Valentina Belgrado ci racconta la sua raccolta poetica “Cefalea cronica”

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“Cefalea cronica” è la raccolta poetica di Valentina Belgrado edita da Gattomerlino, nella quale l’autrice affronta con la poesia, tra toni ironico, garbati e riflessivi, la malattia della cefalea cronica e gli effetti che essa ha non solo su chi ne è affetto, ma anche in rapporto al prossimo e al mondo circostante.

Come è nata “Cefalea cronica” e perché dedicarle un’intera raccolta? L’idea di scrivere qualcosa che riguardasse il dolore cronico è nata come un’esigenza personale; il fatto che sia uscita fuori una raccolta di poesie e, per di più, monotematica è un evento che definirei piuttosto naturale.

Come è stato affrontare tramite la poesia questa malattia cronica debilitante e il modo in cui essa influisce su di te e sulle relazioni con il mondo circostante? Per certi aspetti, potrei ammettere che è stato svevianamente terapeutico; per altri, anche un po’ penoso, perché nell’atto dello scrivere c’è sempre una forte componente di autocompiacimento: ed è lì, quando la distanza tra l’io narrante e la pagina viene meno, che crolla ogni barriera oggettivizzante e tutta la sofferenza strabocca dal testo.

Nel libro si alternano tono ironico e serio, come è stato farli convivere nella raccolta? Sì, è vero. Questo è un po’ tipico mio: far coabitare, nel testo, due registri stilistici apparentemente in antitesi. Mi serve affinché si annullino a vicenda, gli uni con gli altri, in modo che la scrittura non risulti troppo drammatica o, al contrario, esageratamente ludica (anche se, in questo caso, mai avrebbe corso questo secondo rischio).

Ogni poesia, lunga o corta che sia, ha titoli del tipo “Ganglio sfenopalatino”, “Mastoide”, “Lidocaina” o Topiramato”, Gengiva”, “Sofismi talmudici”. Nascono prima i versi o i titoli delle tue poesie? E in base a cosa li scegli? Generalmente, prima i versi, ma non c’è una regola fissa. I titoli sono, naturalmente, un’indicazione di quanto si andrà a leggere subito dopo, in versi.

Tra tutte le poesie presenti nella tua raccolta quale è quella a cui sei più affezionata e perché? A dire il vero, ce ne sono due: “Rileggendo Alice Sebold” e “Una doula”. La prima, perché è quella con cui si apre la raccolta; e la seconda, perché è quella che, a mio avviso, meglio manifesta il bisogno di accudimento di chi ha una sofferenza cronica: con la lettura di “Una doula”, ho concluso finora le presentazioni in pubblico del libro “Cefalea cronica”.

In copertina ci sono i versi di In un lampo”: perché è stata scelta proprio quella? Perché, tra le poesie brevi – che, dunque, potevano rientrare nei margini della cornice grafica della “prima di copertina” – mi sembrava la più evocativa.

Oltre a questa raccolta, cosa rappresenta per te la poesia e cimentarti con essa? Un mezzo di espressione allusivo ma diretto col quale, appunto, mi piace cimentarmi da quando ero molto piccola.

Source: inviato dall’autore.

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