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:: Negli occhi di Marianne di Frédéric Dard (Rizzoli, 2023) a cura di Giulietta Iannone

1 giugno 2023

Daniel Mermet, pittore parigino in vacanza in Spagna, una notte investe con l’auto una donna. Spaventato, non sapendo cosa fare, la porta nell’albergo dove risiede e scopre nell’ordine che è bellissima, bionda, parla francese e non ricorda più nulla del suo passato. Il giorno seguente affascinato dalla sua bellezza e dal suo mistero decide di portarla sulla spiaggia e farle un ritratto. Ma una luce sinistra nel suo sguardo lo turba. Cosa nasconde Marianne, questo si scoprirà dopo è il nome della donna, cosa nasconde il suo sguardo? Negli occhi di Marianne, tradotto da Elena Cappellini, si va ad aggiungere ai piccoli capolavori noir di Frederic Dard che Nero Rizzoli ospita nella collana dove già sono presenti Gli scellerati, Il montacarichi, I bastardi vanno all’inferno e Prato all’inglese. Letto in treno, nel breve viaggio tra Torino e Milano, Negli occhi di Marianne racchiude un mistero, un mistero terribile, che il protagonista svelerà a poco a poco lasciandosi coinvolgere in un amore pericoloso e oscuro come tutti gli amori. Conosciamo davvero chi crediamo di amare? Questa domanda ci accompagnerà per tutto lo svolgersi degli eventi fino al tragico finale. Fulminante, ipnotico, essenziale, come tutti i noir di Dard ci porta in terre sconosciute che forse non vorremo esplorare. Il mistero dell’animo umano è ciò che affascina e respinge e in un susseguirsi di eventi e colpi di scena il lettore attraversa una vasta gamma di sensazioni dalla curiosità, alla sopresa, all’orrore, perchè è in realtà una piccola storia di orrore come se ne vivono in provincia, a voi la scelta se leggerlo o meno, ma se amate Dard direi che è il caso che non ve lo lasciate sfuggire. Alla prossima.

Frederic Dard (1921-2000) ha iniziato a pubblicare romanzi negli anni Quaranta. Il grande successo sarebbe arrivato però più tardi, con lo pseudonimo San-Antonio. È in atto una riscoperta internazionale della sua opera, vastissima, inaugurata in Italia da Rizzoli con Gli scellerati (2018), Il montacarichi (20219), I bastardi vanno all’inferno (2021) e Prato all’inglese (2022).

Elena Cappellini, dopo la laurea in Lettere moderne presso l’Università di Bologna, ha studiato a Siena, dove ha conseguito il dottorato in Letteratura comparata e Traduzione del testo letterario. Ha partecipato a convegni e pubblicato saggi su Michel Tournier, sul fantastico, sull’immaginario radiofonico, fotografico e radiologico. Dal 2002, a Cremona, è stata curatrice del festival Pensare la differenza, percorsi, incontri e spettacoli sulla cultura di genere.

Source: libro inviato al recensore dall’ editore. Ringraziamo Giulia e Chiara dell’ Ufficio stampa Rizzoli.

:: La fine è ignota di Bruno Morchio (Rizzoli 2023) a cura di Valeria Gatti

3 marzo 2023

Eccola che torna alla carica col ricatto degli affetti. Nonostante il conforto della bianchetta, il freddo che sale lungo la schiena sta diventando un tormento, avverto i primi brividi ed è tempo di chiudere questa conversazione senza capo né coda. Magari il modo di aiutare quella sciaccæla della Rubia, una vera stupida, la trovo…”

Come si misura l’umanità di una persona? È una caratteristica innata o la si acquisisce per esperienza? E, ancora, è legata a gesti quotidiani, parole pronunciate, stili di vita o, forse, si tratta più di una faccenda di legalità, coerenza, equilibrio?

Domande simili nascono spontanee, durante la lettura dell’ultimo romanzo di Bruno Morchio, “La fine è ignota”, edito da Rizzoli. La figura di Mariolino Migliaccio – il protagonista – e la sua complessa personalità costituiscono una fonte interessante per riflettere sul tema.

Andiamo con ordine, però.

Iniziando dal titolo, si avverte un altro concetto che ritorna spesso, nell’opera: una specie di contrapposizione, simile a un effetto bilancia. La fine, un atto che è legato a un fatto certo e definitivo, viene qui associata all’incognita, a qualcosa di incerto e sconosciuto. Il Bene e il Male, dunque, vengono miscelati, legati, potrebbero sembrare indissolubili.

Un altro segnale interessante, che anticipa molto della trama, è la copertina. È una grafica che rappresenta i caruggi tipici della Liguria, un’insegna sbiadita di un hotel e un uomo che cammina. Il viso dell’uomo è voltato: sembra scrutare e controllare, come se temesse un pericolo. L’atmosfera shady è percepibile e, anche in questo, le luci e le ombre si accostano, convivono l’una accanto all’altra.

Il racconto ruota attorno alla scena iniziale: Luigi il Vecchio, un boss senza scrupoli, assume Mariolino per ritrovare una delle sue “ragazze” che è sparita dalla casa di tolleranza che gestisce sotto forma di centro benessere. Da questo fatto, l’autore muove i suoi personaggi tra le vie di Genova, i locali promiscui, l’illegalità di una società “parallela”, storie di violenza e disperazione che coinvolgono ragazze arrivate nel nostro paese con la speranza di poter vivere una vita dignitosa.

Gli occhi del lettore vengono catturati da Mariolino che si presenta nudo e crudo. È un uomo solo – la mamma, una lucciola, è stata uccisa da un cliente -; è disoccupato, per la società, ma un lavoratore – investigatore privato senza licenza – dei bassifondi; vive in una stanza fredda e quando ha qualche soldo in tasca si concede un pasto caldo in trattoria. Ha una buona cultura – ha frequentato il liceo classico –, ama la buona musica, ed è dotato di un’intelligenza fine e spontanea, nonché di un grado di umanità e attenzione verso i problemi degli altri che colpisce, in positivo.

L’intera opera è narrata dal punto di vista di Mariolino: il lettore entra in contatto con il personaggio, le sue azioni, il suo pensiero, la sua solitudine, il suo disagio (che esprime spesso), quel suo modo di restare ancorato alla vita, le amicizie di strada e la solidarietà che si costruisce in questi legami, le strategie che improvvisa, il suo straordinario talento nell’ascoltare e nel comprendere gli Uomini. In sostanza, è tutto il suo mondo a essere messo in esposizione, in maniera semplice ma diretta. È con i suoi occhi che conosciamo la disperazione che regna nella realtà a luci rosse che gli sta intorno ed è grazie a lui che scopriamo gli angoli più bui della Genova nel periodo natalizio. E poi, ci sono i soprannomi e quel suo modo originale di analizzare le persone. Un modo unico e inconfondibile.

È un tipo tozzo e robusto, fisico da palestrato, sui cinquant’anni portati con orgoglio e prëzumìn: capelli brizzolati tagliati cortissimi, da ex ufficiale dei marines, e mascella squadrata da picchiatore fascio. Indossa abiti eleganti e in molte fotografie, anziché la cravatta, sfoggia uno sgargiante papillon rosso. Dà l’impressione del personaggio che conta, conscio e fiero della propria condizione di uomo di potere. Il Vecchio e Coscialunga devono tenerlo in grande considerazione …”

Altra caratteristica che emerge è l’uso del dialetto. Lo si trova soprattutto nei dialoghi, ma chi non ha dimestichezza con le espressioni dialettali non deve preoccuparsi perché affianco c’è la traduzione. Un ulteriore conferma, questa, di quanto lo stile narrativo di Bruno Morchio sia aperto, diretto ed efficace, quasi confidenziale. Uno stile fresco e originale che si contrappone efficacemente alla tematica trattata e che conferma l’equilibrio dell’intera opera.

Bruno Morchio è nato nel 1954 a Genova, dove vive e ha lavorato come psicologo e psicoterapeuta. È autore, tra l’altro, di una fortunata serie gialla che ha per protagonista l’investigatore privato Bacci Pagano. Per Rizzoli ha pubblicato anche Il testamento del Greco e Un piede in due scarpe, disponibili in BUR, e La fine è ignota (2023).

Source: libro inviato al recensore dall’editore. Ringraziamo Ambretta Senes Ufficio Stampa Rizzoli.

:: Prato all’inglese di Frédéric Dard (Rizzoli, 2022) a cura di Giulietta Iannone

23 ottobre 2022

Jean-Marie Valaise, giovane e romantico agente di commercio parigino, e Marjorie Faulks, inglesina dalla bellezza discreta, tutta efelidi, imprigionata in un matrimonio infelice, sono i protagonisti di questo noir scritto da Frédéric Dard agli inizi degli anni ’60, dal titolo Prato all’inglese (La Pelouse, 1962). Rizzoli prosegue nella meritoria riscoperta di Dard (dai più conosciuto come il padre del commissario Sanantonio), dopo aver pubblicato Gli scellerati, Il montacarichi, I bastardi vanno all’inferno. Jean-Marie e Marjorie in vacanza a Juan-les-Pins senza i rispettivi compagni, (Denise la compagna di lui arriverà in Costa Azzurra solo dopo quasi a sorpresa, mentre il marito di lei è restato in Inghilterra), si incontrano abbastanza fortuitamente e si innamorano. Perlomeno lui si innamora mentre lei apparentemente gravata da una grande infelicità gli dà corda e inizia un complicato gioco del gatto col topo che farà sì che Jean-Marie pianti in asso la compagna (a cui è legato da una relazione tira e molla) e raggiunga Marjorie in Scozia. Dal sole, la leggerezza e la spensieratezza della Costa Azzurra passiamo alle brumose e fredde atmosfere di Edimburgo e anche la storia cambia di tono e registro, e dalla spensierata avventura sentimentale passiamo al dramma più cupo. Sarebbe un peccato spiegarvi altro della trama, ma vi basti sapere che verte tutto sui meccanismi del delitto perfetto, che naturalmente non esiste, e a volte viene sventato, se non dagli errori dell’assassino, dal caso e dall’intuito dei buoni investigatori. Storia forse in tono minore, si regge essenzialmente sui dialoghi e sulla caratterizzazione dei personaggi e degli ambienti. Dard è un maestro indiscusso nell’arte di depistare il lettore, e affascinarlo e intrigarlo in storie solo apparentemente semplici e lineari. Le dark lady di Dard appaiono tutt’altro che tali, e riescono a far “innamorare” davvero le loro vittime, portandole all’estreme conseguenze. Jean-Marie Valaise come vittima poi è piuttosto consenziente, e tra pollo tra i polli capisce quasi subito (perlomeno dal suo arrivo a Edimburgo) di essere finito in un grosso guaio ma continua il suo gioco (e con lui il lettore) per capire dove si andrà a parare. Marjorie Faulks ha il fascino discreto delle ragazze tranquille non eccessivamente appariscenti, ma dotate di quel magnetismo capace di far abbassare la guardia e non far riflettere troppo sui suoi strani comportamenti, innescando in Jean-Marie la sindrome del crocerossino che vuole salvarla a tutti i costi. Una provvidenziale lettera spariglierà le carte, ma ora ho davvero detto troppo, buona lettura… Traduzione di Elena Cappellini.

Frederic Dard (1921-2000) ha iniziato a pubblicare romanzi negli anni Quaranta. Il grande successo sarebbe arrivato però più tardi, con lo pseudonimo San-Antonio. È in atto una riscoperta internazionale della sua opera, vastissima, inaugurata in Italia da Rizzoli con Gli scellerati (2018), Il montacarichi (20219), I bastardi vanno all’inferno (2021) e Prato all’inglese (2022).

Elena Cappellini, dopo la laurea in Lettere moderne presso l’Università di Bologna, ha studiato a Siena, dove ha conseguito il dottorato in Letteratura comparata e Traduzione del testo letterario. Ha partecipato a convegni e pubblicato saggi su Michel Tournier, sul fantastico, sull’immaginario radiofonico, fotografico e radiologico. Dal 2002, a Cremona, è stata curatrice del festival Pensare la differenza, percorsi, incontri e spettacoli sulla cultura di genere.

Source: libro inviato al recensore dall’ editore. Ringraziamo Giulia e Chiara dell’ Ufficio stampa Rizzoli.

:: Dolce vita, dolce morte di Giancarlo De Cataldo (Rizzoli, 2022) a cura di Valerio Calzolaio

23 ottobre 2022

Roma, primavera 1963. Marcello viene svegliato da Marianne, la suoneria del telefono fa un rumore infernale, sono le tre del pomeriggio e il caporedattore gli chiede di andare subito al giornale perché serve un pezzo di colore sulla morte della 22enne Greta Müller, tedesca di Monaco di Baviera, occhi luminosi e capelli biondo maturo, aspirante attrice o modella, seducente e sbevazzona, in grado di parlare anche italiano, inglese e francese. Neppure sanno che lui l’ha conosciuta bene, amante dolce e arrendevole, non troppo fantasiosa. Le sono state inferte sette coltellate sul pianerottolo di una modesta pensione in via Emilia, dov’era ospite dell’amica Elizabeth, che non l’ha sentita gridare. Poche e vaghe le testimonianze e gli indizi, il commissario Carelli indaga, interroga, confronta, ma non ha piste certe. Il trentenne Marcello Montecchi è molto attraente, ambizioso ma indolente, disinteressato alla politica e ai pettegolezzi, scrive bene e ha l’abbozzato progetto (non in calendario) di un grande romanzo. L’aveva incontrata il giugno precedente in via Veneto, avevano flirtato un poco, dopo una settimana erano finiti a letto, tornandoci quasi ogni sera per oltre un mese; lui conosce tutta la Roma che conta e le aveva presentato stilisti registi produttori; poi, quando era andato a trovare una settimana il padre sull’Adriatico, lei si era messa con un altro, facendosi risentire solo a ottobre prima di una sfilata. Erano restati amici, il bel Marcello era abituato (solo) alle storie passeggere finché a febbraio aveva conosciuto Marianne che era presto andata a convivere, lui finalmente un poco innamorato della modella cantautrice di Oslo dagli occhi verdi, che si sente anarchica e odia i fascisti. Per una ventina di giorni l’omicidio tiene banco sui giornali e nelle conversazioni, poi finisce nell’oblio. Eppure a primavera 1964, nell’autunno 1974 e a primavera 1988 il cresciuto Marcello viene di nuovo chiamato in causa da notizie e novità sul delitto, forse ancora insoluto.

Il grande prolifico scrittore italiano Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956), ormai in pensione da magistrato, ha sempre avuto una passione per i fitti misteri, i delitti veri, le cronache criminali romane. Questa volta ci consegna una bella novella nera (è anche il titolo della collana) con mille rimandi e immaginari, storici e cinematografici. Siamo ai fertili e mortali tempi della dolce vita (da cui il titolo, l’omaggio a Fellini è costante in tutte le pagine), via Veneto e Marcello Mastroianni sono in campo. Il reale cold case è il delitto di Christa Wanninger (1940) del 2 maggio 1963, un fatto di sangue intorno al quale si ipotizzarono le piste più svariate, dal serial killer alle trame nere, dai Nazisti allo spionaggio. La verità giudiziaria della Corte di Cassazione nel 1988 attestò definitivamente la responsabilità dell’oscuro pittore aversano Guido Pierri, dopo che lui stesso nel 1964 si era fatto avanti con un giornalista affermando di saperne qualcosa, nonostante fosse ritenuto incapace di intendere e di volere (poi non andò in carcere) e si sia comunque sempre dichiarato innocente (e sano di mente, poi sposatosi). Vere sono le strade e i locali, il clima dei paparazzi e gli umori degli intellettuali (alcuni incontrati dal protagonista, come Pasolini e Moravia), il contesto politico e culturale, le cerchie e le truffe di Roma, le dinamiche nei quotidiani e nelle tipografie dell’epoca (senza internet, cellulari, social). Quasi tutto il resto è ottima fiction (contando anche sui ricordi personali, da un certo momento in poi). Marcello fa strage di cuori ma è un giornalista (non un attore) che evolverà nelle relazioni (soprattutto quando arriva il padre Radames) e nella specifica carriera; Marianne è la musa Anita delle dolci notti ma poi partirà, farà l’artista concettuale a New York e infine proprio la cantautrice girovaga; l’intreccio è noto ma la fine storicamente incerta, il giallo virerà sul noir romantico (l’amore travagliato per la città d’adozione); i colpi di scena vengono scadenzati in quattro parti per i differenti periodi delle notizie sulle indagini, ma i fili delle biografie risulteranno poi tirati con maestria autoriale (e risalta il piccolo untuoso Momo Sangiacomo). Pinot grigio con il pesce ai Parioli come si usava nei Settanta. Negli stessi giorni la travolgente amante giovane gli fa ascoltare Alice di De Gregori, spiegando: “questo ragazzo cambierà la musica italiana”, Marcello non è molto seriosamente convinto del testo.

Giancarlo De Cataldo (Taranto 1956) è magistrato, drammaturgo, sceneggiatore. Ha scritto il bestseller “Romanzo criminale” (2002) e numerosi altri romanzi, il più recente dei quali è “Suburra” (2013) con Carlo Bonini. Per Rizzoli ha pubblicato “L’India, l’elefante e me” (2008) e “In giustizia” (2011), entrambi disponibili in BUR e “Il combattente” (2014) per Rizzoli. È tra i giudici del programma televisivo Masterpiece.

Source: libro del recensore.

:: Un’intervista con Oriana Ramunno a cura di Giulietta Iannone

25 gennaio 2022

Oggi abbiamo il piacere di intervistare Oriana Ramunno, autrice del libro “Il bambino che disegnava le ombre”(Rizzoli) seconda classificata alla dodicesima edizione del Liberi di Scrivere Award.

Benvenuta Oriana su Liberi di scrivere e complimenti per il secondo posto. Ho sentito davvero pareri lusinghieri sul tuo libro, per alcuni uno dei migliori libri editi l’anno scorso in Italia. Ce ne vuoi parlare? Come è nata l’idea di scriverlo?

Grazie a voi per aver scelto Il bambino che disegnava le ombre tra i libri votabili, ve ne sono davvero grata.Questo libronasce in un momento più maturo del mio percorso di scrittrice, iniziato ormai dieci anni fa, in cui mi sono sentita finalmente pronta a raccontare l’Olocausto. Da piccola ho ascoltato e trascritto i ricordi di mio zio Angelo, un sopravvissuto ai lager nazisti, e nel tempo ho provato a capire i suoi racconti studiando la Storia, cercando di capire le origini di quella che è stata una delle pagine più brutte dell’umanità. Dopo aver sviscerato ogni aspetto di quelle pagine terribili, ho voluto raccontarle e ho deciso di farlo con un genere che da sempre sonda le ombre e le luci dell’animo umano, mettendoci di fronte alle nostre più grandi paure, ma offrendoci anche delle soluzioni finali catartiche: il giallo.

Vivi a Berlino è vero? Parlaci un po’ di te della tua infanzia, del tuo lavoro?

Ho vissuto a Berlino per tre anni, da settembre sono ritornata bolognese insieme a tutta la mia famiglia. Berlino è stata un’esperienza unica. È una città che ha un’anima, che si porta addosso i segni della Storia visibili in ogni angolo, nei buchi delle granate sui muri, nei memoriali che si trovano a ogni angolo di quartiere, nei pezzi di muro conservato a memoria di tutti. Berlino mi ha insegnato la malinconia di una città sospesa nel tempo ma anche l’ecletticità di una città trasgressiva e proiettata verso il futuro. In ultimo, mi ha offerto la possibilità di approfondire le mie ricerche sul tema dell’Olocausto.
Nonostante sia una girovaga, però, io sono e sempre sarò una ragazza del Sud. Sono nata a Rionero in Vulture, in Basilicata, ed è lì che ho imparato ad amare i libri grazie a una zia bibliotecaria. È in Basilicata, o Lucania come mi piace chiamarla, che sono cresciuta, assorbendo le energie di una terra che ancora vive di realismo magico, tradizioni e passato.

Come è nato il tuo amore per i libri e per la scrittura? Ricordi il primo libro che hai letto da sola?

Il mio amore per i libri è nato a sette anni, quando passavo i pomeriggi nella Biblioteca comunale dove lavorava mia zia. Avevo a disposizione qualunque libro. Il primo fu il GGG, il Grande Gigante Gentile. Ricordo perfettamente il momento in cui iniziai a leggerlo.

Parlaci dei tuoi esordi, come è andata. Hai avuto qualcuno che ti ha incoraggiata, spronata a scrivere?

Ho iniziato a scrivere al liceo per esigenza personale, ma ho continuato in maniera consapevole solo dopo i trent’anni, quando ho capito che non basta avere una passione ma che questa, come in ogni mestiere, va supportata dagli strumenti giusti. Ho iniziato a studiare da autodidatta le tecniche narrative e ho deciso di mettermi in gioco con alcuni racconti editi da Delos Digital, poi con vari concorsi della Mondadori. Dopo aver vinto il GialloLuna NeroNotte ed essere arrivata finalista al prestigioso Premio Tedeschi, l’editor Franco Forte mi ha commissionato un romanzo sul femminicidio per la collana de I gialli Mondadori, uscito col titolo “L’amore malato” nella raccolta “Amori malati”. Ho avuto anche l’occasione di partecipare, sotto pseudonimo, alla saga de “I Sette Re di Roma”, edita da Oscar Historica, col romanzo “Tullo Ostilio, Il lupo di Roma”, scritto con Scilla Bonfiglioli e Franco Forte.

Torniamo al libro, come è nato il tuo interesse per le tematiche legate all’Olocausto e ai campi di concentramento nazisti. Sei partita da ricordi familiari?

Come raccontavo nella domanda precedente, tutto parte dai ricordi di mio zio, internato prima in un campo di lavoro tedesco e poi trasferito in quello che veniva definito “campo di morte”. Le sue memorie, insieme a quelle di altri sopravvissuti del mio paese di origine, sono raccolte nel libro “Fiotti di memoria”, editato dal comune di Rionero in Vulture in occasione della Giornata della Memoria.

Come ti sei documentata?

Lo studio sull’Olocausto è una cosa che ho fatto a prescindere dal romanzo, e che ha impiegato numerosi anni e due esami monografici all’università. Di vitale importanza è stata, sicuramente, l’esperienza a Berlino, che oltre a fornirmi documenti introvabili in Italia mi ha offerto la possibilità di “sentire” la Storia. La stessa cosa vale per i campi di Auschwitz e Birkenau, di Sachsenhausen e di Ravensbrück che ho potuto visitare.

Parlaci del tuo personaggio principale, Hugo Fischer, come è nato?

Hugo Fischer nasce dall’esigenza di raccontare l’Olocausto dagli occhi di un tedesco comune, uno di quei cittadini che non appoggia Hitler, ma che per quieto vivere e paura non si oppone e per continuare a lavorare si iscrive addirittura al partito. Incarna la maggior parte di noi: difficilmente si è eroi, in certe circostanze.

E’ una storia di indagine, la vittima è Sigismud Braun, un pediatra che lavorava a stretto contatto con il famigerato Josef Mengele. Ci vuoi parlare di come questa indagine si dipana nella narrazione?

Quello che mi premeva mostrare, scegliendo il giallo come genere portante del romanzo, era la visione che i tedeschi avevano di coloro che chiamavano “subumani”: Sigismund Braun viene assassinato in un luogo in cui vengono uccise migliaia di persone al giorno, eppure la sua morte è l’unica che merita un’indagine, mentre le morti dei subumani sono considerate giuste, normali, necessarie a un bene comune. Hugo Fischer, che nulla sa di Auschwitz, si ritrova a indagare sulla morte di Braun, ma al tempo stesso è costretto a fare luce anche su un genocidio. Si ritrova, insomma, a cercare un assassino tra un sacco di assassini. Nella sua indagine, sia professionale che personale, viene aiutato da Gioele, un bambino ebreo con il dono del disegno. Ed è grazie ai suoi disegni che molte ombre si dipanano.

La popolazione civile tedesca sapeva ben poco di cosa succedeva nei campi, degli orrori indicibili che nascondevano, una mia zia tedesca mi ha assicurato che era così, che hanno scoperto tutto dopo la guerra. Hai anche tu testimonianze in merito?

È vero. Per tratteggiare il personaggio di Hugo Fischer mi sono servita di diverse testimonianze. Hugo Fischer è a conoscenza del dislocamento degli ebrei tedeschi, ma non sa dove effettivamente finiscano. In patria circolano voci di corridoio, ma è il caso di dire che nei lager la realtà superava la fantasia, e molti tedeschi non potevano immaginare che quei campi di detenzione fossero in realtà una vera e propria industria di morte. Quando anche le voci arrivavano chiare e precise, come nel caso di Fischer, subentrava un meccanismo di rifiuto e rimozione della realtà molto comune tra gli esseri umani.

Molti medici e scienziati tedeschi hanno usato i prigionieri come vero e proprio “materiale” di ricerca spingendosi ben oltre ai precetti deontologici considerando questi prigionieri “non persone” su cui si poteva perpetrare ogni abuso. Come ti spieghi tutto questo?

È il concetto di subumano di cui parlavo prima. Era molto radicato nei tedeschi. Il mito della razza ariana non viene inventato da Hitler, ma ha radici più vecchie. Hitler non ha fatto altro che riprenderlo in un momento storico favorevole ed esasperarlo. I medici che ottenevano di lavorare ad Auschwitz operavano sotto la ferma convinzione di non avere tra le mani degli esseri umani ma delle vere e proprie cavie, dei subumani. Mengele sosteneva di avere l’obbligo morale, in quanto scienziato e ariano, di far progredire la scienza attraverso la sperimentazione. E se in Germania era vietato l’uso di animali per la ricerca, nei campi tutto era consentito…

Tra i prigionieri c‘è un bambino Gioele, ci vuoi parlare di lui?

Gioele rappresenta una piccola luce dove tutto si sta spegnendo. È un bambino bolognese, ebreo, e insieme al suo gemello viene subito notato da Mengele. Ne diventa presto oggetto di studio perché in lui non c’è nulla di rappresentativo della razza ebraica, anzi: agli occhi di Mengele, che ragiona solo in termini razziali, Gioele ha più in comune con un bambino ariano che con un giudeo, con le sue iridi chiare, la spiccata intelligenza e la bravura nel disegno. Mengele si domanda come possa un subumano avere quelle potenzialità e ne rimane affascinato, al punto da tenerlo con sé al Blocco 10 per osservarlo.

È proprio Gioele ad aiutare Hugo Fischer nella risoluzione del caso e, prima ancora, a guidare la sua coscienza verso un cammino tortuoso, mostrandogli le ombre che gravano sul suo cuore, su quel lager e sulla Germania intera.

Progetti per il futuro?

Sto lavorando a un romanzo, questa volta di ambientazione italiana, con una protagonista femminile in grado di sfidare un mondo maschile agli albori della Grande Guerra. Spero possa vedere la luce, perché questo personaggio mi sta donando tanto.

La casa di cenere di Angharad Walker (Rizzoli, 2021) a cura Elena Romanello

28 ottobre 2021

5366033-9788817154314-285x424Rizzoli propone nella sua collana rivolta ai ragazzi il romanzo di una nuova voce della narrativa inglese, La casa di cenere, dai toni decisamente originali e inquietanti, tra richiami a storie classiche e contemporanee e variazioni sul tema del fantastico per giovanissimi e non solo.
Quando arriva alla Casa di Cenere, il ragazzo nuovo è in cerca di una cura per il male alla schiena che lo tormenta da tempo, e al lettore non viene svelato il suo nome. Anziché però arrivare nella solita clinica come quelle che ha già visto, il Ragazzo si trova in una dimora con le pareti di fumo ed accolto da un gruppo di ragazzi che lo ribattezzano Sol, per Solitudine.
Con questo nuovo nome, Sol scopre un microcosmo di coetanei che si chiamano Concordia o Giustizia o Bontà, una cosa a cui tengono molto. Non ci sono adulti in quella casa, solo un misterioso Direttore che echeggia nelle Regole e che tutti attendono con ansia che ritorni.
Presto Sol però capisce che quella casa non è un luogo per curarsi, visto che non si può essere malati né cercare di andarsene. Un giorno alla fine arriva il Dottore e le cose di colpo precipitano.
La casa di cenere è stato paragonato a un best seller degli ultimi anni come La casa dei bambini speciali di Miss Peregrine e ad un classico come Il signore delle mosche e come i suoi modelli è potente e inquietante, con al centro un gruppo di bambini che imparano ad interagire e a ribellarsi.

Angharad Walker è una scrittrice inglese, cresciuta in diverse basi militari in Gran Bretagna, Germania e a Cipro. Ha studiato letteratura inglese e scrittura creativa all’Università di Warwick e all’Università della California Irvine. Ora vive a Londra e si occupa di comunicazione per enti benefici. La Casa di Cenere è il suo primo romanzo.

Provenienza: omaggio dell’Ufficio stampa che ringraziamo.

:: Un’intervista con Andrea Cotti a cura di Giulietta Iannone

21 settembre 2021

Benvenuto Andrea e grazie per aver accettato questa mia intervista. Come tradizione iniziamo con le presentazioni: parlaci un po’ di te, raccontati ai nostri lettori.

Buongiorno, in realtà quasi tutto di me è raccolto nella domanda successiva. Posso aggiungere che ho vissuto a Roma, alla Garbatella, per quasi quindici anni, che ho ancora una casa a Roma e che tifo Roma fin dal 1982 anche se sono nato a San Giovanni in Persiceto in provincia di Bologna. Ho un cagnone, un pastore maremmano, che si chiama Vic.

Sceneggiatore, editor, scrittore di romanzi per ragazzi, autore radiofonico e televisivo, una vita dedicata alla scrittura. Quando è nato il tuo amore per i libri? Ricordi il primo libro che hai letto da solo?

Il primo libro che ho letto da solo è stato “Ninja” di Eric Van Lustbader. Avevo sedici o diciassette anni, non sono stato un lettore precoce. Ma andatevi a cercare il romanzo, leggete la prima scena, e capirete perché da lì in poi non ho più smesso.

Raccontaci i tuoi esordi. Hai iniziato facendo mille lavori, come nella più pura tradizione o hai già da subito trovato occupazioni legate alla scrittura?

Non ho fatto mille lavori, ne ho fatto uno solo: il libraio. Per cinque anni ho gestito la mia libreria nella piazza principale di San Giovanni in Persiceto. Solo dopo ho fatto il salto, ho mollato la libreria e ho cercato di vivere con la scrittura.

C’è qualcuno che ti ha aiutato all’inizio della tua carriera anche solo con consigli, incoraggiamenti che ti va di ringraziare?

Le persone che mi hanno aiutato sono state tantissime, da Roberto Roversi, poeta, che lesse alcune mie cose da ragazzino, e anzichè stroncarmi mi incoraggiò. Giampiero Rigosi e Carlo Lucarelli quando mi hanno chiesto di lavorare assieme a loro alla fiction su Coliandro. E per finire Giancarlo De Cataldo che mi ha dato un paio di dritte fondamentali per Il Cinese.

Hai adattato crime fiction di successo tra cui la serie de L’ispettore Coliandro. Raccontaci qualche aneddoto buffo legato alla serie. E poi come è lavorare per la televisione?

Lavorare per la televisione è stimolante ma anche faticoso e stressante perchè devi rendere conto di ciò che scrivi a tantissime persone che a loro volta tentano di imporre una loro visione. Ci sono gli editor interni alla produzione, poi gli editor di rete, e il responsabile della fiction della rete stesse. Tutte persone che intervengono su quello che scrivi, e questo alla lunga può essere stancante.

Tranne che per Coliandro.

Nel senso che scrivere Coliandro è stata una delle cose più divertenti che io abbia mai fatto, anche perchè di solito le riunioni di sceneggiatura erano pranzi a casa di Carlo Lucarelli che proseguivano nel pomeriggio e diventano cene, mangiando, bevendo, a facendo a gara (proprio come avrebbe fatto Coliandro) a chi la sparava più grossa.

E ora parliamo finalmente del tuo nuovo libro L’impero di Mezzo, da poco uscito per Rizzoli, seguito de Il Cinese. Una storia di ricerca delle proprie origini, di legami familiari, di estraneità, di confronto tra culture ma anche di indagini. Come è nato il tuo interesse per il mondo cinse?

È nato da ragazzino, assieme alla mia passione per le arti marziali e a un primo viaggio in Cina nel 1990, quando avevo diciannove anni.

Raccontaci la tua Cina. Quando l’hai visitata cosa ti ha colpito di più?

La Cina di oggi è completamente, totalmente diversa da quella del 1990, e quello che più mi ha colpito sono queste megalopoli da più di venti milioni di abitanti: sterminate, spaventose, ma anche a modo loro affascinanti.

Un importante imprenditore italiano è morto precipitando dal diciassettesimo piano di un parcheggio a Wenzhou, così inizia la tua storia. Il rapporto Italia – Cina è molto più sfaccetattao e complesso di quanto si immagini, non parlo solo dei legami economici e commerciali, ma anche di quelli sociali e culturali. Come ti sei documentato?

Studiando tanto. Leggendo documenti, rapporti, articoli economici e socioeconomici. E poi, appunto, andando di persona a guardare le cose da vicino.

Parlaci del tuo personaggio principale il vicequestore Luca Wu. Come è nato?

Wu nasce dall’incontro con un importante sinologo italiano, Francesco Sisci, che ho incontrato su suggerimento di Giancarlo De Cataldo. È stato Sisci a regalarmi l’intuizione che il mio personaggio avrebbe dovuto essere sì un poliziotto, ma un poliziotto cinese nato in Italia.

E del personaggio della poliziotta cinese Yien Bao Yi cosa ci racconti?

La Yien è l’eccezione che conferma la regola. È una poliziotta cinese, e in Cina i poliziotti tendono a essere quasi degli automi per il modo in cui si attengono agli ordini ricevuti e svolgono i loro compiti. La Yien no. Anche lei è fedele a un sistema, e crede in quell’insieme di regole, ma a differnza degli altri è capace di pensare con la sua testa. E tra lei e Wu il rapporto avrà uno sviluppo interessante…

Sembrano perfetti per uno sceneggiato televisivo, non trovi?

Sembrano perfetti, sì. Non dico altro…

E l’interesse per le arti marziali? Era già vivo prima della stesura dei romanzi, immagino. Pratichi qualche tipo di arte marziale?

Sì, come dicevo sopra è stato l’interesse per le arti marziali a farmi avvicinare alla cultura cinese. Io ho praticato karate, e poi soprattutto Ving Tsun, la stessa arte marziale che pratica Wu.

Progetti per il futuro?

Prima di ogni altra cosa, scrivere il prossimo romanzo di Luca Wu. Chi è arrivato alla fine de L’Impero di Mezzo sa perchè…

Bircàbia Orphin di Lara Berettieri (Rizzoli, 2021) a cura di Elena Romanello

19 luglio 2021

L’urban fantasy è quel sottogenere del fantasy in cui magia, stregoneria e creature sovraumane irrompono in un mondo analogo al nostro: negli anni ci sono stati diversi successi legati a queste storie, dalla saga di Twilight Harry Potter, da True Blood ai romanzi di Neil Gaiman, senza dimenticare le prove di autori e autrici italiani come Luca Tarenzi.
Rizzoli propone Bircàbia Orphin, primo possibile capitolo di una serie tutta italiana, scritta da Lara Berettieri, ed è curioso e simpatico trovare il mondo delle fate e della magia che emerge dalle strade della comunque magica Roma.
Bircàbia ha sedici anni e tanta voglia di vivere e sperimentare, come è normale a quell’età e si è trasferita a Roma, a casa dell’eccentrica Diana, per studiare al Centro Studi d’Arte e diventare un’attrice di teatro, il suo sogno da sempre. Il Centro Studi d’Arte, una scuola umana e non Hogwards in salsa amatriciana, è un posto ricco di persone interessanti e stimolanti, come la migliore amica di Bircàbia, Lùnia, aspirante artista.
La vita creativa della scuola è però solo un aspetto della vita delle due ragazze: infatti hanno una doppia identità, appartengono a stirpi magiche, in una Comunità Magica nascosta ma che influenza da sempre la vita del mondo. Tra viaggi sul bus 333 barrato verso un luogo visibile solo a chi ha i poteri, viaggi in dimore incantate, misteri da scoprire e maledizioni da superare, la vita di Bircàbia e Lùnia procede, finché non scoprono qualcosa di davvero unico, pericoloso e inquietante, su di loro, ma anche su una persona che credevano un semplice mortale, l’affascinante e talentuoso Rìon, compagno di classe di Bircàbia.
Ci sono echi di Harry Potter e dei romanzi di Chris Colfer nelle pagine di un libro avvincente, sulla carta rivolto ad un pubblico di adolescenti, ma in realtà godibile anche in età diversa, anche solo per l’idea diversa di Roma che viene fuori e per i richiami alle professioni artistiche. Un nuovo mondo fantastico, tra realtà e fantasia, per raccontare come si cresce, come si scopre il mondo, come si diventa consapevoli di ciò che si è e di ciò che si vuole fare da grandi nella vita, con il filtro del fantastico.
Tra l’altro, rispetto ad altri romanzi urban fantasy, la storia d’amore non è centrale, quello che emerge è un rapporto di grande amicizia tra due eroine che scoprono i problemi del loro mondo e di quello alternativo in cui si trovano a vivere. E anziché parlare degli affascinanti ma un po’ troppo inflazionati vampiri, la saga si incentra sulla magia e le creature incantate, più fiabesco come tema e meno frequentato malgrado il successo di Harry Potter.
Una storia originale e frizzante, per costruire un nuovo mondo in cui è bello immergersi e in cui si spera di tornare presto.

Lara Berettieri ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Ha lavorato per diverse compagnie teatrali come regista e artista, tra cui la storica compagnia americana Bread and Puppet Theater. Nel 2001 ha fondato la compagnia teatrale Nouvelle Lune e nell’arco di un ventennio ha progettato e realizzato dieci spettacoli teatrali portati in tournée in tutta Italia e all’estero. Ha partecipato come artista a varie esposizioni d’arte e performance, e dal 2015 insegna Discipline plastiche al Liceo Artistico. Bircàbia Òrphin è il suo primo romanzo.

Provenienza: omaggio dell’Ufficio stampa che ringraziamo.

Come le cicale di Fiore Manni (Rizzoli, 2021) a cura di Elena Romanello

11 giugno 2021

cicalesmallFiore Manni, personalità poliedrica di conduttrice televisiva, autrice di fumetti, scrittrice, influencer, blogger e cosplayer, presenta il suo nuovo romanzo Come le cicale per Rizzoli, agile, veloce, rivolto ad un pubblico di ragazzi ma su cui c’è da riflettere anche da più adulti.
Ambientato durante una di quelle ormai lontane ma sempre presenti nell’immaginario estati degli anni Novanta fatte di mare e libertà, Come le cicale racconta la storia di Teresa, che ha appena finito prima media ma si sente ancora una bambina dai capelli sempre arruffati e dalle ginocchia sbucciate. Aspetta ancora di sbocciare e diventare grande, e arrivare nella casa al mare e trovarsi anche lì fuori posto è dura: le sue compagne di gioco pensano ormai solo allo smalto, ai cantanti e ai ragazzi, il rapporto con il suo migliore amico di colpo è complicato e tutti sono cresciuti tranne lei.
Teresa continua ad aspettare la sfavillante Terry, la versione di se stessa sicura e matura, e mentre si è rassegnata a passare un’estate terribile, conosce Agata, una ragazza nuova, dolce, forte, sincera, gentile, bellissima che colpisce subito Teresa. Ma non è solo un’amica, per lei, qualcosa di più, perché Teresa sente battere più forte il cuore ogni volta che ce l’ha vicina. 
L’estate e i primi amori sono un archetipo della narrativa per giovani e giovanissimi, se si legge questo libro con qualche anno in più sul groppone si ritroveranno temi già sentiti tra le righe, ma nello stesso tempo Come le cicale parla di qualcosa che un tempo era un tabù, l’omosessualità, in maniera dolce, normale, come una possibilità della vita, una delle tante che si cominciano ad esplorare mentre si cresce e che va fatto senza drammi, aprendosi al mondo e alla vita.
Teresa è raccontata con delicatezza e sincerità, mentre si trasforma e si cerca, divisa tra la paura di conoscersi e scoprirsi per quello che si è e il desiderio fortissimo di emozionarsi.  Un qualcosa di eterno, che ha colpito tutti e tutte, etero e omosessuali, ed è giusto che i giovanissimi di oggi si confrontino con queste storie che li raccontino, e che forse una volta non erano così complete a raccontare anche altri aspetti della vita.

Fiore Manni ha condotto diversi programmi di successo su Super! (canale DeAgostini), tra cui la fortunata serie Camilla Store. Influencer molto seguita sui suoi canali social è autrice per Rizzoli di Jack Bennet e la chiave di tutte le cose (2018) che ha vinto diversi premi e Jack Bennet e il viaggiatore dai mille volti. È anche autrice del fumetto Mask’d the divine children, pubblicato da Star Comics nel 2020.

Provenienza: omaggio dell’Ufficio stampa che ringraziamo.

:: I bastardi vanno all’inferno di Frédéric Dard (Rizzoli 2021) a cura di Giulietta Iannone

10 giugno 2021

Teso e violento Les salauds vont en enfer è un dramma poliziesco criminale di Frederic Dard, in parte di ambiente carcerario, nato come piece teatrale e poi passato sul grande schermo, grazie a Robert Hossein come regista, nel 1955. Solo dopo Dard decise di pubblicare con lo stesso titolo anche il romanzo, percorso anomalo sicuramente determinato dal grande successo sia teatrale (fu portato in scena a Parigi e all’estero per più di 500 volte) che dopo cinematografico. Nella sua meritoria impresa di portare in Italia le opere di Dard, Rizzoli nella collana Nero Rizzoli, ce lo presenta nell’edizione tradotta da Elena Cappellini. Dopo Gli Scellerati e Il Montacarichi, ecco dunque I bastardi vanno all’inferno (Les salauds vont en enfer, 1956). Una storia nerissima che ha per protagonista una coppia anomala di personaggi: una spia e un poliziotto sotto copertura, e per tutto il romanzo non sapremo chi dei due tra Hal e Frank sia l’uno o l’altro, lo sapremo solo alla fine, prima del tragico, inevitabile, finale. Tutto è giocato sul filo dell’ambiguità, davvero è impossibile distinguere il poliziotto dal criminale, e questa in fin dei conti è la morale del libro, non esistono i bastardi, ma tutti si trovano a recitare un ruolo restando fondamentalmente uomini con pregi e difetti. Il linguaggio è secco, tagliente, lo scambio di battute tra i protagonisti è ambiguo e realistico, insomma è una storia scritta e ambientata negli anni ’50 ma conserva un’impronta di vita vera, e vissuta. E cosa sorprendente non è la violenza o l’atto criminoso in sé la cifra distintiva del romanzo ma l’amicizia che inaspettatamente nasce tra i due personaggi, e che Dard approfondisce con grande acume psicologico e spessore morale. Dunque siamo nel Midi de la France, negli anni ‘50, in un carcere in cui le condizioni di vita dei prigionieri non sono tanto diverse da quelle del secolo precedente: guardie carcerarie sadiche e violente, periodi di isolamento in segrete infestate dai topi, esecuzioni tramite la ghigliottina, negli anni ‘50 in Francia la pena di morte veniva somministrata con queste modalità. Hal e Frank si trovano reclusi nella stessa cella, assieme ad un altro prigioniero sordomuto che ha ucciso la moglie. Sin dall’inizio il rapporto tra i due e di diffidenza e di paura. Giungono persino alle mani, tanto da finire in isolamento. Poi una strana solidarietà e complicità si instaura tra i due personaggi tanto che decidono di evadere e fuggire insieme aiutandosi l’un l’altro. Il romanzo è breve non anticipo altro della trama, ma da questo momento in poi l’azione si fa convulsa e frenetica e entrerà in scena anche un altro personaggio, Dora, una donna bellissima dagli occhi viola che causerà una rottura degli equilibri e se vogliamo porterà la storia verso l’inevitabile epilogo. Dunque un noir, forse tra i più famosi di Dard che se vogliamo analizza e approfondisce le dinamiche dell’animo umano di personaggi che non hanno nulla da perdere e lottano per la propria sopravvivenza pur conservando un barlume di umanità che li rende essere umani prima che poliziotti o criminali. Il personaggio di Dora, poi la classica dark lady, creerà quella tensione sessuale priva di sentimentalismo capace di accrescere le ombre di una storia già tragica e violenta di suo. Per chi ama Dard e i noir anni ’50.

Frederic Dard (1921-2000) ha iniziato a pubblicare romanzi negli anni Quaranta. Il grande successo sarebbe arrivato però più tardi, con lo pseudonimo San-Antonio. È in atto una riscoperta internazionale della sua opera, vastissima, inaugurata in Italia da Rizzoli con Gli scellerati (2018), Il montacarichi (20219) e I bastardi vanno all’inferno (2021).

Elena Cappellini, dopo la laurea in Lettere moderne presso l’Università di Bologna, ha studiato a Siena, dove ha conseguito il dottorato in Letteratura comparata e Traduzione del testo letterario. Ha partecipato a convegni e pubblicato saggi su Michel Tournier, sul fantastico, sull’immaginario radiofonico, fotografico e radiologico. Dal 2002, a Cremona, è stata curatrice del festival Pensare la differenza, percorsi, incontri e spettacoli sulla cultura di genere.

Source: libro inviato al recensore dall’ editore. Ringraziamo Giulia e Claudia dell’ Ufficio stampa Rizzoli.

:: E verrà un altro inverno di Massimo Carlotto (Rizzoli 2021) a cura di Federica Belleri

24 Maggio 2021

Torna in libreria Massimo Carlotto con un romanzo di attualità, assolutamente verosimile. Sporco e pulito allo stesso tempo. Legato all’ambiente, alla mentalità, alle chiacchiere e alla reputazione. Un luogo, una valle del nord-est italiano, dove tutto è ristretto e qualsiasi problema deve essere risolto lì. Dove “lo straniero” è mal visto, guardato con sospetto. Dove “il ricco” può tutto, comprando felicità e agonia. Dove si può imparare a odiare perché ci si sente in trappola, incapaci di guardare oltre una strada trafficata. Dove il dolore rende “diversi”. Una valle dove si muore per zittire, perché si crea fastidio. Dove il lavoro manca e allora diventa facile essere reclutati dalla malavita. Un posto dove le indagini sono superficiali per convenienza, perché così si fa prima. Fingere, tradire, salvare le apparenze. Mantenere una catena di segreti strettamente intrecciati, perché tanto è così che funziona. Che si fa da sempre. Perché tutti possono essere colpevoli o innocenti nello stesso momento. Semplicità e efficacia del linguaggio. Due caratteristiche che mi hanno colpita di questo bel romanzo. Buona lettura.

Maurizio Carlotto è l’inventore della serie di Marco Buratti detto l’Alligatore. Ha scritto numerosi romanzi tra cui Arrivederci amore, ciao, L’oscura immensità della morte, Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane, La signora del martedì. Per Rizzoli ha pubblicato Il Turista e l’antologia Sbirre con Giancarlo De Cataldo e Maurizio de Giovanni.

Fonte: omaggio dell’editore al recensore. Ringraziamo l’Ufficio stampa Rizzoli.

:: Sibil di Marco Scardigli (Rizzoli 2021)

13 aprile 2021

Chi è Sibil? È una ragazzina che ama il caldo, non sopporta i rumori, con lei bisogna sussurrare e ama il cibo bianco. Potreste considerarle stranezze, ma la cosa che veramente colpisce di lei è il fatto che usa potenzialità del cervello che altri non usano, che la rendono molto, molto speciale.

Usa la mente-fuori e può scoprire tutto quello che nasconde la Rete. Può scoprire da dove provengono flussi di denaro, può cambiare le coordinate dei satelliti, può conoscere e decifrare conversazioni, dati, algoritmi. Un’arma non convenzionale nella lotta contro il crimine. Ed è così che una task force della Guardia di Finanza tutta al femminile si avvale dei suoi “poteri”.

Ecco in breve Sibil, thriller di Marco Scardigli, edito da Rizzoli. Un thriller tutto al femminile che indaga sui pericoli e i misteri della Rete, partendo dall’idea che ci possa essere un essere umano capace di competere con le intelligenze artificiali, e superarle.

L’idea è affascinante, la mente umana è davvero misteriosa con i suoi 100 miliardi di neuroni, e più di 150mila miliardi di sinapsi. Nessun computer può davvero ancora competere, è che le nostre potenzialità restano ancora inesplorate, e non si conosce cosa possa fare scattare questo accrescimento dalle facoltà diciamo comuni.

Marco Scardigli, storico, saggista e romanziere,  è una vecchia conoscenza, ricordo di suo  Evelyne. Il mistero della donna francese (Interlinea, 2018), qui si cimenta in un thriller tecnologico tutto italiano, che può competere con molti romanzi avveniristici, e fantascientifici alle prese con le nuove e diverse tecnologie.

Il valore di Sibil è sconfinato, se esistesse davvero vivrebbe blindata, impossibilitata a condurre una vita normale, perché naturalmente grandi doti nascondono anche gravi fragilità. E da questo partono molte riflessioni etiche e morali legate alla privacy, alla concentrazione di tanto potere in un’unica persona, alla violazione o superamento di leggi, confini e regolamenti che cesserebbero di avere importanza. A se sarebbe giusto utilizzare una persona come un’arma, anche se utilizzata dal lato giusto della legge.

Alla fine della lettura una sola domanda ci passa per la mente: e se Sibil esistesse veramente? Curioso. 

Marco Scardigli (1959) è storico militare e autore di numerosi saggi e romanzi. I suoi ultimi libri sono Evelyne. Il mistero della donna francese (Interlinea, 2018, Premio Selezione Bancarella) e Tina e il mistero dei pirati di città (Interlinea, 2020). Altre pubblicazioni sono Il mistero delle code di lucertola (Sperling & Kupfer); Lilibum (Liber International); Celestina. Il mistero del volto dipinto (Arnoldo Mondadori Editore).

Source: libro inviato al recensore dall’editore, ringraziamo l’Ufficio Stampa Rizzoli.