Posts Tagged ‘Per Olov Enquist’

:: Per Olov Enquist (Skellefteå, 23 settembre 1934 – 25 aprile 2020)

26 aprile 2020

Per Olov Enquist

:: Un’intervista con Carmen Giorgetti Cima su “Il medico di corte” di Per Olov Enquist a cura di Giulietta Iannone

25 febbraio 2020

Il medico di corteOggi parliamo di Il medico di corte di Per Olov Enquist con la sua traduttrice italiana Carmen Giorgetti Cima, che ci ha gentilmente concesso questa intervista.

Il medico di corte uscì per la Norstedts Forlag nel 1999. In Italia per Iperborea, poco dopo, nel novembre del 2001. Sono passati ormai vent’anni ma è un libro che non ha perso la sua freschezza. Come hai scelto di tradurlo? Avevi tradotto altri libri di Per Olov Enquist?

Anzitutto concordo quando dici che Il medico di corte è un libro che non ha perso la sua freschezza – e non solo perché narra una vicenda storica e quindi non soffre di legami con tematiche o ‘mode’ effimere. È il linguaggio narrativo stesso di Enquist, così particolare e forte, a consacrarlo fra gli evergreen. Non a caso è uno dei libri di Iperborea che viene regolarmente ristampato. In precedenza avevo tradotto, sempre per Iperborea, un libro sul celebre e discusso scrittore norvegese Knut Hamsun, Processo ad Hamsun, uscito nel 1996 sia in Svezia che in Italia, che è in pratica la sceneggiatura del film di Jan Troell Hamsun. Nel 1999 quando uscì Il medico di corte lo lessi subito (anzi, in anteprima – l’Editore svedese mi mandava le novità più importanti prima che fossero sul mercato) – e me ne innamorai perdutamente, per cui non fu difficile convincere l’Editore italiano ad acquistarne i diritti.

Autore interessante, Per Olov Enquist, svedese, scrittore e drammaturgo, con una spiccata propensione nel trasformare vite vere di personaggi storici in romanzi. Spesso nominato per il Nobel, schivo, riservato, dotato di una ricca vita interiore. Definito una delle “coscienze critiche” della società scandinava. L’hai mai conosciuto personalmente? Pensi che il suo lavoro sia giustamente conosciuto anche fuori dai confini della Svezia?

Enquist è uno dei miei ‘autori del cuore’, lo adoro. Lo incontrai per la prima volta alla fine degli anni Ottanta proprio nella sede del suo Editore svedese, aveva saputo che avevo un appuntamento con la responsabile dei diritti esteri e desiderava conoscermi per capire meglio la situazione del mercato italiano. Considerava i suoi libri veramente come una parte di sé e teneva moltissimo a che finissero nelle mani giuste. Iperborea allora era appena nata ma lo rassicurai sull’enorme passione, serietà e professionalità della sua creatrice Emilia Lodigiani. Successivamente l’ho incontrato ancora molte volte, sia in Svezia sia in Italia. Sono stata nella sua casa di Stoccolma a discutere con lui dei libri che traducevo ed è stato importantissimo per me conoscerlo a fondo di persona, un aiuto ineguagliabile per capire le sue opere e il suo linguaggio così compresso e carico di significati. Ho sempre sostenuto che in Enquist le parole hanno un peso specifico enorme, e alcuni termini che ricorrono costantemente nella sua produzione sono autentiche ‘chiavi’ di una sorta di codice in cui svela se stesso, in perfetto stile con la sua riservatezza. Uno dei momenti ‘pubblici’ che ricordo più volentieri fu quando dialogammo insieme alla Fiera del Libro di Göteborg nel 2007 sul suo capolavoro La biblioteca del Capitano Nemo (uscito in Italia nel 2004 per Giano Editore), il libro che secondo me (e anche secondo Enquist) meglio lo rappresenta e che avevo fortissimamente desiderato portare in Italia. Se c’è un autore scandinavo che meriterebbe il Nobel, a mio parere è proprio lui. E la sua fama anche fuori dei confini nazionali è assolutamente giustificata – Enquist è e rimarrà uno degli autori più significativi del nostro tempo. Sì, adoro Enquist, come autore e come persona. Quando non parliamo di libri, parliamo di cani, passione che condividiamo. In occasione dei rispettivi compleanni ci mandiamo gli auguri anche da parte dei nostri amici quadrupedi…

Il medico di corte è sicuramente il romanzo di Enquist più famoso all’estero, e giustamente, tra i suoi tanti suoi meriti sicuramente ha quello di aver fatto conoscere all’opinione pubblica la Rivoluzione Danese, che anticipa di pochi anni la ben più famosa, e cruenta, Rivoluzione Francese. Un concatenarsi di fortuite circostanze che ha permesso in pieno assolutismo di far fioriere un periodo di riforme innovative, se vogliamo innovative anche oggi. Ce ne vuoi parlare?

In effetti uno degli aspetti più interessanti di questo libro è proprio l’aver messo in luce il fatto, poco noto al di fuori della Scandinavia, che la Danimarca fu il primo paese europeo a dotarsi di una legislazione ‘moderna’, anticipando la Francia e comunque facendolo tramite riforme e non tramite una sanguinosa rivoluzione. Certo non andò tutto liscio, e il febbrile impegno di Struensee per cambiare le cose nel regno di Cristiano VII non fu né accettato dalla corte, fortemente contraria a tali cambiamenti, né capito dal popolo che invece ne avrebbe tratto vantaggio, poiché si trattava comunque di una visione riformista ‘imposta dall’alto’, ma il seme di una visione diversa della società era stato comunque gettato. Personalmente ho apprezzato moltissimo questo aspetto del romanzo, mi piace sempre imparare qualcosa di nuovo dal mio lavoro, e traducendo i grandi autori questo è più la regola che l’eccezione.

Johann Friedrich Struensee, il medico di Altona, ateo, illuminista, sognatore, figlio di un teologo evangelico, è sicuramente un personaggio sorprendente. Fu uno dei primi a usare il dentifricio, a diffondere il vaccino contro il vaiolo, a impegnarsi per la libertà di stampa e di pensiero, a combattere la tortura e le condizioni di vita disumane di servitù dei contadini. Non hai avuto la sensazione anche tu che fosse come dire fuori posto nel suo tempo? Un uomo moderno, possiamo dire.

Certamente Struensee era già molto ‘avanti’ nella sua visione della società, possiamo dire che, considerata la situazione generale dell’Europa dell’epoca, fosse quasi un utopista, e come tale destinato a non essere né capito né apprezzato. Ma certamente era un personaggio fuori del comune, un uomo che precorreva i tempi.

Illuminismo filosofico e pietismo religioso si contrappongono forse un po’ troppo manicheamente, dibattito sicuramente ancora aperto, il libro ha sicuramente il dono di approfondire queste tematiche nella contrapposizione tra Ove Hoegh-Guldberg (appoggiato dalla Regina Madre Giuliana Maria) paladino dell’oscurantismo e lo stesso Struensee innovatore e progressista. È ancora vivo questo dibattito nelle società nordiche?

Non credo che nelle attuali società nordiche un dibattito del genere sia più attuale. Il pietismo religioso appartiene largamente al passato. Un altro grande scrittore dell’estremo nord svedese, Torgny Lindgren (stessa area geografica da cui proviene Enquist) in uno dei suoi ultimi romanzi, Acquavite, racconta per esempio con ironia come ormai la miscredenza regni sovrana in un’area che era un’autentica roccaforte del pietismo religioso. Semmai oggigiorno la contrapposizione è fra il neo nazionalismo e l’apertura verso altre culture.

Un tema che mi ha molto colpito è la critica severa dei sistemi educativi coercitivi (di cui il re danese Cristiano VII è una vittima illustre). Sistema mirato a piegare la volontà del sovrano per creare quella sorta di vuoto di potere atto a dare campo libero allo spadroneggiare della corte. Punizioni corporali anche severe, umiliazioni, vessazioni. Insomma la “pazzia” di re Cristiano, fu in un certo senso anche indotta?

Certamente Cristiano VII fu un bambino particolarmente sfortunato, perse la madre Louise quando era molto piccolo, aveva un padre totalmente assente e ricevette un’educazione, affidata al collerico conte Reventlow, che definire ‘severa’ è esagerare per difetto. Senza nessuno che lo proteggesse (e lo amasse), divenne la vittima predestinata di una corte che rappresentava il vero centro del potere. In un quadro del genere, credo che la sua pazzia fosse in realtà più indotta che congenita. Già il suo precettore svizzero, Reverdil, si era reso conto ben presto di questa triste realtà.

Un altro tema molto interessante, approfondito credo anche per il fatto che Enquist è anche un drammaturgo, e la vita come rappresentazione. Insomma alla fine Cristiano VII confonde realtà e azione scenica. Anzi non è mai così vivo proprio come quando recita nelle rappresentazioni teatrali che si svolgono a corte. Tema affascinante non trovi?

Considerato quanto fosse oppresso e spaventato nel quotidiano, circondato com’era da gente falsa e crudele che lo costringeva a vivere in un incubo perpetuo, non stupisce che paradossalmente il teatro rappresentasse per Cristiano l’unico momento di normalità in cui esprimere se stesso liberamente…

Il grande Voltaire scambiò una fitta corrispondenza con Cristiano VII, che nel suo viaggio a Parigi cercò tanto di incontrarlo, ma senza successo, arrivando a dire che Voltaire gli aveva insegnato a pensare. Nel romanzo si riporta anche un ode scritta da Voltaire proprio per Cristiano. Insomma molti illuministi posero molta fiducia in questo giovane sovrano danese, vero?

Cristiano aveva per Voltaire una sincera venerazione, e il suo dialogo epistolare intelligente e appassionato con il filosofo francese dimostra che tanto pazzo non era. Del resto anche il suo precettore svizzero Reverdil era un illuminista (ancorché meno ‘conclamato’ di Struensee) e nell’insieme, e dall’esterno, poteva veramente sembrare che il giovane re danese avrebbe rappresentato un esempio positivo per tutte le monarchie europee.

Il medico di corte è un romanzo anche con forti venature erotiche e sensuali, non a caso lo stesso Enquist ha detto che voleva solo scrivere una storia d’amore. E così in parte è. È stato difficile tradurre le pagine dedicate all’amore tra la giovane regina Carolina Matilde di Hannover e Johann Friedrich Struensee. Che toni hai privilegiato?

Il medico di corte è un grande romanzo d’amore. Enquist è stato superlativo nel saper descrivere la storia fra la regina Caroline Mathilde e Struensee (ma anche quella, più ‘modesta’ ma in fondo altrettanto commovente, fra Cristiano VII e la popolana Catherine) dicendo esattamente quanto bastava, non una parola di più, non una di meno. La sua sobrietà verbale (che è frutto di ‘concentrazione’ non di ‘semplicità’ e come tale non comunica distacco ma al contrario ha una carica fortissima) nel descrivere sia i sentimenti sia la loro espressione erotica e sensuale è stata anche qui vincente. Io mi sono semplicemente adeguata, cercando una forma e una terminologia che fossero altrettanto evocative e forti, senza cadute di stile.

Puoi raccontarci qualche aneddoto curioso legato alla traduzione di questo romanzo?

Nel marzo del 2000 ero a Stoccolma, avevo letto Il medico di corte e mi apprestavo a tradurlo. In una libreria antiquaria che frequentavo abitualmente – a caccia di libri ormai fuori commercio – m’imbattei (o forse ero effettivamente in cerca di qualcosa del genere, spinta dalla curiosità di approfondire gli aspetti storici della vicenda narrata) in un testo dal titolo irresistibile: Christian VII, Caroline Mathilde och Struensee. Risaliva al 1920 ed era la traduzione svedese dell’opera, documentatissima, uscita nel 1890 e basata su un enorme e approfondito lavoro d’archivio, di un dotto enciclopedista danese. Avevo probabilmente ‘scoperto’ la fonte principale delle innumerevoli informazioni sul contesto storico che fa da sfondo al ‘romanzo d’amore’ di Enquist…

Hai visto il film Royal Affair (En kongelig affære) del regista danese Nikolaj Arcel? Che impressioni ti ha fatto?

Non ho visto Royal Affair (in genere la riduzione cinematografica di libri che ho amato finisce sempre per deludermi, soprattutto se i libri in questione li ho pure tradotti e quindi massimamente interiorizzati: nel mio immaginario i personaggi hanno un certo aspetto, parlano e si muovono in un certo modo eccetera eccetera) ma dopo aver letto la tua recensione forse cambierò idea!

Grazie del tempo che ci hai dedicato, spero che questo nostro breve colloquio avvicini ancora tanti altri lettori a questo bellissimo libro. Terminerei questa intervista con una domanda dedicata a te: che libro stai traducendo attualmente, quali sono i tuoi progetti prossimi futuri?

Mi fa sempre piacere parlare dei ‘miei’ libri – in fondo il traduttore finisce per diventare co-autore e i libri sono anche ‘figli suoi’, e Il medico di corte è uno dei miei prediletti.
La mia traduzione più recente (appena terminata!) è una raccolta di racconti di un altro dei miei autori preferiti, Lars Gustafsson. È un testo che risale al 1981 e che dimostra – se poi ce ne fosse bisogno – che anche le ‘opere minori’ degli scrittori veramente grandi valgono immensamente di più di tanta pseudo-letteratura che circola oggigiorno.
Nel prossimo futuro spero di potermi dedicare a un testo per cui penso valga assolutamente la pena impegnare il proprio tempo e la propria energia – ma ancora non ho certezze quindi non posso sbilanciarmi. Il mondo dell’editoria è ormai guidato da logiche un po’ (molto) diverse da quelle di qualche decennio fa. Sono sempre più felice di aver vissuto buona parte dei miei quarant’anni e passa di attività professionale in tempi migliori!

:: Dal libro al cinema: Il medico di corte di Per Olov Enquist a cura di Giulietta Iannone

18 febbraio 2020

Il medico di corteEra alquanto difficoltoso trasformare un romanzo celebrale come Il medico di corte di Per Olov Enquist in un film.
Un romanzo di idee (e di sentimenti), forse più ancora che di personaggi, capace di evocare profonde emozioni nel lettore, rattristato per il terribile destino del re danese Cristiano VII (è una storia vera perlopiù ricavata da fonti e documenti storici, e sicuramente realistica da un punto di vista psicologico in cui gioca molto l’interiorità dell’autore, Per Olov Enquist, che mette molto di sè), e per l’atroce fine del vero protagonista del romanzo, il medico d’Altona Johann Friedrich Struensee, decapitato e letteralmente squartato sulla pubblica piazza per ragioni che approfondiremo nel proseguo della mia analisi.
Insomma si potevano scegliere due strade antitetiche per certi versi: farne un grande e sontuoso affresco storico con maniacale attenzione per musiche, costumi, ambienti, di viscontiana memoria, o scegliere un approccio più intimistico e rarefatto, capace di evocare sensazioni più che di narrare fatti, accadimenti, circostanze.
Royal Affair (En kongelig affære) del regista danese Nikolaj Arcel sceglie un approccio ibrido, puntando molto sul carisma e sulla bravura degli attori, in primis Mikkel Boe Følsgaard, al suo debutto sul grande schermo, capace di rendere umanissimo e simpatico un personaggio scomodo che solo troppo approssimativamente si potrebbe bollare e stigmatizzare come “pazzo”; Trine Dyrholm l’algida Regina Madre Giuliana Maria; Mads Mikkelsen credibile nei panni di Johann Friedrich Struensee appassionato innovatore della società danese, ateo e illuminista, e innamorato della giovane regina Carolina Matilde di Hannover, sottovalutata da tutti forse per il suo aspetto poco appariscente (nella realtà) ma in definitiva una donna dalla tempra d’acciaio, interpretata da una brava Alicia Vikander, forse troppo bella per il ruolo ma capace di dare una certa durezza e un velato distacco al personaggio di per sé luminoso e protofemminista.
Insomma un film riuscito, a me è piaciuto molto e mi ha spinto a leggere il libro da cui è stato tratto. Insomma per una volta il cinema aiuta la letteratura e non la saccheggia, come alcuni ritengono a torto.
Film e libro, a parte superficiali discrepanze (faccio un esempio: nel romanzo la scena del contadino torturato sul cavalletto vede protagonista Struensee e il re Cristiano VII, nel libro invece c’è sempre Struensee ma invece del re la regina Carolina Matilde) mantengono lo stesso spirito e lo stesso ideale di fondo.
Certo il libro permette un maggiore approfondimento di alcune tematiche che nel film sono solo accennate, importante su tutte credo la contrapposizione tra le luminose verità Illuministe (trionfo delle libertà individuali, della giustizia sociale e dell’equità) e l’oscurantismo del pietismo religioso di stampo protestante erede di un’ epoca buia e antiprogressista in cui vigeva la tortura più brutale e le disumane condizioni di servitù dei contadini.
La “Rivoluzione Illuminista Danese” del 1768-1772 o meglio detta l’era di Struensee, che anticipa di qualche decennio la più cruenta Rivoluzione Francese, poi è sicuramente un periodo poco noto all’esterno dei confini della Danimarca, e merito di questo romanzo, e del successivo film, è sicuramente stato quello di farlo conoscere all’opinione pubblica contemporanea.
Paradossale che lo stesso Per Olov Enquist descriva il suo romanzo come una semplice storia d’amore (le venature erotiche e sensuali sono sicuramente più marcate nel romanzo) ma sicuramente questa unica dimensione è riduttiva: è un romanzo che contiene una forte carica morale e una severa critica dei sistemi educativi coercitivi (il povero Cristiano è un esempio dei danni devastanti che ciò provoca), è un inno alla libertà religiosa, sentimentale, etica, è un inno alla solidarietà umana e alla forza necessaria per difendere i propri ideali anche quando il proprio sforzo non è riconosciuto (dai contemporanei perlomeno).
L’ingenuità di Johann Friedrich Struensee, così alieno al grande gioco politico delle alleanze e della “scelta” dei nemici, ne fa certo un personaggio tragico, (seppure incredibilmente moderno, fu uno dei primi per esempio a usare il dentifricio, particolare minimo ma vi dà un idea di quanto fosse estraneo nel suo tempo) sconfitto dalla storia, un vinto se vogliamo che esce di scena nel più barbaro dei modi, pur tuttavia la sua impazienza (quasi avesse saputo del poco tempo che aveva a disposizione) nello sfornare decreti che rivoluzionarono nel concreto l’immobile società danese del tempo, dalla libertà di stampa, al vaccino contro il vaiolo per tutti, agli aiuti per i figli illegittimi, gettano un germe di cambiamento, rendono reale l’utopia e il desiderio di cambiare (in meglio) il mondo. Traduzione di Carmen Giorgetti Cima.

Per Olov Enquist nato nel Nord della Svezia nel 1934, è una delle grandi “coscienze critiche” della società scandinava. Al gusto per l’indagine storica e al desiderio di essere testimone del proprio tempo, aggiunge una capacità di scrittura che gli ha fruttato premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Il libro delle parabole è il suo ultimo romanzo pubblicato da Iperborea, dopo il successo de Il medico di Corte (Premio Super Flaiano e Premio Mondello) e de Il libro di Blanche e Marie (Premio Napoli 2007).

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo Francesca dell’ufficio stampa Iperborea.