“Per antiche strade” è il nuovo lavoro letterario di Mathijs Deen, edito da Iperborea. Il testo è un vero e proprio viaggio nella storia d’Europa, come indicato nel sottotitolo, su antiche vie di comunicazione. Lo scrittore olandese parte da un ricordo d’infanzia quando andava dai nonni e il padre, alla guida della loro macchina, era solito dire: “Questa è la E8, che va da Londra a Mosca”. Un dettaglio che colpì molto il piccolo Mathijs e lo fece a tal punto che ora, in questo testo, lo scrittore ci invita a seguirlo nell’intricato reticolo di vie e strade presenti in Europa. Quello che Deen fa in “Per antiche strade” è importante, perché mette noi fruitori del presente a conoscenza di alcune delle più importanti arterie di collegamento tra città europee di oggi. In realtà, dal presente, l’autore ci trascina nel passato, mostrandoci, attraverso le storie e le vite di uomini e donne, che quelle strade vennero calpestate, percorse e solcate molto prima di noi, a dimostrazione della loro pluricentenaria esistenza. Non a caso durante la lettura si incontra la più ampia e variegata umanità, dove si alternano esploratori, conquistatori, mercanti, profughi, banditi e pure pellegrini, che nel corso dei millenni esplorarono le strade europee, lasciando le basi di quello che oggi è il nostro puzzle socio-culturale identitario. Quello che Deen fa è appassionante e stimola molto il lettore, in quanto la sua scrittura e quello che essa contiene, raccontano le strade e le vite di persone storicamente vissute, ma non sempre conosciute. Qualche esempio? Nel libro si trovano le tracce dei primi uomini giunti in Europa dall’Africa nell’era del Pleistocene. Poi incontriamo Bulla Felix, un brigante romano che rubava ai ricchi, liberava gli schiavi e ammetto che questo suo fare mi ha ricordato un certo Robih Hood arrivanto qualche tempo dopo. Come non rimanere affascinati dalla figura di Guðríðr Porbjarnardóttir, una giovane donna islandese battezzata che arrivò in Europa e dal Papa, nella speranza di capire se i suoi genitori pagani sarebbero finiti in paradiso. Non solo, perché nel libro di Deen ci sono tante figure curiose, compreso un suo lontano parente che finì a combattere in Russia al fianco di Napoleone, o le vite di coloro che parteciparono alla prime corse automobilistiche non su circuito, ma direttamente sulle strade di collegamento tra le capitali europee. “Per antiche strade” di Mathijs Deen è un libro davvero interessante, nel quale le strade dell’Europa sono narrate attraverso le biografie di coloro che le percorsero e questo approccio stilistico è molto avvincente, non solo perché ci permette di conoscere le vite di alcuni personaggi storici esistiti prima di noi ma, grazie al loro spostarsi nel continente , noi lettori conosciamo le sfaccettature, le trasformazioni delle cultura europea, e anche le conseguenze derivanti dai contrasti politici, economici, religiosi (come la storia dell’ebreo che scappò dalla Spagna, perché bersaglio dell’Inquisizione e finì in Olanda dove portò l’arte del teatro) e culturali che hanno caratterizzato e reso tale la nostra Europa. Traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo.Ricordo anche i podcast dedicati a “Per antiche strade” di Mathijs Deen in 8 puntate realizzati, con la collaborazione di Matteo Caccia, attore e speaker radiofonico, presenti sulle principali piattaforme streaming gratuite.
Mathijs Deen (1962) è uno scrittore e giornalista, autore di programmi di storia per la radio olandese. Ha pubblicato numerosi romanzi e raccolte di racconti e di saggi. “Per antiche strade” è in corso di pubblicazione in vari paesi europei.
Source: richiesto dal recensore. Grazie a Francesca Gerosa e all’ufficio stampa Iperborea.
Leggere la “Saga di Gunnar”, pubblicata da poco da Iperborea, è fare un vero e proprio viaggio nell’antico folclore della tradizione narrativa islandese. Questa breve storia, un tempo di certo tramandata oralmente, ha per protagonista Gunnar, un giovanotto scapestrato, ma solo in apparenza. Affermo questo perché all’inizio della storia il protagonista ci appare un po’ svogliato, annoiato dal vivere e senza obiettivi precisi per il domani, tanto è vero che questo atteggiamento di Gunnar, lo ha portato nel tempo a guadagnarsi il titolo di “Idiota di Keldungnúpur”.
Ogni libro di Fredrik Sjöberg è una garanzia. Nel senso che cominci a leggerlo nella convinzione che conoscerai una storia e, come sempre, scopri più di una vita. Anche in “Mamma è matta, papà è ubriaco” l’entomologo svedese ci porta alla scoperta di una vita sconosciuta, o meglio, di un artista – Anton Dich- finito nel dimenticatoio. Il tutto parte da un quadro -il ritratto di due cugine- , nel quale l’autore si è imbattuto in un’asta danese e, da subito si scatena in lui l’attenzione per l’autore Anton Dich. Chi era, cosa fece, chi sposò, che rapporto aveva con le due ragazzine ritratte e perché nessuno si ricorda di lui? Nel nuovo libro pubblicato da Iperborea si cerca di ricostruire la vita di Dich. Punto di partenza sono i racconti di alcuni nipoti dell’artista. Storie che conducono Sjöeberg nei primi anni del 1900, nella vita di Eva Adler, moglie di Dich, e nella sua famiglia nella quale le donne ebbero grande spirito di iniziativa imprenditoriale, avendo spesso più successo dei mariti. Eva e Anton, già che amore quasi perfetto! Sì perché prima di Dich, Eva era sposata con un altro artista, tal Ivar Aresonius, che morì giovanissimo dopo aver fatto opere su opere molto apprezzate dal pubblico e dalla critica. Anton arrivò dopo e per tutta la sua vita e carriera, lo spettro del primo marito di Eva aleggiò su di lui. Il libro di Sjöberg è una vera e propria avventura che ci porta a Stoccolma, in Austria, in Germania, in Italia, sempre sulle tracce di Dich. La cosa che stupisce è che questo artista (patrigno di una delle ragazzine dipinte) riuscì, sembrerebbe, ad imbattersi in artisti come Modigliani, Picasso, Derain, Brecht, Cendrars, trovandosi al posto giusto, pure nel momento giusto, senza però riuscire ad avere mai il successo tanto desiderato. Dich era pure un uomo dal carattere complesso, molto autocritico, che non esitava ad esternare la sua insoddisfazione sulle sue stesse opere, da lui stesso prese di mira e, in diversi casi, distrutte. Conoscenti ne aveva Dich, una moglie che lo amava pure, ma il suo unico più grande amico -quello che poi complicava sempre le relazioni con gli altri- fu l’alcool. L’inseparabile bottiglia sarà anche quella che porterà Dich nella tomba, nel 1935, a Bordighera dove, ancora oggi, è sepolto. La tomba si deve cercare, e lo conferma anche l’autore, ma c’è. “Mamma è matta, papà è ubriaco” di Sjöberg si inserisce alla perfezione nella serie di libri da lui scritti e dedicati a quegli artisti, studiosi che ebbero un grande intuito ma che, per uno strano scherzo del destino, finirono nel dimenticatoio. Ricordiamo “L’arte di collezionare le mosche” (Iperborea 2015), con protagonista René Malaise, scienziato svedese, inventore della trappola per mosche. “Il re dell’uvetta” (Iperborea, 2016), con protagonista Gustaf Eisen, zoologo, pittore, archeologo, fotografo, esperto di lombrichi divenuto un pioniere della coltivazione dell’uvetta in California. “L’arte della fuga” (Iperborea 2017) dedicato al pittore paesaggista Gunnar Widforss, sconosciuto in patria, ma osannato in America. “Mamma è matta, papà è ubriaco” di Sjöberg è il viaggio nella Storia, in luoghi diversi e epoche lontane, alla ricerca degli indizi giusti per poter ricostruire una vita, quella del pittore Anton Dich, facendone degna memoria e restituendola ai lettori di oggi e del domani. Traduzione Andrea Berardini.
Era alquanto difficoltoso trasformare un romanzo celebrale come Il medico di corte di Per Olov Enquist in un film.
T. Singer, protagonista del romanzo di Dag Solstad, edito da Iperborea è un aspirante scrittore e tale rimane. Singer ad un certo punto si rende conto che i suoi sogni, le sue aspirazioni resteranno nella sua fantasia. Il suo romanzo, letto, riletto, scritto, riscritto, corretto e non corretto, rimarrà lì, incompleto, come molto altro nella vita del protagonista. Per questo motivo T. Singer decide di dare un senso all’indefinito del suo vivere e si pone l’obiettivo di diventare bibliotecario a Telemark, un piccolo paesino sperduto in mezzo alle montagne. Singer, 34 anni, ha una casa, va a lavorare, torna a casa e torna dai libri. Una vita monotona poi, un giorno, come in un fiaba, incontra Merete, una bella ragazza con la quale inizia una relazione. Ad un certo punto T. Singer e Merete, più Isabella (la figlia dei lei), andranno a vivere assieme formando quella che per il protagonista è una famiglia. Singer comincia a fare delle cose che mai aveva fatto prima: lava, stira, cucina, e lo fa con impegno e diligenza. Il suo unico problema, che lo caratterizzerà per tutto il romanzo, è quella totale incapacità di esprimere in modo netto e chiaro ciò che pensa, i sentimenti che prova e, a tratti, anche ad assumersi responsabilità. Un atteggiamento che porterà Merete a prendere le distanze e a volersi allontanare in modo definitivo da Singer, ma il destino beffardo interverrà a complicare le cose. T. Singer si troverà a fare il padre single di una “figlia” (Isabella) che nemmeno è la sua. Quello che emerge dal vivere (se così lo si può definire) dell’uomo qualunque di Solstad è un’esistenza fatta di ossessiva ripetitività, tale da rasentare un alto grado di disperazione, affrontato però con pacata ironia dal protagonista. Non è una cosa da poco, perché proprio T. Singer di Solstad ha un qualcosa che richiama da vicino lo Stoner del romanzo di John Williams, sì perché proprio come il professore creato dallo scrittore americano, il bibliotecario di Solstad è un uomo tranquillo (troppo), che vive la sua vita di ogni giorno, senza manifestare mai fino in fondo e a chi lo circonda, i suoi sentimenti. Ci sono alcuni momenti nei quali T. Singer fa percepire le sue paure, le sue insicurezze, le sue ossessioni per il fallimento, ma non sono mai momenti condivisi con gli altri. Quello che tormenta Singer, lui se lo racconta in uno o più monologhi personali e in completa solitudine, perché è solo parlando con se stesso che Singer tira fuori ogni suo tormento e preoccupazione. Altro tratto comune del bibliotecario con Stoner di Williams, è l’immensa solitudine, sempre presente, prima, durante e dopo la relazione con la moglie Merete. Il suo essere animo solitario è qualcosa di straziante e allo stesso tempo comico, nel senso che in certi momenti si ride e si partecipa alla goffaggine del protagonista, che in improvvisi slanci di entusiasmo prende l’iniziativa per fare, ma non sempre i risultati sono quelli sperati. In altri frangenti letterari si percepiscono il tormento e la disperazione nell’animo di Singer. Dag Solstad ha una scrittura travolgente, ipnotica, che ti porta dentro alla vita di T. Singer, un uomo che sta con gli altri, me che è – o forse vuole essere- profondamente solitario e, in quella ripetitiva solitudine esistenziale, dove per certi momenti anche il lettore rivede se stesso, il bibliotecario ci sguazza a meraviglia. Traduzione Maria Valeria D’Avino.
Le fiabe nordiche sono una delle cellule della casa editrice Iperborea, grazie alla quale noi lettori italiani abbiamo la possibilità di addentrarci dentro il fascino che caratterizza la letteratura e la cultura dei Paesi del Nord Europa. Di recente è uscito, a cura di Bruno Berni, il tomo “Fiabe Norvegesi”, il sesto della serie dedicata alle fiabe nordiche. La raccolta ha per protagoniste narrazioni di origine antica, nelle quali gli esseri umani si muovono al fianco di creature come i troll, gli orchi e, perché no, anche animali parlanti che non solo aiutano i protagonisti, ma nascondono, in certi casi, la loro vera natura sotto la veste animalesca. Da subito si è catapultati in un mondo misterioso, un po’ fantastico, munito di elementi con richiamo netto e preciso alla realtà. Nelle fiabe ci sono giganti che celano il cuore e solo chi avrà il giusto animo gentile e arguto riuscirà a trovarlo. Ci sono fratelli maggiori cha maltrattano e ingannano i minori, i quali si trovano coinvolti in mirabolanti avventure per ottenere, si spera, il giusto riscatto. Ci sono giovani principesse promesse in spose a principi meschini, imbroglioni e umili contadini dall’intelligenza acuta. Pagina dopo pagina, ci si addentra in un mondo quotidiano, nel quale, accanto alla presenza umana non mancano creature fantastiche e animali parlanti o elementi del mondo naturale (piante e fiori) che stupiscono il lettore con i loro poteri e improvvisi colpi di scena. Come per i volumi precedenti dedicati alle fiabe, anche in questo con al centro quelle norvegesi, c’è un’interessante postfazione che permette ai lettori di avere informazioni sulle fiabe presenti nel patrimonio folklorico norvegese. Per esempio si scopre che i testi, per abitudine trasmessi oralmente, vennero raccolti e scritti per la prima volta nell’Ottocento, da Asbjørnsen e Moe. La trascrizione fu importante, poiché permise a queste storie raccontate per un tempo incalcolabile a voce, di essere fissate in una forma precisa. Ciò che affascina, leggendo le fiabe norvegesi è che in esse ci sono elementi noti, perché se andiamo a cercare nella memoria ci accorgiamo che ritornano anche nelle classiche fiabe che ci hanno raccontato da piccoli. Alcuni esempi concreti? Ci sono ragazze poverelle che indossano e perdono scarpette preziose proprio come Cenerentola. Gatti parlanti che hanno gli stivali, in questo caso, delle sette leghe. Principi trasformati in animali pronti a tornare umani quando l’incantesimo verrà sciolto. Non solo. In queste fiabe norvegesi ci sono anche personaggi che ritornano in modo costante un po’ in tutta la produzione fiabistica nordica, come accade per la figura di Ceneraccio, presente anche nella fiabe islandesi e faroesi, un segno evidente del ruolo consolidato che la tipologia di figura letteraria ha nella narrazione nordica. Le “Fiabe norvegesi” sono una raccolta di storie antiche, dove una morale c’è sempre. Esse sono ideali per un pubblico bambino e adulto che, da un parte, ha la possibilità di viaggiare in mirabolanti avventure nei boschi e nei paesaggi norvegesi e, dall’altro, soprattutto per il lettore adulto, ha la speranza di recuperare il proprio animo fanciullo volando sulle ali della fantasia. Le fiabe sono corredate dalle illustrazioni di Vincenzo Del Vecchio. Traduzione Bruno Berni.
“Welcome to the Jungle” verrebbe da dire e so che riecheggia la canzone dei Gun’s n’ Roses, ma è quello a cui ho pensato nel vedere il nuovo libro di Jan Brokken edito da Iperborea e intitolato: “Jungle Rudy”. In esso Brokken narra la vita rocambolesca del suo conterraneo, divenuto uno dei più importanti esploratori del Novecento: il mitico avventuriero e pioniere olandese Rudy Truffino. La biografia romanzata ci presenta Brokken in viaggio alla ricerca del esploratore mezzo olandese e mezzo italiano che negli anni Cinquanta del secolo scorso approdò a Caracas. Qui, più che dal petrolio, Truffino fu subito conquistato dal mondo della Gran Sabana, un vero e proprio paradiso naturale a sud est del Venezula, caratterizzato da grandi montagne (i tepui) ricche di cascate, canyon e da flora e fauna rare e sconosciute. Dalla ricostruzione di Brokken emerge il grande fascino che il paesaggio selvaggio, gli anfratti e le grotte tutte da scoprire ebbero su Truffino, il quale non esitò a instaurare rapporti con la popolazione locale dei Pemón. Truffino riuscì piano piano a creare case, piste di atterraggio e villaggi adatti ad ospitare visitatori provenienti da tutte le parti del mondo. L’esploratore, a tutti noto come Jungle Rudy, si creò una propria famiglia, dove oltre alla moglie e alle tre figlie, c’erano piloti, registi come Werner Herzog che girò alcune scene di “Fitzcarraldo”, altre troupe hollywoodiane, i reali olandesi, l’astronauta Neil Armostrong e pure gli attori del film porno soft “Emmanuelle 6”. Truffino era come una calamita, nel senso che riusciva a conquistare tutti, compresi gli indios locali con i quali ebbe buoni rapporti e pure le autorità. Un fare che gli permise di assumere l’incarico di direttore del Parco nazionale di Canaima e di acquisire una grande notorietà internazionale. Certo non tutto era perfetto, perché dal libro di Brokken emergono anche le spigolosità di Truffino, il suo costante e perenne nervosismo, quel bisogno di solitudine che a volte lo portava a negarsi alle persone, ma che non gli impediva di agire sempre per il ben di Canaima e di quella natura inesplorata e rigogliosa con la quale si sentiva in empatia. Inoltre Truffino alternava momenti di successo e stabilità economica a momenti di crisi, durante i quali lui e la moglie (donna forte e di grande pazienza) si centellinavano pure il cibo per andare avanti e sfamare le figlie. Questo suo modo di agire ad un certo punto rese così difficili i rapporto nella famiglia che il suo matrimonio andò a rotoli. Vero ci furono dei successi, ma per Truffino non mancarono scottanti delusioni e sensi di colpa che lo tormentarono per sempre quando fu violata la purezza dei Pemón, i quali a contatto con la civiltà cittadina videro corrotti per sempre i loro usi e costumi. Per ricostruire la vita di Truffino, Jan Brokken ha ricalcato gli stessi luoghi vissuti dal protagonista riportandoci la vita di Jungle Rudy grazie ai sopralluoghi, ai documenti (diari e fogli di giornale) e alle interviste fatte a coloro che Rudy lo conobbero da vicino. “Jungle Rudy” è quindi un ritratto veritiero e avventuroso di un uomo che lasciò la propria terra di origine – l’Olanda- per partire all’avventura, alla ricerca di un sogno da realizzare, trasformando il suo bisogno di stare a contatto con la natura in un vero e proprio lavoro di salvaguardia dell’ambiente naturale e “magico”, proprio perché selvaggio. Traduzione dal Nederlandese di Claudia Cozzi.
Approderà in libreria da Mecoledì 13 giugno The Passenger, il nuovo progetto editoriale messo in campo dalla casa editrice Iperborea.Il tutto è una raccolta di reportage letterari e saggi narrativi che si impegnano a narrare la vita contemporanea di un paese e dei suoi abitanti. Tra le pagine si troveranno tante storie diverse e voci per conoscere, comprendere, approfondire e, perché no, lasciarsi ispirare dalle realtà che verranno indagate. La rivista sarà ancora più coinvolgente grazie alla presenza di rubriche, box esplicativi, cartine, infografiche, illustrazioni originali e «consigli d’autore». E non è tutto, perché ogni numero accoglie un progetto fotografico originale curato da un fotografo internazionale andato nel paese protagonista della rivista per documentare le storie più significative. Il primo volume avrà per protagonista l’Islanda. In esso ci saranno testi di Hallgrímur Helgason sbalordito da strani individui, o meglio alieni, vestiti da trekking che hanno invaso la sua città; il premio Nobel Halldór Laxness allarmato, già nel 1970, dalla devastazione delle più remote valli del paese per lo sfruttamento delle risorse naturali; Jón Kalman Stefánsson che consiglia cosa leggere, guardare e ascoltare; Silvia Cosimini si concentra sul pericolo di estinzione di una lingua millenaria; il critico e musicista Atli Bollason analizza come i suoi colleghi abbiano cavalcato la moda del «borealismo», e molto altro. Turismo, politica, tradizione, religione, commercio (si analizza il rapporto sempre più stretto con la Cina), musica (c’è la storia di un sindaco con un passato da punk e di cosa ha fatto per scacciare la crisi), ambiente, energia, cultura e tanto altro, permetteranno ai lettori di scoprire altri aspetti insoliti dell’Islanda oltre a quelli già noti. Dopo la lettura di The Passenger-Islanda, ci si accorgerà che l’Islanda, nota ai più come la terra dei vichinghi e delle saghe, della natura incontaminata, delle canzoni di Björk, degli elfi, delle piscine geotermiche e delle foto dei ghiacciai sulle bacheche degli amici in vacanza, è un piccolo mondo composto da una miriade di sfaccettature.


“Fiabe svedesi” è l’ultimo volume uscito per Iperborea che raccoglie le fiabe della tradizione nordica. In questo testo, curato da Bruno Berni si alternano vicende fantastiche nelle quali si incontrano diversi personaggi alla prese con sfide e prove da affrontare, per dare un nuovo corso al proprio destino e a quello del mondo dove vivono. Tanti sono i personaggi che si alternano nel libro, sono creature letterarie coinvolte in avventure nelle quali spesso e volentieri sono chiamati a confrontarsi con esseri appartenenti al mondo della fantasia. Tra i protagonisti ci sono ragazzi che fanno a gara con misteriosi giganti per vedere chi mangia di più. Accanto a loro, incontriamo principi- come Hatt- costretti a vivere al buio e a uscire solo dopo il tramonto, affinché nessuno li veda. Non mancano poi principesse trasformate in topoline da inspiegabili sortilegi e gelosie. Queste vicende si alternano alle avventure di umili contadini in lotta contro mostruosi giganti e draghi, oppure in cammino in boschi rigogliosi di una natura nordica nella quale si nascondono misteriose creature. Tra di esse ci sono troll che gelosamente custodiscono tesori, animali pronti a dare aiuto a chi ne ha davvero bisogno, lucci, rane e anche altre animali parlanti. Ognuna delle fiabe svedesi qui presenti è stata tratta da “Svenska folk-sagor ock äfventyr” (Fiabe e leggende popolari svedesi) di Gunnar Olof Hyltén e George Stephens, due amici che lavorarono assieme per la pubblicazione di una raccolta, uscita a Stoccolma nel 1844 e nel1849, diventata il punto di partenza per lo studio deli racconti della tradizione svedese. La “Fiabe svedesi” sono un’importante risorsa che aiuta il lettore contemporaneo a conoscere il patrimonio narrativo del Paese del Nord Europa, scovando paesaggi fatti da una vegetazione ben diversa da quella mediterranea, usi e costumi differenti da quelli del Sud dell’Europa e, allo steso tempo, personaggi fiabeschi che ritornano nella nostra memoria durante la lettura – vedi il richiamo a il Gatto con gli stivali o la Principessa sul pisello) raccolti dai fratelli Grimm, da Hans Christian Andersen, da Perrault, Basile. Nelle “Fiabe svedesi”, curate da Bruno Berni, riecheggiano i personaggi fiabeschi della tradizione, variati a seconda delle esigenze della cultura nordica, a dimostrazione di come nella tradizione narrativa orale esistano dei modelli (degli archetipi potremmo definirli) che ritornano in modo costane e continuo, presentati con forma diversa. Le “Fiabe svedesi”, vanno ad unirsi agli altri tre volumi dedicati alle fiabe nordiche pubblicati da Iperborea: “Fiabe Lapponi” (2014), “Fiabe Danesi” (2015), “Fiabe Islandesi” (2016). Volumi da leggere anche da adulti per ritrovare la spensieratezza magica di un tempo. Curatore e traduzione dallo svedese: Bruno Berni.























