In una caffetteria in Giappone Gorō e Fumiko stanno discutendo di una cosa seria: la rottura del loro fidanzamento. Gorō, stranamente distaccato, liquida in fretta la questione e lascia Fumiko al tavolino di quello strano locale. Fumiko si guarda intorno triste e abbattuta: nella caffetteria non c’è neanche una finestra, si trova all’interno di un seminterrato. A scandire il passare del tempo ci sono tre grossi orologi antichi da parete, che segnano ognuno un orario diverso; il din-don di un campanello segnala l’ingresso e l’uscita dei clienti, che per lo più sembrano abitudinari. Un posto forse non alla moda, ma particolare, proprio come il suo nome, quello che aveva attratto Fumiko, ricordandole una canzone che cantava sempre da piccola.
In realtà quella caffetteria non è particolare solo per il suo aspetto, ma anche per una leggenda metropolitana che qualche anno prima le aveva fatto conquistare una certa fama. Pare infatti che in quel locale sia possibile viaggiare nel tempo. Fumiko non si ricorda immediatamente di questo particolare, ma dopo una settimana dalla rottura con Gorō torna al bancone, pronta a convincere Kazu, la cameriera, a riportarla indietro; purtroppo non è così semplice, non si tratta solo di esaudire un desiderio o pagare un servizio.
Kazu inizia così a elencare a Fumiko le severe regole che già in passato hanno scoraggiato molte persone dal tentare:
- Una volta tornato nel passato, potrai incontrare solo le persone che sono state nel locale.
- Una volta tornato nel passato, non puoi fare niente per cambiare il presente.
- C’è una sola sedia che ti permette di tornare indietro nel tempo e mentre sei nel passato non ti puoi muovere da quella sedia.
- C’è un limite di tempo: il viaggio inizia appena ti verrà versato il caffè in una tazza e dovrai berlo prima che si raffreddi. Quando finirai il caffè tornerai nel presente.
Quattro storie compongono il romanzo d’esordio di Toshikazu Kawaguchi, ma definirli racconti è riduttivo, si tratta di qualcosa di più organico, meno indipendente. La cornice comune è sicuramente la caffetteria, ma anche i personaggi appaiono e scompaiono dalla scena, giocando talvolta il ruolo di comparse, altre quello di protagonisti. Anche quando un personaggio non è il protagonista della storia racconta qualcosa di sé, un indizio che si riaccenderà come una lampadina nella mente del lettore quando quello stesso personaggio sarà al centro della storia successiva.
Questa struttura ricorre nella letteratura giapponese, ma anche nella produzione cinematografica, basti pensare alla serie di Netflix Midnight Diner, tratta dall’omonimo manga di Yarō Abe: in quel caso tutte le storie ruotano intorno a un ristorante notturno, ma l’andamento è sicuramente simile.
Finché il caffè è caldo riprende però un altro topos letterario, ovvero quello dei viaggi nel tempo, ma lo fa mutilandolo di quella che è la sua attrattiva fondamentale: la capacità di modificare passato e futuro.
In fin dei conti, che uno torni nel passato o viaggi nel futuro, il presente non cambia comunque. E allora sorge spontanea la domanda: che senso ha quella sedia?
All’inizio del libro la domanda è legittima ma proseguendo nella lettura si capisce che, rievocando T. S. Eliot, quello che Kawaguchi vuole sottolineare è che il senso sta tutto in come si affronta il viaggio (metaforicamente nel tempo, realmente nella vita) e non nel viaggio stesso. I suoi personaggi hanno dei rimpianti, dei moti di orgoglio, ma davanti all’impossibilità di modificare quello che la vita ha in serbo per loro, capiscono che la vera chiave di volta si trova nel loro atteggiamento.
Con un libro sui viaggi nel tempo l’autore esalta l’importanza del presente, l’essenza stessa del vivere giorno per giorno, momento per momento, senza dare niente e nessuno per scontato.
Toshikazu Kawaguchi è nato a Osaka, in Giappone, nel 1971, dove lavora come sceneggiatore e regista. Con Finché il caffè è caldo, suo romanzo d’esordio, ha vinto il Suginami Drama Festival.
Source: libro del recensore.
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