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Per strada è la felicità di Ritanna Armeni (Ponte alle Grazie, 2021) a cura di Elena Romanello

21 Maggio 2021

9788833315409_0_0_600_0Ritanna Armeni è ritornata in libreria con un nuovo romanzo, Per strada è la felicità, edito da Ponte alle Grazie, una storia di donne di un passato vicino ma a tratti ormai così lontano, fondamentale per gli sviluppi nel futuro di allora che ha avuto.
Dopo aver raccontato varie storie al femminile del mondo reale, come quella delle streghe della notte, le aviatrici russe in lotta contro i nazisti in Una donna può tutto, l’autrice preferisce ora mescolare sapientemente finzione e realtà, per ricordare momenti comunque fondamentali per le donne e non solo.
Siamo a Roma, nella seconda metà degli anni Sessanta, dove arriva Rosa, ragazza di provincia, con il desiderio di studiare all’Università, laurearsi e trovare un lavoro adeguato alla sua preparazione, un qualcosa già di nuovo rispetto alle generazioni precedenti di donne.
Ma il Sessantotto incombe e il fermento della rivolta è ovunque, all’Università, nelle piazze, ai cancelli delle fabbriche e quando il movimento studentesco esplode cambia tutto, anche per Rosa, che affronta un percorso di autocoscienza  a cui non aveva pensato fino a quel momento.
La ragazza si trasforma in una giovane donna, va a vivere in una comune, prende in mano la sua vita, scopre nuovi mondi e nuovi modi pensare, pagandone anche le conseguenze, anche e soprattutto sul piano personale. Tra amori e amicizie, Rosa scopre una sua omonima, Rosa Luxemburg, nume ispiratore del nuovo femminismo vissuta mezzo secolo prima, e con lei intreccia un rapporto di complicità, immedesimandosi con lei ma capendo anche quanto tempo è passato.
Dopo il periodo nel movimento studentesco, Rosa si unisce al femminismo, che conduce lei e le sue compagne verso percorsi sconosciuti, con nuove voci, contro l’ordine e il potere maschile, per diventare se stesse, cambiare la propria vita e quella di chi verrà dopo di loro.
Una storia ambientata in un’epoca mitica e ormai lontana, in cui sono nate molte delle dinamiche di oggi, che parla di libertà, emancipazione, scoperta di sé, oltre che di giovani e donne, grandi assenti dal dibattito oggi e spesso grandi esclusi, soprattutto i primi, dopo i fatti di quest’ultimo anno.
Per strada è la felicità non è un libro né nostalgico né retorico, ma una storia di liberazione e di sguardo al futuro, di una ragazza inventata ma molto simile a tante reali, con un mondo da cambiare e un richiamo ad una grande figura di un passato anteriore a quello, Rosa Luxemburg, esponente del primo femminismo degli anni Dieci del Novecento e ispiratrice di quello degli anni Sessanta.
Ritanna Armeni racconta una vicenda interessante per chi ha vissuto quegli anni ma anche per chi è arrivato dopo, per scoprire da dove si è partiti per giungere qui oggi.

Ritanna Armeni, giornalista e scrittrice, ha lavorato al Manifesto, Il Mondo, Rinascita, l’Unità. È stata portavoce di Fausto Bertinotti e ha condotto la trasmissione Otto e mezzo con Giuliano Ferrara. Attualmente scrive per l’Osservatore romano, Il Foglio, Rocca. Ha pubblicato tra gli altri: La colpa delle donne (2006), Parola di donna (2011),  Di questo amore non si deve sapere (2015), Una donna può tutto (2018), Mara una donna del Novecento (2020).

Provenienza: omaggio dell’Ufficio stampa che ringraziamo.

:: L’Antonia, Poesie, lettere e fotografie di Antonia Pozzi scelte e raccontate da Paolo Cognetti (Ponte alle Grazie 2021) a cura di Nicola Vacca

14 Maggio 2021

L’esperienza poetica di Antonia Pozzi è tutta nella sua breve vicenda esistenziale.
Antonia attraversa il suo mondo ponendosi in ascolto della solitudine della sua stessa vita.
Scrive i suoi versi cadendo nella forza e nei sentimenti delle parole:

«Vivo nella poesia come le vene vivono nel sangue».

Così esplora il giardino della propria anima chiedendo alla parola un riscatto dall’infelicità.
La sua è una delle più radicali esperienze poetiche del Novecento: Antonia Pozzi cade nelle parole, ci precipita dentro perché vuole ascoltare il loro terribile silenzio.
Così finisce per sfidare il silenzio delle parole. Una partita terribile che si gioca a viso aperto, senza maschere.
Fare poesia, per Antonia Pozzi, è appartenere ugualmente alla morte e alla vita.
La sua stessa poesia diventa una lama affilata che ferisce a morte la vita.

«Forse l’età delle parole è finita per sempre»,

scrive a Vittorio Sereni nell’imminenza del silenzio definitivo.
Antonia Pozzi muore suicida la sera del 3 dicembre 1938. Resta, a parlare di lei, la sua poesia, vocazione e impegno di tutta la sua breve vita.
Paolo Cognetti ripercorre le orme della poetessa dedicando al suo mondo un libro particolare.
L’Antonia è un viaggio nelle passioni della Pozzi: Milano, la montagna e la scrittura.
Cognetti mescola nelle pagine del libro la sua voce con quella di Antonia, una ragazza milanese innamorata ella montagna.
La poesia incontra le lettere che la giovane poetessa inviava ai suoi interlocutori .
Nella solitudine e nel tormento della sua poesia la Pozzi specchia la sua anima, si mostra nuda e fragile davanti al terribile vuoto che non riesce a colmare.
Soltanto tra le sue montagne, la Grigna, le Dolomiti e il Cervino, trovava rifugio e calma e la forza di scrivere.
Tutto quel silenzio la portava a cercare le parole perché, come giustamente osserva Cognetti, scrivere è stato così urgente per lei, così connaturato al suo sentire e pensare.
Attraverso i diari, lettere, poesie e foto e grazie al commovente racconto di Paolo Cognetti, Antonia Pozzi rivive in queste pagine con la sua poesia colma di grazia e di ferite.

«Non so: non ho mai provato forte come in questi giorni il senso di essere trasportata da una corrente violenta, ad una tensione altissima. E, nello stesso tempo, mai avuto così solido il senso della personalità e della responsabilità. Mi sento un destino».

Così scrive Antonia il 10 settembre 1937, la donna e la poetessa che si sente destino prima della caduta nell’eternità del buio.

ANTONIA POZZI è nata a Milano nel 1912. È stata poetessa, fotografa e alpinista. Ha frequentato la facoltà di Lettere e si è laureata in Estetica con Antonio Banfi, ha girato l’Europa ma ha amato soprattutto Pasturo, ai piedi della Grigna, dove suo padre aveva comprato una casa. È lì che ha messo la prima volta le mani sulle rocce, è lì che ha scritto molti dei suoi versi, è lì che ha trascorso il tempo straordinario delle sue poche estati. Ha amato molto anche le Dolomiti e il Cervino, la musica classica, la lingua tedesca, i bambini. Ha messo fine alla sua vita nel dicembre del 1938, in un fosso a Chiaravalle, nella periferia sud di Milano. Le sue poesie sono state pubblicate postume e solo allora è stata riconosciuta tra i grandi poeti italiani del Novecento.

PAOLO COGNETTI è nato a Milano nel 1978. Ha cominciato a scrivere giovanissimo, nel frattempo ha provato a fare molte altre cose: il matematico, il documentarista, il cuoco in un ristorante di montagna. A ventisei anni, l’età a cui Antonia Pozzi moriva, ha esordito con la sua prima raccolta di racconti. Con Le otto montagne (Einaudi, 2016) ha vinto il Premio Strega ed è stato tradotto in tutto il mondo, mentre l’ultimo libro è Senza mai arrivare in cima (Einaudi, 2018). La sua montagna è la Valle d’Aosta, in particolare le valli del Monte Rosa, dove ha aperto un rifugio.

:: Viva i contanti Le banche li attaccano solo per guadagnarci: l’evasione non c’entra. Convengono e sono sicuri di Beppe Scienza (Ponte alle Grazie 2021)

31 marzo 2021

Libro di sicuro interesse per approfondire temi e aspetti che sfuggono magari ai più ma che vengono invece illustrati specificamente con tesi ed esempi per smontare anche paradossi ed equivoci della politica e dell’economia di tutti i giorni.

Se da un lato però il sistema bancario viene correttamente analizzato ed accusato di pensare ai propri interessi senza aver come obiettivo il benessere economico dei risparmiatori e l’organizzazione politica sembra proprio agevolare questi fini (in primis si può pensare al caso del cashback) alla stessa stregua non viene analizzata con la stessa severità invece l’utilizzo, il possesso e l’accumulo di contante, del quale giustamente vengono decantate le qualità positive (dalla sua utilità in quanto riserva di valore alla sua capacità di difesa da insidie nascoste ma sempre presenti quali fallimenti degli istituti di credito, imposte patrimoniali improvvise o cambio forzoso della valuta causa default di interi Paesi), ma con un po’ troppo permissivismo si sorvola sugli aspetti meno nobili (affermare ad esempio che la grossa evasione avviene con altri mezzi piuttosto che con il contante, non ne giustifica la sua promozione incondizionata, analogamente al fatto che anche se le grandi guerre vengono combattute con armi pesanti, si cerca  comunque di evitare ulteriori crimini con il ridimensionamento della circolazione delle armi tra i cittadini).

Analogamente l’invito alla diversificazione tramite il contante, dovrebbe essere maggiormente approfondita e tener in maggior considerazione anche gli aspetti post-mortem, in quanto l’accumulo e poi il conseguente lascito di ingenti somme di denaro liquido, potrebbero essere comunque fonte di scocciature per gli eredi che improvvisamente si trovassero possessori di ingenti somme di contante. Alla fine quindi un libro che può sicuramente essere utile ad aprire meglio gli occhi e ad andare oltre al mero ottimismo pubblicitario, ma che invita a fare delle riflessioni più profonde su come gestire i propri risparmi, utilizzando innanzitutto la propria testa, prima ancora di quella di sedicenti consulenti.

Beppe Scienza, insegna al Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino e dal 1976 si occupa di risparmio e previdenza integrativa. È autore, fra l’altro, de Il risparmio tradito (2001) e La pensione tradita (2007). Giornalista pubblicista, ha scritto oltre seicento articoli su varie testate: la Repubblica, il Corriere della Sera, Libero, La Stampa, Milano Finanza, Oggi ecc. Numerosi interventi anche nel blog di Beppe Grillo. Dal 2014 collabora al Fatto Quotidiano. Mette in Rete informazioni sul risparmio e la previdenza integrativa su www.ilrisparmiotradito.it.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo Matteo dell’Ufficio Stampa Ponte alle Grazie.

I testamenti di Margaret Atwood (Ponte alle Grazie, 2019) a cura di Elena Romanello

22 luglio 2020

i-testamenti-in-uscita-il-libro-di-atwood-maxw-814-e1572604688832-305x450A oltre trent’anni dal romanzo che la rese celebre, Il racconto dell’ancella, Margaret Atwood è tornata nel terrificante e oppressivo mondo di Gilead,forte anche del successo del serial TV, con I testamenti, un seguito molto particolare e alternativo di quella che è e resta una delle più inquietanti e riuscite distopie della modernità.
L’autrice non riprende la vicenda del primo libro, ma crea altre voci che raccontino: non c’è più il personaggio di Offred del primo libro, ma altre donne, tre per l’esattezza, le cui testimonianze vengono raccolte usando l’espediente narrativo del manoscritto ritrovato, o meglio dell’archivio che secoli dopo ricostruisce questa oscura pagina di Storia attraverso le sue protagoniste, in un gioco di recupero di una memoria rimossa di un passato post apocalittico, a sua volta poi annientato da altri eventi.
L’autrice dà voce a zia Lydia, la crudele guardiana delle ancelle, raccontando il suo passato di donna moderna in carriera e come fu condizionata da un regime totalitario per diventare quello che era, ad Agnes, una bambina cresciuta in una delle famiglie disfunzionali di Gilead che racconta con la sua voce quello a cui assiste, e a Daisy, che vive in Canada, terra libera dove in tante ex ancelle si sono rifugiate ma da dove dovrà confrontarsi con un mondo sempre feroce e che sta entrando in crisi. Su tutte e tre aleggia il mito di Baby Nicole, la bambina scomparsa, figlia di Offred in un ‘altra vita, la cui identità viene ricostruita man mano insieme alla storia di un regime totalitario destinato poi a crollare non senza prima aver continuato a distruggere le vite delle donne.
Non sempre i seguiti sono facili, il confronto con il primo libro è inevitabile, tenendo conto anche del grande successo che il mondo di Gilead ha avuto grazie al serial, tra i migliori e più sconvolgenti e coinvolgenti degli ultimi anni. Ma non è un confronto che sminuisce, anzi, perché I testamenti, non un seguito tradizionale quanto una nuova cronaca di un universo che sconvolge e resta dentro, sa appassionare e coinvolgere come il primo libro, raccontando nuovi tasselli di un mosaico che si compone man mano attraverso chi l’ha vissuto, sia pure da diversi punti di vista.
Attraverso le tre voci di altrettante donne parti di una società che ha negato loro ogni diritto, non certo solo distopica,  ma tremendamente metaforica di certe realtà, l’autrice si conferma per la sue efficacia, la sua ironia e per come ha saputo arricchire una narrativa di genere che spesso viene sminuita come robetta, ma che in realtà dai suoi albori è capace di dare dei capolavori. Come Il racconto dell’ancella e come I testamenti.

Margaret Atwood è una delle voci più note della narrativa e della poesia canadese. Laureata a Harvard, ha esordito a diciannove anni. Ha pubblicato oltre venticinque libri tra romanzi, racconti, raccolte di poesia, libri per bambini e saggi. Più volte candidata al Premio Nobel per la letteratura, ha vinto il Booker Prize nel 2000 per L’assassino cieco e nel 2008 il premio Principe delle Asturie. Fra i suoi titoli più importanti ricordiamo: L’altra Grace (2008), L’altro inizio (2014), Per ultimo il cuore (2016), Il canto di Penelope (2018), tutti usciti per Ponte alle Grazie. Margaret Atwood vive a Toronto, in Canada.

Provenienza: libro preso in prestito nel circuito delle biblioteche SBAM della Regione Piemonte.

Un’intervista a Sandra Newman per Aspettando il Salone a Torino a cura di Elena Romanello

9 ottobre 2019

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Il Circolo dei lettori di Torino ha ospitato un appuntamento della rassegna Aspettando il Salone, l’incontro con l’autrice Sandra Newman, il cui primo romanzo tradotto in italiano, I cieli, è appena uscito per Ponte alle Grazie.
Abbiamo seguito questo incontro, molto interessante e stimolante, condotto da Francesco Pacifico e scoperto una voce senz’altro importante, nella letteratura fantastica e non di oggi.
I cieli racconta la storia di Kate, agiata newyorkese poco prima dell’11 settembre, che ogni notte in sogno diventa Emilia, nobildonna dell’Inghilterra shakesperiana, vivendo due vite che man mano si influenzano tra di loro.

E’ consapevole che il suo libro sembra una commedia romantica di genere fantastico?

Sì, lo so, l’idea per questo romanzo è partita da una battuta con mio marito, partendo dalla serie di romanzi diventati poi serial di successo di Outlander, una storia romantica che parla di viaggi nel tempo, e pensando a come sarebbe stata una storia simile in chiave shakesperiana. Inizialmente non volevo scrivere questa storia, poi l’idea iniziale si è ampliata, del resto possono nascere libri interessanti da qualsiasi spunto o idea.

I cieli è un libro dove la trama è molto importante, ma allo stesso tempo colpisce lo stile di scrittura, poetico: come sono stati messi insieme questi due aspetti?

Il mio lavoro di scrittura si è concentrato nelle due direzioni dello stile e della trama: tutti gli scrittori amano la trama quando sono lettori e la detestano quando scrivono. Ho cercato di lavorare sulla tessitura delle trame nei miei libri, rendendole sempre più complesse, costruendo un mio stile nella forma della narrazione.

Nel libro le azioni del mondo dei sogni nell’epoca del Cinquecento cambiano poco il presente, ma si creano tante possibilità in un multiverso. Kate potrebbe anche avere problemi mentali, come ha gestito questo?

Il mondo in cui viviamo cambia in continuazione sotto i nostri occhi ma a causa della nostra tendenza a rassicurarci non lo vediamo. Nel libro ci sono multiversi migliori e peggiori, esplorati da Kate, sì si può anche interpretare la sua vicenda come provocata da una malattia, ma è una chiave di lettura.

Come si è documentata sull’Inghilterra di Shakespeare?

Il XVI secolo è molto strano come periodo storico, una delle cose divertenti è che i letterati dell’epoca, Shakespeare compreso, rivoluzionarono la lingua inventando loro molte parole, un gioco straordinario praticato a corte. Non ci sono però molti libri su questo periodo, stranamente, anche Mark Haddock ha scritto un romanzo su quest’epoca, dai toni molto diversi dal mio e dando un’idea completamente divergente dalla mia sul XVI secolo, e la sua bibliografia è uguale alla mia. In realtà noi immaginiamo il passato, ma non avendolo vissuto non sappiamo come era veramente.

Nel tuo romanzo precedente, The Country of Ice Cream Stars, una storia di fantascienza, avevi inventato un linguaggio di un futuro, che rapporto c’è tra le due storie, dove le lingue sono importanti?

Ho sempre letto molti romanzi di fantascienza, mio padre era appassionato del genere, e ho sempre voluto cimentarmi in questo ambito. Scrivere di un mondo avanti di centinaia di anni mi ha reso impossibile usare l’inglese standard di oggi e ho voluto creare una nuova lingua, tenendo conto che il libro parla di un gruppo di protagonisti che hanno al massimo 18 anni, in un mondo in cui sono rimasti vivi solo i giovanissimi. Ne I cieli sono tornati ad una lingua più standard, guardando però anche all’inglese che si usava nel passato.

Quali sono i suoi romanzi di fantascienza preferiti?

Da ragazzina amavo molto Robert Heinlein, autore non certo per ragazzine, e anche Clark Ashton Smith e James Tiptree jr, per fare altri due nomi: questo che mi ha sempre colpito è la loro visione del mondo particolare e a tratti disturbante e il loro aprire gli occhi su nuovi universi.

I cieli mette insieme due romanzi storici: uno ambientato all’inizio del XXI secolo a New York, con l’attentato alle Torri Gemelle, e l’altro nell’Inghilterra del Cinquecento. Ma nel corso del libro ci sono tanti mondi paralleli e possibili per New York, man mano che Kate va avanti nel suo viaggio nel tempo notturno. Cosa l’ha ispirata nella costruzione di una New York così stravagante e alternativa?

La New York dell’inizio della storia è la migliore possibile, poi pian piano le cose cambiano e in questo ho messo qualcosa della mia esperienza di vita.
Ho vissuto a Londra dal 1984 al 2001, e sono tornata poi negli Stati Uniti, dove ho sempre pensato che la qualità della vita fosse peggiore, che la gente fosse meno gentile e generosa. A Londra all’inizio ero abbastanza povera e frequentavo persone della cosiddetta classe operaia, dopo il successo del mio primo romanzo la mia situazione economica è migliorata e ho iniziato a frequentare esponenti della classe media e benestante, scoprendo che avevano il privilegio di poter amare arti e bellezza, un qualcosa che la classe operaia non può permettersi. Se si ha maggiore accesso a cultura, bellezza e gentilezza la vita migliora: sono cose che possono anche non interessare ma che aiutano ma è possibile solo per certi ceti sociali, e me ne sono resa conto nel corso della mia vita.

Nel romanzo Kate sta insieme a Ben, un personaggio che può sembrare noioso: ma cosa c’è di bello in lui?

Ben, ragazzo di origine indiana mentre Kate è di origine iraniana, sa benissimo che la sua fidanzata è più interessante di lui, è un mio personaggio, gli voglio bene e non riesce ad essere meglio di così.

Prossimi progetti?

Sto scrivendo un romanzo di fantascienza su una Terra del futuro in cui di colpo spariscono tutti gli uomini. La società migliora, diventa quasi utopica, ma le mie cinque protagoniste vivono il tema della perdita di mariti, padri, fratelli e vanno in cerca di loro, per scoprire cosa è veramente successo. Un libro che parlerà di perdita e lutto e della gestione di queste due cose.

:: Il seguito di “Il racconto dell’ancella”: “I testamenti” di Margaret Atwood

6 settembre 2019

i testIl 10 settembre finalmente esce in Italia il seguito de “Il racconto dell’ancella”, notizia già di per sè ghiotta per gli estimatori di Margaret Atwood, di passaggio al Festival di Mantova in questi giorni.
Sembra che alcuni critici accreditatti, tra cui Michela Murgia, abbiano potuto leggere il libro in anteprima e sembra sia bello, ma era difficile dubitarne.
Avendo anche solo letto Seme di strega – Una riscrittura della Tempesta la scrittura di quest’autrice, ormai ottantenne, è davvero preziosa, ricca di verve, e irononia anche quando tratta temi seri e drammatici, in quest’ultimo libro addirittura come finiscono le dittature con uno sguardo al presente e alla contemporaneità della società americana e alle condizioni della donna, non ha caso il suo precedente libro, che vede al centro la donna in una società repressiva e tradizionalista, è considerato uno dei manifesti del femminismo.
I testamenti riprende la storia narrata ne “Il racconto dell’ancella” quindici anni dopo, con i testamenti di tre narratrici di Gilead. In attesa di leggere il libro vi segnalo il link dove poter leggere l’incipit sul Post: link.

:: Nato fuori legge di Trevor Noah (Ponte Alle Grazie, 2019) a cura di Eva Dei

8 febbraio 2019

Nato fuori leggeEra sola, lontana dalla famiglia, incinta di un uomo con cui non si poteva far vedere in pubblico. I dottori la portarono in sala parto, le aprirono la pancia e ne estrassero un bambino mezzo bianco e mezzo nero, che per il solo fatto di esistere violava un numero imprecisato di leggi, statuti e regolamenti…Ero nato fuori legge.”

Sudafrica, 1984: con queste premesse viene al mondo Trevor Noah, figlio di Patricia Nombuyiselo Noah, nera xhosa, e Robert, bianco svizzero tedesco. La sua sola esistenza mette in crisi la logica del sistema vigente: l’apartheid. Se il governo si basa su una sorta di razzismo istituzionalizzato fondato sulla convinzione che bianchi e neri appartengano a razze diverse, la prima nettamente superiore alla seconda, l’unione delle due “dimostra che le razze si possono mescolare…e in molti casi è quello che vogliono”. Ma come ci racconta Noah, e come forse pochi di noi sanno, l’apartheid è stata molto più complessa: un sistema di oppressione razziale costruito sfruttando i dissidi interni di un Paese già in conflitto, dove i bianchi, in naturale minoranza, hanno saputo sfruttare a loro vantaggio le differenze tribali delle popolazioni locali. Zulu e xhosa sono le più numerose, ma non le sole: tswana, venda, tsonga, pedi, sotho, e molte altre (basti sapere che in Sudafrica le lingue ufficiali sono undici). Persone vicine, ma in conflitto, con lo stesso colore della pelle, ma legate a tradizioni e lingue diverse. Il Sudafrica come una moderna Torre di Babele, dove la parola è importante per comunicare e fondamentale per comprendere l’altro, per sentirlo vicino.
Trevor cresce cercando il suo posto: outsider “fuorilegge”, non può farsi vedere con il padre in pubblico, ma nemmeno passeggiare per strada accanto alla madre, o farsi vedere a Soweto, la township dove vive sua nonna, senza rischiera di venire portato via perché “quello non è il suo posto”. Una vita sempre sull’attenti, dove per un bambino è complicato comprendere la logica delle assurde regole degli adulti. Ma fin dall’infanzia Trevor ha una grande complice e compagna: la madre, Nombuyiselo. Donna forte, capace di opporsi a quella stessa insensatezza che le impedirebbe di fatto, come nera e come donna, di compiere tante scelte, di rivendicare di fatto la sua libertà. Nombuyiselo si allontana dalla famiglia, sceglie un lavoro per bianchi, decide di avere un figlio da un uomo bianco con cui sa che non potrà/vorrà mai sposarsi. Una volta arrivato Trevor lo cresce trasmettendogli la sua fervente fede in Dio, punendolo per insegnargli che il mondo là fuori può essere un posto pericoloso, ma instillandogli quella stessa sede di libertà che la contraddistingue.

Lei mi cresceva come se non ci fossero limiti a dove potessi andare e a cosa potessi fare. Quando ci ripenso, mi rendo conto che mi ha allevato come se fossi un bianco, non intendo culturalmente, ma in modo da farmi credere che tutto fosse alla mia portata, che potessi esprimermi in libertà, che le mie idee, i miei pensieri e le mie decisioni avessero un peso.”

Se colored, è l’etichetta che Trevor si trova cucita addosso, di fatto col tempo impara a muoversi in questo limbo, in questo confine che separa due mondi che vivono e godono di trattamenti completamente diversi. Mimetizzandosi e adattandosi alle varie situazioni come un camaleonte, Trevor cresce e trova la sua strada. Lo fa insieme al Sudafrica, perché i problemi del Paese non finiscono con l’apartheid, ma si modificano: i conflitti tornano a essere fratricidi, le condizioni di vita migliorano teoricamente, ma praticamente la povertà aumenta.
La storia di Trevor Noah è la storia di un uomo che sceglie come plasmare la sua identità sganciandosi dai confini che gli altri impongono; ma è anche la storia di un popolo in conflitto con sé stesso, segregato, sfruttato, ma che nonostante tutto non ha mai perso la speranza.

In cortile c’erano due baracche che la nonna affittava a migranti e lavoratori stagionali. In una minuscola aiuola su un lato c’era un pesco, dall’altra parte il vialetto per la macchina. Non ho mai capito a cosa le servisse, dato che non aveva l’automobile. Non sapeva nemmeno guidare. Però aveva il vialetto. Tutti i vicini ce l’avevano, alcuni con pittoreschi cancelletti in ferro battuto. Nemmeno loro avevano macchine né, per la maggior parte, la prospettiva di comprarsene una. Doveva essercene una ogni mille persone, eppure quasi tutti avevano il vialetto, come se questo potesse evocare un’automobile. La storia di Soweto è la storia dei vialetti. È un posto pieno di speranza.”

Trevor Noah è nato il 20 febbraio del 1984 in Sudafrica, da Patricia Nombuyiselo, nera di etnia xhosa, e da padre svizzero tedesco, bianco. La sua carriera di dj, comico e attore lo ha portato sugli schermi americani, dove conduce dal 2015 il Daily Show, seguito da milioni di telespettatori in tutto il mondo. Questo suo primo libro, che ha dominato le classifiche americane nel 2016, è dedicato alla madre. Ne verrà tratto un film in uscita nel 2019 con Lupita Nyong’o nella parte di Patricia.

Source: libro del recensore.