Posts Tagged ‘Seconda Guerra Mondiale’

:: Arco di Trionfo di Erich Maria Remarque (Neri Pozza 2022) a cura di Giulietta Iannone

17 novembre 2022

Parigi, 1938. Le ultime luci si stanno spegnendo, le ultime braci di un mondo destinato alla catastrofe. La Seconda Guerra Mondiale è alle porte e tra falsi proclami di pace e inconsapevolezza ci si incammina verso l’abisso. Tra tanti inconsapevoli c’è invece Ravic, un profugo tedesco, antinazista, sfuggito alla violenza della Gestapo. Lui avverte che presto arriverà la fine. Come profugo senza documenti vive ai margini, come tanti altri ospiti dell’Hotel International, squallido rifugio senza pretese.
E’ un chirurgo, un ottimo chiurgo, e questa sua abilità viene sfruttata da colleghi francesi non altrettanto competenti, per cui opera prendensosi misere percentuali sui profitti. Ma questo lo tiene vivo, non ha scelta, operare è la sua vita, la sua missione. Per arrotondare fa controlli alle prostitute nei bordelli, o passa il tempo nelle bettole a bere e fumare. Ha un amico Boris Morosow, esule russo, che per vivere accompagna i turisti davanti a un locale notturno lo Sharazade.
Poi nella sua vita capitano due cose, a loro modo diverse che però segnano il suo destino: conosce una donna Joan Madou, che salva impedendole di buttarsi nella Senna e intravede Haake, la sua nemesi, l’uomo della Gestapo che in Germania l’aveva torturato dando inizio al suo girone infernale.
Amore e vendetta, ecco questi sono alcuni dei temi di questo romanzo poderoso e tragico, di una bellezza struggente e poetica. Ecco credo che questo sia il secondo romanzo più bello letto in vita mia, subito dopo Anna Karenina, posiziono dunque Arco di Trionfo di Erich Maria Remarque, forse più celebre per Niente di nuovo sul fronte occidentale, per quanto sia lezioso fare classifiche, ma insomma terrò questo libro nella mia biblioteca privata, e probabilmente lo rileggerò, non subito, ma fra qualche anno. Quando i venti di guerra si saranno placati e tornerà la pace anche nella nostra Europa.
Strano che un libro simile arrivi nella mia vita proprio in questo momento, con temi così attuali e drammatici. La bellezza della scrittura è dolorosa, l’impegno etico e morale solido. E’ un romanzo contro la guerra, contro tutte le guerre nella misura in cui spiega un prima e lascia indistinto un dopo che si sa sarà ancora più drammatico e devastante, facendo diventare il presente con tutto il suo carico di dolore come una fiaba.
L’amore di Ravic e Joan Madou resta sullo sfondo, ed è autentico, con le sue debolezze e la sua fragilità. Che i due si amino davvero lo scopriremo solo alla fine, quando tutto sarà perduto, ma non la statura morale di Ravic, naturalmente non è il suo vero nome, e scopriremo anche quello. Se non l’avete mai letto fatelo, non dico che mi ha cambiato la vita ma ha cambiato sicuramente la mia percezione su diversi temi, mi ha reso più umana, in un certo senso. Dall’aborto, alla prostituzione, all’eutanasia, non si può restare indifferenti davanti a un’umanità che soffre, non si può spargere giudizi senza tenere conto di tutto questo carico di sofferenza.
La prostituzione non è un vizio, ma un riparo contro il degrado. L’aborto affidato a donne che magari operano con ferri non sterilizzati una barbarie. Quando non c’è più speranza vale la pena prolungare le sofferenze di un paziente? un altro dilemma che viene presentato in questo libro che non parla solo di guerra e di pace, di amore e vendetta, ma della vita. Uscì nel 1946 dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e ancor oggi si può dire di attualità. Ai vari interrogativi e dilemmi della vita non si possono dare risposte certe, ma ci si può fermare a riflettere, senza pregiudizi e meschinità. Ecco questa è una grande lezione.
Anche i personaggi minori hanno un ruolo centrale nel racconto, ognuno una sua funzione, un suo carattere, proprie sfumature, da Rolande, allo storpio che apre una latteria alla madre coi soldi della protesi pagata dall’assicurazione, dalla modista diventata prostituta, all’albergatrice, dino all’infermiera che denuncia Ravic, e la bellezza di questo romanzo risiede anche in questo, oltre all’uso non banale delle parole, alla ricchezza di un tessuto narrativo, forse anche complesso, ma profondo ed evocativo. Remarque era un grande scrittore, pochi scrittori possono eguagliarlo nella storia della letteratura, e questo libro è un degno esempio della sua arte.

Erich Maria Remarque, combattente nella prima guerra mondiale, fu più volte ferito. Giornalista a Berlino, lasciò la Germania all’avvento del nazismo e nel 1939 si stabilì a New York, dove prese la cittadinanza americana. Raggiunse un vasto successo con il romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues, 1929), radicale condanna della guerra e amara analisi delle sue spaventose distruzioni materiali e spirituali. Seguirono, sempre ispirati a ideali pacifisti e di solidarietà umana, Tre camerati (Drei Kameraden, 1938), Ama il prossimo tuo (Liebe deinen Nächsten, 1941), Arco di trionfo (Arc de Triomphe, 1947), Tempo di vivere, tempo di morire (Zeit zu leben und Zeit zu sterben, 1954), La notte di Lisbona (Die Nacht von Lissabon, 1963) e Ombre in paradiso (Schatten im Paradies, postumo, 1971). Numerosi romanzi di Remarque sono stati ridotti per il cinema.

Anime nere. Due destini nella Roma Nazista, Anna Foa e Lucetta Scaraffia (Marsilio 2021) A cura di Viviana Filippini

3 giugno 2021

Elena Hoehn e Celeste Di Porto. Una nata in Slesia, l’altra in Italia. Entrambe presenti a Roma durante la Seconda guerra mondiale. I loro destini si incrociarono perché tutte e due le donne furono accusate di essere delle collaborazioniste dei tedeschi. In particolare la giovane Celeste Di Porto, bellissima e spregiudicata amante di un fascista, dopo lo scoppio della bomba di via Rasella nel marzo del 1944 cominciò ad aiutare i tedeschi trovare gli ebrei che abitavano o si nascondevano nel ghetto, alcuni dei quali (compreso il pugile Lazzaro Anticoli soprannominato “Bucefalo”) finirono poi nelle Fosse Ardeatine. Questo suo agire ambiguo la portò ad essere guardata con sospetto da tutti e a venire soprannominata la “Pantera Nera”. Elena Hoehn polacca, residente in Italia perché sposata con un italiano (il loro matrimonio celebrato con rito civile ebbe vita breve) finì nel ciclone della giustizia con l’accusa di aver nascosto Giovanni Frignani (suo amante), l’ufficiale dei Carabinieri che arrestò Mussolini e che poi fu inserito nella lista di coloro che persero la vita nelle Ardeatine. Due figure femminili da subito ambigue, dai destini separati fino a quando Celeste e Elena si incontrarono nel carcere delle Mantellate, dove nacque un rapporto che le portò a diventare amiche e ad avvicinarsi a Chiara Lubich e al nascente Movimento dei Focolari. Leggendo il libro di Anna Foa e Lucetta Scaraffia si ha la netta sensazione che la maggior parte della narrazione sia incentrata sulla figura della Hoehn e, effettivamente, è molto dettagliata la parte del saggio nella quale sono raccolte tante testimonianze attorno alla donna e alla sue relazioni, utili per comprendere quanto fosse fondata l’accusa di spionaggio per aver dato riparo al carabiniere ricercato per aver arrestato Mussolini dopo la sua rimozione. Elena e Celeste, due donne diverse tra loro, ma con relazioni e intrecci di vita che portarono i loro destini ad incrociarsi e a influenzarsi, tanto è vero che fu proprio durante la detenzione che la Di Porto si convertì al cattolicesimo (madrina al suo battesimo fu la Hoehn) evidenziando la volontà di prendere i voti, anche se poi il passo completo non lo fece. Messe alle strette dall’evidenza dei fatti Elena e Celeste cercarono di dare una svolta decisiva rivolta al cambiamento totale per quanto riguarda le loro esistenze. Dalla lettura del saggio sembra proprio che la Hoehn ebbe un ruolo fondamentale nella conversione della Di Porto. Resta sempre un dubbio e qualche domanda: le due donne cambiarono veramente, o nel loro io più profondo rimasero sempre quelle persecutrici che con il loro agire portarono la fine nella vita di molte persone nel marzo del 1944? Certo è che quello che le due autrici riescono a compiere nel loro libro ricostruendo le vite della Hoehn e della Di Porto è dare voce a storie umane per troppo tempo nascoste e rimaste sconosciute. Grazie alla Anna Foa e a Lucetta Scaraffia in “Anime nere. Due destini nella Roma Nazista” il lettore di oggi riesce a conoscere un nuovo frammento degli eventi bellici in Italia e le vite di due donne tra loro diverse, ma forse simili, che con il loro agire influenzarono il corso e gli eventi della Storia.

Anna Foa (Torino, 1944) ha insegnato Storia moderna all’Università La Sapienza di Roma. Autrice di numerosi volumi sulla storia degli ebrei in Europa e in Italia, recentemente ha pubblicato Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43 (2016) e La famiglia F. (2018).

Lucetta Scaraffia (Torino, 1948), storica e giornalista, docente di Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, è stata editorialista dell’«Osservatore Romano», di cui ha fondato e diretto dal 2012 al 2019 il mensile «Donne Chiesa Mondo». Con Marsilio ha pubblicato Dall’ultimo banco. La Chiesa, le donne, il sinodo (2016), Tra terra e cielo. Vita di Francesca Cabrini (2017), Storia della liberazione sessuale (2019) e il giallo La donna cardinale (2020)

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa Marsilio.

Caramelle dal cielo, Marta Palazzesi (Gallucci, 2021) A cura di Viviana Filippini

25 aprile 2021

Oggi, 25 aprile, vi suggerisco questo libro per ragazzi (anche per gli adulti va bene) “Caramelle dal cielo” di Marta Palazzesi. La storia edita da Gallucci ha per protagonisti due ragazzini che vivono ai tempi della Seconda guerra mondiale nella città di Milano. Ognuno di loro ha una vita propria. Antonio lavora al mercato nero e vende di tutto (molto probabilmente cederebbe anche il suo migliore amico) pure di avere qualcosa da mangiare. Andrea, invece è diverso, lui sarebbe pronto a sacrificare la propria vita per salvare quella di un amico, compreso il fatto che il migliore amico sia un animale. Proprio così, perché l’inseparabile compagno di avventure di Andrea è Guerrino, un cane che è per il ragazzino l’unico ricordo davvero importante rimastogli del nonno scomparso. I due protagonisti vivono le loro esistenze più o meno tranquille, non si frequentano, ma sono accomunati dal fatto che la guerra incomba sempre su tutto e tutti. Poi ogni cosa cambia nella notte del 12 agosto 1943, quando il suono della sirena d’allarme annuncia un’incursione aerea. In quel momento le strade di Andrea e Antonio si incrociano e i due giovani diventano alleati per salvarsi dalle bombe sganciate dagli aerei sulla città, come fossero caramelle cadenti dal cielo. In questa fuga caotica però Guerrino, il cane di Andrea, scompare e il suo padroncino sarà pronto a tutto – pure a mettere a repentaglio la sua vita sotto i bombardamenti- per ritrovare l’amico di sempre. Ad aiutare Andrea ci sarà Antonio, che all’inizio non ci pensa nemmeno, ma quando vede l’orologio del nonno di Andrea, ha un velocissimo ripensamento e decide di agire con lui. Quella creata dalla Palazzesi è una storia avvincente, resa ancora più coinvolgente dai disegni di Giuseppe Palumbo. In ogni pagina si susseguono azioni frenetiche, imprevisti e colpi di scena, però quello che è sempre presente è l’amicizia. Essa, piano piano, affonda le radici nell’animo dei protagonisti portando a dei veri e propri cambiamenti in Andrea e pure in Antonio, perché entrambi capiranno quello che è davvero importante nella vita per sopravvivere alle bombe e vivere in armonia con il prossimo. “Caramelle dal cielo” di Marta Palazzesi è una storia nella quale Andrea e Antonio si trovano in una situazione di grave pericolo e i loro due caratteri così differenti riusciranno a superare le opposizioni, perché il traguardo da raggiungere è uno e comune: la salvezza.  Dai 12 anni in poi.

Marta Palazzesi è autrice di libri per bambini e ragazzi, traduttrice di sceneggiature e consulente editoriale, dal 2017 fa parte del Centro Formazione Supereroi, un’associazione no profit che tiene laboratori di scrittura creativa nelle scuole medie e superiori di Milano e provincia. Il suo romanzo Nebbia ha vinto il Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2020 nella categoria 6+.

Giuseppe Palumbo è uno degli autori italiani più noti di fumetti e graphic novel.

Source: inviato dall’editore al recensore. Grazie Marina Fanasca dell’ufficio stampa Gallucci

Il serpente, Stig Dagerman (Iperborea 2021) A cura di Viviana Filippini

16 marzo 2021

Stig Dagerman lo abbiamo conosciuto grazie al romanzo “Autunno tedesco” uscito nel 2018 per Iperborea. Ora l’editore pubblica la prima opera narrativa dello scrittore, “Il serpente”, uscita in Svezia nel 1945. Il romanzo è suddiviso in due parti, ma quello che narra al lettore è l’umanità messa a dura prova dall’incombere della Seconda guerra mondiale che opprime e non lascia intravedere un chiaro evolversi del futuro per i protagonisti. La prima parte – Irène-è narrata in terza persona, quindi chi racconta ai lettori è qualcuno che conosce bene da vicino quelle che sono le esperienze dei soldati protagonisti nella caserma di Stoccolma. In quel luogo non accade nulla di particolare, se non il fatto che i commilitoni presenti in quel campo di addestramento in campagna convivono tra loro e con la presenza di un serpente. Il rettile scatena reazioni diverse tra coloro che lo vedono, per esempio il sergente Bohman è un po’ in panico e in lui scatta un qualcosa che lo blocca alla vista della serpe che si muove in modo veloce e imprevedibile. Bill, invece, non teme la biscia, anzi, con grande tranquillità la cattura. Eroismo? Non si sa. Forse la sua è più voglia di farsi vedere coraggioso dal sergente per avere qualche libera uscita in più, perché sa che ci sarà una festa e che, oltre a bevande alcoliche a fiumi, lì saranno presenti davvero belle ragazze. Il lettore segue Bill, Wera e Irène, ma anche quel serpente che il soldato si porta sempre appresso, dentro lo zainetto e che ad un certo punto, agendo da solo, seminerà il panico completo e confusione tra gli invitati, ma ancora di più in Irène e Bill. I due giovani cominceranno a sentirsi coinvolti in situazioni che stanno in bilico tra realtà e surrealtà, dove l’incapacità di capire i fatti e gli eventi in modo completo li porterà anche a compiere gesti inaspettati. Il libro di Dagerman ha poi una seconda parte, “Non riusciamo a dormire”, dove la narrazione è diversa, nel senso che si alterano diverse storie (sei in totale), come se fossero dei racconti che possono essere letti assieme o anche in modo singolo. In essi ci sono soldati in attesa che qualcosa accada e mentre attendono, si raccontano storie di vita vissuta per allontanare le paure. Il libro di Dagerman è un insieme di momenti lirici, un susseguirsi di metafore che devono essere decifrate e scandagliate per garantire la comprensione del loro senso e, una volta comprese, diventa più facile addentrarsi delle menti e animi dei diversi personaggi protagonisti e negli impulsi che li spingono ad agire. Lo stesso serpente del titolo però è qualcosa di più dell’animale che viene catturato e nascosto come se fosse un giocattolo per fare paura o per divertire. Il serpente rappresenta la paura, il terrore che attanaglia e blocca chi lo incontra. Il serpente che mette tutti a disagio è però anche la rappresentazione metaforica quella libertà e autonomia decisionale che i protagonisti invece in quel momento non hanno, perché sottomessi alle regole imposte loro dalla società e dagli eventi storici nei quali vivono. Traduzione dallo svedese postfazione Fulvio Ferrari.

Stieg Dagerman nato nel 1923, segnato da una drammatica infanzia, considerato il “Camus svedese”, in perenne rivolta contro la condizione umana, anarchico viscerale cui ogni sistema va stretto, militante sempre dalla parte degli offesi e umiliati, incapace di accontentarsi di verità ricevute, resta nella letteratura svedese una di quelle figure culto che non si smette mai di rileggere e di riscoprire. Dal 1946 scrisse quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti, articoli, sceneggiature di film, che continuano a essere tradotte e ristampate. Bloccato da una lunga crisi creativa e angosciato dal peso delle enormi aspettative suscitate dal suo talento, si uccise nel 1954.

Source: richiesto all’ufficio stampa Iperborea. Grazie a Francesca Gerosa dall’ufficio stampa.

Due attese di Maurizio Lacavalla (Edizioni BD, 2019) a cura di Maria Anna Cingolo

20 giugno 2019

IMG_0364

Due attese è il graphic novel d’esordio di Maurizio Lacavalla, edito da Edizioni BD nella collana Next, tutta dedicata a giovani artisti italiani di talento.
Eugene lavora per un’agenzia che si occupa di ritrovare i dispersi a seguito dei conflitti mondiali, persone che non hanno fatto ritorno a casa e che i familiari hanno continuato invano ad aspettare. Eugene ha il compito di rintracciarli, vivi o morti, per consentire ai loro cari una sepoltura se non fisica almeno emotiva. Il nuovo caso che deve seguire riguarda Emilio, un soldato della seconda guerra mondiale, sposato con Maria e con una figlia. La lista d’attesa dell’agenzia era così lunga che quando Eugene arriva a Barletta, città natale di Emilio, sua moglie, novantaduenne, è morta senza trovare risposta alle sue domande, trasferendo il peso dell’assenza di Emilio sulla sua discendenza. La figlia di Emilio ormai è diventata nonna e il nipote di lei, Salvatore, ha la stessa fronte e le stesse labbra del suo bisnonno.  Eugene parte alla ricerca della verità, trovando finalmente il colpevole della scomparsa dell’uomo: Karl, un gerarca vendicativo e senza braccia, ancora saturo di odio. Invece, Salvatore e sua nonna sono destinati ad aspettare ancora, sommando l’attesa di Emilio a quella di Eugene. Due attese, appunto, entrambe interminabili. 
Le tavole di questo fumetto sono così espressive da lasciare spazio a pochi dialoghi. L’artista in bianco e nero dà corpo al dolore e alla sete di verità, il suo tratto, forte, netto, sicuro si fa contraltare dell’incertezza dell’anima, i volti spesso ridotti a ombre nascondono i connotati dimenticati delle persone che sono state amate troppo tempo fa e di cui non si riconoscerebbe nemmeno più la voce. Quella di Maurizio Lacavalla, di voce, è, invece, inconfondibile e davvero difficile da dimenticare.

Maurizio Lacavalla nasce nel 1992 a Barletta. Vive e lavora a Bologna dove nel 2016 ha fondato Sciame, un collettivo che pubblica fumetti e libri illustrati. Due attese è il suo fumetto di esordio.

Source: Copia inviata al recensore. Ringraziamo Simone Tribuzio dell’Ufficio Stampa di Edizioni BD.

La sartoria di via Chiatamone, Marinella Savino, (Nutrimenti 2019) A cura di Viviana Filippini

17 marzo 2019

images“La sartoria di via Chiatamone” è il romanzo d’esordio di Marinella Savino, edito da Nutrimenti. La vicenda è una storia di vita e di sopravvivenza ambientata a Napoli dal 1938 fino alla fine della guerra. La narrazione si apre con l’arrivo di Hitler a Napoli. La folla lo attende con trepidazione, lo saluta col classico gesto romano e, in quella massa di persone e bandiere che sventolano, c’è Carolina, l’unica che sembra aver chiaro che la venuta di quell’uomo non promette nulla di buono. La protagonista è una sarta e abile ricamatrice che intuisce come da quel momento in poi lei, la sua famiglia, e il resto della popolazione italiana, più che vivere, dovranno imparare a resistere ai tempi bui e cupi in arrivo. Il libro della Savino non si limita narrare le ristrettezze e i pericoli che la popolazione partenopea e la famiglia della protagonista devono sopportare. Il romanzo dell’autrice napoletana, attraverso la figura di Carolina, ci mostra una donna intraprendente che, da semplice cucitrice, apre una propria bottega in via Chiatamone, nella quale realizza vestiti di alta qualità e ricamo. Con lei, oltre all’amica Irene, lavorano anche altre ragazze, segno evidente di un’attività che le impiega per molto tempo al giorno. Le cose cambieranno con l’arrivo della guerra. Carolina è imprenditrice, moglie e madre e non solo, perché comincia a pensare a come salvaguardare le entrate economiche e a come sfamare la famiglia. Carolina cosa fa? Compra e mette da parte scorte di cibo e lo fa in quantità industriale. Le derrate alimentari le nasconde proprio per andarle a recuperare quando la guerra porterà – e ne è sicura- sfacelo, distruzione, morte e fame per tutti. La protagonista è previdente, pensa a sé e alle persone che ama. La donna ama molto il marito Arturo e i figli, ma non esita a prendersi cura e ad accogliere sotto il proprio tetto gli amici che hanno perso la casa a causa delle bombe. È vero Carolina è consapevole delle bocche in più da sfamare, ma basta restringere un po’ le porzioni per garantire cibo a ogni persona.  La guerra è il nemico di Carolina e della gente di Napoli. È la guerra che li assedia giorno e notte, bomba su bomba, fino al culmine con le quattro giornate di Napoli. Tutti i personaggi rimangono profondamente traumatizzati dal conflitto che ha scompaginato il loro vivere quotidiano. C’è chi si si dispera, chi fugge, chi perde l’uso della parola a causa dello shock e chi cade in una dolorosa preoccupazione, per il timore che il figlio al fronte possa essere morto. Sì, perché il senso di fine e distruzione sono la costante del romanzo “La sartoria di via Chiatamone”, nel quale, allo stesso tempo, il laboratorio della sarta e la sua cantina diventano una specie di arca della salvezza. Una sorta di grande cassaforte dove trovare cibo, riparo e conforto da tutto il male che c’è. La trama della storia è coinvolgente e a rendere la narrazione ancora più appassionante e verosimili e vivi i personaggi, come ne “L’amica geniale” della Ferrante per citarne uno, c’è l’utilizzo del dialetto. Il romanzo d’esordio di Marinella Savino è una storia di amore per la vita e di lotta contro il turbinio delle violenze della Seconda guerra mondiale che travolse l’Italia e il mondo intero. “La sartoria di via Chiatamone” è la coraggiosa battaglia di una donna – Carolina-  che con intelligenza e con la speranza della libertà sempre nel cuore, agisce per salvaguardare il suo mondo fatto di affetti e persone.

Marinella Savino è nata a Napoli e vive a Roma. La sartoria di via Chiatamone è il suo primo romanzo, finalista al Premio Calvino 2018.

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie ad Anna Voltaggio.

:: Il bambino nella neve di Wlodek Golkorn (Feltrinelli, 2016) a cura di Giulietta Iannone

6 marzo 2019

indexEcco, io penso che dopo la Shoah non è possibile il Tikkun: il mondo rimane e rimarrà senza riparazione.

Narrare l’indicibile è il pesante compito che spetta ai sopravvissuti della Shoa, e ora, che le generazioni sono passate, ai figli dei sopravvissuti, ai nipoti, ai bis nipoti in una catena di memoria che si fa memorie personali e preziose ognuna a suo modo, come tante sono le verità che compongono la verità.
Di questo compito si prende carico, anche dolorosamente, Wlodek Golkorn giornalista e scrittore abituato a narrare le storie degli altri, ora alle prese con la propria storia personale e familiare.
Figlio di ebrei comunisti sopravvissuti, ora testimone non diretto ma riflesso di avvenimenti così tragici, così assurdi, così impossibili da vedere in una luce costruttiva o catartica, o anche solo di senso. La cattiveria umana è un mistero insondabile, forse un mistero non solo umano, per chi ci crede. Quando agli uomini ne viene data facoltà compiono le barbarie più inaudite, non tutti, non sempre, e dopo quasi sempre si autoassolvono, si giustificano, “ho ubbidito agli ordini”, “tutti facevano così”, “se non avessi fatto così mi avrebbero ucciso”. Perché se ci sono i sopravvissuti tra le vittime, ci sono anche i sopravvissuti tra i carnefici, tra le persone per cui la banalità del male è così ovvia, consueta, rassicurante.
Non deve essere stato facile per Wlodek Golkorn tornare con la mente alla sua infanzia in Polonia, alla sua “fuga” in Israele, alla sua vita in Germania, per poi approdare in Italia, a Firenze, dove tuttora vive. Ma deve essersi detto che era suo dovere, un compito a cui non poteva sottrarsi, per cui chiese al suo giornale il permesso di fare questo viaggio, questo pellegrinaggio, in compagnia di una fotografa Neige De Benedetti.
E così è tornato in Polonia, a Cracovia, a Varsavia, per poi raggiungere Auschwitz, Belzec, Sobibor, fino a Treblinka che chiude il cerchio.
Con grande sincerità ci narra cosa ha provato andando in quei luoghi tra rabbia e compassione, tra memorie della sua famiglia e esperienze sue personali, consapevole che il vuoto di senso di tutto questo orrore ancora resta aggrappato a ogni granello di polvere che può contenere ancora tracce di cenere delle vittime passate per i camini dei forni crematori.
Si chiede cosa abbiano provato quelle donne, quegli uomini, quei vecchi, quei bambini in quei momenti. Quando percepivano, dopo le crudeli bugie dei carnefici, che sarebbero andati invece a morire, che non avrebbero avuto più scampo.
Wlodek Golkorn si interroga anche di cosa sia fatta la memoria, la volontà di tramandare quei ricordi ai propri nipoti, perché sappiano la storia della loro famiglia, da dove hanno tratto le radici.
Tra gli orrori del Novecento, e della Seconda Guerra Mondiale in particolare, la Shoa resta una cosa a sé, con peculiarità sue proprie, un’unicità indicibile appunto.
Senza retorica Wlodek Golkorn cerca di capire lui per primo, per poi spiegare a chi ha voglia di ascoltare, il tipo di atteggiamento con cui fare i conti con quelle memorie, con quel passato. Un passato comune, perché di tutto il genere umano non solo del popolo ebraico.
In questo periodo di derive antisemite ne consiglio la lettura, anche per il valore letterario del testo (ci sono punti di estrema bellezza), ma con un’avvertenza: non è una lettura asettica, bisogna giungervi preparati.

Wlodek Goldkorn è stato per molti anni il responsabile culturale de “L’Espresso”. Ha lasciato la Polonia, sua terra nativa, nel 1968. Vive a Firenze. Ha scritto numerosi saggi sull’ebraismo e sull’Europa centro-orientale. È co-autore con Rudi Assuntino di Il Guardiano. Marek Edelman racconta (1998) e con Massimo Livi Bacci e Mauro Martini di Civiltà dell’Europa Orientale e del Mediterraneo (2001) e autore di La scelta di Abramo. Identità ebraiche e postmodernità (2006). Per Feltrinelli ha pubblicato Il bambino nella neve (2016).

Source: acquisto personale.

:: La notte delle stelle cadenti di Ben Pastor (Sellerio 2018) a cura di Giulietta Iannone

21 ottobre 2018

9294-3Berlino, luglio del 1944.
Martin Bora lascia il fronte italiano, e i suoi uomini, per l’ ingrato compito di partecipare al funerale di uno zio, da lui molto amato in gioventù, importante medico contrario alle pratiche naziste di eugenetica e eutanasia, suicidatosi, in modo non troppo volontario, con un’ iniezione letale di morfina. La tristezza del lutto è un po’ stemperata dall’ incontro con sua madre, Nina, anche lei a Berlino per le esequie, ma quello che lo tormenta ancora, e a cui non riesce a rassegnarsi, è l’abbandono dalla moglie Dikta, (l’unica donna che abbia davvero amato) stanca della guerra e di avere un marito sempre lontano e in pericolo di vita. Mentre Bora pensa a come ritornare al fronte succede un fatto imprevisto: il capo della Kripo, la polizia criminale di Berlino, Arthur Nobe, lo manda a chiamare e lo incarica di indagare sulla morte di un presunto veggente, illusionista e ipnotizzatore ammanicato col vertice del Terzo Reich.
Non potendosi certo rifiutare, accetta, e intanto si domanda perché abbiano scelto proprio lui, e perché la vittima è così importante da meritare un’ indagine di un membro addirittura dell’esercito e non della polizia comune. Il capo della Kripo non gli dà spiegazioni e intanto lo affianca con un losco aiutante Florian Grimm, un picchiatore della prima ora, che più che aiutarlo nelle indagini sembra sorvegli ogni sua mossa. La comparsa di una lettera compromettente, e tanti piccoli tasselli che finalmente hanno un senso, portano Bora a capire che c’è ben altro che cova sotto le ceneri di Berlino, martoriata dai bombardamenti. L’incontro con Claus von Stauffenberg, in una afosa stanza di una casa privata, gli confermerà infine che tutte le sue peggiori supposizioni hanno reale fondamento. Uscire vivo da Berlino diventerà per lui una vera e propria scommessa col destino.
La notte delle stelle cadenti, (The Night of the Shooting Stars, 2018), edito da Sellerio e tradotto dall’ inglese da Luigi Sanvito, è il dodicesimo libro di Ben Pastor che ha per protagonista Martin Bora, aristocratico ufficiale dell’esercito tedesco, in forze ai servizi di controspionaggio.
La particolarità dei sui mystery investigativi è il fatto che ci presenta una rivisitazione, storiograficamente ineccepibile, dei fatti salienti che caratterizzarono il Secondo Conflitto Mondiale, per molti versi ancora oscuri o controversi. Si appropria insomma del lavoro dello storico, nel lungo processo di elaborazione del testo, confrontando memorie, lettere, biografie, atlanti, mappe, saggi di diversa provenienza e argomento, a volte contenenti anche tesi o testimonianze contrapposte. E il lavoro dello storico è proprio quella di scegliere la via più probabile, più coerente con tutti i fatti, gli umori e il materiale raccolti (armonizzandola inoltre con il tessuto narrativo senza apparire didattica o peggio forzata). Insomma un passo oltre al semplice mystery storico dove è la fantasia dell’autore a prevalere.
Altra componente rilevante è l’approfondita analisi psicologica e la complessità umana dei personaggi, soprattutto di Bora di cui conosciamo i pensieri, il diario, e i fatti salienti della sua vita narrati in terza persona. E attraverso di lui conosciamo la Germania di allora, la vita comune, i dettagli più minimi, e a volte sordidi, di una quotidianità spesso drammatica e precaria.

Berlin in 1945 1

In La notte delle stelle cadenti è infatti Berlino al centro della scena, con i suoi quartieri bombardati, l’odore dell’aria, il suo sentore di fuliggine e intonaco sbriciolato; gli alberghi, i caffè, i ristoranti, i locali notturni un tempo eleganti, che sopravvivono a fatica, tra mille difficoltà, ormai solo l’ombra dello sfarzo di un tempo. La penuria di generi alimentari, il surrogato a posto del caffè, le ricche signore che rubano una saponetta in un albergo per farsene dare una seconda dal consierge. La mancanza di sicurezza, la paura, la rassegnazione. Le ragazze malvestite in una città dove è già difficile lavarsi, dormire, respirare, accanto alle mantenute, le sole che possono permettersi un paio di calze di seta, un profumo, un cappello di sartoria.
Il non potersi fidare di nessuno, perché spie e delatori possono essere nascosti in ogni angolo, tra informatori della Gestapo, e picchiatori di ogni risma.

claus

La storia è nota e Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg, personaggio storico veramente esistito, è forse uno dei congiurati più famosi tra coloro che attentarono alla vita di Hitler, nel luglio del 1944. Ed è anche uno dei personaggi più significativi de “La notte delle stelle cadenti“. Ad un certo punto Martin Bora e Stauffenberg si incontrano, non vi dico cosa succede nel dettaglio, ma insomma si confrontano a tu per tu. Se pensiamo che Ben Pastor si ispirò proprio a Stauffenberg per creare il suo personaggio, è dunque come assistere a uno sdoppiamento, stile cortocircuito temporale: personaggio storico e narrativo nella stessa stanza. Straniante.
La peculiarità dell’autrice è dare luce ai particolari minimi, a un accendino, a un granello di polvere, a un raggio di sole, senza sprecare parole, in un’ economia narrativa affascinante e coinvolgente.
Lo stile è colto, alto, letterario, pieno di riferimenti non solo storici ma filosofici, poetici, morali.
L’attenzione alla spiritualità di Bora, sofferta e autentica, travalica l’assunto personale, per proiettare le difficoltà e l’angoscia esistenziale di tutti coloro che dovettero fare i conti con la propria coscienza e l’adeguamento ai dettami nazisti. E questo stridente contrasto illumina la già complessa peculiarità che Martin Bora racchiude. La consapevolezza che tutto è perduto, che una uscita onorevole dalla scena è impensabile, come è impensabile ormai, dopo i milioni di morti, il perdono di Dio. Quest’ ultimo dubbio, quest’ ultimo tormento emerge prepotente durante l’incontro con Stauffenberg che a contrario di lui sente ancora la necessità di fare qualcosa, di agire, di porsi contro se non con reali possibilità di successo, almeno per la Storia, o per l’aldilà.
Inoltre l’autrice si occupa anche della sfera come dire sentimentale e sessuale del protagonista, per cui l’abbandono della moglie pesa come una condanna insostenibile, pur vendendola con tutti i sui limiti e difetti. L’incontro con una ragazza, il cui compagno giace in coma in un sanatorio, diventa un’ aggrapparsi alla vita e all’amore, così diverso in tempo di guerra. Anche qui l’attenzione psicologica è massima, e una certa tenerezza emerge pur in un uomo non portato a provarla, fino a un disperato patto che i due amanti suggellano, non ve lo anticipo, ma lo troverete anche voi disperato e struggente. E soprattutto impossibile. In un lampo di autocoscienza successiva Bora realizzerà che era frutto solo di disperazione e egoismo maschile.
Martin Bora comunque resta un investigatore abile e interessato solo alla verità, scoprire chi è l’assassino del veggente non gli passerà di mente, seppure la Storia, con il suo respiro irrevocabile, supera la sua visione contingente.
Alla fine sapremo il destino di ogni personaggio, forse non è quello che vorremmo per loro, ma niente molte volte nella vita lo è.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015) I piccoli fuochi (2016),  Il morto in piazza (2017), La notte delle stelle cadenti (2018).

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo l’Ufficio Stampa Sellerio e l’autrice.

Forse ti può interessare:

Un’ intervista con Ben Pastor

:: L’angelo del campo, Clifford Irving, (Longanesi, 2015) a cura di Laura M.

2 marzo 2015

irUn campo di sterminio in Polonia.
Piccolo, ben tenuto, asettico come una sala operatoria.
Ma sempre un campo di sterminio dove gli ebrei, dal primo all’ultimo, vengono uccisi: i deboli subito, i più forti quando sono ridotti pelle e ossa dalla fame e dal lavoro.
Ma in questo campo avviene qualcosa di speciale, di imprevisto.
C’è un assassino che uccide delatori e anche una SS ucraina particolarmente feroce.
Siamo nel gennaio del 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, i morti dovrebbero essere all’ordine del giorno, e lo sono ancora di più, – drammaticamente di più -, in un campo di sterminio, nonostante questo un poliziotto della Criminalpol di Berlino, il capitano Paul Bach, viene inviato a indagare. In un punto quasi invisibile sulle mappe, a Zinoswicz – Zdroj (non cercatelo, non esiste, l’autore nelle note avvisa che non è reperibile in nessuna parte della Polonia, nasce come “sintesi” di tanti campi veramente esistiti), Zin, per abbreviare e rendere più facile il “lavoro”.
Paul Bach non è il classico nazista che siamo portati a immaginare. E’ un reduce di guerra proveniente dal fronte orientale, dove ha perso un braccio. E’ un ottimo poliziotto, scrupoloso, efficiente, umano, padre amorevole di due bambini, vedovo. Vede l’abominio e non crede ai suoi occhi.
Non riesce a credere che i suoi connazionali si siano abbassati a tanto per seguire gli ordini di un pazzo, che siano capaci di uccidere migliaia di migliaia di esseri umani solo perchè appartengono a un altra razza, un’altra religione. Dove il vero disastro è che nessuno si ribella, nessuno fa niente. Finché questo angelo vendicatore organizza una rivolta di questi esseri ridotti all’ombra di loro stessi.
Paul Bach scoprirà chi è l’angelo del campo, è un bravo poliziotto ve l’ho detto, ma come agirà lo scoprirete leggendo questo libro.
L’angelo del campo, (The Angel of Zin, 1984) tradotto da Federica Oddera, è un romanzo che si legge molto velocemente. Scorre come il corso placido di un fiume. Pieno di umanità, seppur della descrizione della bolgia dantesca che è un campo di sterminio. E’ morale parlare di queste cose in un romanzo, frutto di fantasia, anche se nato dopo un approfondito lavoro di ricerca? Quando si parla di Olocausto è sempre difficile, la retorica a volte nasconde i veri sentimenti, per un meccanismo di difesa, anche negli spiriti più sensibili e intenzionati a capire. E questo libro aiuta a capire. Perchè raggiunge il lettore nella sua profonda coscienza, ponendo il germe dell’idea che colpevole del male non è solo chi lo compie ma anche chi non fa niente per combatterlo e impedirlo. Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti diceva Martin Luther King. Niente di più vero anche oggi.

Clifford Irving (1930) è stato per lungo tempo uno degli uomini più conosciuti d’America. Nel 1970 ha scritto una falsa autobiografia del magnate Howard Hughes, nella quale ha messo alla berlina Richard Nixon e altri importanti politici dell’epoca, in seguito alla quale è finito in prigione per un anno e mezzo. Grande viaggiatore, nella sua esplosiva esistenza ha fatto per due volte il giro del mondo, ha prestato servizio come guardia in un kibbuz israeliano e ha contrabbandato whisky e sigarette tra Tangeri e la Spagna. Recentemente ripubblicato in USA dopo la prima edizione del 1984, L’angelo del campo è balzato subito ai primi posti delle classifiche di vendita. Clifford Irving vive in Colorado.

:: La strada per Itaca, Ben Pastor, (Sellerio, 2014) a cura di Giulietta Iannone

25 dicembre 2014

4717-3La strada per Itaca, (The Road to Ithaca, 2014), edito da Sellerio e tradotto dall’inglese da Luigi Sanvito, è il nono romanzo dedicato da Ben Pastor al personaggio di Martin Bora, capitano della Wehrmacht, prestato all’Abwehr, il servizio di controspionaggio tedesco.
Ambientato tra la fine di maggio e gli inizi di giugno del 1941, il romanzo si pone cronologicamente tra Lumen e Il cielo di stagno facendo luce sulla “vacanza” cretese che Bora si prese poco prima dell’invasione nazista dell’ Unione Sovietica, che sciolse di fatto il patto Ribbentrop-Molotov e diede il via all’ Unternehmen Barbarossa. (Operazione suicida con il senno di poi, ma già la storia aveva dato le sue lezioni, pensiamo solo a Napoleone).
Bora si trova a Mosca al seguito della delegazione diplomatica tedesca, quando riceve da Berija in persona il compito di recarsi a Creta, appena conquistata dai tedeschi, e sottratta agli inglesi, per procurarsi alcune casse di Dafni e Mandilaria, due pregiati vini cretesi da sfoggiare nei ricevimenti da ambasciata, anche se la richiesta più che altro poteva suonare come un memento, che il capo dell’NKVD poteva tutto, disponendo a piacimento della vita delle persone fossero anche state ufficiali tedeschi trasformati in suoi servitori.
Bora accetta l’incarico (non che abbia scelta) con una certa irritazione, ma quando si trova sotto l’accecante sole di Creta scopre suo malgrado che un altro incarico l’attende. Una strage di civili avvenuta in una villa poco lontano da Iraklion, sulla costa settentrionale di Creta, sembra avere ripercussioni quantomeno inquietanti. La vittima principale era un cittadino svizzero, (per cui l’incidente diplomatico con un paese neutrale non è una prospettiva tanto remota), per giunta membro dell’associazione Ahnenerbe di Himmler. Presunti colpevoli, un gruppo di paracadutisti tedeschi, che alcune foto, reperite in modo avventuroso, collocano sul luogo della strage al momento in cui fu perpetrata. Chiamato in causa, l’Ufficio Crimini di Guerra, onde evitare l’intervento della Croce Rossa Internazionale, e pure la curiosità di Himmler, incarica Bora di indagare sul caso, e possibilmente discolpare i paracadutisti coinvolti.
Aiutato dal commissario di polizia greco Vairon Kostaridis, personaggio solo apparentemente buffo, che riserverà parecchie sorprese, e da una recalcitrante archeologa americana, Frances L. Allen, “costretta” ad accompagnarlo all’interno delle isola sulle tracce di un testimone della strage, Bora dipanerà un’intricatissima matassa, illuminato da una singola parola, “prestigio”, causa di un suo litigio quando aveva solo dodici anni, che in realtà fa emergere nella sua coscienza (oltre all’intuizione risolutiva per la soluzione del caso) i germi di un’inquietudine che maturerà negli anni successivi. La coscienza del divario tra la sua Germania, alla quale si sente fedele e lealmente ne persegue gli interessi, e la Germania nazista, in mano a uomini nuovi come “Waldo” Preger, il ragazzino con cui si era accapigliato e che ora ritrova come capitano dei paracadutisti.
La strada per Itaca, si pone quindi come un romanzo di passaggio, dalle forti valenze psicologiche, capace di far luce sull’animo complesso e tormentato di Bora, novello Ulisse, (è l’omonimo romanzo di Joyce che si porta dietro tra i suoi pochi effetti personali assieme all’immancabile diario), sulla via di casa. Forse l’eccessiva complessità, rende la lettura meno scorrevole di altre letture, ma la bellezza della scrittura della Pastor, mai banale, mai scontata, dalle forti valenze letterarie, rende il testo ricco di fascino. La ricostruzione storica come sempre è accurata, e ricca di aneddoti e apparizioni (pensiamo solo allo scrittore americano Erskine Caldwell) e ci riporta al periodo della Seconda Guerra Mondiale, ancora controverso, ancora poco approfondito.
La Pastor sceglie di parlarci della storia, (l’aspetto investigativo è solo una sfumatura della narrazione, forse nemmeno quella più rilevante) dal punto di vista di un perdente, un ufficiale tedesco della Germania nazista (sebbene definirlo lui stesso nazista è sicuramente impreciso), e i rischi di questa scelta sono numerosi. Consideriamo solo l’apparente scarso coinvolgimento emotivo del personaggio per una strage di civili, difficile da considerare positivo per una sensibilità moderna. O l’accettare l’inganno (anche crudele) ai danni dell’archeologa americana, come naturale e giustificabile. (L’astuzia di Ulisse).
Ciò non toglie che un personaggio più noir di così è difficile immaginarlo e forse proprio questo rende la lettura una sfida. La mentalità, la concezione del suo stato sociale, i suoi ideali, la sua educazione, sono ricostruiti in modo degno di ammirazione, anche quando si contrappongono ai corrispettivi moderni. Martin Bora è un uomo del suo tempo, con limiti ed eroismi, e questa umanizzazione del personaggio è sicuramente la parte più riuscita del romanzo e dell’intera serie.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013) La strada per Itaca (2014).