Io e il Minotauro, edito da Giazira Scritture, è il nuovo romanzo di Elena Bibolotti, già autrice di Justine 2.0., Pioggia dorata e Conversazioni sentimentali in metropolitana.
Autrice interessante la Bibolotti, coniuga il rigore e la disciplina appresa nel suo precedente percorso teatrale a una spontaneità e sincerità, quasi dolorosa, quando si tratta di sondare le pulsioni e i sentimenti dell’animo femminile.
Io e il Minotauro avrebbe dovuto essere il secondo episodio di una trilogia iniziata con Conversazioni sentimentali in metropolitana, ma sembra che non ci sarà mai il terzo per una questione di continuità editoriale. Premesso questo esiste pur tuttavia un senso di continuità in tutti i lavori della Bibolotti, capace come pochi autori in questi anni di analizzare contraddizioni e discordanze presenti nell’animo femminile, a torto ignorate se non eluse.
Protagonista di Io e il Minotauro è una coppia borghese, economicamente benestante, di professionisti in carriera. Lei, Adele, sicuramente più ricca e realizzata di lui, Gimmi, frustrato attore di scarso talento pur se bellissimo e affascinante come spesso i narcisisti sanno essere.
«Sveglia, cretina, quel narcisista malato di Gianmaria non cambierà mai e te la farà pagare per tutto il mese di agosto per qualcosa che non hai detto né fatto».
La loro relazione si basa su un complesso meccanismo di violenza e sottomissione, non solo fisica ma mentale e spirituale, le cui valenze e sfumature sono molto difficili da determinare e analizzare.
Appena Giulia esce, apro un file di word. Devo scrivere la sinossi perfetta per il mio alias, devo costruire l’esistenza di una donna sensibile, empatica. La preda giusta per un manipolatore relazionale.
Essenzialmente Gimmi è un manipolatore relazionale, ossessionato dal controllo che vuole avere su sua moglie, donna affatto debole o sprovveduta, ma incapace di uscire da questo labirinto emozionale, per fragilità familiari sue pregresse e per un insano spirito da crocerossina che le fa dire “io lo salverò”.
Comunque la loro relazione, pur tossica come tutte le relazioni prive di reali e autentici sentimenti corrisposti, è più complessa di quanto possa sembrare a prima vista. Gimmi ha a sua volta fragilità e debolezze, che ne determinano la sua aria tormentata e infelice, che affiorano in sprazzi di dolcezza soffocata dalla paura, di perdere lei, di essere abbandonato dall’unica donna da cui dipende la sua sopravvivenza anche materiale.
La sofferenza che infligge alla moglie sembra il riflesso di una sofferenza più profonda che ne delimita il carattere e le aspirazioni, e senza giustificarlo, chi usa violenza contro un suo simile che sia verbale o fisica infrange la sacralità e il rispetto che dovrebbe caratterizzate anche i più elementari rapporti umani, ne fa anch’egli una vittima di un meccanismo perverso e autodistruttivo.
Ma Adele non ha gli strumenti né la forza per salvarlo, può solo alla fine cercare di salvare se stessa, e così avviene.
La Bibolotti narra tutto questo tormentato percorso esistenziale con stile fluido e pacato, in cui l’analisi puramente razionale non prende mai del tutto il sopravvento in favore di una profonda compassione per entrambi i personaggi.
Non giudica in un certo senso né l’incapacità di Adele di lasciare il suo carnefice, né la debolezza caratteriale e morale di lui, che vede nella violenza fisica e mentale, alternata a un’intensa dipendenza sessuale, l’unico strumento di controllo a sua disposizione per affermare principalmente se stesso.
Come in tutti i rapporti umani non ci sono solo ombre, nei momenti felici, anche se pochi e rarefatti, anche lui appare come l’uomo che avrebbe potuto essere: affascinante, sensuale, anche sensibile. Ma la sua volontà di prevaricare l’altro ne determina la caduta inarrestabile verso un finale inevitabile che non anticipo, ma che giunge come una liberazione.
Ciò che emerge in questa vicenda di inferno coniugale è la grande solitudine in cui entrambi i personaggi gravitano: né gli amici, né i familiari, né persone esterne intervengano per spezzare le catene di questa prigionia psicologica e mentale, e la stessa Adele tarda a chiedere aiuto arrivando a mentire per giustificarlo, imprigionata in un ulteriore labirinto di ipocrisia sociale che sembra immobilizzarla.
Una lettura senz’altro impegnativa, per alcuni tratti anche sgradevole, che ci porta ad affrontare tematiche complesse e spesso solo superficialmente considerate arrivando quasi a colpevolizzare entrambe le vittime (non solo quelle che infliggono violenza, ma anche quelle che la ricevono). La Bibolotti attinge dal suo bagaglio emozionale personale e quasi in modo catartico dona a molte donne, che possono riconoscersi nella sua protagonista, gli strumenti per una positiva autocoscienza. Primo passo per una reale liberazione. Potere della vera letteratura.
Elena Bibolotti autrice pugliese trapiantata a Roma. Dopo aver frequentato la Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico si è dedicata alla scrittura. Tra le sue opere Justine 2.0., Pioggia dorata, Conversazioni sentimentali in metropolitana e Io e il Minotauro.
Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo l’ufficio stampa di Giazira Scritture.