“Eredità” non è soltanto il titolo del primo libro di Vigdis Hjorth tradotto nel nostro Paese, ma il vero motore della narrazione.
Tutto la vicenda parte da un’eredità e dalla sua divisione tra quattro figli. Come troppo spesso accade non solo amore e unione dominano i legami tra i vari membri della famiglia. Bergljot, la voce narrante, ha interrotto i legami con i suoi genitori da molti anni: tra loro si è creata una frattura insanabile, causata da qualcosa che la protagonista non ha il coraggio di raccontare subito al lettore, ma che rivela poco alla volta.
Il vaso cade per terra una volta e incolli i cocci per rimetterlo insieme, il vaso cade per terra una seconda volta e incolli i cocci per rimetterlo insieme. Non è più così bello, ma in un certo modo funziona, ma quando cade per la terza volta e rimane polverizzato davanti ai tuoi piedi, vedi subito che ormai è da buttare, non lo si può più riparare. Era così. La famiglia era distrutta. La famiglia era persa.
Le dinamiche e gli equilibri familiari cambiano nuovamente quando i genitori, ancora in vita e in buona salute, sebbene anziani, decidono di prendere anticipatamente alcune decisioni in merito al loro patrimonio. Pur dichiarando di voler dividere equamente i loro beni tra i quattro figli, scelgono di intestare le due case al mare esclusivamente alle due figlie minori, Astrid e Åsa, e di versare ai due maggiori, Bård e Bergljot, un corrispettivo in denaro. Le valutazioni delle due case risultano però molto più basse del loro reale valore, mettendo in luce la cattiva fede dei genitori. Bård, sentendosi preso in giro affronta sia i genitori sia le sorelle minori, accusando i primi di essere ingiusti e le seconde di assecondare e difendere la loro volontà. Davanti al loro categorico rifiuto di ammettere una qualsiasi forma di iniquità, decide di tagliare a sua volta i ponti con la famiglia, riavvicinandosi a Bergljot. Quest’ultima che finora ha cercato di tenersi il più possibile ai margini della famiglia, capisce che le rivendicazioni del fratello sono giuste; sostenere Bård è necessario così come afferrare questa occasione per far sentire veramente la sua voce.
Il ricordo di quello che il padre le ha fatto subire da piccola è riaffiorato in età adulta, solo un percorso di psicoanalisi ha aiutato Bergljot ad affrontare il trauma, cercando di costruirsi una vita il più possibile serena. Ma la sua verità non è mai stata accettata né dalla madre né da Astrid, con le quali ha cercato più volte un confronto. Quello che Bergljot racconta loro è qualcosa di grave, di inaccettabile, qualcosa che metterebbe in crisi l’intera famiglia, sconvolgendo la vita di tutti loro; proprio per questo entrambe decidono che sia più comodo crederla solo una bugia, l’allucinazione di una donna da sempre instabile e inaffidabile.
La questione dell’eredità offrirà a Bergljot l’opportunità di mostrare la sua posizione con fermezza e argomentare le sue scelte con lucidità. La sua voce questa volta si staglierà chiara nell’ufficio di un notaio, non sarà, come spesso è successo in passato, offuscata dai fumi dell’alcool o veicolata da un’email rabbiosa e insensata.
La disparità di trattamento in merito all’eredità corrisponde alla netta diversità tra l’infanzia vissuta da Bård e Bergljot, ricca di instabilità e violenze, e quella rassicurante e affettuosa di Astrid e Åsa.
“Sai qual è la prima cosa che mi viene in mente quando penso a mio padre?”, disse Bård, prima di proseguire senza aspettare la risposta. “Avevo nove anni, eravamo sull’altipiano di Hardangervitta per pescare, volevo tornare a casa e mi girai. Papà mi seguì, afferrò un bastone e mi massacrò di botte. Questo è il ricordo più nitido che ho di lui.”
I genitori di questa famiglia appaiono come una coppia di Dottor Jekyll e Mister Hyde: dietro una facciata di avvenenza, ricchezza e perfezione si nascondono un uomo e una donna egoisti, instabili, feroci, incapaci di qualsiasi affetto o empatia, anche nei confronti dei loro stessi figli. Le due sorelle minori non ne escono in maniera migliore: se la minor, Åsa, è il personaggio che viene meno delineato e anche quella che è più esterna alla vicenda, quella che è sempre stata meno in confidenza con i fratelli maggiori. Astrid invece ha ricevuto spesso le confidenze di Bergljot, cercando di diventare un ponte tra lei e Bård e i genitori. La stessa Bergljot le riconosce più di una volta di ricoprire una posizione scomoda, al centro di una disputa in cui ognuna delle due parti racconta una realtà completamente inconciliabile con quella dell’altro. Ma non schierandosi, rifiutando il dolore della sorella e diventando una sorta di intermediario, Astrid prende in realtà una posizione, aiutando il mantenimento dello status quo.
Pareva non capire, o non voler riconoscere, che esistevano conflitti che non erano risolvibili nel modo in cui avrebbe voluto lei, che esistevano contraddizioni che non si potevano cancellare, che si potevano tralasciare o girarci intorno, tra cui bisognava scegliere.
Eredità non è un libro sulla violenza familiare o sugli abusi, quanto più un romanzo sulla sofferenza.
Una sofferenza subita, nascosta e poi elaborata, una sofferenza che ha bisogno di essere riconosciuta e ascoltata da chi quella sofferenza l’ha creata per non rappresentare più una ferita aperta e sanguinante. Questo è quello che Vigdis Hjorth realizza a livello narrativo: cerca di dare voce alla sua Bergljot, in un flusso di coscienza continuo. Episodi scollegati, ricordi, azioni e pensieri riaffiorano e molte volte si ripetono, restituendo l’angoscia e il processo di elaborazione.
Inascoltata dalla sua famiglia la protagonista del libro trova adesso qualcuno disposto ad ascoltarla: il lettore. Traduzione di Margherita Podestà Heir.
Vigdis Hjorth è nata a Oslo nel 1959, è una delle scrittrici norvegesi più conosciute e stimate. Ha esordito nel 1983 con Pelle-Ragnar i den gule gården, grazie al quale il Ministero della Cultura norvegese le ha attribuito il premio per il miglior romanzo d’esordio. Ha pubblicato più di trenta libri, fra cui una ventina di romanzi, conquistando i premi letterari più svariati. Eredità, vincitore del Norwegian Booksellers’ Prize e del Norwegian Critics Prize for Literature – i due principali riconoscimenti norvegesi –, è il romanzo con cui ha ottenuto la fama internazionale, rientrando nella rosa dei finalisti del National Book Award for Translated Literature nel 2019.
Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Livia Senni dell’Ufficio stampa Fazi.