

“L’ombra sul colosso. La prima indagine del commissario Villata” è il romanzo ad ambientazione storica di Marco Badini, edito da Todaro. Luogo del giallo è la Brescia del 1932, poco tempo prima dell’arrivo di Benito Mussolini per l’inaugurazione di Piazza della Vittoria. Ai piedi della scultura realizzata da Dazzi, nota a Brescia con il soprannome di “Bigio” è ritrovato il corpo senza vita di una giovane donna. A sbrogliare la matassa di questo romanzo carico di suspense dovrà pensarci il commissario Fulvio Villata, noto a tutti come “Il Mastino”. Abbiamo parlato con Marco Badini dell’origine del suo giallo ad ambientazione bresciana.
Come ti è venuta l’idea di scrivere un romanzo giallo? Il genere poliziesco è sempre stato tra i miei preferiti e da tempo desideravo misurarmi con la stesura di un giallo. Una volta trovato lo spunto, scrivere è stato naturale: un processo creativo e costruttivo più complesso rispetto ad altri generi narrativi, ma molto gratificante e istruttivo sotto il profilo letterario.
Perché hai deciso di ambientarlo a Brescia e perché nel 1932, poco prima dell’inaugurazione di Piazza della Vittoria? Ho scelto questa precisa collocazione spaziotemporale perché l’ho trovata una formidabile opportunità di sviluppo narrativo per un poliziesco con venature storiche. L’inaugurazione di Piazza Vittoria fu molto importante per la città che, in quella circostanza, si trovò sotto i riflettori dell’attenzione nazionale. Mussolini in persona giunse per tenere a battesimo la nuova piazza: un clima effervescente e teso… il momento ideale per un delitto.
Fulvio Villata è il protagonista, detto “Il Mastino” (ho pensato a “Il mastino di Baskerville”), come hai creato il tuo protagonista, ti sei ispirato a persone reali? Il tuo pensiero fa molto onore al mio commissario, ti ringrazio! In effetti i romanzi di Arthur Conan Doyle occupano un posto d’onore nella mia piccola biblioteca. Fulvio, il mio commissario, in realtà non è ispirato a nessuna figura reale. È piuttosto un insieme dei tratti che più ho apprezzato nei vari investigatori letterari che mi è capitato di leggere. Principalmente, per nominarne due, Sherlock Holmes e il commissario Maigret di Simenon. Ci sono poi aspetti più superficiali, piccole cose o atteggiamenti che ho preso in prestito dalle persone che mi capita di osservare nella vita di ogni giorno. Non esiste comunque una persona in particolare a cui mi sono ispirato: il Mastino è nato nella mia mente quasi d’improvviso, come d’improvviso è apparso in piazza Vittoria la notte del 16 ottobre 1932.
Brescia, la sua piazza in Art Déco, sono scenografia e parte integrante della narrazione, come ti sei documentato per ricostruire il periodo di quel momento storico bresciano? La fase di ricerca è stata la più laboriosa, anche perché si è estesa ben oltre la piazza e la sua architettura razionalista. Mi sono interessato anche agli aspetti più ordinari del quotidiano, per farmi un’idea di come potesse essere la vita per un cittadino di quasi cent’anni fa. Al giorno d’oggi disponiamo di una quantità impressionante di fonti potenziali, proprio per questo mai come ora è necessario applicare criteri rigorosi al vaglio dei dati. Quando possibile preferisco rifarmi ai classici testi scritti, l’ideale è se posso sfogliare concretamente le pagine di un volume di consultazione. Devo riconoscere però che anche immagini e filmati d’epoca mi sono stati di grande utilità, soprattutto per alcune parti strettamente descrittive.
Il colosso del titolo – a Brescia noto con il soprannome di Bigio, ma il suo nome vero è Era Fascista- che funzione ha nella storia. Il colosso è il cardine ideale dell’opera e nel titolo ha un valore polisemantico: indica la statua scolpita da Arturo Dazzi che hai citato, un manufatto di dimensioni ragguardevoli; il colosso però può anche significare per estensione il regime fascista con le sue aspirazioni totalitarie. Nello specifico del romanzo, la statua e il suo creatore prendono parte allo sviluppo delle indagini, rivelandosi un fattore di primaria importanza per far luce su diversi punti oscuri.
L’agente Ferri e il dottor Calligaris, medico legale, sono due i comprimari di Villata, quanto sono importanti per il protagonista dal punto di vista lavorativo e umano? Direi che sono fondamentali. Ne hai colto la duplice importanza: sul piano professionale costituiscono una risorsa irrinunciabile per il commissario. Il dottor Calligaris con le sue perizie è in grado di offrire una considerevole mole di indizi, mentre l’agente Amilcare Ferri in veste di vero e proprio uomo d’azione completa il quadro delle competenze necessarie alle indagini. C’è poi, come hai giustamente osservato, il lato umano. Amilcare è in particolar modo legato al commissario da una solida amicizia e lo rende partecipe della sua vita in molte circostanze come, ad esempio, il consueto pranzo della domenica. Possiamo dire che lui e il dottor Calligaris rivestono ruoli importanti nel lavoro del Mastino di Brescia ma sono anche una consistente presenza nella sua sfera privata.
Romanzo unico o primo di una serie? Sto mettendo a punto qualche idea, credo proprio che il Mastino e i suoi compagni si troveranno presto alle prese con un nuovo caso.
Quali sono le tue letture preferite? Amo molto leggere saggi storici, ma anche polizieschi, thriller e altri generi di narrativa. Mi piacciono anche alcuni fumetti, soprattutto quando dimostrano di possedere profondità e spessore non inferiori alla letteratura in senso stretto.