nave dei folli? Un manuale di navigazione? Un reportage di viaggio?

Forse. Certo l’eterogenea ciurma protagonista del romanzo naviga in posti reali che spaziano tra la Laguna Veneta, la Sicilia e il sud America, ma e soprattutto si spinge coraggiosamente oltre in quell’altrove del profondo, dell’inconscio, fino a raggiungere il fantastico, con sprazzi di fantasy che sfiorano inconfessati sogni, magari solo influenzati della Fata Morgana, da sempre signora e padrona della nebbia che gravita pesantemente sulle acque della laguna.

O uno studio critico di psicopatologia, visto che il protagonista, imprigionato all’inizio nel manicomio di San Servolo e curato brutalmente con elettroshock e terapie farmacologiche incontrerà finalmente un medico che, in virtù della letteratura, riuscirà a turarlo fuori dai vincoli di quel mostruoso carcere della sua lucida follia, provocata dall’incidente.

Ma non è certo un fumetto “La nave dei folli”, anche se il tratto di Hugo Pratt di Steiner fa capolino con prepotenza tra le righe .

Niente di tutto questo e dove quindi si dovrebbe o potrebbe classificare questo romanzo?
Fantasia? Realtà? Oppure capacità di riscatto?

Marco Steiner vive fra Roma e New York. Lo pseudonimo “mitteleuropeo” gli è stato suggerito da Hugo Pratt con il quale ha collaborato dal 1989 al 1995 e da cui ha imparato a scrivere storie. Con fotografi come Gianni Berengo Gardin e Marco D’Anna ha imparato a vedere luci e ombre. Nel 1996, dopo la morte di Pratt, ha portato a compimento il romanzo Corte Sconta detta Arcana, edito da Einaudi. È autore di numerosi romanzi: Il Corvo di Pietra (2014), Oltremare (2015, Premio di Letteratura Avventurosa Emilio Salgari), Il gioco delle perle di Venezia (2016), Miraggi di memoria (2018), Passi silenziosi nel bosco (2020), Nella Musica del Vento (2021). Per Marcianum Press: Isole di ordinaria follia (2019).

:: La scrittrice obesa di Marisa Salebelle (Arkadia Editore 2022) a cura di Patrizia Debicke

21 dicembre 2022

Da poco approdato in libreria, il nuovo libro di Marisa Salabelle, scrittrice che già abbiamo avuto modo di recensire nei precedenti romanzi da lei pubblicati. E proprio tornando al suo primo romanzo, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu, e alla sua protagonista donna chiusa, complessata e sgraziata, mi rendo conto quanto quel suo personaggio mi costringa a pensare a Susanna Rosso, la scrittrice obesa, tragico fulcro della nuova trama . Hanno tante cose in comune infatti Susanna e Efisia: la poca avvenenza, agli occhi della società fattore di emarginazione, le rare amicizie dovute al caratteraccio, una abitazione trasandata, oltre ogni possibile limite.
Anche Susanna come Efisia è un personaggio condannato a percorrere un buio tunnel emozionale infinito e del quale non riesce mai a intravedere la fine. Susanna dalla ragazza grassoccia di un tempo, si è trasformata ormai in una donna obesa, solo schiava della solitudine e della tristezza, ma è soprattutto sopraffatta e vittima di un pessimo carattere strettamente collegato e acuito dal suo stato di malessere.
Rimasta orfana in giovanissima età, chiusa in un ambito familiare soffocante, in rapporto conflittuale con la madre che, rimasta vedova, e unico specchio con cui confrontarsi, senza il controllo di freni educativi inibitori, quando le saltano i nervi (cosa che succede spesso) l’ha sempre trattata malissimo (finchè la povera donna è vissuta ).
Lo stesso atteggiamento negativo e scostante che ha riservato ai vicini di casa, ai pochi saltuari conoscenti, e persino alla sua migliore amica, Lorella. Amica che invano ha sempre cercato di distoglierla dalla letargia emozionale al di là delle sue pantagrueliche e croniche fissazioni. Sempre e comunque scontrosa, chiusa, Susanna, infatti, oltre al suo insano rapporto con il cibo, è preda di quello che, con espressione forse desueta, si potrebbe definire il sacro fuoco della scrittura. Coltiva infatti due passioni: leggere ( tutto il suo tempo viene dedicato ai romanzi dei quali si ingegna a scrivere appunti) e a mangiare, a dismisura e, in balia dei suoi deliri creativi che la inducono a mischiare realtà ed invenzione, non vuol ascoltare consigli né reprimende, anzi insiste nell’ampliare le sue fissazioni, in un mostruoso crescendo di dipendenza e di masochismo. La sua doppia bulimia, l’incontrollabile fame di frasi scritte e di cibo spazzatura, unita al suo brutto carattere e al suo crescente egocentrismo, che l’hanno portata a rinchiudersi in se stessa, ai limiti del patologico, finiranno con il condannarla all’isolamento e alla più brutale solitudine. A un livoroso silenzio accresciuto dalla continua rabbia di non riuscire, nonostante i continui e ripetuti sforzi, ad essere apprezzata e accettata come scrittrice dagli editori. Tutta la sua esistenza, imperniata sulla sua smodata passione per la scrittura, si è risolta nello sfornare senza posa, decine su decine di racconti. Ma i suoi tentativi di emergere e ogni suo sforzo per arrivare a pubblicare uno dei suoi romanzi, sono stati regolarmente frustrati. Sì ha preso parte e ha persino vinto, iscrivendosi a piccoli concorsi locali ma nonostante abbia un vero talento, è sottovalutata da chi le vive vicino e sistematicamente disprezzata dalle case editrici, che tormenta riempiendole di proposte e proteste. Unico suo sfogo: scrivere decine di lettere, probabilmente mai aperte o viste a scrittori, attori e cantanti di successo.
Il suo mondo pian piano, con il passare degli anni, si è ristretto al solo rapporto con i personaggi che riesce a inventare sulla carta, si commuove per le loro vicende, li immagina come persone vere. Nella vita reale, dalla scomparsa della madre, vede soltanto di tanto in tanto, l’unica vecchia amica, dai tempi della scuola, Lorella, Suor Maria Consolazione, una religiosa con cui prova a collaborare e una vicina di pianerottolo, la signora Lotti, che vorrebbe aiutarla ma…
Per mantenersi, ha lavorato saltuariamente per una piccola casa editrice della sua cittadina, e in seguito, con l’avvento della rete, si è accollata incarichi da home working: impegnandosi tra letture e valutazioni di manoscritti, traduzioni ed editing. La sua vita sentimentale sembrava avere trovato uno sbocco nella relazione con un poeta ma dopo una brevissima convivenza, anche quel rapporto si è spezzato. E benché le sue amiche tentino di tirarla fuori dal vortice di autodistruzione, Lorella coinvolgendola nella sua vita sentimentale, Suor Maria Consolazione nell’alfabetizzazione delle donne rom del campo vicino alla parrocchia, e persino la vicina provi a offrirle cibo sano e aiuto per ripulire l’appartamento, da lei ridotto a una specie di puzzolente porcilaia, Susanna si chiude come un riccio, considera i loro tentativi un’intromissione e le rifiuta al punto che tutte e tre finiranno con allontanarsi, abbandonandola al suo destino. Il tragico destino che conosciamo dal prologo: il ritrovamento del suo corpo senza vita e peggio in avanzato stato di decomposizione.
Ma la sua morte, la morte della scrittrice obesa, fa notizia. I suoi scritti snobbati dalle case editrici finché Susanna era in vita verranno, in virtù del dramma gonfiato dai media, pian piano uno dopo l’altro “riscoperti”, fino a farla diventare un’autrice ai primi posti nella classifica delle vendite.
Un’amara parabola raccontata con il solito savoir faire e con un certo compiacimento dall’autrice, che di questo mondo ben conosce i meccanismi e i retroscena, anche quelli tanto deleteri del mercato.
Marisa Salabelle tratteggia con amara ironia, una storia di emarginazione e solitudine ma approfitta dell’occasione per rivolgere una disincantata critica rivolta al panorama editoriale attuale: all’incontrollabile proliferare di premi… quanti poi davvero meritati? Alle troppo difficoltà di emergere e farsi accettare in un mondo difficile, poco obiettivo e troppo spesso legato a scelte pilotate . E il mercato italiano poi: strano panorama, un terno al lotto da giocare? Cosa conta davvero per un aspirante scrittore ? Cosa serve?
Una storia dura e cruda, che fa riflettere,

Marisa Salabelle è nata a Cagliari il 22 aprile 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di studi teologici presso il Seminario arcivescovile della stessa città. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme). Nel 2019 ha pubblicato il suo secondo romanzo, L’ultimo dei Santi (Tarka). Entrambi i romanzi sono stati finalisti al Premio letterario La Provincia in Giallo, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il romanzo storico-famigliare Gli ingranaggi dei ricordi (Arkadia Editore) e nel 2022 Il ferro da calza (Tarka), un giallo con ambientazione appenninica. Suoi articoli e racconti sono apparsi su riviste online e antologie cartacee.

Source: libro del recensore.

:: Sguardo a Oriente di Dacia Maraini (Marlin editore 2022) a cura di Patrizia Debicke

19 dicembre 2022

Sguardo a Oriente di Dacia Maraini, a cura di Michelangelo La Luna, è un variegato compendio di racconti di viaggio, edito da Marlin nel 2022, un’antologia che come un’astronave naviga nel tempo e nello spazio.
Memorie, spunti e impressioni scritte negli anni dall’autrice per le grandi testate giornalistiche italiane. Articoli rivisti, modificati e talvolta strutturati con nuova e diversa logica . Una variegata raccolta di inchieste che spaziano dall’ Afghanistan e poi in Cina, Corea, Giappone, India, Iran, Palestina, Pakistan, Siria, Tibet, Turchia, Vietnam, Yemen e altro ancora…
Sguardo a Oriente di Dacia Maraini ci trasporta nel vicino e lontano ed esotico continente asiatico, ove di esotico c’è solo quanto riporta il vocabolario che ne dà come definizione “Di quanto proviene o è ispirato da paesi stranieri e specialmente dall’Oriente (con una sfumatura di ricercatezza):”, ma una definizione che può mutare addirittura, assumere altre accezioni a seconda dei punti di vista. Una denominazione riservata, secondo un criterio assoluto o relativo, a territori o paesi situati o tradizionalmente considerati a est, in contrapposizione a quelli europei: l’Estremo Oriente; il Medio Oriente, oltre il Mediterraneo (o il Vicino Orente); l’Oriente europeo certo, anche la Russia e la Siberia poi. Insomma tutto il complesso di civiltà e culture dei paesi asiatici (contrapposte a quelle occidentali).
Un libro contemporaneamente soave e doloroso che narra della grazia dei paesaggi del Sol Levante e descrive il dolore che si sprigiona dalla crudeltà di certe storie pur senza rigirare il coltello nella piaga.
Una raccolta di storie di umane esperienze in cui Dacia Maraini denuncia senza remore la condizione umana e peculiare delle donne, dei bambini, di quanto avviene nei regimi totalitari, dei crimini di guerra e prova a ridare voce a tutti coloro che non hanno potuto parlare. È necessario accusare chi commette soprusi, violenze e discriminazioni e chi finge di non sapere.
I capitoli di questo libro, tratti da articoli e da inchieste e riflessioni della Maraini, devono trasformarsi in dimostrazioni di coraggio, in testimonianza di quanti diritti civili vengano negati in paesi belli bellissimi, ma in cui ohimè la libera circolazione delle idee arriva a costare la morte.
Si parla anche di tante nazioni che l’autrice ha visitato: dalla Cina, pronta a fare “l’ultima pedalata verso il capitalismo”, allo Yemen, afflitto dalla guerra e dalle carestie, e all’India, dove sono in crescita episodi di stupro e di femminicidio.
Il legame di Dacia Mariani con l’Oriente ha radici molto lontane e profonde.
Nei suoi scritti si percepisce il ritmo narrativo che deriva dalla cultura familiare della grande scrittrice, con la nonna inglese Yoï di origine polacca poi naturalizzata ungherese, il padre Fosco, geniale scultore e studioso dal piglio internazionale che ventitreenne sposò la ventiduenne Topazia Alliata di Salaparuta, pittrice della grandissima famiglia siciliana (poi affermata artista, gallerista, mecenate e imprenditrice, dalla quale ebbe tre figlie, vissuta tra l’Europa e l’Asia, cittadina del mondo, la sua lunga vita – morta a 102 anni – fu costellata di eventi e rivoluzioni). Una cultura che le ha instillato sin da bambina l’amore per il viaggiare e la capacità di parlare dei fatti e i personaggi di posti lontani.
Paesi come il “Caro” Giappone di cui ricorda il periodo di internamento a Nagoya dal 1943 al 1945, le vittime della bomba atomica, i morti per il “superlavoro”, ma anche l’emancipazione femminile e lo straordinario fascino del teatro Nō.
“Caro” Giappone perché? Dacia Maraini aveva solo due anni quando papà Fosco, scrittore e antropologo e orientalista, ottenne di essere trasferito con la famiglia in Giappone, dove visse dal 1938 al 1947 e dove nacquero le due sorelle di Dacia. Ma dopo l’8 sett. 1943, avendo rifiutato, con la moglie, di aderire alla Repubblica sociale italiana, fu internato come “nemico”, con le tre figlie bambine , in un campo di concentramento a Nagoya. Isola di detenzione in cui la famiglia rimase fino alla resa del Giappone (15 ag. 1945), sottoposta a privazioni e angherie.
Il Giappone naturalmente rimanda quei ricordi. Il non credere alla supremazia della razza è stato
uno dei grandi insegnamenti di suo padre e il suo straordinario esempio di coraggio. Quegli anni di durissima prigionia rappresentarono per tutta la famiglia di Maraini un groviglio e un fardello che avrebbero potuto trovare solo espressione, e forse una sorta pacificazione, nella scrittura.
“Il mio rapporto col cibo” ricorda Dacia Marini “è stato condizionato dai due anni di campo di concentramento in Giappone, durante l’ultima guerra. Ero una bambina ma la mia memoria ne è stata marcata a fuoco per sempre…Ho ancora negli occhi le bombe che si disegnavano sul cielo terso in una mattina nitida di agosto, nel campo di concentramento per antifascisti di Tempaku …”
Nel suo “Caro Giappone” poi la Maraini è ritornata tante volte per tenere conferenze e presentare i suoi libri.
Ha avuto allora l’opportunità di incontrare scrittrici giapponesi, anche con lo scopo di promuovere i loro libri presso le case editrici italiane, ma pare sia una cosa quasi impossibile per il libri scritti da donne.
Torniamo sulle sue orme all’ Afghanistan, per poi passare alla Birmania, proditoriamente ribattezzata dai militari col nome di Myanmar, ancora la Cina visitata con Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini in tempi epici per quel paese nel 1986, la Corea del Nord e la Corea del Sud, Manila nelle Filippine, Giappone, Calcutta in India, Iran, Israele, Kurdistan, Pakistan, Palestina, Siria, Indonesia, Malesia, Vietnam, Tibet, Turchia, Yemen: ecco a voi i tanti paesi dell’Oriente che Dacia Maraini descrive ed evoca sia com tenerezza, che con intelligente perspicacia, senza fare sconti oppure addirittura irata , o peggio profondamente amareggiata.
Mai remissiva però , sempre pugnace e costruttiva nei confronti di un altro mondo che deve essere scoperto per i suoi paesaggi, per le sue usanze , per la maestà femminile delle sue donne e per i suoi bambini.
Un uragano che al posto di lampi emette ricordi che fanno sgorgare storia passata e dell’oggi, legata a tragedie ancora in atto per levare grida di contestazione correlate a suggerimenti, considerazioni.
L’Oriente della Maraini è la donna afghana che porta il velo non per sua scelta, ma perché obbligata da una legge iniqua; bambini catechizzati nel fanatismo religioso, innocenti del resto. Mentre il mondo Occidentale, pur segnando col dito le atrocità, fingendo orrore per le guerre, le barbarie perpetrate, poi tace vigliaccamente.
L’Oriente è anche quello dei giovani, poco più che bambini, monaci birmani, schiacciati dai carri armati dell’esercito, solo perché chiedevano libere elezioni, libertà di parola, di religione.
È nel compravendita dei corpi dei bambini di Manila: sfruttati, violentati, seviziati, venduti. Bambini nati e cresciuti in strada. I Medici Senza Frontiere sono riusciti a trasformare alcuni di loro in educatori, salvandoli da un inaccettabile destino. L’Oriente è la bella ragazza indiana che su un autobus a New Delhi viene stuprata da sei giovani, tra i quali lo stesso conducente, davanti al fidanzato, legato, picchiato selvaggiamente e costretto al silenzio. La ragazza poi , scaricata o peggio buttata giù dall’autobus, morirà. Dopo giorni d’agonia in ospedale.
Ma il germe del male prolifera. La violenza aumenta ovunque, lo stupro si fa arma e potere.
L’Oriente ci rammenta che due giovani iraniane, una studentessa diciannovenne, Puoran Najafi, e una infermiera di ventiquattro, Hengameh Hajhassan, hanno pagato per amore della libertà una con la vita, l’altra con le terribili torture, delle quali porta ancora i segni. Tutto questo, grazie al mendace potere di Khomeini che professava il suo verbo e pareva volesse liberare il paese in nome di Allah.
Ayse Deniz Karacagil, ventiquattro anni, è morta invece sul fronte di Raqqa per difendere il popolo curdo, la sua solo un’ idea di libertà e di vita. Amava la vita e voleva salvare la sua gente dalle persecuzioni. Come l’omicidio nel Pakistan di Benazir Bhutto. Per lei essere donna l’ha condannata a morte. Solo crudele e mostruoso fanatismo religioso, ma anche questo è l’Oriente.
Ma l’Oriente di Dacia Maraini è anche l’affascinante incoerenza del mondo cinese, con le sue tradizioni strette dalle rigide regole maoiste. Lo spontaneo sorriso dei bambini persino nell’inferno di Aleppo; le scalatrici nepalesi delle maestose montagne tibetane, fulgido esempio di coraggio e indipendenza per le donne di tutto l’universo; e le tante donne turche che studiano, lavorano, scrivono e si sacrificano per resistere alle armi e alla morte.

L’Oriente per Dacia Maraini è stato anche quello della visita nello Yemen accompagnata da due grandi scrittori: Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia, suo compagno per quasi una vita.
Molti altri viaggi fatti per tenere lezioni nelle università, “sorprendente l’amore per la lingua italiana degli studenti in Cina o in Vietnam” ci spiega. Viaggi fatti in land rover, dormendo in tende o rifugi occasionali. Anche con un’altra viandante di eccezione: quale Maria Callas.
Viaggi in cui la sua attenzione andava inevitabilmente alla condizione femminile. “In Afganistan ho chiesto perché le donne sono coperte, mi hanno risposto che le donne sono una tentazione, ma allora sono gli uomini il problema, perché non riescono a resistere alla tentazione! Ho provato un burqa: una vera prigione: vedi solo quello che hai davanti, niente ai lati, non senti bene, tutto è attutito, e inciampi su tutta questa stoffa fra i piedi. La condizione delle donne in questi paesi è tremenda e trovo estremamente coraggioso e da sostenere quello che stanno facendo le ragazze in questo momento in Iran, il taglio simbolico dei capelli che significa rivendicare i diritti negati, atto di grande forza perché rischiano moltissimo.”
Ma questo è l’Oriente…
Sempre per allargare lo sguardo ma è anche ciò che noi tutti dovremmo fare, osare. Non si può negare infatti il passato, né continuare a tacere il presente. L’Oriente in fondo è parte importante e indissolubile della nostra storia. Questo libro è un viaggio di immagini scritte, dipinte in bianco e nero con leggere e delicate sfumature di colore.

Dacia Maraini: autrice di narrativa, poesia, teatro e saggistica, acuta e sensibile indagatrice della condizione della donna, ha spesso delineato nei suoi testi figure femminili complesse e determinate, inserite in una più ampia riflessione su molteplici temi sociali, affrontati in un prospettiva storica. Con la raccolta di racconti Buio (1999) si è aggiudicata il premio Strega. Dopo il drammatico periodo giapponese nel ‘46 i Maraini rientrarono in Italia, recandosi prima a Firenze e poi stabilendosi in Sicilia presso i nonni materni di Dacia, nella Villa Valguarnera di Bagheria. Le difficoltà di adattamento al nuovo ambiente portano la giovane Dacia a rifugiarsi nei libri: mentre le sue coetanee vanno a ballare o in gita, lei si immerge nella lettura fino a dimenticarsi di tutto. Qualche anno dopo i genitori si separano e il padre va a vivere a Roma, dove lei lo raggiunge, compiuti i diciotto anni. Si arrangia facendo diversi lavori, dalla segretaria all’archivista. Più tardi si sposa con il pittore milanese Lucio Pozzi e nel ‘62 pubblica il suo primo romanzo, La Vacanza. A questi anni risale l’incontro con Alberto Moravia, che si è appena separato dalla moglie, Elsa Morante. Uomo sempre «in fuga per inquietudine intellettuale e psicologica» – simile in questo all’amatissimo padre Fosco – lo scrittore romano sarà suo compagno di vita fino al ’78. I due faranno numerosi viaggi in Africa, India, Cina e altri paesi, molti dei quali insieme a Pier Paolo Pasolini. Al pari della scrittura, il viaggio è considerato da Dacia Maraini come parte naturale del suo destino: il viaggio fisico, alla scoperta di nuove terre e culture (già a un anno viene fatta salire su una nave per Kobe), ma soprattutto quello attraverso i libri, per lei il più affascinante. Nonostante il successo di pubblico, molta critica è diffidente nei confronti della sue prime opere, considerate scandalose per alcuni temi che precorrono quelli del movimento femminista degli anni Settanta. Nel ’63, con l’assegnazione del prestigioso Premio Formentor a L’età del malessere, la polemica infuria sui giornali e Dacia Maraini viene pubblicamente accusata di essere una protetta di Moravia. Ci vorranno anni di duro impegno e decine di migliaia di copie vendute prima di riscattarsi da tali accuse, anche se la sua opera rimane ancora oggi inadeguatamente studiata.
Negli anni ’70, facendosi incalzante l’impegno femminista, è co-fondatrice del teatro gestito da sole donne La Maddalena (1973), che verrà dopo la Compagnia del Porcospino (1967) e della Compagnia Blu a Centocelle (1970). La notorietà internazionale arriva con Maria Stuarda (1980), dramma tradotto e messo in scena in 22 paesi, mentre il primo grande successo di pubblico e di critica l’abbraccia con il romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990, vincitore del premio Campiello). Buio poi , del 1999, vincerà invece lo Strega.