Posts Tagged ‘letteratura svedese’

:: Kallocaina. Il siero della verità di Karin Boye (Iperborea 2023) a cura di Emilio Patavini

5 marzo 2023

Pubblicato nel 1940, un anno prima della morte dell’autrice, Kallocaina è il romanzo più famoso di Karin Boye, scrittrice e poetessa svedese. Nata a Göteborg nel 1900, studia greco antico e norreno a Uppsala, dove entra in contatto con il movimento di ispirazione socialista Clarté. La influenzano il nichilismo di Nietzsche, la psicoanalisi freudiana, le religioni orientali e gli antichi miti scandinavi. Nel 1922 pubblica Nuvole, sua prima raccolta poetica. Nel 1929 sposa Leif Björk, un attivista del movimento clarteista (anche se il matrimonio terminerà qualche anno dopo), e collabora alla rivista d’avanguardia Spektrum, dove pubblica con Erik Mesterton la sua traduzione de La terra desolata di T.S. Eliot. Nel 1932 si trasferisce a Berlino, dove si sottopone a psicoanalisi per comprendere meglio se stessa e la propria omosessualità. Nel 1934 si innamora di una ragazza tedesca, Margot Hanel. Nel 1940 si trasferisce ad Alingsås, dove scrive Kallocaina, il suo capolavoro. Il 23 aprile 1941 esce di casa senza farvi più ritorno: il suo corpo viene ritrovato qualche giorno dopo nel bosco. Con il suo suicidio – seguito un mese dopo da quello di Margot Hanel – si spegne una delle voci più importanti della poesia svedese.

Kallocaina, il suo ultimo romanzo, è uno dei grandi romanzi distopici del Novecento, assieme a Noi (1924) di Evgenij Zamjatin, Il mondo nuovo (1932) di Aldous Huxley e 1984 (1949) di George Orwell. La prima edizione italiana, da tempo fuori catalogo, uscì nel 1993 per Iperborea. L’11 gennaio, a distanza di trent’anni, è uscita una nuova edizione del romanzo, tradotto da Barbara Alinei e con la postfazione di Vincenzo Latronico. Kallocaina descrive una società totalitaria e militarista, dominata da uno Stato Mondiale, in cui l’individuo è completamente annullato in nome della collettività e in cui le persone non si considerano “individui”, ma “compagni soldati”. Il romanzo è scritto in forma di diario da un chimico, Leo Kall, inventore del siero della verità (che prende il nome di kallocaina in suo onore). In questo stato poliziesco, le autorità sfruttano le potenzialità offerte dalla kallocaina, prontamente impiegata come strumento di controllo. In un primo momento, l’applicazione pratica della kallocaina si limita al campo della giustizia, dove può essere utilizzata negli interrogatori per far confessare la verità agli imputati. «D’ora in poi nessun criminale potrà negare la verità. Neanche i nostri pensieri più intimi ci appartengono più, come a torto abbiamo creduto per molto tempo» (p. 20), afferma soddisfatto Leo Kall, continuando: «i colpevoli confesseranno spontaneamente e senza riserve con una semplice iniezione» (p. 59). Nella società descritta da Karin Boye, tutto appartiene allo Stato: non solo i propri figli, ma anche i pensieri. Tutto è sacrificato in nome di quella «unica cosa sacra per tutti: la collettività» (p. 28). Ma in seguito ci si rende conto che essa «permetterebbe di prevedere e prevenire molte delle atrocità che ora ci piovono addosso all’improvviso» (p. 63). Questa lucidissima intuizione di Karin Boye sembra quasi anticipare il racconto Rapporto di minoranza (The Minority Report) di Philip K. Dick, in cui la polizia si serve di precognitivi per sventare i crimini prima ancora che essi siano commessi.

Quello che si crea è un clima di reciproca diffidenza, dove chiunque ritenuto «pericoloso per lo Stato» (p. 100) può essere denunciato dal proprio collega o dal proprio coniuge. Lo stesso Kall denuncia l’odiato collega Rissen e arriva a sospettare di sua moglie Linda.

In tutto questo si affaccia la visione di una Città Deserta vagheggiata dai nemici dello Stato e avvolta nella leggenda, una «città abbandonata e in rovina in un luogo inaccessibile» (p. 160), «sconosciuta e irraggiungibile» (p. 160), più antica dello Stato stesso, distrutta da bombe, gas e batteri, eppure bramata e abitata dai “diversi”, coloro che vengono definiti con disprezzo «asociali». Per usare, ancora una volta, le parole di Leo Kall, si tratta di «una favola su cose che non esistono. Cimeli di una cultura morta! In quel villaggio deserto bombardato dai gas sopravviverebbero i resti di una civiltà che risale all’epoca precedente le grandi guerre. Ma non c’era nessuna civiltà! […] Qualcosa che meriti il nome di civiltà è inconcepibile durante l’epoca civil-individualistica. I singoli lottavano contro i singoli, i gruppi sociali contro i gruppi sociali. […] Questa io la chiamo giungla, non civiltà. […] La civiltà non può esistere che nello Stato» (pp. 161-62). La descrizione della Città Deserta rimanda naturalmente alla Waste Land eliotiana, tradotta dalla stessa Boye. Alcuni versi in inglese vengono riportati anche in esergo.

Da una parte l’opera riprende alcuni elementi già presenti nelle precedenti distopie (le droghe come strumento di controllo erano già comparse nel romanzo di Huxley), ma dall’altro innova il genere e anticipa alcune delle tematiche trattate da Orwell nel suo più famoso 1984. Disseminati in ogni luogo sono i «milioni di occhi e orecchi che vedevano e sentivano giorno e notte le azioni e i dialoghi più intimi di tutti i compagni» (p. 122), oscura prefigurazione della pervasività tecnologica che caratterizza 1984 con i suoi onnipresenti teleschermi. Il protagonista, Leo Kall, non nutre una segreta avversione nei confronti dello Stato come Winston Smith, ma come nota nella sua postfazione Vincenzo Latronico «è a tutti gli effetti un antieroe, più rigido e conformista di chi ha intorno» (p. 240), è un esaltato che non solo si rende conto delle potenzialità della sua scoperta, ma si adopera affinché siano messe in atto, dando il via «a un’opera di pulizia che avrebbe liberato il corpo dello Stato da tutto il veleno inoculato dai criminali del pensiero» (p. 135). È lo stesso Kall, infatti, a proporre una legge «contro i pensieri e i sentimenti ostili allo Stato» (p. 138), una «nuova legge contro la mentalità anti-Stato» (p. 178). Le autorità accolgono con favore la sua proposta, in seguito alla quale anche «i pensieri possono essere condannati» (p. 177). Ecco dunque il concetto di psicoreato (thoughtcrime) teorizzato nove anni prima della pubblicazione del capolavoro orwelliano. Eppure Kall non ha dimenticato le parole del collega Rissen: «Nessuno che abbia passato i quarant’anni ha la coscienza pulita» (p. 240), e infatti vive nel terrore di essere sottoposto al siero che porta il suo nome. Non si fida nemmeno di se stesso. Sa benissimo che nessuno è innocente, che tutti hanno qualcosa da nascondere. Questo dato di fatto è il pilastro su cui poggiano le sicurezze dello Stato, perché come afferma lui stesso: «La ragione sacra e necessaria dell’esistenza dello Stato è la nostra mutua, legittima sfiducia l’uno nell’altro. Chi mette in dubbio questo fondamento mette in dubbio lo Stato» (p. 126).

Leggendo questo romanzo non si può fare a meno di intuire che esso è stato scritto da una sensibilità diversa, da una voce originale, quale è quella di Karin Boye, benché scelga di narrare la sua storia da un punto di vista maschile. Si tratta di una voce anzitutto poetica, che diversamente da Orwell o da Huxley antepone la soggettività dell’io narrante, l’introspezione psicologica (quasi psicoanalitica) e la riflessività del personaggio alla parte più propriamente narrativa o di azione. L’accento è posto sui pensieri di Leo Kall, estensore del diario nonché protagonista, e il lettore segue il suo flusso di coscienza.

Karin Boye nata nel 1900 a Göteborg, è una delle grandi voci della poesia svedese. Dopo la Prima Guerra Mondiale aderisce al movimento pacifista Clarté e viaggia in Europa vivendo le inquietudini del suo tempo: visita, turbata, l’URSS di Stalin (1928), la Germania che si prepara a Hitler (1932) e l’agognata Grecia (1938), culla della civiltà e dei valori a lei più cari. Il dissidio mai risolto tra impegno sociale e politico, tra una ferrea esigenza di coerenza e di ricerca di verità e un desiderio di appagamento e di abbandono agli istinti naturali la porterà a cercare la morte, solitaria, nella natura, il 23 aprile del 1941, giorno in cui i nazifascisti invadono la Grecia. Oltre alle numerose raccolte di poesie, scrive cinque romanzi di cui Kallocaina (1940) è il più noto.

Source: inviato dall’editore. Si ringrazia l’Ufficio Stampa Iperborea.

:: Katitzi nella buca dei serpenti di Katarina Taikon (Iperoborea 2021) a cura di Giulietta Iannone

31 luglio 2021

Katitzi nella buca dei serpenti della scrittrice svedese per l’infanzia Katarina Taikon è il terzo episodio della saga ispirata alla storia personale dell’autrice di origini rom, che Iperoborea pubblica nella collana i Miniborei, tradotta da Samanta K. Milton Knowles.
Katarina Taikon ha scritto ben 13 libri con protagonisti la piccola Katitzi e la sua vivace famiglia e Katitzi nella buca dei serpenti ci racconta parte della sua infanzia durante la Seconda Guerra Mondiale, nel periodo in cui le truppe di Hitler minacciavano di invadere la Svezia mettendo a rischio ebrei e rom.
Ma Katitzi è una bambina vispa e vivace affronta tutto con buffa allegria e fantasia, le difficoltà della vita come le limitazioni e i pregiudizi che le impediscono per esempio di frequentare la scuola svedese o anche solo di abitare in una casa con pareti e soffitto costringendola a vivere in un carrozzone itinerante in giro per la Svezia.
Katitzi non si arrende e nonostante la povertà e il lavoro a cui sono soggetti anche i bambini riesce a fare anche amicizia con alcuni svedesi illuminati che vedono in lei semplicemente una bambina e non qualcuno che appartiene ad un’etnia da isolare e discriminare.
Come finisce in una buca di serpenti?
Ah, questo lo scorpirete leggendo il libro divertente, ironico, anche amaro per certi versi ma capace di illuminare dall’interno la vita e l’infanzia della protagonista che ha deciso di raccontarsi ai lettori bambini perchè convinta che se si vuole davevro cambiare le cose e combattere contro stereotipi e ingiustizie bisogna partire proprio da loro, a cui sarà affidato il mondo di domani.
Un libro per ragazzi certo ma indicato anche agli adulti che rispettano e considerano il mondo dell’infanzia. Un classico della letteratura da poco riscoperto.

Katarina Taikon (1932-1995) è stata una scrittrice e attivista svedese con radici rom. Come molti altri rom della sua generazione, non ha frequentato la scuola e ha dovuto imparare a leggere e scrivere da adulta. Pubblicata tra il 1969 e 1980 e diventati anche una serie tv, i libri di Katitzi sono dei classici della letteratura per l’infanzia in Svezia al pari di molti libri di Astrid Lindgren ed è stata di recente riscoperta in tutta la Scandinavia. Nel 2019 Katitzi ha ricevuto il premio Orbil dell’Associazione librerie indipendenti per ragazzi e il premio Scelte di classe come miglior libro per ragazzi nel 2018.

Samanta K. Milton Knowles, laureata in Studi Interculturali con una tesi sulla traduzione cinese di Pippi Calzelunghe e in Scienze Linguistiche con una tesi dal titolo “Tradurre Astrid Lindgren”, lavora come traduttrice editoriale dallo svedese, dall’inglese e dal danese dal 2014. Oltre che con Camelozampa, collabora con case editrici come Iperborea, Salani, Fandango, Rizzoli, Beisler, Bohem Press, Feltrinelli, Marsilio e UTET. È responsabile del controllo della qualità delle traduzioni italiane delle opere di Astrid Lindgren per conto della società degli eredi della grande scrittrice svedese, la Astrid Lindgren AB. Da febbraio 2019 è uno dei membri della segreteria di StradeLab, associazione nazionale di traduttori editoriali affiliata al sindacato Strade SLC-CGIL. È rielaboratrice e curatrice della versione definitiva italiana di Pippi Calzelunghe, pubblicata da Salani nel 2020, in occasione del 75esimo anniversario della prima pubblicazione del romanzo.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo Francesca Gerosa dall’ufficio stampa.

Mamma è matta, papà è ubriaco, Fredrik Sjöberg (Iperborea 2020) A cura di Viviana Filippini

16 marzo 2020

mamma_e_matta_altaOgni libro di Fredrik Sjöberg è una garanzia. Nel senso che cominci a leggerlo nella convinzione che conoscerai una storia e, come sempre, scopri più di una vita. Anche in “Mamma è matta, papà è ubriaco” l’entomologo svedese ci porta alla scoperta di una vita sconosciuta, o meglio, di un artista – Anton Dich- finito nel dimenticatoio. Il tutto parte da un quadro -il ritratto di due cugine- , nel quale l’autore si è imbattuto in un’asta danese e, da subito si scatena in lui l’attenzione per l’autore Anton Dich. Chi era, cosa fece, chi sposò, che rapporto aveva con le due ragazzine ritratte e perché nessuno si ricorda di lui? Nel nuovo libro pubblicato da Iperborea si cerca di ricostruire la vita di Dich. Punto di partenza sono i racconti di alcuni nipoti dell’artista. Storie che conducono Sjöeberg nei primi anni del 1900, nella vita di Eva Adler, moglie di Dich, e nella sua famiglia nella quale le donne ebbero grande spirito di iniziativa imprenditoriale, avendo spesso più successo dei mariti. Eva e Anton, già che amore quasi perfetto! Sì perché prima di Dich, Eva era sposata con un altro artista, tal Ivar Aresonius, che morì giovanissimo dopo aver fatto opere su opere molto apprezzate dal pubblico e dalla critica. Anton arrivò dopo e per tutta la sua vita e carriera, lo spettro del primo marito di Eva aleggiò su di lui. Il libro di Sjöberg è una vera e propria avventura che ci porta a Stoccolma, in Austria, in Germania, in Italia, sempre sulle tracce di Dich. La cosa che stupisce è che questo artista (patrigno di una delle ragazzine dipinte) riuscì, sembrerebbe, ad imbattersi in artisti come Modigliani, Picasso, Derain, Brecht, Cendrars, trovandosi al posto giusto, pure nel momento giusto, senza però riuscire ad avere mai il successo tanto desiderato. Dich era pure un uomo dal carattere complesso, molto autocritico, che non esitava ad esternare la sua insoddisfazione sulle sue stesse opere, da lui stesso prese di mira e, in diversi casi, distrutte. Conoscenti ne aveva Dich, una moglie che lo amava pure, ma il suo unico più grande amico -quello che poi complicava sempre le relazioni con gli altri- fu l’alcool. L’inseparabile bottiglia sarà anche quella che porterà Dich nella tomba, nel 1935, a Bordighera dove, ancora oggi, è sepolto. La tomba si deve cercare, e lo conferma anche l’autore, ma c’è. “Mamma è matta, papà è ubriaco” di Sjöberg si inserisce alla perfezione nella serie di libri da lui scritti e dedicati a quegli artisti, studiosi che ebbero un grande intuito ma che, per uno strano scherzo del destino, finirono nel dimenticatoio. Ricordiamo “L’arte di collezionare le mosche” (Iperborea 2015), con protagonista René Malaise, scienziato svedese, inventore della trappola per mosche.  “Il re dell’uvetta” (Iperborea, 2016), con protagonista Gustaf Eisen, zoologo, pittore, archeologo, fotografo, esperto di lombrichi divenuto un pioniere della coltivazione dell’uvetta in California. “L’arte della fuga” (Iperborea 2017) dedicato al pittore paesaggista Gunnar Widforss, sconosciuto in patria, ma osannato in America.  “Mamma è matta, papà è ubriaco” di Sjöberg è il viaggio nella Storia, in luoghi diversi e epoche lontane, alla ricerca degli indizi giusti per poter ricostruire una vita, quella del pittore Anton Dich, facendone degna memoria e restituendola ai lettori di oggi e del domani. Traduzione Andrea Berardini.

Fredrik Sjöberg Scrittore, entomologo, collezionista e giornalista culturale, dopo gli studi di biologia a Lund ha passato due anni viaggiando intorno al mondo. Dal 1986 vive sull’isola di Runmarö, un paradiso naturale di quindici chilometri quadrati al largo di Stoccolma, dove studia le mosche, di cui è diventato uno dei maggiori esperti. La sua collezione di sirfidi è stata esposta alla Biennale d’Arte di Venezia del 2009. L’originalità della sua scrittura, che fonde letteratura, riflessione e divulgazione con umorismo e poesia, ha ottenuto successo e riconoscimenti a livello internazionale. Dopo L’arte di collezionare mosche, caso editoriale in tutta Europa e nominato da The Times «Nature Book of the Year», Iperborea ha pubblicato Il re dell’uvetta, L’arte della fuga, Perché ci ostiniamo e Mamma è matta, papà è ubriaco.

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’uffcio stampa Iperborea.

:: Dal libro al cinema: Il medico di corte di Per Olov Enquist a cura di Giulietta Iannone

18 febbraio 2020

Il medico di corteEra alquanto difficoltoso trasformare un romanzo celebrale come Il medico di corte di Per Olov Enquist in un film.
Un romanzo di idee (e di sentimenti), forse più ancora che di personaggi, capace di evocare profonde emozioni nel lettore, rattristato per il terribile destino del re danese Cristiano VII (è una storia vera perlopiù ricavata da fonti e documenti storici, e sicuramente realistica da un punto di vista psicologico in cui gioca molto l’interiorità dell’autore, Per Olov Enquist, che mette molto di sè), e per l’atroce fine del vero protagonista del romanzo, il medico d’Altona Johann Friedrich Struensee, decapitato e letteralmente squartato sulla pubblica piazza per ragioni che approfondiremo nel proseguo della mia analisi.
Insomma si potevano scegliere due strade antitetiche per certi versi: farne un grande e sontuoso affresco storico con maniacale attenzione per musiche, costumi, ambienti, di viscontiana memoria, o scegliere un approccio più intimistico e rarefatto, capace di evocare sensazioni più che di narrare fatti, accadimenti, circostanze.
Royal Affair (En kongelig affære) del regista danese Nikolaj Arcel sceglie un approccio ibrido, puntando molto sul carisma e sulla bravura degli attori, in primis Mikkel Boe Følsgaard, al suo debutto sul grande schermo, capace di rendere umanissimo e simpatico un personaggio scomodo che solo troppo approssimativamente si potrebbe bollare e stigmatizzare come “pazzo”; Trine Dyrholm l’algida Regina Madre Giuliana Maria; Mads Mikkelsen credibile nei panni di Johann Friedrich Struensee appassionato innovatore della società danese, ateo e illuminista, e innamorato della giovane regina Carolina Matilde di Hannover, sottovalutata da tutti forse per il suo aspetto poco appariscente (nella realtà) ma in definitiva una donna dalla tempra d’acciaio, interpretata da una brava Alicia Vikander, forse troppo bella per il ruolo ma capace di dare una certa durezza e un velato distacco al personaggio di per sé luminoso e protofemminista.
Insomma un film riuscito, a me è piaciuto molto e mi ha spinto a leggere il libro da cui è stato tratto. Insomma per una volta il cinema aiuta la letteratura e non la saccheggia, come alcuni ritengono a torto.
Film e libro, a parte superficiali discrepanze (faccio un esempio: nel romanzo la scena del contadino torturato sul cavalletto vede protagonista Struensee e il re Cristiano VII, nel libro invece c’è sempre Struensee ma invece del re la regina Carolina Matilde) mantengono lo stesso spirito e lo stesso ideale di fondo.
Certo il libro permette un maggiore approfondimento di alcune tematiche che nel film sono solo accennate, importante su tutte credo la contrapposizione tra le luminose verità Illuministe (trionfo delle libertà individuali, della giustizia sociale e dell’equità) e l’oscurantismo del pietismo religioso di stampo protestante erede di un’ epoca buia e antiprogressista in cui vigeva la tortura più brutale e le disumane condizioni di servitù dei contadini.
La “Rivoluzione Illuminista Danese” del 1768-1772 o meglio detta l’era di Struensee, che anticipa di qualche decennio la più cruenta Rivoluzione Francese, poi è sicuramente un periodo poco noto all’esterno dei confini della Danimarca, e merito di questo romanzo, e del successivo film, è sicuramente stato quello di farlo conoscere all’opinione pubblica contemporanea.
Paradossale che lo stesso Per Olov Enquist descriva il suo romanzo come una semplice storia d’amore (le venature erotiche e sensuali sono sicuramente più marcate nel romanzo) ma sicuramente questa unica dimensione è riduttiva: è un romanzo che contiene una forte carica morale e una severa critica dei sistemi educativi coercitivi (il povero Cristiano è un esempio dei danni devastanti che ciò provoca), è un inno alla libertà religiosa, sentimentale, etica, è un inno alla solidarietà umana e alla forza necessaria per difendere i propri ideali anche quando il proprio sforzo non è riconosciuto (dai contemporanei perlomeno).
L’ingenuità di Johann Friedrich Struensee, così alieno al grande gioco politico delle alleanze e della “scelta” dei nemici, ne fa certo un personaggio tragico, (seppure incredibilmente moderno, fu uno dei primi per esempio a usare il dentifricio, particolare minimo ma vi dà un idea di quanto fosse estraneo nel suo tempo) sconfitto dalla storia, un vinto se vogliamo che esce di scena nel più barbaro dei modi, pur tuttavia la sua impazienza (quasi avesse saputo del poco tempo che aveva a disposizione) nello sfornare decreti che rivoluzionarono nel concreto l’immobile società danese del tempo, dalla libertà di stampa, al vaccino contro il vaiolo per tutti, agli aiuti per i figli illegittimi, gettano un germe di cambiamento, rendono reale l’utopia e il desiderio di cambiare (in meglio) il mondo. Traduzione di Carmen Giorgetti Cima.

Per Olov Enquist nato nel Nord della Svezia nel 1934, è una delle grandi “coscienze critiche” della società scandinava. Al gusto per l’indagine storica e al desiderio di essere testimone del proprio tempo, aggiunge una capacità di scrittura che gli ha fruttato premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Il libro delle parabole è il suo ultimo romanzo pubblicato da Iperborea, dopo il successo de Il medico di Corte (Premio Super Flaiano e Premio Mondello) e de Il libro di Blanche e Marie (Premio Napoli 2007).

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo Francesca dell’ufficio stampa Iperborea.

:: Autunno tedesco di Stig Dagerman (Iperborea 2018) a cura di Viviana Filippini

15 marzo 2018

Autunno tedesco

Clicca sulla cover per l’acquisto

Autunno tedesco di Stig Dagerman è uno dei libri che meglio riescono a raccontare al lettore quelle che furono per i tedeschi le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1946, l’autore svedese aveva 23 anni e venne contattato dall’Expressen che gli propose di andare in Germania per fare una serie di reportage sulle condizioni del Paese dopo la fine del conflitto bellico. Dagerman aveva appena pubblicato il suo prima romanzo, ma non rifiutò l’incarico e per due mesi circa sì stabili in Germania. Uno degli aspetti che più colpì lo scrittore anarchico e antimilitarista fu la folta presenza di giornalisti nelle diverse città tedesche dove lui si recò. Ad ogni angolo, dentro ad ogni piazza o via c’erano giornalisti come lui intenti a provare a raccontare il dopoguerra. Dopo aver raccolto materiale e testimonianze, quello che Dagerman fece nelle pagine del suo libro edito ora da Iperborea fu semplice, e molto reale, perché lui raccontò la realtà dei fatti per come li vide e per come li percepì. Uno degli aspetti costanti del testo sono le macerie, i resti distrutti dei palazzi e delle costruzioni entro le quali l’autore di aggirava. Da Amburgo a Berlino, fino a Colonia lo scrittore viaggiò su treni stracolmi di persone che non erano gli ebrei deportati nei campi di sterminio, ma i tanti tedeschi rimasti senza tetto. Dagerman ebbe la possibilità di vedere tanto altro, da intere famiglie che abitavano in scantinati mezzi allagati, a individui che cercavano riparto tra le macerie che un tempo erano state della abitazioni. Persone affamate alla costante ricerca di cibo per riempire la pancia costante vuota. Accanto a questi tedeschi che non avevano più nulla, e che in certi momenti della lettura di Autunno tedesco sembrano quasi non essere del tutto consapevoli dello stato di precarietà nel quale si trovavano a vivere, si innestano le Potenze occupanti che vinsero la guerra, tutte impegnate ad allestire i processi di guerra per punire i colpevoli delle malefatte compiute. Accanto a questo processo ci fu quello della denazificazione che prese di mira nomi già noti alla Storia, ma anche gente comune, la quale aveva pensato bene di arricchirsi a spese delle innocenti vittime. Quello che però Dagerman evidenzia è come il voler epurare dal nazismo i tedeschi a lui sembrò una messa in scena, più che qualcosa di concreto, perché le preoccupazioni e gli interessi della gente erano altrove. Autunno tedesco di Stig Dagerman è un ritratto lucido e sferzante che scava nelle viscere della Germania del dopoguerra e della gente comune che la viveva e che però non riusciva a concentrarsi sulle questioni politiche, perché era troppo impegnata a tentare di sopravvivere alla povertà, alla fame e alla distruzione per non soccombere alla tremenda miseria causata dal conflitto. Traduzione di Massimo Ciaravolo. Postfazione di Fulvio Ferrari.

Stig Dagerman era nato nel 1923, segnato da una drammatica infanzia, considerato il “Camus svedese”, in perenne rivolta contro la condizione umana, anarchico viscerale cui ogni sistema va stretto, militante sempre dalla parte degli offesi e umiliati, incapace di accontentarsi di verità ricevute, resta nella letteratura svedese una di quelle figure culto che non si smette mai di rileggere e di riscoprire. Dal 1946 scrisse quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti, articoli, sceneggiature di film, che continuano a essere tradotte e ristampate. Bloccato da una lunga crisi creativa e angosciato dal peso delle enormi aspettative suscitate dal suo talento, si uccise nel 1954.

Source: inviato al recensore dall’ufficio stampa Iperborea.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: I prescelti di Steve Sem-Sandberg (Marsilio 2018) a cura di Micol Borzatta

14 febbraio 2018

I prescelti

Clicca sulla cover per l’acquisto

L’ospedale viennese Spiegelgrund non esiste più.
Famosissimo negli anni tra il 1940 e il 1945 come istituto per raddrizzare i bambini ribelli e assistere quelli affetti da malattie mentali.
Adrian è uno di questi bambini. Dopo un’infanzia piena di problematiche molto forti viene rinchiuso nell’istituto nel 1941.
Mentre la persone fuori pensano che, una volta entrati, i bambini vengano seguiti e veramente curati, nella realtà dentro a quelle mura è un vero inferno, dove i medici si dedicano a torture di ogni genere e all’eutanasia infantile che Berlino pretende e obbliga di effettuare.
Ovviamente tutti i sensi di colpa vengono sopiti con la scusante che si stanno solo seguendo degli ordini, così che i coinvolti possono andare avanti con le loro vite senza dover prendere atto delle loro azioni.
Romanzo molto forte che dopo una partenza lenta in cui conosciamo il passato di Adrian, prende il via con toni pesanti e duri quando inizia la sua vita dentro all’istituto.
Molto ben descritto anche il personaggio dell’infermiera Anna Katschenka, che ci trasmette la dualità dei suoi sentimenti. Infatti Anna ama moltissimo i bambini, li ha nel cuore, però è anche fedele e leale al regime, con un forte senso del dovere che le fa eseguire tutti gli ordini che le vengono dati, facendola passare così come un mostro disumano, ma che dentro di sé è a pezzi dal dolore.
Un romanzo che narra una realtà diversa del tempo del nazismo, una realtà più pediatrica, più infantile, una realtà che non siamo abituati a sentire e che ci distrugge l’animo durante la lettura, nonostante sia intramezzata dalla finzione romanzata.
Un modo diverso per ricordare e vivere il periodo della guerra senza fossilizzarsi sempre e solo sui campi di concentramento.

Steve Sem-Sandberg nasce nel 1958 ed è uno dei migliori scrittori svedesi apprezzati. Ha già pubblicato il romanzo Gli spodestati che è stato pubblicato in oltre 20 paesi, ed è stato un caso internazionale vincendo l’August Prize, il più prestigioso premio letterario di Svezia.
I prescelti ha vinto in Francia il Prix Médicis come miglior romanzo straniero e il Prix Transfuge come miglior romanzo europeo.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Si ringrazia Anna Chiara dell’ Ufficio Stampa.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson di Selma Lagerlöf (Iperborea 2017) a cura di Viviana Filippini

7 febbraio 2018

Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson

Clicca sulla cover per l’acquisto

Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson” è un libro per ragazzi di Selma Lagerlöf, la prima donna ad aver vinto il premio Nobel per la letteratura, scritto nel 1906, tre anni prima di ricevere l’importante riconoscimento. Iperborea lo ha pubblicato con una nuova traduzione e in versione integrale, per permettere ai lettori bambini e, perché no, pure agli adulti di conoscere le mirabolanti avventure di Holgersson. Chi è Nils Holgersson? È un ragazzino vivace, ribelle e pure dispettoso che non perde mai l’occasione di fare scherzi agli animali della fattoria dove vive i genitori. Un famoso proverbio dice “il gioco è bello fin che dura poco” e, ad un certo punto, Nils la combina grossa, tanto che il suo fare scherzi avrà conseguenze impreviste, soprattutto per lui. Infatti il folletto che il protagonista aveva preso di mira si vendica trasformandolo non in un mostriciattolo, ma in un ragazzino minuscolo come un topolino. Nils è in panico, non sa cosa fare per rimediare al guaio che ha combinato. È solo e trova sostegno in Mårten, un papero domestico, anche lui anima solitaria, che ha lasciato la famiglia per unirsi a uno stormo di oche selvatiche nel loro lungo volo migratorio verso la Lapponia. Il tutto per dimostrare che anche un papero domestico può affrontare certe sfide riservate solo agli animali selvatici. Nils e Mårten compiranno sì un itinerario meraviglioso durante il quale incontreranno altri animali parlanti e pure creature fantastiche, ma questa avventurosa esperienza sarà per il ragazzino e il papero piena zeppa di prove da superare. Nel libro per ragazzi scritto dalla Lagerlöf, oltre all’intreccio riguardante Nils, si innestano nella narrazione una serie di leggende nordiche, che si mescolano e relazionano al mondo della natura e a quello degli animali. Allo stesso tempo, viaggiando con i due protagonisti, il lettore ha la possibilità di conoscere la geografia, il paesaggio e gli usi e costumi del mondo svedese dove Nils è nato. Il libro della Lagerlöf è un romanzo d’avventura e di formazione, dove l’atmosfera è un perfetto miscuglio tra realtà e fantasia. Nils e Mårten vivono tante esperienze differenti e tutte sono a loro necessarie, non solo per farsi accettare dalla comunità nella quale vivono o in quella dove – chi lo sa’- torneranno; esse sono importanti, perché li aiutano a diventare maturi e comprendere cosa è bene e male. “Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson” è un libro sulla maturazione, anche se vissuta in una dimensione fiabesca, nella quale Nils imparerà a comprendere il valore dell’amicizia, del rispetto del prossimo diverso da sé (non a caso il suo principale alleato diventa un papero domestico) e della solidarietà tra individui (Nils e il papero si sostengono e aiutano a vicenda) che permette di abbattere i pregiudizi e di superare le insidie. Leggere oggi “Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson” della Lagerlöf è far rivivere un importante classico della letteratura per ragazzi, ed è comprendere che crescere non sempre è un cammino facile però, con la buona volontà e i giusti sostegni, come dimostra la storia di Nils, è possibile diventare persone migliori.

Selma Lagerlöf Nata a Mårbacka nel Värmland nel 1858 e morta nel 1940, destinata a diventare, da maestra elementare, prima donna Premio Nobel nel 1909 e prima donna a essere nominata fra gli Accademici di Svezia nel 1914, è forse la scrittrice svedese più nota e amata nel mondo. Dalla “Saga di Gösta Berling” (1891), censurata aspramente dalla critica positivista, al “Viaggio meraviglioso di Nils Holgersson” (1907), indiscusso capolavoro e grande successo editoriale che le valse una fama mai concessa ad alcun connazionale, le sue opere sono state tradotte, filmate, illustrate ovunque.

Source: acquisto personale del recensore.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Greta grintosa di Astrid Lindgren (Iperborea – I Miniborei 2017) a cura di Maria Anna Cingolo

2 gennaio 2018

greta grintosa

Clicca sulla cover per l’acquisto

Greta Grintosa è il titolo del secondo energico volumetto della nuova collana di Iperborea ma è anche il titolo del primo dei dieci racconti inediti scritti dalla straordinaria Astrid Lindgren e contenuti nello stesso volume.
Ogni racconto ha come protagonisti bambini genuini, semplici, buoni e generosi che vivono in una Svezia che Lindgren descrive con colori d’incanto, candidi e fantasiosi. Greta sostituisce la nonna per non cancellare il Natale, la principessa Lise Lotta scopre che giocare è divertente, Bertil fa amicizia con Pirolino, un bambino grande come un topo, Göran non può più camminare ma una notte il Signor De Gigliis lo porta a Calasera, Gunnar e Gunnilla scoprono che l’uccellino del cucù conosce mille avventure e non è affatto di legno. Le pagine di questi racconti strabordano di immaginazione, di gioia e di vitalità e rendono la quotidianità magica nei dettagli più minuti. Lo stile della Lindgren è sempre lo stesso: semplice ma acuto e divertente, estremamente piacevole anche per un lettore adulto. Questo volumetto sembra animarsi della stessa magia contenuta nei racconti delle sue pagine ed invita i bambini a chiudere smartphone e tablet perché sotto al letto potrebbe abitare un nuovo amico, perché di notte è possibile guidare il tram nel Paese di chissà dove e perché ogni avventura diventa vera se si crede nella forza dell’immaginazione.
Oggi i bambini appaiono molto diversi dai personaggi di questi racconti, la società cerca di trasformarli in una versione in miniatura degli adulti, privandoli della propria identità. Per questo, la letteratura deve assumersi il compito di preservare la tenerezza, la spontaneità e l’incredibile forza immaginifica di ogni bambino attraverso storie potenti e suggestive che non lascino assopire la loro vera natura. Iperborea con Greta Grintosa procede proprio per questa felice strada.
Traduzione di Laura Cangemi

Astrid Lindgren (1907-2002) è l’autrice delle indimenticabili avventure di Pippi Calzelunghe e di piccoli personaggi ribelli e saggi, modelli di coraggio, indipendenza e creatività. Ha ottenuto il Premio Hans Christian Andersen, il Lewis Carroll Shelf Award, l’International Book Award dell’Unesco e altri numerosi riconoscimenti.

Source: libro inviato al recensore dalla casa editrice.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Sai fischiare Johanna? di Ulf Stark (Iperborea 2017) a cura di Viviana Filippini

12 dicembre 2017

sai fischiare Johanna

Clicca sulla cover per l’acquisto

Arriva in libreria la collana dei Miniborei della Iperborea, che raccoglie libri per l’infanzia. Tra i testi pubblicati anche “Sai fischiare, Johanna?” dello svedese Ulf Stark. Protagonisti due amici di sette anni, Ulf e Berra. I ragazzini giocano, si divertono, però Ulf è fortunato perché, a differenza di Berra, lui ha un nonno che lo fa divertire e che gli dà pure la mancia. Berra invece non ha un nonno, lo desidererebbe e sarà proprio grazie all’aiuto dell’inseparabile amico che anche il piccolo Berra troverà un nonno. Chi è? Il signor Nils, ospite di una casa di riposo, che è contento di aver trovato un nipotino. I tre vivono mirabolanti avventure, perché nonno Nils non solo racconta fantastiche storie, ma insegna anche ai due ragazzini a costruire un grande aquilone con uno scialle di seta e una cravatta. Poi, Ulf e Berra si accorgono che il nonno Nils fischietta sempre una canzone e i due incuriositi gli chiedono cosa sia il motivetto e il nonno risponde che è «Sai fischiare, Johanna?», che lui ama tanto perché Johanna era il nome della moglie. Tra nonno Nils e Berra si scatena una grandiosa amicizia, ricca di amore e affetto tra persone che non hanno legami di parentela, a dimostrazione del fatto che a volte può esserci maggiore empatia con le persone che si incontrano sul proprio cammino che con quelle della propria famiglia. “Sai fischiare, Johanna?” dello svedese Ulf Stark è un libro per bambini che dimostra quanto solido e intenso possa essere il legame tra nonni e nipoti ed stato vincitore del prestigioso Premio tedesco per la Letteratura d’infanzia nel 1994. Inoltre ogni anno la tv svedese a Natale trasmette il film che è stato tratto dal libro. Illustrazioni di Olof Landström. Tra le altre uscite del 2017 “Greta Grintosa” di Astrid Lindgren e “Il meraviglioso viaggio di Nills Holgersson” di Selma Lagerlöf.

Ulf Stark (1944-2017) è stato uno dei più importanti scrittori svedesi per l’infanzia e tra i più amati dai giovani lettori. Pubblicato con successo in tutto il mondo, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui l’Astrid Lindgren Award, il Deutsche Jugendliteraturpreis, l’Augustpriset e il Nordic Children Literature Prize.

Source: inviato dall’ Editore. Si ringrazia Silvio Bernardi dell’ Ufficio stampa Iperborea.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Fiabe svedesi, Bruno Berni (Iperborea 2017) a cura di Viviana Filippini

13 novembre 2017

fiabe svedesi“Fiabe svedesi” è l’ultimo volume uscito per Iperborea che raccoglie le fiabe della tradizione nordica. In questo testo, curato da Bruno Berni si alternano vicende fantastiche nelle quali si incontrano diversi personaggi alla prese con sfide e prove da affrontare, per dare un nuovo corso al proprio destino e a quello del mondo dove vivono. Tanti sono i personaggi che si alternano nel libro, sono creature letterarie coinvolte in avventure nelle quali spesso e volentieri sono chiamati a confrontarsi con esseri appartenenti al mondo della fantasia. Tra i protagonisti ci sono ragazzi che fanno a gara con misteriosi giganti per vedere chi mangia di più. Accanto a loro, incontriamo principi- come Hatt- costretti a vivere al buio e a uscire solo dopo il tramonto, affinché nessuno li veda. Non mancano poi principesse trasformate in topoline da inspiegabili sortilegi e gelosie. Queste vicende si alternano alle avventure di umili contadini in lotta contro mostruosi giganti e draghi, oppure in cammino in boschi rigogliosi di una natura nordica nella quale si nascondono misteriose creature. Tra di esse ci sono troll che gelosamente custodiscono tesori, animali pronti a dare aiuto a chi ne ha davvero bisogno, lucci, rane e anche altre animali parlanti. Ognuna delle fiabe svedesi qui presenti è stata tratta da “Svenska folk-sagor ock äfventyr” (Fiabe e leggende popolari svedesi) di Gunnar Olof Hyltén e George Stephens, due amici che lavorarono assieme per la pubblicazione di una raccolta, uscita a Stoccolma nel 1844 e nel1849, diventata il punto di partenza per lo studio deli racconti della tradizione svedese. La “Fiabe svedesi” sono un’importante risorsa che aiuta il lettore contemporaneo a conoscere il patrimonio narrativo del Paese del Nord Europa, scovando paesaggi fatti da una vegetazione ben diversa da quella mediterranea, usi e costumi differenti da quelli del Sud dell’Europa e, allo steso tempo, personaggi fiabeschi che ritornano nella nostra memoria durante la lettura – vedi il richiamo a il Gatto con gli stivali o la Principessa sul pisello) raccolti dai fratelli Grimm, da Hans Christian Andersen, da Perrault, Basile. Nelle “Fiabe svedesi”, curate da Bruno Berni, riecheggiano i personaggi fiabeschi della tradizione, variati a seconda delle esigenze della cultura nordica, a dimostrazione di come nella tradizione narrativa orale esistano dei modelli (degli archetipi potremmo definirli) che ritornano in modo costane e continuo, presentati con forma diversa. Le “Fiabe svedesi”, vanno ad unirsi agli altri tre volumi dedicati alle fiabe nordiche pubblicati da Iperborea: “Fiabe Lapponi” (2014), “Fiabe Danesi” (2015), “Fiabe Islandesi” (2016). Volumi da leggere anche da adulti per ritrovare la spensieratezza magica di un tempo. Curatore e traduzione dallo svedese: Bruno Berni.

Bruno Berni è nato a Roma nel 1959. Ha insegnato letteratura danese alle università di Urbino e Pisa. Dal 1993 dirige la biblioteca dell’Istituto Italiano di studi Germanici, dove è ricercatore. Ha scritto saggi e volumi sulle letterature nordiche e pubblicato diverse traduzioni di autori scandinavi: Andersen, Karen Blixen, Ludvig Holberg, August Strindberg e Peter Høeg. Lavori che gli hanno permesso di ottenere il premio Hans Chritsina Andersen nel 2004, il Dansk Oversaetterpris nel 2009, il Premio Nazionale per la Traduzione del 2013 del ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Source:  libro inviato dall’editore, ringraziamo Silvio dell’ Ufficio Stampa Iperborea.

:: L’oratorio di Natale, Göran Tunström (Iperborea, 2016) a cura di Fabrizio Fulio Bragoni

14 febbraio 2017

ghj

Clicca sulla cover per l’acquisto

“Un mese di giugno, all’inizio degli anni Trenta, Solveig Nordensson è nel cortile di ghiaia davanti alla sua fattoria, nel Varmland, i piedi appoggiati ai pedali della bicicletta nuova che le ha regalato Aron, come appena innamorata, calda di felicità, le mani sul manubrio scintillante. Sta per andare a Sunne a parlare con il cantore Jancke del concerto d’autunno che finalmente, dopo dieci anni di preparativi, avrà luogo.
Dice a Sidner: «Mi devo essere dimenticata di spegnere il giradischi.»
Poi gli scompiglia i capelli, accarezza Eva-Liisa sulla guancia e guarda il lago e le lunghe ombre del pomeriggio sui campi.
«Lo spengo io mamma,» risponde Sidner ma, come avrebbe poi aggiunto molte volte: «Non lo feci.» Tutti e tre restano per un po’ in ascolto verso la finestra aperta, all’interno la puntina danza i suoi canti giubilo…

Lasset das Zagen, verbannet die Klage,
Stimmet voll Jauchzen und Fröhlichkeit an!
Dienet dem Höchsten mit herrlichen Chören,
Lasst uns den Namen des Herrschers verehren!

Ecco che come già tante altre volte si fa silenzio nel loro intimo, si sentono vicini, avvolti dalla musica di Natale di Bach.
«Prima però devi spingermi, Sidner.»
E lu iappoggia le mani sul portapacchi, punta i piedi nudi nella ghiaia e le dà una spinta. Solveig si siede sulla sella e si lascia trasportare dalla discesa, i raggi cantano, sabbia esasolini schizzano via e lei si riempie i polmoni di tuta l’estate che le viene incontro dagli alberi e dai fossi, respira i profumi delle regine dei prati, delle presuole gialle e delle margherite, e Sidner corre dall’altra parte della fattoria, si affaccia alla parete scoscesa, proprio sopra la curva e grida «Ciao…»” (1).

A Sunne, nel Varmland, un concerto vero e proprio, di quelli che si tengono nelle grandi città, non c’è mai stato. No, a Sunne c’è solo un piccolo coro senza pretese, e da anni ormai il direttore, il cantore Jancke, ha detto addio alle sue grandi ambizioni. Ma poi arriva Solveig, che ha vissuto in America e che è tornata piena di allegria, di gioia e di passione; Solveig che è forse l’unica al mondo in grado di convincere tutti – cantore e musicisti, a impegnarsi per ben 10 anni nella preparazione dell’“Oratorio di Natale” di Bach. Ma, per via di un tragico incidente, il concerto tanto atteso non si terrà. Non come previsto, comunque: a condurlo, mezzo secolo dopo quell’autunno degli anni trenta, ci penserà Victor Nordensson, nipote di Solveig e musicista di fama internazionale…
Partendo da un evento tragico, che fornisce l’abbrivio alla vicenda, ma in un certo senso ne indica anche l’unico approdo possibile, Tunström costruisce una saga di famiglia dall’andamento circolare che, spaziando tra Svezia, America e Nuova Zelanda(2) e dialogando con la grande letteratura del Novecento(3), si dipana lungo un arco di cinquant’anni in un vitalistico proliferare di storie grandi e piccole, portate avanti attraverso un incredibile campionario di punti di vista, di voci, di scelte verbali e narrative(4). E forse è anche grazie a questa sua varietà, a questa sua freschezza tecnica che, pur nascendo da una riflessione sul dolore, sulla perdita, e sui suoi effetti sulla vita di chi resta, L’oratorio di Natale non risulta né cupo né doloroso, ma si legge come un romanzo vivo e pieno di luce, tutto pervaso da un’inspiegabile (ma a ben vedere giustificata) leggerezza.
L’oratorio di Natale di Göran Tunström, che vi segnaliamo con colpevole ritardo ma non senza convinzione come una delle uscite più interessanti del 2016, è proposto ai lettori italiani da Iperborea nella splendida traduzione di Fulvio Ferrari.

Göran Tunström (1937-2000), è stato uno dei romanzieri svedesi più innovativi di fine secolo. La sua sensualità e l’estro visionario e fantastico sono espressi pienamente nel capolavoro L’Oratorio di Natale, con il quale ha raggiunto il successo. Lettera dal deserto è il suo settimo titolo pubblicato in Italia da Iperborea.

Source:  libro inviato dall’editore al recensore, ringraziamo Francesca dell’ Ufficio Stampa Iperborea.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

(1)Göran Tunström, L’oratorio di Natale, Iperborea, Milano 2016, pp. 23-24. Traduzione di Fulvio Ferrari.

(2)Ma il centro del racconto resta sempre Sunne; “è una limitazione che mi dà libertà”, ha infatti dichiarato l’autore (cfr. la breve ma illuminante postfazione di Ferrari, in Göran Tunström, L’oratorio di Natale, Iperborea, Milano 2016, pp. 435-445), che nel ridotto microcosmo della sua città natale ha saputo costruire un intero universo narrativo.

(3)Ma non solo: tra le pagine di L’oratorio di Natale, oltre alle eco da Musil e da Mann -l’autore dei Buddenbrook, ma anche il Mann musicofilo e teorico del Doctor Faustus e di certi saggi d’estetica musicale- si leggono anche rimandi ad Hamsun, ombre di Goethe, reminiscenze di Rilke, per tacere dell’ambigua (doppia?) presenza della scrittrice Selma Lagerlöf, del ruolo svolto dalla Commedia di Dante, da Huckelberry Finn, dalla letteratura esoterica ecc.

(4)Dalla narrazione in prima persona con focalizzazione interna a quella in terza persona con focalizzazione zero, dal presente in uso nella parte relativa agli anni ’30 al passato remoto dell’incipit ambientato negli anni ’80 (come a voler riflettere non solo le voci, ma anche i vari modi di raccontarsi propri dei personaggi), dai modi da realismo magico al “semplice” resoconto, dall’inserto epistolare e diaristico all’uso diretto delle citazioni letterarie (penso, per esempio all’uso fatto dei testi di Dante e di Mark Twain) e musicali per far procedere l’intreccio ecc.

:: La sirena, Camilla Läckberg, (Marsilio, 2014) a cura di Micol Borzatta

3 settembre 2015

la-sirena

Clicca sulla cover per l’acquisto

Patrick Hedström ed Erica Falk si sono sposati e lei sta aspettando due gemelli. Mentre si concentra sulla sua gravidanza, Erica, aiuta il suo amico Christian Thydell nella stesura del suo romanzo d’esordio. Durante una festa Christian riceve un mazzo di gigli accompagnati da un biglietto che lo manda in crisi al punto da creargli un attacco di panico. Erica viene così a conoscenza che lo scrittore riceve da ormai 18 mesi delle strane lettere minatorie da un mittente sconosciuto.
Nel frattempo viene trovato il cadavere di un amico di Christian lungo la costa di Fjällbacka.
Le indagini vengono assegnate a Patrick che scopre che tra le lettere minatorie e l’omicidio c’è una correlazione.
Anche Erica inizia a indagare per conto suo aiutando così Patrick, e pensando di riuscire ad aiutare Christian, ma le scoperte che farà la sconvolgeranno.
Sesta avventura per i nostri amici Patrick ed Erica, che se letto per primo capiamo subito che ci sono delle storie passate, ma non per questo incomprensibile da capire, infatti la Läckberg riesce a raccontare i giusti accenni per dare le informazioni necessarie per capire cos’è successo in passato senza però toglierci il gusto e la voglia di leggere i romanzi precedenti.
Le storie principali di ogni romanzo sono a se stanti, quindi iniziano e finiscono rendendo ogni romanzo autoconclusivo, quello che lega e unisce ogni libro, dando un senso di continuità, sono le vite private dei protagonisti, con le loro relazioni, le scoperte familiari e gli sviluppi e i cambiamenti dei nuclei familiari.
Ovviamente anche stavolta troviamo uno stile narrativo nordico, la Läckberg essendo svedese rispecchia in pieno la loro tradizionale scrittura, ma se da un lato alcune parti possono sembrare un po’ lente o ripetitive, la bravura dell’autrice riesce a tenere vivo l’interesse del lettore puntando su una descrizione approfondita dello stato d’animo e della psiche dell’assassino, oltre che degli altri personaggi, utilizzando anche stavolta il trucco dei capitoletti di flash back narrati in prima persona tra un capitolo e l’altro del romanzo, narrato tutto in terza persona.
Anche questa volta il legame tra lettore e personaggi è molto forte, dando l’impressione di conoscerli da una vita intera, invogliando ancora di più il lettore a proseguire con la lettura, non solo di questo romanzo ma anche di quelli precedenti e di quelli successivi.
Gli argomenti trattati sono molto forti perché viene trattato il rapporto genitori-figli in caso di adozioni, il rapporto tra fratelli quando il secondogenito è un figlio naturale, il problema del bullismo, dello stupro e della presenza di deficit fisici e/o mentali. Tutti argomenti che affrontati nel modo sbagliato possono trasmettere un messaggio errato, ma che la Läckberg invece ha affrontato con la giusta prospettiva in modo da far riflettere il lettore e in alcuni passaggi fargli provare il dolore profondo provato dai personaggi in questione.
Un libro e una scrittrice veramente consigliati di cuore.

Camilla Läckberg Il nome completo dell’autrice è Jean Edith Camilla Läckberg Eriksson, nata a Fjällbacka nel 1974.
Scrittrice svedese di romani gialli, ambienta le sue storie nel suo paese natale e ha sempre come protagonisti Patrick Hedström ed Erica Falk. Il suo primo romanzo La principessa di ghiaccio ha vinto in Francia il Grand Prix de Littérature Policière e darà spunto a una rivisitazione cinematografica.

Source: acquisto personale

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria