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:: Intervista a Marco Badini per il suo “L’ombra sul colosso. La prima indagine del commissario Villata” A cura di Viviana Filippini

14 marzo 2023

“L’ombra sul colosso. La prima indagine del commissario Villata” è il romanzo ad ambientazione storica di Marco Badini, edito da Todaro. Luogo del giallo è la Brescia del 1932, poco tempo prima dell’arrivo di Benito Mussolini per l’inaugurazione di Piazza della Vittoria. Ai piedi della scultura realizzata da Dazzi, nota a Brescia con il soprannome di “Bigio” è ritrovato il corpo senza vita di una giovane donna. A sbrogliare la matassa di questo romanzo carico di suspense dovrà pensarci il commissario Fulvio Villata, noto a tutti come “Il Mastino”. Abbiamo parlato con Marco Badini dell’origine del suo giallo ad ambientazione bresciana.

Come ti è venuta l’idea di scrivere un romanzo giallo? Il genere poliziesco è sempre stato tra i miei preferiti e da tempo desideravo misurarmi con la stesura di un giallo. Una volta trovato lo spunto, scrivere è stato naturale: un processo creativo e costruttivo più complesso rispetto ad altri generi narrativi, ma molto gratificante e istruttivo sotto il profilo letterario.

Perché hai deciso di ambientarlo a Brescia e perché nel 1932, poco prima dell’inaugurazione di Piazza della Vittoria? Ho scelto questa precisa collocazione spaziotemporale perché l’ho trovata una formidabile opportunità di sviluppo narrativo per un poliziesco con venature storiche. L’inaugurazione di Piazza Vittoria fu molto importante per la città che, in quella circostanza, si trovò sotto i riflettori dell’attenzione nazionale. Mussolini in persona giunse per tenere a battesimo la nuova piazza: un clima effervescente e teso… il momento ideale per un delitto.

Fulvio Villata è il protagonista, detto “Il Mastino” (ho pensato a “Il mastino di Baskerville”), come hai creato il tuo protagonista, ti sei ispirato a persone reali? Il tuo pensiero fa molto onore al mio commissario, ti ringrazio! In effetti i romanzi di Arthur Conan Doyle occupano un posto d’onore nella mia piccola biblioteca. Fulvio, il mio commissario, in realtà non è ispirato a nessuna figura reale. È piuttosto un insieme dei tratti che più ho apprezzato nei vari investigatori letterari che mi è capitato di leggere. Principalmente, per nominarne due, Sherlock Holmes e il commissario Maigret di Simenon. Ci sono poi aspetti più superficiali, piccole cose o atteggiamenti che ho preso in prestito dalle persone che mi capita di osservare nella vita di ogni giorno. Non esiste comunque una persona in particolare a cui mi sono ispirato: il Mastino è nato nella mia mente quasi d’improvviso, come d’improvviso è apparso in piazza Vittoria la notte del 16 ottobre 1932.


Brescia, la sua piazza in Art Déco, sono scenografia e parte integrante della narrazione, come ti sei documentato per ricostruire il periodo di quel momento storico bresciano? La fase di ricerca è stata la più laboriosa, anche perché si è estesa ben oltre la piazza e la sua architettura razionalista. Mi sono interessato anche agli aspetti più ordinari del quotidiano, per farmi un’idea di come potesse essere la vita per un cittadino di quasi cent’anni fa. Al giorno d’oggi disponiamo di una quantità impressionante di fonti potenziali, proprio per questo mai come ora è necessario applicare criteri rigorosi al vaglio dei dati. Quando possibile preferisco rifarmi ai classici testi scritti, l’ideale è se posso sfogliare concretamente le pagine di un volume di consultazione. Devo riconoscere però che anche immagini e filmati d’epoca mi sono stati di grande utilità, soprattutto per alcune parti strettamente descrittive.

Il colosso del titolo – a Brescia noto con il soprannome di Bigio, ma il suo nome vero è Era Fascista- che funzione ha nella storia. Il colosso è il cardine ideale dell’opera e nel titolo ha un valore polisemantico: indica la statua scolpita da Arturo Dazzi che hai citato, un manufatto di dimensioni ragguardevoli; il colosso però può anche significare per estensione il regime fascista con le sue aspirazioni totalitarie. Nello specifico del romanzo, la statua e il suo creatore prendono parte allo sviluppo delle indagini, rivelandosi un fattore di primaria importanza per far luce su diversi punti oscuri.

L’agente Ferri e il dottor Calligaris, medico legale, sono due i comprimari di Villata, quanto sono importanti per il protagonista dal punto di vista lavorativo e umano? Direi che sono fondamentali. Ne hai colto la duplice importanza: sul piano professionale costituiscono una risorsa irrinunciabile per il commissario. Il dottor Calligaris con le sue perizie è in grado di offrire una considerevole mole di indizi, mentre l’agente Amilcare Ferri in veste di vero e proprio uomo d’azione completa il quadro delle competenze necessarie alle indagini. C’è poi, come hai giustamente osservato, il lato umano. Amilcare è in particolar modo legato al commissario da una solida amicizia e lo rende partecipe della sua vita in molte circostanze come, ad esempio, il consueto pranzo della domenica. Possiamo dire che lui e il dottor Calligaris rivestono ruoli importanti nel lavoro del Mastino di Brescia ma sono anche una consistente presenza nella sua sfera privata.

Romanzo unico o primo di una serie? Sto mettendo a punto qualche idea, credo proprio che il Mastino e i suoi compagni si troveranno presto alle prese con un nuovo caso.

Quali sono le tue letture preferite? Amo molto leggere saggi storici, ma anche polizieschi, thriller e altri generi di narrativa. Mi piacciono anche alcuni fumetti, soprattutto quando dimostrano di possedere profondità e spessore non inferiori alla letteratura in senso stretto.

L’Omino di Giovinazzo. Fortunato Depero: 1926, passaggio in Puglia, Aguinaldo Perrone, (Graphe.it, 2022) A cura di Viviana Filippini

11 marzo 2022

Sembra un giallo “L’omino di Giovinazzo” di Aguinaldo Perrone, artista, studioso di cartellonismo, edito da Graphe.it. In realtà il libretto è un curioso saggio breve nel quale l’autore cerca di fare luce su un disegno ritrovato a Giovinazzo, in Puglia, dove l’artista Fortunato Depero passò nel 1926 (non a caso il sottotitolo è Fortunato Depero: 1926, passaggio in Puglia). Tra le pagine del testo si cerca ci capire se effettivamente Depero, noto anche come l’artista più futurista dei futuristi, tra i padri del Secondo Futurismo e dell’aeropittura, passò effettivamente a Giovinazzo. Prove certe sembrano non esserci, ma qualche indizio sì. Tra i papabili elementi un disegno su cartoncino leggero dove è disegnato un omino in marcia. Partendo da questo disegno ritrovato durante i lavoro di ristrutturazione di un bar a Bari, Perrone veste i panni di detective dell’arte e svolge un’indagine sul campo per comprendere l’origine del disegno, snocciolando poi tutte le ipotesi relative al possibile passaggio di Depero a Giovinazzo e alla realizzazione di questo schizzo a china. Tra le componenti che inducono l’autore a pensare che si tratti di un disegno di Fortunato Depero ci sono alcuni elementi grafici: un figura umana stilizzata che sta tra il manichino e il robot, una “f” segnata in modo rapido (potrebbe essere l’iniziale del nome dell’artista) o le forme geometriche come le spirali che richiamano alcuni elementi grafici utilizzati dall’artista nei propri lavori. Le pagine de “L’Omino di Giovinazzo” scorrono via veloci grazie ad una scrittura pulita, chiara, che fa viaggiare il lettore nella vita di un artista che nella sua carriera artistica fece anche lo scenografo, il costumista e il designer. Perciò se “del doman non v’è certezza”, come scriveva Lorenzo de’ Medici nella “Canzona di Bacco”, composta nel 1490 in occasione del carnevale,  anche il dubbio sulla paternità attribuita dell’Omino di Giovinazzo a Depero resta, ma Aguinaldo Perrone, attento esperto di cartellonistica, ha tutti gli elementi giusti per formulare la sua indagine sul quell’omino che, vi dovesse capitare mai di passarci, troverete  stampato sui tovagliolini del Gran Bar Pugliese, magari messi al fianco di una bottiglietta di Campari Soda- anche lei futuristica- e in un secondo, non sarà così difficile riscontrare qualche evidente somiglianza tra l’omino e la bottiglietta di Depero. Il libro presenta una prefazione di Domenico Cammorata.

Aguinaldo Perrone (Aguìn), artista, studioso di cartellonismo. Le sue opere sono state esposte in Italia e all’estero: Milano (Biennale Internazionale del libro d’artista), Berlino, Amsterdam, New York, passando dalla 54ma Biennale di Venezia – Padiglione Puglia. Come autore di libri d’arte e di saggi ha pubblicato: Aguìn, disegniChiedete la lunaIl prodotto definitivamente superioreDepero 1926 passaggio dalle PuglieCatalogo Ragionato di Marchi Inutili e Manuale del Cartellonista ModernoDitelo con cartellonismoNell’ipotesi del cartellonismo e, infine, ha curato la riedizione del libro di Arturo Lancelotti Storia aneddotica della réclame (1912). Ha ricevuto premi e importanti riconoscimenti della sua ricerca storico-artistica, tra cui quelli di Steven Heller (su Print Magazine) e di Fusako Yusaki (prefazione al libro Ditelo con cartellonismo). Dal 2014 insegna Storia dell’illustrazione e della pubblicità presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Il suo sito è www.aguin.it.

Source: inviato dall’editore.

I classici del giallo della British Library per Vallardi, a cura di Elena Romanello

2 luglio 2021

L’editore Vallardi propone una nuova collana per gli amanti di uno dei generi più popolari, il giallo, intitolata appunto I classici del Giallo della British Library.
L’iniziativa fa parte di un progetto che coinvolge oltre venti Paesi, che propone una serie di libri in tema, scelti dalla British Library, una delle più importanti istituzioni letterarie del mondo, ed è l’occasione per scoprire nuove voci, magari del passato.
Si parte con Delitto in Cornovaglia di John Bude, vissuto tra il 1901 e il 1957, uno dei più prolifici autori di quella che viene chiamata l’epoca d’oro della narrativa poliziesca. Il reverendo Dodd è il vicario di Boscawen, un tranquillo villaggio sulla costa della Cornovaglia, e passa le sue serate leggendo storie gialle davanti al focolare. Un giorno Julius Tregarthan, un magistrato del posto riservato e scontroso, viene ritrovato morto con una pallottola in testa. La polizia brancola nel buio e il reverendo Dodd è pronto a mettere al servizio della giustizia la sua passione per le indagini criminali e i delitti.
L’altro libro proposto per iniziare è  L’assassinio di Lady Gregor. Un mistero scozzese di Anthony Wynne, vissuto tra il 1882 e il 1963, medico e autore di gialli. Il libro con cui si può iniziare a scoprire questo autore è considerato uno dei migliori esempi del mistero della camera chiusa, e porta a Duchlan, uno dei classici castelli tetri e minacciosi delle Highlands scozzesi. Qui una notte viene trovata uccisa Mary Gregor, pugnalata a morte in camera, con la stanza chiusa dall’interno e le finestre sbarrate. L’unico indizio è una scaglia di pesce d’argento sul pavimento. L’ispettore Dundas viene mandato a investigare, e si trova a dover indagare su un caso sempre più complesso, dove si aggiungono altri omicidi, sempre impossibili da spiegare. Ma con l’aiuto del detective dilettante Eustace Hailey capirà cosa sta succedendo.

L’urlo dell’innocente, Unity Dow,(ed. Le Assassine 2019) A cura di Viviana Filippini

31 luglio 2020

“Nessuno dei tre poteva sapere che di lì a cinque anni, dall’apertura di una scatola sarebbe uscito un urlo che non poteva essere ignorato: l’oscurità non sempre basta per tenere nascosto il male.”

Botswana. Tutto comincia con una strana sparizione, quella di una bambina di 12 anni di nome Neo in “L’urlo dell’innocente” della scritttrice Unity Dow, pubblicato dall’editrice Le Assassine. Un ragazzo si presenta alla polizia con ciò che resta degli abiti della ragazzina. Le forze dell’ordine non hanno la più pallida idea di come gestire il fatto, gli indizi del caso rinchiusi in una scatola spariscono, o forse vengono fatti sparire di proposito, mentre gli agenti avvisano la famiglia di Neo, dicendo che la ragazzina sarebbe caduta vittima di bestie feroci, forse leoni. Tutto sembra finire lì, ma cinque anni dopo, nel villaggio di Neo, arriva Amantle Bokaa, una giovane mandata in quel luogo a fare il suo tirocinio medico. La ventiduenne alle prese con le pulizie in uno sgabuzzino troverà, per caso, una vecchia scatola finita lì chissà quando e come. Sopra ci sono poche parole “Neo Kakang: CBR-45/94/”. La curiosità di Amantle è tanta e la sua voglia di sapere creerà un terribile scompiglio nel villaggio dove si trova. Il romanzo della Dow ha una trama ad alta tensione, dove la scoperta della scatoletta nascosta e del suo contenuto, scatenano un vero e proprio putiferio nel villaggio del Botsowana dove lei è capitata. È come se all’improvviso i fantasmi del passato che non hanno avuto pace, tornassero a farsi sentire per una vera giustizia. Quella che non hanno ottenuto mai. Amantle cercherà di capire cosa è successo a Neo. Saranno davvero stati i leoni o quegli indizi ritrovati dopo cinque anni hanno un significato nascosto da scoprire? La giovane assisterà allo scoppio della rabbia delle genti locali che insorgeranno e lo faranno prendendo in ostaggio le due infermiere colleghe di Amantle, scagliandosi contro la polizia, contro le autorità, chiedendo giustizia e la verità mai raccontata. Con le genti del posto c’è la famiglia di Neo, che non ha mai creduto alla versione dell’aggressione dei leoni data dalla polizia. Amantle si metterà dalla parte delle popolazioni locali e farà il possibile per aiutarle a scoprire cosa accadde davvero alla piccola Neo. Quello che emerge durante la lettura di “L’urlo dell’innocente” sono il non demoralizzarsi mai e la tenacia costante di Amantle nel cercare la verità, perché la giovane arriva in ambulatorio e le sue colleghe dimostrano subito la loro superiorità aprendo lo spazio quando vogliono e relegando Amantle a compiti ben diversi da quello che una tirocinante medica dovrebbe fare. La ragazza dimostra grande forza di resistenza e impegno anche quando roverà informazioni su Neo, proprio quelle che la spingeranno a lottare per la verità. Altro elemento che spicca nel libro della Dow è il fatto che Neo, la ragazzina sparita, non compare nelle storia, ma la sua presenza è il grido costante di un innocente che chiede giustizia per i soprusi subiti. L’autrice (giudice, attivista per i diritti umani, scrittrice e ministro del governo del Botswana) porta il lettore nella terra d’Africa, nei suoi paesaggi selvaggi, nelle sue terre dove le popolazioni sono legate a culti primitivi, dove la povertà e la lotta alla sopravvivenza sono la routine quotidiana per le genti del posto. Ed è in questo mondo, narrato ne “L’urlo dell’innocente” di Unity Dow che si innesta il bisogno di giustizia, di verità e di tutela dei diritti umani, troppo spesso schiacciati dall’arrogante prepotenza del più forte. Traduzione a cura di Marina Grassini.


Unity Dow, giudice, attivista per i diritti umani, scrittrice e ministro del governo del Botswana è nata in un’area rurale dove i valori tradizionali erano dominanti; ha frequentato Giurisprudenza all’Università del Botwsana e dello Swaziland e poi a Edinburgh in Scozia, suscitando con la sua educazione occidentale un misto di stima, ma anche di sospetto. Impegnata nella difesa dei diritti delle donne, è stata tra le fondatrici di  EmagnBasadi, la prima organizzazione femminile del Paese. Si è occupata dei diritti dei gay e ha partecipato anche alla creazione di Aids Action Trust. Prima donna giudice dell’Alta Corte del Botswana, si è impegnata molto per la democratizzazione delle leggi del Paese, per esempio nell’ambito del diritto di famiglia. Personaggio poliedrico, ha dimostrato il suo valore anche come scrittrice; nei suoi libri spesso emergono i conflitti tra i valori occidentali e quelli tradizionali, ma anche i problemi riguardanti i rapporti tra uomo e donna in un continente afflitto dalla povertà come quello africano. La Dow ha contribuito al libro Schicksal Afrika (Destino Africa) dell’ex presidente tedesco Horst Koehler (2009), e ha spesso fatto parte di missioni dell’Onu in Sierra Leone e Ruanda. Oltre al conferimento della Legion d’onore francese, Unity Dow è stata menzionata al Women of the World Summit nel marzo 2011 come una delle 150 donne che “scuotono il mondo”. Dal 2013 è entrata in politica e da allora ha più volte rivestito il ruolo di ministro.

Source: proprietà del recensore. Grazie a Francesca Ghezzani dell’ ufficio stampa.

A “Paris Noir” di Ida Ferrari, il premio speciale “romanzo giallo” al Concorso di Letteratura “Città di Pontremoli”. A cura di Viviana Filippini

4 luglio 2020

Ida Ferrari, bresciana, lavora in banca e ha una profonda passione per la scrittura, che l’ha portata  ad affinare la sua tecnica alla scuola Holden con la partecipazione ad un corso di tecniche della narrazione. L’amore per le parole, unito a una eccellente dose di creatività, hanno permesso a Ida Ferrari di ricevere vari riconoscimenti per i suoi scritti e di dare vita a diversi gialli, l’ultimo dei quali “Paris Noir”, edito da Golem e ambientato tra Milano e Parigi, ha ricevuto il premio speciale “romanzo giallo” al Concorso di Letteratura “Città di Pontremoli”. Di come è nato il romanzo e di scrittura ne abbiamo parlato con la nostra amica Ida.

Benvenuta Ida, ciao, quali sono state per “Paris Noir” le tue fonti d’ispirazione?

È strano come l’ispirazione per l’avvio di una storia possa avvenire in modo inaspettato e del tutto casuale (come è successo per il mio precedente “La vincita”) o metabolizzato nel tempo, come per “Paris noir”. In questo caso mi ha colpito il progetto, realizzato da un ragazzo molto giovane, per il riparo dei clochard. Mi era parso, e lo penso ancora, geniale. Ho pensato quindi di inserirlo in una storia. Parallelamente ho maturato altre due casistiche, una presa da un fatto di cronaca e l’altra inventata, relativa all’ambiente bancario. L’incastro di questo mix è diventato “Paris noir”. 

Non è la prima volta che nel tuo lavoro letterario la banca e il mondo finanziario compaiono. Cosa rappresentano per te?

Semplicemente ci lavoro e, credimi, l’ambiente offre molti spunti. Non manco però di fantasia. La conoscenza del mondo bancario è solo la struttura principale sulla quale poi costruisco la trama. 

Gianluca fa il cassiere, Greta l’impiegata, si conoscono poco, ma tutti e due sono diretti a Parigi, perché hai scelto proprio la capitale parigina?  

Preferisco usare luoghi che conosco per non incorrere in inesattezze (il lettore non perdona). Parigi è una città che mi ha sempre affascinato e che ho visitato più volte. Ha anche un significato affettivo, per cui mi è venuto facile pensarla come location. 

Gianluca e Greta custodiscono due segreti e cosa li spinge a prendere spunto da quelle verità che hanno scoperto per agire a Parigi? Senza spoilerare troppo, Greta e Gianluca fanno parte della categoria dei disonesti solo nell’apparenza. Per una sorta di destino avranno un ruolo reciproco importante per arrivare alla soluzione del loro personale caso. 

Paolo Bosco, Simona Fontana e Neo – già presenti in La vincita- tornano nella scena narrativa, come sarà per loro districarsi in questo nuovo intrico?

Speravo mi chiedessi dei miei investigatori. Simona, Paolo e Neo sono per me quasi reali, tanto li ho interiorizzati. Saranno presenti anche nella prossima storia. Simona e Paolo sono i titolari della Fontana Investigazioni. Neo è il loro collaboratore informatico, tendenzialmente hacker. In “Paris noir”, come ne “La vincita” lavorano in simbiosi, ognuno con il proprio carattere, diversi uno dall’altro, ma indispensabili reciprocamente per arrivare alla soluzione, che appare ostica. Dovesse mancare uno di loro, credo mi verrebbe quasi impossibile riuscire a incastrare i vari tasselli del puzzle. 

Leggendo il romanzo si ha come l’impressione che le persone e le cose non siano mai quello che sembrano. Come è stato lavorare sul concetto dell’ambiguità?

Quante volte incontriamo persone o situazioni ambigue? Fa parte della vita stessa, anche se non ci piace. Una mia raccolta di racconti “Torte Gemelle” ha per sottotitolo “La forma dell’apparenza”. Nelle mie storie è un po’ sempre così, è anche funzionale alla trama di un noir/thriller. Mi capita però di faticare ad immedesimarmi perché personalmente, nella vita reale, preferisco le persone e le situazioni chiare e dirette.

Nel tuo libro si fa riferimento anche la mondo del web, quanti e quali sono i pericoli nei quali si rischia di imbattersi?

Parecchi rischi si possono evitare, basta averne coscienza. Più difficile risulta per le menti giovani che sono facilmente influenzabili, appunto, dall’apparenza. Nel libro parlo di una situazione al limite dove il gioco porta alla morte. E purtroppo non si riduce a pura fantasia, è tratto da un fatto reale. Io credo che questi argomenti debbano essere affrontati a fondo e con chiarezza. Anche in un noir, presentare argomenti attuali credo sia importante per uno spunto alla riflessione.

Per te cosa rappresenta la scrittura?

La scrittura è una necessità. Potrei forse farne a meno, ma l’astinenza è dura da sopportare e per ora continuo nel vizio. Poi, certo, scrivo con entusiasmo quando sono serena, quando altre situazioni lavorative o personali vanno su binari giusti. In questo periodo di disagio mondiale sono stata un paio di mesi senza scrivere nemmeno una riga. Mi è però capitato, in altre situazioni, di partire in quarta in momenti difficili e, allora, la scrittura è una bolla in cui rifugiarsi.

Già al lavoro per il prossimo giallo?

Sì. Avevo iniziato un noir partendo da una storia vera interessante per vari aspetti, ma arrivata al decimo capitolo mi sono arenata, sentivo di non trovare la giusta via. Inoltre doveva essere ambientato in un luogo che non conosco, per cui trovavo impossibile la descrizione delle location. Ora sto scrivendo una nuova trama, piuttosto complessa, mi ci sto appassionando. Non dico altro per scaramanzia. Grazie Viviana per l’ospitalità e grazie mille ai lettori di Liberi di scrivere.

Grazie a te Ida e alla prossima!