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:: L’orologiaio di Everton di Georges Simenon (GEDI 2020) a cura di Giulietta Iannone

24 novembre 2022

Georges Simenon risiedette una decina d’anni negli Stati Uniti, pressapoco tra il 1945 e il 1955, e questo periodo americano fu particolarmente prolifico, come tutti i periodi della sua carriera. Qui scrisse una trentina di Maigret e 26 romas durs, tra cui nel 1954 L’Horologer d’Everton, romanzo di introspezione psicologica più che noir, scritto ispirandosi a episodi di cronaca nera prettamente americana sulle orme di storie tragiche e violente alla Bonnie e Clyde. Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause) diretto da Nicholas Ray, con prodagonista James Dean, uscirà solo l’anno dopo, nel 1955, pressapoco toccando gli stessi temi, con al centro appunto quel grumo di rabbia e ribellione che le giovani generazioni provavano per la famiglia e la società.
Protagonisti de L’orologiaio di Everton sono un padre e un figlio, Dave Galloway e Ben, e il loro complicato e torrmentato rapporto. Dave Galloway, di professione orologiaio, ha una bottega di cui è proprietario, e un appartamento sopra la bottega. Ha praticamente allevato il figlio da solo, poichè la moglie Ruth, donna piena di relazioni occasionali, l’ha lasciato con il figlio in fasce, per poi chiedere i divorzio tre anni dopo. Per Dave Galloway Ben è il centro del suo mondo, la sua unica ragione di vita, si può comprendere perciò lo sbalordimento quando scopre che è fuggito, con una ragazzina pressapoco sua coetanea, ed è inseguto dalla polizzia di cinque stati per alcuni fatti criminosi di cui si prenderà sempre la responsabilità fino alle estreme conseguenze.
Questi fatti drammatici che interrompono la placida e incolore routine tra bottega e i sabati a giocare a jacquet con l’amico Musak aprono per Dave una frattura che si propagherà in una serie di domande senza risposta: sono stato un buon padre? come ho fatto a convivere con un assassino senza scorgere in lui la minima avvisaglia? amo davvero mio figlio? e ora cosa posso fare per aiutarlo?
Dave Galloway, come suo padre, è un uomo mite, abituato ad abbassare la testa e subire le vicessitudini che ci riserva l’esistenza. Suo padre l’unico atto di ribellione lo compì passando una settimana fuori casa con una donna, lui sposando Ruth, una donna ben diversa dalla classica massaia americana di quegli anni. Ben facendo quello ha fatto.
Dave Galloway arriva a stabilire che nella vita ci sono due tipi di uomini: quelli che non superano mai il limite, integrati, vincenti, capaci nelle loro professioni come il nuovo marito di sua madre o l’avvocato di Ben e poi gli uomini come i Galloway che di padre in figlio si passano il gene della ribellione e della rabbia a lungo repressa. Ecco il segreto degli uomini che Dave è ben felice di poter tramandare al nipotino che sta per nascere. Un altro Galloway. Così si chiude un romanzo solido e ben strutturato, di ambientazione americana per alcuni dettagli (come la descrizione delle varie fasi di un processo) ma europeo se non spiccatamente francese nello spirito. Tavernier ne fece un film con il titolo L’orologiaio di Saint Paul, con Philippe Noiret e Jean Rochefort.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: acquisto del recensore.

:: Storia segreta di Angelica Li di Elena Salem

23 novembre 2022

Angelica Li ha solo 13 anni, quando scompare misteriosamente dal reparto di pediatria di un grande ospedale milanese, un mese prima di essere dimessa e dopo avere vinto una dura battaglia contro la leucemia. Possibile che sia stata rapita? È quello che si chiedono con apprensione parenti, amici e inquirenti, e il mistero si infittisce quando cominciano a girare voci sul fatto che nell’ospedale sono state condotte sperimentazioni illecite su Angelica e altri bambini, con farmaci non autorizzati.

Mentre sale la disperazione del padre di Angelica, Wen Li, e di Regina Pardo Roquez, una volontaria dell’ospedale che è anche la madre di Eva, proprietaria di una prestigiosa casa editrice italiana che sta per essere venduta agli americani, il commissario De Vicari e l’ispettore capo Iolanda Svevo conducono le indagini. Le ricerche per ritrovare Angelica, il mistero sulle sperimentazioni cliniche dei farmaci sui bambini e le vicende della casa editrice si intrecciano in un incalzante susseguirsi di eventi fino all’epilogo finale, che mette il dito in una delle più terribili piaghe della società moderna: la tratta degli esseri umani.

Un libro capace di toccare le corde più profonde, che non può lasciare indifferenti.

Elena Salem è nata e vive a Milano. Laureata in Filosofia, è giornalista e coach. Insegna scrittura creativa ed è fondatrice de Il piacere di raccontare, una community di persone che condivide la passione per la lettura, la scrittura, l’arte e la cultura.

Ha iniziato la sua attività professionale come giornalista, collaborando anche con Il Corriere della Sera. Ha costituito una piccola casa editrice, Bridge Edizioni, ed è stata per quattro anni presidente AIPE (Associazione Italiana Piccoli Editori). Ha lavorato come manager della comunicazione in Poste Italiane, Alitalia, DHL Express Italia. «Vivevo in una torre d’avorio, immersa nei libri. In azienda sono stata catapultata nel mondo reale ed è stata un’esperienza bellissima».

In narrativa ha esordito con il libro Puntini nell’universo (ibis Edizioni, con una prefazione di Umberto Veronesi), con il quale ha vinto il Premio della Letteratura di Como 2015, sezione racconti. Questo è il suo primo romanzo, ma lei racconta che la storia ce l’ha in mente da sempre. Vive con il marito e due gattoni un po’ svampiti, adora la campagna, in particolare i colli piacentini, dove si rifugia nel tempo libero per stare a contatto con la natura e, attraverso il web, con il mondo.

:: L’allieva di Sherlock Holmes: Il nuovo Tempio di Dio di Laurie R. King (Leggere Editore 2022) a cura di Valeria Gatti

23 novembre 2022

Perché, perché quest’uomo ha paura di me? Eccomi qui, pensai tra me e me, alta appena un metro e mezzo scalza, mentre lui è alto più di un metro e ottanta e pesa il doppio di me. Lui ha una laurea, mentre io ho lasciato la scuola a quindici anni; è un uomo adulto con una famiglia e una casa enorme, e io non ho nemmeno vent’anni e vivo in un appartamento senza acqua calda. Alla luce di tutto ciò, quest’uomo ha paura di me?”

Questo grande uomo, con la sua voce e il suo grande Dio nella grande chiesa, aveva paura della piccola, vecchia me.”

Inghilterra, fine dicembre 1920. Inizia con una data e una citazione “L’allieva di Sherlock Holmes: Il Nuovo Tempio di Dio” tradotto da Francesca Gallo e pubblicato in Italia da Leggere, Gruppo Editoriale Fanucci.

L’atmosfera che si avverte è quella nota, quella che ha fatto da sfondo a molti misteri anglosassoni (e non solo alle avventure del famoso detective): la notte umida, i marciapiedi illuminati da luci soffuse e traballanti, i rumori della sera ovattati e impenetrabili. L’atmosfera che s’incontra, nelle prime battute, è proprio quella lì: il lettore ne percepisce la forza, ne resta avvolto ed entra così nel vivo dell’opera.

Mary Russell – la giovane allieva di Holmes, orfana e studentessa di Oxford, appassionata di indagini – entra in scena con garbo e convinzione: la voce è la sua, suo è il punto di vista, suoi sono i sentimenti che, durante la narrazione, emergono con sincerità. La donna sta per compiere la maggior età, sta per ereditare una cospicua somma di denaro e sta per entrare in contatto con il Nuovo Tempio di Dio: un’organizzazione capitanata da Margery Childe, un personaggio carismatico ed enigmatico. Quando alcune donne legate all’organizzazione perdono la vita in circostanze misteriose, la coppia Russell-Holmes entra in azione. Il lettore si trova catapultato in sermoni religiosi, dottrine ebraiche, citazioni bibliche, trattati e studi: Mary sfoggia la sua competenza in più di un’occasione e molti sono i riferimenti alla sua passione per lo studio, e a quel conforto che lei trova, tra le pagine di un libro. Nelle pagine, tra le vicende, e nei dialoghi emergono con forza alcuni temi che valgono la lettura: la cultura inglese; il ruolo della donna nella società del tempo; il diritto di voto da poco acquisito; la solitudine di un’intera generazione che ha perso il proprio compagno al fronte; la disperazione delle giovani che, invece, hanno visto tornare i propri uomini con l’anima a pezzi; la droga che divora la speranza e il solito, malvagio, potere legato al denaro che non smette mai di fare danni e ampliare le diseguaglianze. Ma anche la solidarietà, l’amicizia, il dovere, la passione, la cultura e l’amore, come congiunzione perfetta.

La personalità di Mary è cristallina: talentuosa, curiosa, scaltra, vivace, coraggiosa, poco attenta alle mode, abile (a metà dell’opera c’è un’evidente dimostrazione), a volte confusa. La sua confusione riguardo ai sentimenti che prova per Holmes la rende un personaggio amabile, che instaura un rapporto diretto e intimo col lettore, complice anche quei passaggi in cui si rivolge direttamente proprio a colui che sta leggendo la sua testimonianza.

Almeno altre due tecniche di scrittura meritano una nota. Ci sono passaggi nei quali l’autrice ha “nascosto” riferimenti al passato della coppia Russell-Holmes che creano una buona dose di curiosità:

…“Quella non era una scaramuccia a confronto di alcuni dei feroci scontri che avevamo avuto nei cinque anni precedenti”…

Mentre un altro tecnicismo che, personalmente, ho apprezzato moltissimo è oltre la metà dell’opera quando Mary deve raccontare un momento chiave della narrazione e sceglie di farlo attraverso una lettera indirizzata a Holmes.

In questa narrazione, Laurie R. King usa descrizioni abbondanti di particolari, dirette e indirette – come ho già specificato -, i periodi sono a volte lunghi ma non tediosi, nei dialoghi inserisce ritmo, azione e quel pizzico di simpatia che aggiusta il romanzo (Mary e Sherlock continuano a punzecchiarsi e chiamarsi per cognome, fino alla fine).

Ultima nota: il romando termina con una novella che conferma la personalità dei personaggi.

Traduzione di Francesca Gallo.

Laurie R. King è un’autrice bestseller con oltre 30 romanzi, tra cui la serie Mary Russell e Sherlock Holmes, a cominciare dal primo volume L’allieva di Sherlock Holmes, definito come “Uno dei migliori romanzi gialli del XX secolo” dall’IMBA e ora pubblicato in questa collana. Ha vinto premi importanti come l’Agatha, l’Anthony, l’Edgar, il Lambda Literary, il Wolfe, il Macavity, il Creasey Dagger e il Romantic Times Career Achievement; ha un dottorato honoris causa in teologia ed è stata ospite d’onore in diverse convention sul mystery e sul giallo. Il secondo volume della serie Mary Russell e Sherlock Holmes dal titolo Il nuovo Tempio di Dio, è di prossima pubblicazione. Per il marchio TimeCrime (Gruppo Editoriale Fanucci) è uscito il romanzo L’uomo della verità, primo volume della dilogia Stuyvesant & Grey di cui il seguito, The Bones of Paris, sarà pubblicato entro l’anno.

Source: libro inviato al recensore dall’editore.

:: La Venere di Salò di Ben Pastor (Sellerio 2022) a cura di Valerio Calzolaio

22 novembre 2022

14 ottobre – 17 dicembre 1944. Salò e dintorni. Martin-Heinz Douglas Wilhelm Frederick von Bora, molto alto con capelli scuri e occhi verdi, nobile famiglia sassone, diplomatici militari proprietari terrieri, pure editori da un paio di secoli, genitori cugini di primo grado con una differenza d’età di trent’anni, padre direttore d’orchestra morto e madre anglo-scozzese risposatasi con un autorevole generale, sta per compiere 31 anni (l’11 novembre) ed è colonnello dell’Abwehr (servizio segreto militare) destinato a Brescia. Improvvisamente agenti della Gestapo lo prelevano in modo intimidatorio portandolo in auto a Salò, sulle rive del lago di Garda, con l’apparente ruolo di ufficiale di collegamento tra la Wehrmacht e la Repubblica Sociale Italiana. Il generale Sohl e il maggiore Lipsky gli affidano un ulteriore incarico: ritrovare un prezioso quadro di Tiziano, rubato dal palazzo ove avevano stabilito la loro sede. Sia la villa requisita che il quadro appartengono al ricco industriale Giovanni Pozzi, che come risarcimento ottiene l’esclusiva sulla fornitura di telerie all’esercito. Il traffico di opere d’arte appare ampio, inoltre Bora intuisce che una o più donne considerate suicide potrebbero essere vittime di omicidio, tutte in qualche modo legate a Pozzi. L’antiquario ebreo Mosé Conforti gli mostra la bella copia del quadro, Martin sempre più affascinato da Anna Maria, figlia di Pozzi, con la quale inizia una breve intensa relazione. Ma l’agente della Gestapo Jacob Mengs lo bracca completando il dossier a suo carico, materiale sufficiente all’arresto e all’incriminazione. Lui risolve i casi ma lo portano a Milano. Gli vengono imputati aiuti forniti a ebrei, traduzioni di opere straniere (di cui a Lipsia si occupa la casa editrice di famiglia), i rapporti diplomatici stabiliti con i russi, oltre ad altre note storie “segrete” e “doppie” del passato.

La bravissima docente universitaria americana Ben Pastor, di gioventù italiana (Maria Verbena Volpi, Roma 1950), pubblicò nel 1999 negli Stati Uniti il primo romanzo della splendida serie di Martin Bora. Bilingue, preferisce scrivere in inglese. Accanto a decine di altri romanzi storici e racconti gialli e a saggi di scienze sociali, da allora ne sono seguiti ben undici della serie, questo come uscita è il sesto (2006) ma cronologicamente quello finora più vicino a noi e all’epilogo. La complicata biografia scelta per il ricco severo protagonista (si tratta di un soldato fedele, contrario ai “metodi” nazisti; ha perso la mano sinistra in un attacco dei partigiani l’anno prima, ora ha una protesi) consente all’autrice di andare avanti e indietro nei tempi e nei luoghi del secondo conflitto mondiale, dagli antefatti spagnoli all’evoluzione della Germania nazista, approfondendo con cura storica ecosistemi geografici distanti e contesti sociali differenti. Non a caso per Bora si è parzialmente ispirata all’identità di Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg (Jettingen-Scheppach, 15 novembre 1907 – Berlino, 21 luglio 1944), il militare tedesco autore dell’attentato del 20 luglio contro Adolf Hitler, la nota Operazione Valchiria (evocata e appena fallita in realtà rispetto ai tempi del romanzo). L’avvincente narrazione è in terza, alternando rivali e altri protagonisti; il protagonista talora anche in prima e corsivo, grazie agli appunti che qui ricomincia a scrivere sul diario in minuto corsivo gotico. Il titolo fa riferimento al sensuale quadro dell’investigazione “gialla”, si tratta comunque nell’insieme di una tragica vicenda noir sull’animo umano di alleati e nemici, ladri e onesti, capi e subalterni, donne e colleghi, all’interno di un dramma storico globale. All’inizio l’elenco dei personaggi, tedeschi e italiani; in fondo un breve glossario, i ringraziamenti e la cronologia delle “inchieste” di Bora.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017), La notte delle stelle cadenti (2018) e La sinagoga degli zingari (2021).

Source: libro del recensore.

:: Mi manca il Novecento – Ennio Flaiano e l’azzardo attraverso gli occhiali indiscreti – a cura di Nicola Vacca

22 novembre 2022

Quello che ci manca di Ennio Flaiano a 50 anni dalla sua scomparsa è l’azzardo di osare con le parole.

Lo scrittore pescarese come pochi del suo tempo ha impugnato la penna come un bisturi tagliente per ferire e denunciare. Con i suoi aforismi satirici e i suoi articoli ha raccontato l’Italia e i propri connazionali, la corruzione morale e l’ipocrisia di una Nazione e tutta la retorica di un conformismo divenuto abito mentale.

Anna Longoni scrive che non si stupisca il lettore di oggi se, nel ripercorrere il racconto di un’Italia che appartiene ormai al passato, verrà colto di sorpresa da alcuni dettagli che lo costringeranno a riconoscere, non senza preoccupazione, riflessi inaspettati della nostra contemporaneità.

Nei suoi scritti Flaiano ci ha lasciato il ritratto di un paese incapace di reggere la sfida della libertà e della democrazia, perché il fascismo è il diabete degli italiani, una malattia del sangue, sottile, antica, che colpisce anche le migliori famiglie, destinata a riaffiorare nel tempo.

Flaiano, spinto dalla satira e dall’indignazione, con la sua irriverente inattualità parla ancora ai nostri giorni e le sue analisi calzano a pennello alla palude di oggi in cui il paese è ancora incapace di reggere la sfida della libertà e il fascismo continua a essere il diabete degli italiani.

Flaiano, cronista cinico della società, aforista spietato e pungente che non concede nulla al proprio tempo, satiro annoiato che divaga controcorrente con il suo personale frasario essenziale, mostrandosi senza maschera attraverso le parole come uni intellettuale senza illusioni. Soprattutto nella sua attività giornalistica (da rileggere i suoi articoli su Il Mondo, L’Espresso, Il Corriere della Sera, L’Europeo) la sua penna acuta e intelligente, onesta ha sconfessato i vizi dell’Italietta, scagliandosi contro la cultura del mercimonio, gli interessi e i compromessi degli amici degli amici, la corruzione dei costumi e la malafede del potere.

«Io forse non ero di questa epoca, non sono di questa epoca, forse appartengo a un altro mondo; io mi sento più in armonia quando leggo Giovenale, Marziale, Catullo».

Così si descrive Ennio Flaiano nella pagine finali de La solitudine del satiro, il suo libro più personale e più intimo a cui lo scrittore aveva cominciato a lavorare pochi mesi prima della morte.

Giornalismo, cinema, letteratura, teatro. In tutte queste discipline Flaiano è stato sempre un intellettuale fuori dagli schemi. Con le sue stilettate e invettive ha massacrato e castigato senza alcuna riserva il proprio tempo. Il risultato di questo andare in direzione ostinata e contraria è il disagio di una solitudine senza via di scampo alla quale lui non si è sottratto per non rinunciare a una irregolarità corsara in cui non ha mai smesso di credere fino alla fine.

Ennio Flaiano è stato prima di tutto un libero pensatore, una delle poche coscienze critiche che sopportava male la mediocrità e l’assenza di un’etica in un’Italia che già allora si candidava a diventare un paese di porci e mascalzoni.

Ennio Flaiano disilluso e malinconico con le sue riflessioni profetiche che non hanno perso attualità ancora oggi ci legge dentro.

:: Lorenzo Orfei – Vita e avventure di una spia fascista di Davide Schito

20 novembre 2022

Genova, 1927. Lorenzo Orfei ha poco più di vent’anni quando viene reclutato dall’OVRA, la nuova polizia segreta di Mussolini, per una missione sotto copertura. Di politica Lorenzo non si è mai interessato, eppure col passare del tempo si accorge di possedere un talento naturale per quel lavoro fatto di bugie, inganni e sotterfugi, a tal punto che i successi della giovane spia non passano inosservati nemmeno a Roma, tra gli alti ranghi del Partito. E così quella che era iniziata come un’avventura – e un modo per racimolare qualche soldo – diviene, anno dopo anno, una vera e propria corsa a ostacoli tra amicizie, gelosie, intrighi di palazzo e missioni sempre più spericolate che lo porteranno in giro per il mondo e poi, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, di nuovo a casa.

“Lorenzo Orfei – Vita e avventure di una spia fascista” è il romanzo di formazione – liberamente ispirato a una storia vera – di un giovane uomo alle prese con le sfide, i pericoli e le scelte di una vita perennemente al limite, in costante e precario equilibrio tra menzogna e verità.

Mentre sullo sfondo la Storia viaggia spedita verso i propri anni più bui, Lorenzo si troverà ad affrontare una serie di prove, superandone alcune e fallendone altre; durante questo suo percorso riderà, piangerà, si innamorerà, stringerà amicizie e si farà pericolosi nemici. Crescerà. Finché, finalmente adulto, si vedrà costretto a fare i conti con una coscienza che nemmeno credeva di possedere, arrivando a mettere in discussione la propria carriera, la propria vita e il proprio ruolo nel mondo.

Davide Schito, ingegnere milanese classe 1983, ha all’attivo numerosi premi in diversi concorsi letterari e varie partecipazioni in altrettante antologie. Ama spaziare tra i generi, mescolandoli spesso anche all’interno della stessa storia. Ha un omonimo anch’esso scrittore ma si rifiuta di usare un nome d’arte. Su Amazon ha pubblicato la raccolta di racconti “Punto di non ritorno” e il romanzo distopico “Triality Show – Giuria impopolare”.

:: Un caffè in due e altre poesie d’amore di Nicola Vacca (A&B EDITRICE 2022) a cura di Giulietta Iannone

20 novembre 2022

Il segreto dell’amore
è un caffè in due
da bere dalla stessa tazza

Sarà questo il segreto più nascosto dell’amore? Condividere con l’amata i gesti minimi, quotidiani, quasi banali dell’esistenza, gesti che acquistano luce e importanza grazie a un sentimento vero, autentico, maturo, non un amore dell’età acerba ma del tempo compiuto, della vita adulta, dell’autunno incipiente. Ecco questi sono i versi contenuti nella silloge Un caffè in due e altre poesie d’amore del critico e poeta pugliese Nicola Vacca. E’ sempre difficile parlare di amore e di erotismo, un erotismo non funzionale al proprio personale egoismo o piacere, allo sfruttamento dell’altro ma a servizio di un amore autentico di coppia. Un amore forte (come la morte direbbe l’Ecclesiaste), grazie alla conoscenza reciproca, in cui non esiste possesso dell’altro, perchè il possesso è la fine e la tomba dell’amore. L’amore si nutre di libertà, ogni istante, ogni giorno, è un sì ripetuto che non ci si stanca mai di dire. Un sì, atteso.

Ti stringerò in un abbraccio
per dirti sempre grazie
della pazienza che diventa amore.

Un sì che prevede un grazie, perchè l’amore è un miracolo e non è affatto scontato. E tutti gli amori si somigliano e allo stesso tempo sono unici. La frase in esergo ce lo rammenta. Giovanna è la compagna del poeta, la donna amata a cui è dedicata questa silloge che lei condivide con tutti gli spiriti amanti che possono capire queste parole come direbbero i poeti del Dolce Stil Novo. Parole da iniziati, da cospiratori, da complici.

L’amore carnale, aulico, fatto di baci, abbracci, desiderio, letti sfatti, amplessi, estasi condivise si unisce ai gesti minimi della vita quaotidiana, a quel ticchettare sommesso della vita che a volte lasciamo scorrere senza importanza. E invece nella vita tutto è importante, tutto è prezioso.

Il volume è diviso in quattro parti: Lievito madre, L’amore con i piedi per terra, Queste nostre parole più belle e Fuori dall’oblio ritorneranno i baci. Versi liberi, svincolati dalla metrica come vuole la poesia contemporanea, e nello stesso tempo versi antichi, potenti perchè veri. E non c’è nulla come la verità, di un amore, di un vissuto, di un eterno divenire.

Juan Ramón Jiménez, Neruda, il sentire latino del sangue che ribolle nelle vene, la passione che diventa tormento hanno scritto i versi d’amore più appassionati e selvaggi, più traboccanti di verità, e partecipazione, la poesia di Vacca si accosta a questi poeti per intensità e rinnova il sentire con la poetica della quotidianità, della consuetudine, di un desiderio che non conosce sazietà e sempre si rinnova. Ma pur se semplice e quotidiano non è mai routine, noia, ripetitività di gesti e di parole.

Baci che strappano la carne
dalle bocche cucite.

Nonostante la vita, noi continuiamo ad amare, parafrasando Emil Cioran, a cui Vacca è molto legato per sentire e per vicinanza umana. Siamo barche alla deriva in un mare in tempesta, solo l’amore è un filo lieve che ci unisce e ci salva, perchè senza amore saremo davvero tutti perduti.

:: MAGGIE. RAGAZZA DI STRADA E ALTRE STORIE NEWYORKESI di Stephen Crane (Rogas Edizioni 2022) a cura di Giulietta Iannone

20 novembre 2022

Maggie. Ragazza di strada è uno dei grandi romanzi che chiudono l’Ottocento americano, ma che, per temi trattati e tecniche stilistiche, si proietta ormai ben dentro il Novecento. La storia è quella di di una ragazza dei bassifondi newyorkesi, operaia in una fabbrica di colletti e polsini, con un retroterra familiare disastrato, fra povertà, violenza e alcolismo. La conoscenza di Pete l’illude di potersi staccare da quell’ambiente: ma Pete non è il bianco cavaliere che lei crede…Accompagnano questa nuova edizione italiana del romanzo alcune «storie newyorkesi» che Crane scrisse negli anni intorno a Maggie e che confermano la sua qualità di scrittore e interprete della nuova realtà metropolitana.

E’ sorprendente che un autore ottocentesco possa essere così moderno. Leggendo Maggie. Ragazza di strada, romanzo breve di Stephen Crane si ha l’impressione di leggere un romanzo contemporaneo, in cui coesistono critica sociale, spunti sociologici, riflessioni post industriali. Stephen Crane, autore tanto amato da Hemingway, non era un autore ottocentesco, e non ne aveva la caratura, sebbene un po’ di Zolà è riscontrabile nel suo piglio narrativo e nella sua verve polemica. Prendiamo Maggie. Ragazza di strada, il volume edito da Rogas edizioni e curato e tradotto da Mario Maffi contiene anche altri racconti newyorkesi di ambiente urbano, pressapoco scritti nello stesso periodo, inizia con una scena molto disturbante di guerriglia urbana, dei ragazzini pocopiù che dei bambini si prendono a calci e pugni, fronteggiandosi tra bande. Poi la scena si sposta in interno, nell’inferno domestico di una famiglia media degli slums newyorkesi, insulti, bestemmie, botte, piccoli e grandi crudelta di una coabitazione violenta nel degrado (materiale e morale) e nella povertà se non nella miseria. Come un fiore in una pozzanghera troviamo Maggie, una bella ragazza che non sembra corrotta da questo squallore. Lavora come operaia in una fabbrica di colletti e polsini, e vede sfiorire la sua giovinezza. Presto lo splendore della giovinezza che illlumina il suo volto passerà anche per lei e diventerà come sua madre, una gorgone incanutita, vecchia, grinzosa, alcolizzata. Prima di questa inevitabile parabola compie l’insensatezza di innamorarsi di Pete, il principe azzurro che la toglierà da questo ambiente malsano e degradato. Per ingenuità, inesperienza lo segue e sarà per lei l’inizio della fine. Pete non è il principe azzurro che lei sogna, e scacciata di casa non potrà che finire sul marciapiede. Nessuna critica morale sulla “vittima” nessun ottocentesco biasimo, anzi ironia a piene mani su ciò che si intende per rispettibilità e decoro in cuori aridi ed egoisti, tipici sepolcri imbiancati di una società decadente e ipocrita. Maggie morirà, probabilmente uccisa da un cliente, e la madre arriverà a piangere e strapparsi le veste ed addirittura a perdonarla, figlia ingrata e disubbidiente educata così bene da una famiglia così onesta. L’ironia e il sarcasmo di Crane è pungente e dissacrante, la morale del racconto e sottesa a un canto del cigno di una giovinezza bruciata da un ambiente degradato, da rapporti familiari e umani inesistenti, e da una società imprigionata in regole spietate e disumane, senza redenzione o perdono. Merita una lettura questo autore poco convenzionale, anzi una riscoperta se non lo conoscete, per la sua lezione di scrittura e indipendenza intellettuale così svicolata dal suo tempo.

Stephen Crane (1871-1900) pubblicò nel 1893, sotto pseudonimo e a proprie spese, questo breve romanzo, che tuttavia non ebbe successo. Dovette attendere tre anni prima di riproporlo, con alcune revisioni e con il proprio nome, a un editore importante. Nel frattempo, aveva pubblicato Il segno rosso del coraggio e il suo nome circolava nel mondo letterario come quello di un autore di grandi promesse. Dopo questi due romanzi dirompenti, Crane, sofferente di tubercolosi, scriverà altre opere significative (fra queste, Il mostro, La scialuppa, due raccolte di poesie), coprirà in quanto reporter la guerra ispano-americana e quella greco-turca, e – apprezzato da scrittori come Howells, Conrad, James, Wells – morirà non ancora trentenne in un sanatorio tedesco.

Mario Maffi ha insegnato Cultura anglo-americana per oltre quarant’anni. Si è occupato di culture giovanili e immigrate, di letteratura realista e naturalista, di geografie culturali. Fra i suoi libri più noti: Mississippi. Il Grande Fiume (2004, 2009); Tamigi. Storie di fiume (2008); Americana. Storie e culture degli Stati Uniti dall’A alla Z (con C. Scarpino, C. Schiavini. S. M. Zangari; 2013); Città di memoria. Viaggi nel passato e nel presente di sei metropoli (2014). È anche autore del romanzo Quel che resta del fiume (2022). http://www.mariomaffi.it

:: Arco di Trionfo di Erich Maria Remarque (Neri Pozza 2022) a cura di Giulietta Iannone

17 novembre 2022

Parigi, 1938. Le ultime luci si stanno spegnendo, le ultime braci di un mondo destinato alla catastrofe. La Seconda Guerra Mondiale è alle porte e tra falsi proclami di pace e inconsapevolezza ci si incammina verso l’abisso. Tra tanti inconsapevoli c’è invece Ravic, un profugo tedesco, antinazista, sfuggito alla violenza della Gestapo. Lui avverte che presto arriverà la fine. Come profugo senza documenti vive ai margini, come tanti altri ospiti dell’Hotel International, squallido rifugio senza pretese.
E’ un chirurgo, un ottimo chiurgo, e questa sua abilità viene sfruttata da colleghi francesi non altrettanto competenti, per cui opera prendensosi misere percentuali sui profitti. Ma questo lo tiene vivo, non ha scelta, operare è la sua vita, la sua missione. Per arrotondare fa controlli alle prostitute nei bordelli, o passa il tempo nelle bettole a bere e fumare. Ha un amico Boris Morosow, esule russo, che per vivere accompagna i turisti davanti a un locale notturno lo Sharazade.
Poi nella sua vita capitano due cose, a loro modo diverse che però segnano il suo destino: conosce una donna Joan Madou, che salva impedendole di buttarsi nella Senna e intravede Haake, la sua nemesi, l’uomo della Gestapo che in Germania l’aveva torturato dando inizio al suo girone infernale.
Amore e vendetta, ecco questi sono alcuni dei temi di questo romanzo poderoso e tragico, di una bellezza struggente e poetica. Ecco credo che questo sia il secondo romanzo più bello letto in vita mia, subito dopo Anna Karenina, posiziono dunque Arco di Trionfo di Erich Maria Remarque, forse più celebre per Niente di nuovo sul fronte occidentale, per quanto sia lezioso fare classifiche, ma insomma terrò questo libro nella mia biblioteca privata, e probabilmente lo rileggerò, non subito, ma fra qualche anno. Quando i venti di guerra si saranno placati e tornerà la pace anche nella nostra Europa.
Strano che un libro simile arrivi nella mia vita proprio in questo momento, con temi così attuali e drammatici. La bellezza della scrittura è dolorosa, l’impegno etico e morale solido. E’ un romanzo contro la guerra, contro tutte le guerre nella misura in cui spiega un prima e lascia indistinto un dopo che si sa sarà ancora più drammatico e devastante, facendo diventare il presente con tutto il suo carico di dolore come una fiaba.
L’amore di Ravic e Joan Madou resta sullo sfondo, ed è autentico, con le sue debolezze e la sua fragilità. Che i due si amino davvero lo scopriremo solo alla fine, quando tutto sarà perduto, ma non la statura morale di Ravic, naturalmente non è il suo vero nome, e scopriremo anche quello. Se non l’avete mai letto fatelo, non dico che mi ha cambiato la vita ma ha cambiato sicuramente la mia percezione su diversi temi, mi ha reso più umana, in un certo senso. Dall’aborto, alla prostituzione, all’eutanasia, non si può restare indifferenti davanti a un’umanità che soffre, non si può spargere giudizi senza tenere conto di tutto questo carico di sofferenza.
La prostituzione non è un vizio, ma un riparo contro il degrado. L’aborto affidato a donne che magari operano con ferri non sterilizzati una barbarie. Quando non c’è più speranza vale la pena prolungare le sofferenze di un paziente? un altro dilemma che viene presentato in questo libro che non parla solo di guerra e di pace, di amore e vendetta, ma della vita. Uscì nel 1946 dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e ancor oggi si può dire di attualità. Ai vari interrogativi e dilemmi della vita non si possono dare risposte certe, ma ci si può fermare a riflettere, senza pregiudizi e meschinità. Ecco questa è una grande lezione.
Anche i personaggi minori hanno un ruolo centrale nel racconto, ognuno una sua funzione, un suo carattere, proprie sfumature, da Rolande, allo storpio che apre una latteria alla madre coi soldi della protesi pagata dall’assicurazione, dalla modista diventata prostituta, all’albergatrice, fino all’infermiera che denuncia Ravic, e la bellezza di questo romanzo risiede anche in questo, oltre all’uso non banale delle parole, alla ricchezza di un tessuto narrativo, forse anche complesso, ma profondo ed evocativo. Remarque era un grande scrittore, pochi scrittori possono eguagliarlo nella storia della letteratura, e questo libro è un degno esempio della sua arte.

Erich Maria Remarque, combattente nella prima guerra mondiale, fu più volte ferito. Giornalista a Berlino, lasciò la Germania all’avvento del nazismo e nel 1939 si stabilì a New York, dove prese la cittadinanza americana. Raggiunse un vasto successo con il romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues, 1929), radicale condanna della guerra e amara analisi delle sue spaventose distruzioni materiali e spirituali. Seguirono, sempre ispirati a ideali pacifisti e di solidarietà umana, Tre camerati (Drei Kameraden, 1938), Ama il prossimo tuo (Liebe deinen Nächsten, 1941), Arco di trionfo (Arc de Triomphe, 1947), Tempo di vivere, tempo di morire (Zeit zu leben und Zeit zu sterben, 1954), La notte di Lisbona (Die Nacht von Lissabon, 1963) e Ombre in paradiso (Schatten im Paradies, postumo, 1971). Numerosi romanzi di Remarque sono stati ridotti per il cinema.

Source: libro inviato dall’editore. Che ringraziamo.

:: I divini dell’Olimpo di Marilù Oliva (Solferino 2022) a cura di Patrizia Debicke

16 novembre 2022

Gli dei, l’Olimpo, ma chi di noi, soprattutto quelli più stagionati come me, non ha giocato, amato e vissuto idealmente e favolisticamente durante l’infanzia le loro storie, avventure, dispute, guerre. Niente film allora, né colorate immagini in technicolor. Nulla per noi che invece disponevamo soltanto di fantasia e immaginazione che ce li rendevano grandissimi, magari insegnandoci anche faticosamente a districarsi tra i loro nomi . Mamma mia la confusione con quelle differenze ma innegabili similitudini ne facevano gli stessi quei divini pur chiamati dai greci e dai latini in altro modo. E allora… ma certo Zeus è Giove, Era, sua moglie Giunone, Afrodite è Venere, Pallade Atena è Minerva, Poseidone Nettuno, Ade Plutone, Artemide Diana è Ares Marte ecc. ecc. E ci orizzontavamo lo stesso in qualche modo. Poi venne il primo impatto sui banchi dell’esistenza dei capolavori di Omero e della poetica di Virgilio volta a glorificare il divino Augusto e infine, al liceo la felice, o forse infelice per certuni, riscoperta dell’Iliade, l’Odissea visione grecizzante e infine ultima , ma non ultima, la latina. l’Eneide. Altri tempi, altre teste, altri e più conformistici e magari noiosetti modi di interpretare storie, bizze e perché no capricci di un ribollente litigioso ma spassosissimo Olimpo.
A rendere quel leggendario mondo, sempre grande nei secoli e reale agli occhi anche dei meno acculturati, avevano fortunatamente provveduto tanti pilastri del mondo dell’arte. In passato pittori, scultori, cesellatori avevano potuto esprimere al meglio la loro capacità raffigurativa e lavorare senza limiti fino allo stop imposto dal casto dilagare della religione. Inferno e diavoli si misero di mezzo e per tanti, troppi secoli li condizionarono, imprigionandoli in un’iconografia solo religiosa ed eccessivamente castigata. Unica scappatoia concessa piano, piano, goccia a goccia fu la mitologia della quale seppero servirsi con vivace intelligenza per esibire senza pudore nudità femminili e maschili , ovverosia soavi rotondità, orgogliose protuberanze solo talvolta castamente coperte da veli o foglie di fico.
E a tanti di loro, paladini dell’arte nei secoli ma anche di una rigogliosa e fertile interpretazione visiva proprio di questa opulenta mitologia, con il consueto colto sapere, fa riferimento Marilù Oliva.nelle pagine del suo I divini dell’Olimpo.
Compendio , diario, fiaba in cui ci narra di quattro incontri da vicino con gli dei, e ci mette davanti il top dei top, quattro big, insomma delle star vere e proprie: Zeus, Afrodite, Ade e Atena, che descrive a ragione come personaggi divini ma quasi reali, tangibili e tutti governati da istinti, desideri e reazioni spassionatamente umane tra le quali ohimè domina sempre la litigiosità. Controllata? Controllabile? Ohimè spesso no e frequente motivo di drammatiche diatribe. Senza poi dimenticare che quelli rappresentati come mitologicamente divini sono gli stessi istinti che potrebbero appartenere a ciascuno di noi ( con l’esclusione direi di alcuni savi, santi, superiori e pii personaggi quasi irreali benché realmente esistenti).
Ragion per cui Marilù Oliva oltre a ben descriverci questi cosiddetti esseri superiori che popolano l’Olimpo con divertita e sagace duttilità elenca gli innumerevoli pettegolezzi, leggende, voci e storie, talvolta in netta contraddizione ma collegabili a ciascuno di loro. Storie che oltre a rappresentare la molteplicità degli incontenibili impulsi umani: quali tanto per cominciare l’amore, il desiderio, l’amicizia, spaziano nella provocazione, nel dolore e danno sfogo alla rabbia.
E rifacendosi alle tante leggendarie mitologiche versioni a loro dedicate con indubbio senso dell’humour ci racconta tanto di loro e della loro infanzia. Per chi l’avuta, come fa giustamente notare, vedi quella paurosa, furtiva e sotto vasta protezione, di Zeus (Giove) agognata preda mancata del padre Crono (Saturno) che aveva il vizietto di divorare i figli. Certo un’ infanzia non troppo facile e che ai nostri tempi avrebbe sicuramente piazzato Zeus sulla poltrona dello psicanalista. Un’infanzia poco scontata anche per Ade Plutone, ingurgitato da Crono alla nascita e fatto risputare di forza già adulto, dal fratello, servendo al comune padre una potente bevanda emetica. Anche la bella e frivola Afrodite/Venere, pensate un po’, era venuta alla luce già adulta e formata, frutto della spuma creatasi attorno al fallo di Urano evirato dal figlio Crono. E una sorte simile era toccata persino a Pallade Atena, ingoiata con sua madre incinta dal padre Zeus timoroso di essere spodestato da un figlio più “grande” di lui. Ma il feto sopravvisse, anzi si istallò nella sua testa, e si sviluppò completamente, tanto da provocargli una mostruosa emicrania.. Solo l’intervento di Efesto/Vulcano che senza paura, con la sua ascia, squarciò il cranio del Signore dell’Olimpo, permise la nascita di Atena che venne fuori già cresciuta e come se non bastasse armata fino ai denti.
Avvalendosi dei suoi quattro incontri, Marilù Oliva ci apre una rapida carrellata su tutti i protagonisti dell’Olimpo, soffermandosi in particolare sul già citato, Zeus, incontenibile tombeur de femmes e perciò oltre che padre degli dèi, anche di una numerosa prole bastarda frutto di acrobatiche e leggendarie lussuriose avventure. Ci offre altre chicche sulla guerriera Atena e la bella Afrodite, tutte e due propense a mettere troppo il naso nelle vicende umane. E infine concede giusto spazio allo spesso a torto dimenticato Ade dal fascino discreto, al sovrano del regno delle ombre ma anche l’uomo innamorato della sua Core/Persefone e il marito fedele della sua regina dell’Oltretomba . Attorno a tutti loro scorrono e si intessono le miriadi di altre storie della complicata e stravagante mitologia olimpica. Quattro incontri, ricapitolando, dedicati a tutti quei ragazzi grandi, a coloro che sono cresciuti e hanno giocato con la mitologia, magari interpretando loro stessi i ruoli che preferivano e a quelli più piccoli, dei nostri giorni, che forse l’hanno amata e l’amano allo stesso modo, magari incontrandola e avvicinandola attraverso fumettistiche interpretazioni, saghe fantasy o azzardati e fantastici videogiochi da consolle.
Marilù Oliva riscrive i miti della Grecia antica tracciati e osannati sempre da scrittori e poeti in una moderna, comprensibile e stuzzicante modalità con un libro ricco di spunti interpretativi e di collegamenti storico artistici soprattutto dedicati a quel mondo culturale di tutti i tempi che tante volte li ha presi a insuperabili modelli.

Marilù Oliva è scrittrice, saggista e docente di lettere. Ha scritto due thriller e numerosi romanzi di successo a sfondo giallo e noir. Ha co-curato per Zanichelli un’antologia sui Promessi sposi e realizzato due antologie patrocinate da Telefono Rosa, nell’ambito del suo lavoro sulle questioni di genere. Collabora con diverse riviste ed è caporedattrice del blog letterario Libroguerriero. Per Solferino ha pubblicato i titoli L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (2020), Biancaneve nel Novecento (2021), Le sultane (2021) e L’Eneide di Didone (2022).

:: Marsiglia 1937 di Shanmei

12 novembre 2022

La novella è ambientata nella Francia della fine degli anni ’30, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in quel periodo molto particolare tra le due guerre mondiali, dove si guardava all’America con invidia e ammirazione, si importava la loro musica, le loro abitudini, e anche la criminalità, molto attiva specie a Marsiglia, “la Chicago francese”.

Le donne erano bellissime e pericolose, gli uomini spietati e violenti, la polizia vigliava sorniona e contava sulla classica spiata per sventare crimini e delitti. Marsiglia con i suoi vicoli, i suoi muri scrostati, il suo porto punto di attracco per ogni genere di contrabbando raccoglieva la criminalità di tutta la costa, molti venivano da fuori, corsi, spagnoli, italiani, portavano avanti traffici illegali sempre più redditizi e senza regole.

I protagonisti della novella si chiamano André e Marie, e vivranno una tormentata storia d’amore, lui proprietario di un ristorante di Marsiglia (covo di ladri e di imprese fuori legge) e lei una sua modesta dipendente che lavora al guardaroba, a dividerli l’ispettore Marchal che ha un conto in sospeso con André, e l’affascinante Jojo, celebre cantante che si esibisce nella sala da ballo adiacente al ristorante. La preparazione di un colpo cambia le carte in tavola per tutti…

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:: Il noir più bello di tutti i tempi

10 novembre 2022

I candidati:

L’ ultimo vero bacio di James di Crumley

Día de los muertos di Kent di Harrington

Tarantola di Thierry di Jonquet

Il bosco morto di James Sallis

La trilogia marsigliese di Jean-Claude Izzo

Aprile è il più crudele dei mesi  di Derek Raymond

Pericle il Nero di Giuseppe Ferrandino

Le colpe dei padri di Alessandro Perissinotto

Nel nome di Ishmael, Giuseppe Genna

Le anime grigie e Il rapporto di Philippe Claudel

Trilogia della città di K di Agota Kristof

Colpo di spugna, di Jim Thompson

Posizione di tiro, J.P. Manchette

La morte non sa leggere, Ruth Rendell

Il treno della notte di Martin Amis

L’abito da sposo, Lemaitre

Venere privata, Scerbanenco

In cerca, di Geoff Dyer

Scompartimento omicidi, di Sebastien Japrisot

Pazza da uccidere, di Manchette

Il burattino di Jim Nisbet

Le strade di Montreal, di Trevanian.

Arrivederci amore ciao di Carlotto

Traditori di tutti di Scerbanenco

Il grande sonno di Chandler

La morte paga doppio di James M. Cain

Non sparate sul pianista di David Goodis

Piombo e sangue di Hammet

Il postino suona sempre due volte di James M. Cain

Frankenstein o il Prometeo moderno di Mary Shelley

La neve era sporca, Simenon

L’uomo che guardava passare i treni, Simenon

I milanesi ammazzano il sabato, Serbanenco

Il ricettatore, Helena

Il bacio della vedova, Helena

La notte alle mie spalle di Giampaolo Simi.

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