Quanti possono dire di sapere cos’è un’okapi? L’ultimo grande mammifero scoperto dall’uomo
“un animale assurdo, molto più assurdo della morte, e sembra del tutto sconnesso con le sue zampe da zebra, i fianchi da tapiro, il corpo da giraffa color ruggine, gli occhi da capriolo e le orecchie da topo.”
Sembra davvero un animale inverosimile, ancora di più quando si materializza davanti a un’anziana signora del Westerwald, in Germania. Selma lo incontra nei suoi sogni sempre nei prati dell’Uhlheck, quell’insieme di campi e prati dove la conduce la sua passeggiata pomeridiana. I due si stagliano immobili nella piana, fino a quando i loro sguardi si incrociano; solo a quel punto, come tutte le volte, il sogno sfuma, Selma si sveglia e capisce che qualcosa di brutto accadrà a breve. Tre volte ha sognato un okapi e nelle ore successive è sempre morto qualcuno all’interno della sua piccola comunità.
Una nonna che prevede la morte è solo uno degli strani componenti della famiglia di Luise: un padre dottore alla ricerca di una cura per il proprio dolore, una madre cronicamente incapace di essere presente, un ottico, amico di famiglia, segretamente innamorato di sua nonna. Questi sono solo alcuni degli strani personaggi che prendono vita dalla penna di Mariana Leky.
Quel che si vede da qui è un romanzo di formazione, la storia inizia quando Luise ha dieci anni: i giochi, la scuola, l’amicizia con Martin, il mondo filtrato dagli occhi dell’infanzia. Con la seconda parte compiamo un salto temporale e ritroviamo Luise che ha già ventidue anni, alle prese con un apprendistato in libreria e con Frederik, un giovane monaco buddista che vive in Giappone e che dal loro primo incontro le ha “ribaltato la vita”. Fa da spartiacque della storia, un evento tragico, una morte annunciata proprio dall’astruso sogno della nonna Selma.
Ma questo libro è pieno di avvenimenti e personaggi bizzarri, una realtà al limite dell’onirico, pervasa da momenti delicati ma anche divertenti. Nel romanzo ritroviamo tanti temi importanti: la crescita, l’amore, la ricerca di sé, la perdita e la morte, l’amicizia e il senso di comunità; forse, però, ciò che maggiormente lo differenzia da altri libri di questo genere è la componente del “meraviglioso” che la Leky decide di far entrare in scena. Ricorrendo a situazioni assurde e inverosimili, a credenze e personaggi immaginari, l’autrice coglie l’essenza di situazioni e sensazioni più che reali; cosa rievoca meglio il dolore per una perdita se non la sensazione di portare su di noi un peso in ogni momento, per i giorni a venire? E quale è il nostro desiderio più forte dopo un lutto se non quello di cadere in un sonno perpetuo in cui non avvertiamo più nessun dolore ma nemmeno nessun bisogno? E infine l’ansia, l’angoscia non sono tanto simili a quel fastidioso e invisibile folletto Sbranagole che si attacca al collo di Elsbeth?
Quel che si vede da qui è un romanzo lieve, un inno alla vita in tutte le sue sfaccettature:
«(…) e mi accorsi che io fino a quel momento non avevo ancora scelto nulla, che le cose mi erano capitate e basta, mi accorsi che non avevo mai detto davvero “sì” a niente, semplicemente non avevo detto “no”. Pensai che non bisogna lasciarsi intimidire da un borioso addio, che gli si può sfuggire eccome, perché tutti gli addii sono negoziabili finché nessuno muore.»
Mariana Leky ha studiato Giornalismo culturale presso l’Università di Hildesheim, dopo aver svolto un tirocinio in una libreria. Oggi la sua vita si divide tra Berlino e Colonia. Il romanzo Quel che si vede da qui, pubblicato in Germania nel luglio del 2017, è rimasto per diverse settimane nei primi posti dei best seller e da allora a oggi è stabilmente tra i libri più venduti nelle librerie tedesche. È stato tradotto in più di quattordici lingue e al momento è in corso l’adattamento per il grande schermo.
Source: libro del recensore.