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:: Il verso dell’assiolo di Davide Pappalardo (Pendragon) a cura di Paola Rambaldi

9 novembre 2022

Davide Pappalardo – Bologna – ha pubblicato i romanzi: Buonasera signorina e Che fine ha fatto Sandra Poggi? e decine di racconti in riviste e antologie ottenendo premi e riconoscimenti.

“Mario fuggiva, seguendo gli altri due. Ogni tanto si tastava la gamba destra: il sangue fluiva e aveva ricoperto i pantaloni da trekking, una patina rossastra che si andava via via rattrappendo.

Sentì un grido a un centinaio di metri da lui. Come allora. Tante immagini precipitarono nei suoi occhi azzurri. La stradina nei pressi di piazza San Biagio inondata d’acqua, il cortile zeppo di grandine bianca, il cielo giallo, i passi affrettati, l’affanno. Poi sentì una scossa nella gamba, una fitta di dolore.

Doveva fuggire. Presente e passato si sovrapposero.

Il tetto basso era parzialmente crollato sotto il peso dell’acqua. Dalla portafinestra verde, dai vetri sottili, nonostante il battere della pioggia, i tuoni, e mescolato a questi, proveniva un crudele uggiolare. Sembrava quello di un cane, ma la vecchietta non aveva cani.” Pag. 133

Fino allo scorso settembre non avevo mai sentito nominare l’assiolo ma da una certa notte in poi, coi vicini, abbiamo cominciato a sentire un verso perforante e ripetitivo. Per capire cosa fosse abbiamo confrontato su Google tutti i versi dei rapaci notturni e l’abbiamo individuato. Era proprio un assiolo, il simpatico gufetto che per due mesi ha scandito le nostre notti dalle ventitre in poi, puntuale come un orologio svizzero, prima di sparire nel nulla. Ma eccolo rispuntare nel romanzo di Davide Pappalardo a cadenzare le nottate dei suoi protagonisti.

Nell’estate del 2019, alle tre di notte, la guardia giurata Alvaro sta pattugliando un Bancomat quando vede parcheggiare una Ford Fiesta con la targa infangata. Scendono due uomini mascherati da Donald Trump. Sono Antonio e Nicola, il terzo uomo, Marcello, li aspetta in macchina. La guardia non sa che quei tre hanno già all’attivo tre bancomat esplosi, finora per loro rubare è stato un gioco da ragazzi. Fanno deflagrare le casse, riempiono di soldi i sacchi e se vanno. Ma se fino a quel momento la complicazione più grande era respirare sotto a quelle stupide maschere, stavolta c’è una complicazione in più, la guardia giurata.

Ed è un attimo che Marcello, preso dal panico, scenda dall’auto e spari.

Ecco una scena che mi ha riportato alla mente i rapinatori di Point Break del 1991 che agivano con le maschere di altri presidenti americani, il bel film interpretato da Keanu Reeves e Patrick Swayze.

Ma torniamo a noi.

Non troppo lontano altri tre amici: Mario, Nino e Simone sono fuori per festeggiare un addio al celibato. Hanno quarant’anni. Manca una settimana al matrimonio di uno di loro. Si sono ritrovati dopo tanto tempo e hanno una gran voglia di far baldoria e di esagerare. Negli ultimi anni si sono visti davvero poco. Fuori piove a dirotto e decidono di divertirsi in un locale facendo la bella pensata di indossare tre maschere di Donald Trump. Quella sera sono particolarmente alticci e molesti, litigano con altri clienti e si fanno buttar fuori dal locale. Ridono.

Se solo sapessero che tre rapinatori, camuffati con le stesse maschere, hanno appena ucciso una guardia giurata, riderebbero meno.

E poi c’è quella pioggia implacabile che sembra non finire mai, che li riporta con la mente all’alluvione di Acireale del marzo del 1995 dove è successo qualcosa che non riescono a dimenticare. Da allora sono passati vent’anni ma ancora ci pensano.

Quando Mario, Simone e Nino apprendono della rapina e dell’uccisione della guardia per mano dei tre tizi con le stesse maschere che hanno indossato al bar intuiscono di essere nei guai.

Sei destini che si incrociano che sfoceranno in una fuga drammatica.

“Quando saremo grandi” di Antonella Caputo, Les Flâneurs Edizioni a cura di Valeria Gatti

7 novembre 2022

Crescendo comunque Laura gli fu grata per averle svelato il linguaggio delle onde. Le onde si allungano e si innalzano, portando con sé quello che sfiorano, lambiscono i pensieri, li attraversano, li ammorbidiscono. Le piaceva il mare in burrasca. Ogni volta, dopo la risacca, si sentiva più buona.”

Il mare è uno sfondo che crea spesso una gradevole atmosfera, in letteratura. Sarà per il suo fascino naturale, o per quei colori che, una volta abitati, difficilmente si possono scordare. Lo si considera un paesaggio ambito anche per il contesto ambientale che detta i ritmi quotidiani, e anche per quel linguaggio speciale che cita Laura, una delle protagoniste di “Quando saremo grandi” di Antonella Caputo, Les Flâneurs Edizioni.

Il mare salentino – quello fuori stagione, però, ben lontano dalla sfarzosità dell’estate – è lo sfondo che accompagna la storia di Laura e Riccardo, due amici di vecchia data, divisi fisicamente da mezza Italia (lui è a Bologna, in via temporanea, ma il cuore è rimasto in Puglia). Lei è la classica brava ragazza, studiosa e responsabile, che, tuttavia, sta vivendo una fase della sua vita in cui tutte le sue certezze stanno vacillando: ha abbandonato lo studio, è in cerca di un lavoro e di sé stessa. Riccardo vive la vita con la leggerezza tipica della giovane età e anche lui ha qualche dubbio, ma non ha ancora deciso se ammetterlo. I due ragazzi si cercano e si trovano, entrambi hanno bisogno l’uno dell’altra.

Il romanzo è diviso in tre parti. La prima di queste è una sorta di presentazione dei personaggi, del contesto, di ciò che sta per accadere. Nelle sezioni seguenti, si avverte un cambio di marcia: il lettore si trova catapultato in una vicenda che cambia totalmente l’approccio alla lettura. La trama diventa più articolata, ha contorni torbidi, è densa di disagio personale, di paure e abbandoni, di famiglie che devono affrontare dolori e solitudini, di aspettative tradite, di bugie, ma anche di determinazione e coraggio.

Quando nella vita di Laura arrivano Stefano, la piccola Gaia e l’ombra di Elisa – la mamma di Gaia, una delle figure più enigmatiche dell’opera – inizia il viaggio a cui partecipa anche Riccardo e altri amici. È un viaggio lungo l’Italia, fisico e metaforico, che espone il gruppo a una tempesta emotiva travolgente. A tratti, infatti, questo viaggio ha le sembianze di una battaglia. E come tutte le battaglie è spietata, senza ritorno, dolorosa.

L’amore, l’amicizia, la maternità, i rapporti familiari sono temi che ricorrono spesso, durante la narrazione. Una narrazione che riesce a mantenere uno stile fresco, mai opprimente. Il tono di voce del narratore resta costante, amichevole, leggero, anche quando la trama affronta drammi e sofferenze psicologiche. L’autrice ci è riuscita anche grazie a una particolare tecnica di scrittura: pensieri, intercalari e parti di dialoghi sono talvolta inseriti direttamente nella narrazione, creando così un momento di lettura continuo.

“Quando saremo grandi” è un romanzo che racconta la fatica di vivere, di trovare il proprio posto nel mondo e nella società, di incomprensioni, di legami che si spezzano, e soprattutto, di quelli che restano. Nonostante tutto.

:: Blogtour: A cena con l’assassino di Alexandra Benedict

7 novembre 2022

֎ La trama ֎

Lily Armitage ha deciso che non metterà mai più piede a Endgame House, la grande dimora di famiglia in cui sua madre è morta ventuno anni prima. I suoi propositi, però, vacillano quando riceve una lettera dalla zia, che la invita alla sfida tradizionale che si tiene ogni anno: il Gioco di Natale. In cosa consiste? I partecipanti dovranno trovare dodici chiavi con i dodici indizi a disposizione. Quest’anno c’è un premio speciale: l’atto di proprietà di Endgame House.
A Lily non interessa nulla della casa, ma nel biglietto c’è un dettaglio che basta da solo a convincerla: durante i giochi verranno rivelati gli indizi per scoprire finalmente la verità sulla morte di sua madre. Ma è davvero così o si tratta di uno scherzo di pessimo gusto?
Per scoprirlo, Lily deve trascorrere dodici giorni nella grande casa insieme ai cugini, risolvendo enigmi e indovinelli per rivelare, uno a uno, i segreti più oscuri della famiglia Armitage.
Quando una tempesta di neve isola la casa da ogni contatto con l’esterno, tutto può succedere…

֎ L’autore ֎

È un’autrice pluripremiata di ro­manzi, racconti e sceneggiature. Ha composto musica per film, TV e radio, e, più recentemente, per produzioni BBC Sounds e Audible. Tiene corsi di Scrittura creativa di genere crime e thriller alla City University. Il suo primo libro è rimasto per mesi ai primi posti delle classifiche.

֎ Il commento ֎

E’ novembre, poco più di un mese e mezzo al Natale, ed è bene prepararci per tempo, tra i regali sotto l’albero perchè non mettere un thriller a enigma come A cena con l’assassino di Alexandra Benedict (titolo originale The Christmas Murder Game)?: una magione avita in palio, una ragazza simpatica e sveglia come protagonista, una riunione di Natale coi parenti (i temibili parenti), un enigma da risolvere molto doloroso per la protagonista. E soprattutto se non si gioca solo per risolvere indovinelli ed enigmi, ma c’è dell’altro?
Lily Armitage riceve una lettera della zia, madre adottiva, appena defunta e non sa cosa fare. Si era ripromessa che a Endgame House non ci evrebbe mai rimesso piede dopo la morte della madre, Mariana. E invece ora l’invito per il tradizionale gioco natalizio la tenta, la zia le promette di svelargli gli indizi per capire una volta per tutte come è davvero morta sua madre. E Lily pur riluttante sa che non può perdere questo appuntamento, essendo l’ultimo desiderio dell’amata zia, così torna a Endgame House. L’accoglie il sorriso dolce e rassicurante di Isabelle, figlia di Martha avvocato degli Armitage e amica di Liliana sua zia e le conferma che la donna pensava che sua mamma fosse stata assassinata e non si fosse suicidata. Basteranno 12 giorni per scoprire la verità? E soprattutto la vita è davvero un gioco? Bisogna prendere tutto con questa filosofia, la vita e la morte? Sa che non è vero che sua madre morì a causa sua, che la maternità la distrusse come pensano i parenti, sa che c’è dell’altro ed è intenzionata a scoprirlo…
Se amate i romanzi di Agatha Christie, e i gialli ambientati nelle magioni di campagna inglese troverete questa lettura piacevole e interessante. Ben scritta, ironica, con risvolti anche seri, la storia si dipana tra indovinelli e giochi portando a galla i segreti di una famiglia e si sa tutte le famiglie hanno segreti e non tutti si vuole che vengano a galla. Per passare un Natale diverso in compagnia, o da soli davanti al caminetto, mentre i ciocchi ardono scoppiettanti. Buona lettura!

:: H.P. Lovecraft. Edizione annotata (Mondadori 2022) Recensione a cura di Emilio Patavini

4 novembre 2022

«Non è morto ciò che può vivere in eterno,

e in strani eoni anche la morte può morire»

(H.P. Lovecraft, La città senza nome)

Scrittore, poeta, saggista ed epistolografo – autore, si stima, di un centinaio di migliaia di lettere. Nativo del New England e uomo del Rhode Island, tanto da aver fatto incidere sulla propria lapide I am Providence (“Io sono Providence”). Figura chiave della narrativa fantastica e capostipite della weird fiction. Scrittore pulp e al tempo stesso continuatore della tradizione gotica americana inaugurata da Edgar Allan Poe. Arcaista nello stile e grande innovatore del suo genere, che mischia orrore e fantascienza. Narratore di quella che definì «la più antica e potente emozione umana», la paura dell’ignoto. Maestro nel creare mondi di orrore cosmico e universi alieni e indifferenti spalancati su abissi indicibili. H.P. Lovecraft è tutto questo: è «il Copernico dell’horror», per usare una felice espressione di Fritz Leiber, è il gigante sulle cui spalle stanno intere «generazioni di scrittori di horror fiction» (Joyce Carol Oates), da Robert Bloch a Stephen King. Questa splendida e curatissima edizione Mondadori annotata da Leslie S. Klinger e introdotta da Alan Moore è un degno omaggio al Solitario di Providence. L’edizione italiana dell’opera di Klinger, curata da Massimo Scorsone e targata Oscar Draghi, contiene un migliaio di note che approfondiscono numerosi aspetti della vita e delle opere di Lovecraft, oltre a quasi trecento illustrazioni, tra cui alcune sgargianti copertine dei pulp magazines d’epoca, come Weird Tales e Astounding Stories. Viene antologizzato in questo volume il meglio della produzione narrativa lovecraftiana: ventidue opere tra romanzi brevi e racconti, tra cui Dagon, Il richiamo di Cthulhu, Il colore venuto dallo spazio, L’orrore di Dunwich, Le montagne della follia, La maschera di Innsmouth e molti altri. Le traduzioni dei racconti sono tratte dal volume Tutti i racconti (Mondadori 2017) curato da Giuseppe Lippi, ma il curatore ha ritradotto alcuni passaggi laddove richiesto dal commento di Klinger. Dopo l’introduzione di Alan Moore segue la corposa ed esaustiva prefazione di Leslie S. Klinger, essenziale punto di partenza per conoscere Lovecraft. La prefazione si apre con una accurata storia del genere horror, dall’antichità fino all’epoca d’oro dei pulp magazines, passando naturalmente per gli ispiratori di Lovecraft: Edgar Allan Poe, Ambrose Bierce, Robert W. Chambers e i suoi quattro «maestri moderni» – Arthur Machen, Lord Dunsany, Algernon Blackwood e M.R. James. Segue un breve profilo biografico in cui, tra le altre cose, Klinger ci presenta il ritratto di un lettore onnivoro (scopriamo essere divoratore dei pulp), mente curiosa attratta dalla chimica, dall’astronomia e dai classici greci e latini. In seguito viene presa in esame la carriera letteraria di Lovecraft, dai suoi esordi come autore di articoli scientifici amatoriali (compresa una sua lettera pubblicata su Scientific American) fino alla produzione narrativa, oltre naturalmente alla sua attività prolifica e quasi compulsiva di epistolografo. Mi sarei aspettato anche qualche cenno alla sua vasta opera poetica, tuttavia non presente in questa sezione. Analizzando la ricezione critica di Lovecraft, Klinger cita la stroncatura da parte del critico di The New Yorker, Edmund Wilson, tristemente noto per aver definito Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien «juvenile trash» (“robaccia per bambini”). Inutile dire che a Wilson non piacesse neanche Lovecraft: definì infatti «ciarpame» i suoi racconti e ironizzò che l’unico orrore suscitato dai suoi scritti è «l’orrore suscitato dal cattivo gusto e dalla pessima scrittura». Viene quindi analizzato il pensiero filosofico dell’autore (il “cosmicismo”) e ripercorsa la storia dei cosiddetti Cthulhu Mythos, definizione coniata da August Derleth per designare la mitologia personale di H.P. Lovecraft (da lui chiamata «ciclo di Arkham» in una lettera a Clark Ashton Smith), che si differenzia dal legendarium tolkieniano «visto e considerato che nessuna orditura linguistica e mitologica accuratamente elaborata appare sottesa alle sue invenzioni narrative» (p. LXIV). I racconti sono preceduti da alcune righe di presentazione e corredati da illustrazioni comparse sulle riviste (una sua tutte, Weird Tales), fotografie di luoghi citati o che hanno ispirato l’autore, locandine di film, pagine manoscritte e schizzi autografi di Lovecraft, copertine dei suoi libri, mappe e molto altro. In fondo al volume troviamo le appendici: una tavola cronologica degli eventi narrati nelle opere di Lovecraft, il personale docenti della Miskatonic University, uno scritto di Lovecraft sulla Storia del «Necronomicon», la genealogia degli Antichi, una cronologia della produzione narrativa lovecraftiana compilata da S.T. Joshi, una cronologia dei racconti scritti in collaborazione con altri autori o come ghostwriter, un interessante rassegna delle principali influenze lovecraftiane sulla cultura popolare (dai giochi di ruolo alla band rock H.P. Lovecraft fino ai fumetti EC Comics), una tabella dei lungometraggi cinematografici basati sulle sue opere, una lista degli adattamenti audio e radiofonici e infine una nutrita bibliografia contenente i testi consultati e le edizioni di riferimento dell’opera lovecraftiana. Non siete ancora convinti? Sentite cosa hanno detto di questo Lovecraft annotato: Joyce Carol Oates lo ha definito «un tesoro per tutti i fan di Lovecraft», Harlan Ellison «una pietra miliare degli studi sulla moderna letteratura gotica», S.T. Joshi «una magnifica festa per la mente per ogni appassionato di Lovecraft e della weird fiction». Insomma, questa miniera di informazioni sulla vita e le opere del Solitario di Providence non può mancare nelle librerie di studiosi e appassionati.

Leslie S. Klinger (1946) è uno dei massimi esperti di Sherlock Holmes, Dracula, Frankenstein e H.P. Lovecraft. È il Tesoriere della Horror Writers Association. Laureato in inglese all’University of California e in legge all’University of California School of Law, vive a Malibu, California, e pratica la professione legale a Westwood, California. Ha curato le edizioni annotate di Sherlock Holmes, American Gods e Sandman di Neil Gaiman e Watchmen di Alan Moore.

Source: inviato dall’editore. Si ringrazia l’Ufficio Stampa Oscar Mondadori.

:: Dal 7 al 12 novembre a Roma IL FASCISMO, UN VENTENNIO DI IMMAGINI

3 novembre 2022

Sesta edizione per il Progetto e le forme di un cinema politico, la manifestazione ideata e organizzata dalla Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e dalla Fondazione Gramsci, che quest’anno volge il suo sguardo sul centenario della marcia su Roma attraverso una serie di appuntamenti culturali che mirano ad approfondire l’eco e gli effetti di un segmento della storia italiana del Novecento – la presa di potere da parte di Mussolini e il delinearsi della categoria politica di fascismo – sul resto dell’Europa e del mondo. In particolare, ad essere investigata sarà la sfera cinematografica nella sua dimensione politica di un uso propagandistico in cui il regime fascista si distinse, alimentando un’industria che pose alcune premesse per la successiva affermazione del cinema italiano e che generò un immaginario collettivo che investì non solo il cinema ma tutte le arti.

Oggetto della manifestazione Il Fascismo: un ventennio di immagini, in programma dal 7 al 12 novembre a Roma in diversi luoghi – Casa del Cinema, Università Roma Tre (Dams), Sapienza Università di Roma e Libreria Spazio Sette –  non sarà solo la documentazione audiovisiva della marcia su Roma e il cinema, di propaganda e non, prodotto sotto il regime fascista, ma anche il cinema, non necessariamente italiano, che si è interrogato sui caratteri del fascismo o ha proposto, fino ai nostri giorni, riusi originali delle immagini del periodo fascista, alimentando la rielaborazione della sua memoria storica e del suo immaginario.

Il programma vuole prendere altresì in considerazione le teorie del cinema e le estetiche dell’immagine che hanno trovato nell’ideologia fascista un referente ideale o polemico, ma anche quelle teorie ed estetiche che hanno incrociato l’emergere di un’industria cinematografica italiana negli anni del regime (esempio ne sono gli scritti di Rudolf Arnheim nel suo soggiorno in Italia) e quelle che invece hanno tentato un’interpretazione del posto occupato dal fascismo nell’immaginario novecentesco e contemporaneo.

Ad integrazione della classica formula espressa nelle precedenti edizioni – una cospicua rassegna cinematografica introdotta da esperti e una giornata di studi, con la presentazione di un nuovo volume sull’argomento, saranno organizzati, in sedi universitarie, lezioni seminariali di approfondimento, con proiezioni di documenti dell’epoca, tratti sia dal cinema documentario che da quello di finzione. Un’occasione, dunque, per offrire a un pubblico multigenerazionale – ed in particolar modo ai giovani – una conoscenza trasversale tra storia, ideologia e arte cinematografica, del Fascismo sotto la duplice macchina da presa realistica e di finzione. L’ingresso ai film e agli incontri è libero a tutti.

L’iniziativa, realizzata grazie al sostegno del MIC Divisione Cinema e Audiovisivo, è in collaborazione con il CSC – Cineteca Nazionale, Istituto Luce Cinecittà, la Casa del Cinema, l’Università degli Studi Roma Tre, Sapienza Università di Roma e Libreria Spazio Sette. Media partner: “Il Manifesto” e Radio Radicale.

Il gruppo di studio e lavoro del progetto è composto da: Dario Cecchi, Damiano Garofalo, Maria Chiara Giorgi, Marco Maria Gazzano (in memoria), Alma Mileto, Pietro Montani, Claudio Olivieri, Ivelise Perniola, Giacomo Ravesi, Paola Scarnati (coordinamento), Giovanni Spagnoletti, Ermanno Taviani, Vincenzo Vita (presidente AAMOD), Maurizio Zinni. 

Scarica il programma completo qui.

:: Le ricette di Gessica di Gessica Runcio (De Agostini Libri 2022) a cura di Giulietta Iannone

2 novembre 2022

Coloratissimo, semplice, divertente Le ricette di Gessica di Gessica Runcio è un manuale di cucina che ha attirato subito la mia attenzione. Gessica Runcio è una blogger di cucina italiana, nata in provincia di Messina, che fa della cucina siciliana il cuore della sua attività ai fornelli. Famosissima, gestisce una pagina Istagram molto frequentata e un sito Le ricette di Gessica sul blog di cucina credo più visitato d’Italia, Giallo zafferano. Gessica è depositaria di una cucina semplice e gustosa, ricca dei colori della sua terra di origine che porta sulla tavola dei tanti che seguono le sue ricette e hanno imparato a cucinare proprio grazie a lei. Oltre a ricette tipiche della cucina siciliana sul suo manuale troverete anche tante ricette della cucina classica italiana, altre per quando avrete fretta e dovrete imbandire una cena o un pranzo in pochi minuti. Oltre a tanti consigli pratici, anzi segreti, che si passavano da generazioni le donne della sua famiglia come il trucchetto su come togliere la punta di acido dal sugo di pomodoro. Chi non si è lamentato perchè il sugo di pomodoro in lattina (la passata conservata) è troppo acido e magari ci aggiunge un pizzico di zucchero? Beh, lei ci spiega come fare senza alterare il sapore delle pietanze. E questo è solo uno dei tanti che scoprirete sul suo manuale. Primi, secondi, dolci, antipasti, ce ne è per tutti i gusti, e il tutto è spiegato in modo chiaro ed esauriente, con dosi (reali) da usare nella preparazione dei cibi di tutti i giorni e simbologie per chi adotta una cucina vegetariana o vegana. Come si giudica un manuale di cucina? Sperimentando le sue ricette, partendo dalle più semplici (l’arrosto e lo spezzatino) alle più elaborate (dalla pasta alla Norma, alla caponata, agli arancini). Ogni cuoca ha i suoi segreti, per esempio mio padre aveva un ristorante e cucinava divinamente, ma mai ha voluto neanche con noi figli svelare le sue ricette. Dovevamo imparare guardandolo e vi assicuro che non è stato così facile. I tempi, l’alternanza e l’ordine con cui miscelare degli ingredienti, la qualità degli ingredienti stessi, le dosi fanno la differenza e rendono un piatto speciale o solamente commestibile. Gessica Runcio non spodesterà la regina indiscussa dei manuali di cucina italiani Benedetta Rossi, ma è molto brava e seguendo le sue indicazioni si cucinano davvero piatti molto molto buoni, seguendo la tradizione e con un poco di fantasia. Poi tutti sanno che i dolci siciliani sono i più buoni del mondo, imparerete a fare la cassata e i cannoli, rendendo i vostri pranzi di famiglia un vero successo. Un po’ la invidio Gessica Runcio è riuscita a fare del suo hobby il suo lavoro, è riuscita a diventare un’imprenditrice in un mondo competitivo e ricco di talenti come quello dei foodblogger, ma bisogna solo ammirarla e cercare di carpirle i suoi segreti, che dispendia anche molto generosamente, per diventare cuochi migliori anche nella vita di ogni giorno.

Gessica Runcio è nata in provincia di Messina. Ai fornelli fin da quando era piccolissima, ha sempre amato cucinare. Dopo aver lavorato nel negozio di famiglia, dodici anni fa ha aperto il blog di cucina Le ricette di Gessica, che insieme alle sue pagine Facebook e Instagram considera il suo “quaderno digitale delle ricette” che ama condividere con chi la segue. Con il tempo è diventata top blogger e content creator di Giallo Zafferano. Vive a Milano con la sua famiglia.

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Silvia Ufficio Stampa De Agostini Libri.

:: Fantasmi di Paolo Panzacchi (Clown Bianco Editore) a cura di Paola Rambaldi

2 novembre 2022

Paolo Panzacchi – Ferrara – è al suo quinto romanzo dopo: L’ultima intervista, Drammi quotidiani, Il pranzo della domenica e Dove nasce l’odio e la pubblicazione di decine di racconti in riviste e antologie.

“Lui dovrebbe pensare meno al lavoro, lei meno alla gravidanza, entrambi dovrebbero dedicarsi con maggior costrutto alla coppia, alla loro vita di relazione. Tutto questo può essere molto facile e impossibile al tempo stesso, sta nelle motivazioni che due persone riescono a darsi per tenere in piedi la loro storia. Il dialogo, anche all’interno di una coppia che litiga, che discute, che si azzuffa, è fondamentale. Non è un paradosso il parlare anche in momenti di tensione; certo, la cosa più facile è vomitarsi addosso ogni ansia, paura, motivo di rabbia, di risentimento. C’è anche chi si trincera dietro una sciatta scena muta. Sviscerare i concetti alla base della discussione può sembrare accanimento terapeutico, in realtà è bisogno di approfondire, comprendere a fondo le ragioni che hanno portato due persone che si amano fino a quel punto.” Pag, 20

Di Fantasmi colpisce l’accurata analisi psicologica dei personaggi.

I fantasmi del libro sono i sensi di colpa. E qui ognuno ha il suo.

La svolta per Giulio, il protagonista, arriva il 20 settembre del 2004 con un incidente che manda in coma lui e uccide Mario, il suo migliore amico. Una tragedia che lo segnerà per sempre.

Ubriachi, su un Porsche, scendono a tutta velocità le colline bolognesi. Giulio guida.Mario chiede di andare piano. Mario vuole che lasci Carlotta. A lui, Carlotta, non è mai piaciuta. Giulio non ascolta. Eppure Mario parla per il suo bene e ha ragione. Conosce entrambi fin dalle elementari. Sono come fratelli. Giulio ignora le sue raccomandazioni, non vede una curva, e finisce contro un muro. L’amico muore e Giulio resta in coma per tre giorni.

Da allora, Giulio, non ha più smesso di piangere per l’amico, per Carlotta e per se stesso.

Ogni volta che socchiude gli occhi rivede Mario morire.

Si può vivere senza morire di paura?

Dopo la laurea in Inghilterra, Giulio, torna a Bologna, sposa Carlotta, trova un ottimo lavoro, conducono una vita invidiabile, ma il senso di colpa per Mario è sempre lì, incontrollabile, e Giulio finisce per bere anche durante l’orario di lavoro.

È infelice. Ha il vomito, vorrebbe solo fumare e dormire e decide di non decidere.

Ma Carlotta è convinta che con un figlio tutto si risolva. Non sopporta l’autodistruzione di lui, l’incomunicabilità senza ritorno della loro relazione e lo tradisce con Diego.

Mario ci aveva visto giusto sul rapporto con Carlotta, era una storia sbagliata.

Dal 20 settembre 2004 sono passati quindici anni, Giulio ora ne ha trentacinque, ed è come non fosse mai sceso da quel Porsche, sceglie di non far niente per cambiare e di far del male a se stesso.

È stanco e privo di forze e non ha nessuno con cui condividere il suo malessere. Riprende a guidare veloce. Tira avanti bevendo fino a che non conosce Greta.

Il primo incontro positivo dopo tanto tempo.

Una donna che finalmente lo ascolta senza dare giudizi.

Giulio ha perso il cellulare in un locale e Greta gliel’ha ritrovato. Non si conoscono anche se lei lo riempie di domande e lo chiama Giulietto, proprio come lo chiamava Mario. E quel Giulietto gli fa uno strano effetto.

Giulio può finalmente spiegare a Greta e a se stesso come sono andate davvero le cose.

Finora non l’ha mai ascoltato nessuno.

La vita, dopo quindici anni, gli offre ancora una grande opportunità, ma lui sarà pronto a coglierla?

Fantasmi è un romanzo sulle seconde occasioni.

Paolo Panzacchi nato a Sassuolo per puro caso, una vita a Bologna, ora vive a Ferrara.
Scrittore (dicono), fotografo (dice lui), blogger (quel che è).
Fazzoletto da tasca colorato, occhiale sulla punta del naso per darsi un tono, centomila idee nelle tasche.
Ogni tanto un’idea scappa e diventa realtà.
Se ho omesso qualcosa, se volete sapere di più, non siate timidi, chiedete, se avrà voglia risponderà.

Source: libro del recensore.

:: Arco di Trionfo di Erich Maria Remarque (Neri Pozza 2022)

1 novembre 2022

Dietro l’Arc de Triomphe illuminato dai riflettori, un’enorme bandiera rossa, bianca e blu garrisce nel vento. Nel cielo coperto la sua ombra sbiadita e stracciata sembra un pennone a brandelli, sprofondato nelle tenebre sempre piú fitte.
È il 1938, e a Parigi i segni della catastrofe incombente si percepiscono ovunque, nei volti dei passanti, nei caffè, nei bordelli, nel cuore pulsante di una città che si avvia alla rovina. La Ville Lumière è l’albergo dei rifugiati di mezza Europa, spagnoli, italiani, tedeschi soprattutto. Svolgono i mestieri piú ingrati per vivere, con l’incubo sempre di essere scoperti dagli altri ospiti dell’albergo parigino, le spie dei regimi da cui sono scappati.
Ravic lavora in un bordello. Cura le prostitute, ragazze che si danno al mestiere per «premunirsi contro il degrado». A volte esegue operazioni chirurgiche in un ospedale, al posto di medici francesi non in grado di farle. Ravic è infatti un bravo chirurgo tedesco sfuggito alle grinfie della Gestapo e, con l’aiuto di amici, riparato clandestinamente nella capitale francese.
Trascorre le sue ore nei bordelli e nei caffè con l’animo di chi è stato privato della patria ed è alimentato soltanto dalla vendetta nei confronti del suo persecutore, Haake, l’uomo della Gestapo.
Nei romanzi di Remarque le ragioni del cuore e quelle crudeli della Storia si danno sempre appuntamento, e così accade in Arco di Trionfo. Ravic incontra Joan Madou, un’attrice dagli occhi grandi e chiari, impietriti in una cupa disperazione, una donna ferita a tal punto dalla vita da desiderare soltanto una cosa: sopravvivere.
Pubblicato per la prima volta nel 1946, oggetto nel 1948 di una fortunata trasposizione cinematografica diretta da Lewis Milestone e interpretata da Charles Boyer e Ingrid Bergman, Arco di Trionfo è una delle opere piú amate di Remarque, una indimenticabile storia d’amore e, insieme, uno dei romanzi politici piú riusciti della letteratura moderna.

Erich Maria Remarque nacque a Osnabrück nel 1898. Nel 1916, in piena Grande Guerra, fu spinto ad arruolarsi volontariamente e nel 1917 fu spedito sul fronte occidentale, dove rimase gravemente ferito. Il suo primo romanzo pacifista, Niente di nuovo sul fronte occidentale, fu pubblicato nel 1929. Nel 1933 i nazisti bruciarono e misero al bando le sue opere. Riparato in Svizzera, vi risiedette fino al 1939, anno in cui si trasferì negli Stati Uniti. Nel 1948 tornò in Svizzera, dove visse e continuò a scrivere fino alla morte, nel 1970. Neri Pozza ne sta ripubblicando l’opera omnia.

:: Il prezzo dell’onore di Giorgio Ballario (Edizioni del Capricorno 2022) a cura di Giulietta Iannone

1 novembre 2022

Asmara 1937. Il maggiore Aldo Morosini, ormai lasciata l’Arma dei Regi Carabinieri da alcuni mesi per la PAI, la Polizia dell’Africa Italiana, istituita nel 1936, si trova per la prima volta da indagatore di crimini e delitti nella spiacevole veste di indagato, di concussione per giunta, lui ligio e integerrimo funzionario dello Stato, la cui alta moralità non era stata mai messa in dubbio da nessuno. Tutto per la denuncia di Nestore Ravanelli, piccolo imprenditore edile, si scoprirà poi invischiato in traffici poco chiari e gravato di debiti, anzi sull’orlo della bancarotta a causa del demone del gioco. Quando nella sua scrivania vengono scoperte 10.000 Lire, la classica mazzetta o bustarella, che il Ravanelli dichiara essergli stata estorta dal maggiore, con le banconote per giunta segnate, anche per il suo diretto superiore, il Colonnello Delle Piane, comandante del PAI di Asmara, non ci sono dubbi: va sospeso dal servizio, senza stipendio, e i suoi conti in banca vanno congelati. Non che si impegni troppo a dubitare della “falsa” accusa, e procede forse con eccessivo zelo e fretta, alla messa in accusa di Morosini, ma in fondo non lo conosce che da pochi mesi. Tant’è che Morosini si trova senza lavoro, senza soldi, senza un tetto sulla testa, senza più la stima e l’onore che si è sempre guadagnato con anni e anni di onorato servizio e condotta specchiata. In casi come questo un militare può o puntarsi una Beretta alla tempia, o non arrendersi e impegnarsi a scoprire cosa c’è sotto. Il maggiore Morosini sceglie la seconda strada, e con l’aiuto dell’amico giornalista Bonvicini, del maresciallo Barbagallo e del fedele sciumbasci Tesfaghì, inizia a scavare in una storia così torbida da arrivare a vette di depravazione che è difficile immaginare peggiori. Quando Bonvicini gli trova lavoro come responsabile della sicurezza de La Gazzella Nera, locale notturno ben frequentato dall’alta società asmarina, potrà sembrare l’inizio di una discesa agli inferi per il nostro, ma si rivelerà una benedizione, proprio da lì il protagonista avrà infatti un punto di osservazione privilegiato per dipanare la matassa.

Il prezzo dell’onore, sesta indagine del ciclo noir del maggiore Morosini, è un romanzo che scava nelle pieghe più oscure della vita coloniale italiana del periodo: intrallazzi, corruzione, ricatti, omicidi, prostituzione, abusi sui bambini, insomma uno scenario più noir è difficile immaginarlo sotto la patina edulcorata dei proclami e della vita lussuosa e privilegiata dell’alta società del luogo. Non solo luce, ma molte ombre dunque di un mondo solo all’apparenza moralista e rispettabile, che nasconde invece tanto marciume capace di inquinare ogni anfratto e sovvertire ogni ordine, morale, sociale e legale. L’onestà di Morosini resta sullo sfondo, caparbia, ribelle, se vogliamo anche un po’ anarchica, anche se non esula da qualche cedimento che il maggiore vive tuttavia con doloroso disincanto come quando utilizza la sua amica Lucilla Santacroce per le sue indagini. Morosini legge Seneca, conosce Pirandello, arriverà a incontrare Renato Carosone, (dandogli consigli su come si conquista una donna da perfetto uomo di mondo) e finanche Pietro Ferrero, capostipite dell’omonima ditta dolciaria piemontese, ormai conosciuta in tutto il mondo, che se vogliamo getta le basi della sua fortuna proprio ad Asmara, vendendo il panettone Ferrero ai tanti italiani dell’alta Italia presenti nella colonia. Impreziosiscono il testo le strofe delle canzonette allora in voga (strategicamente funzionali al racconto) e i tanti aneddoti di vita coloniale. La bellezza della vegetazione, del clima relativamente mite della città (paragonato a quello di Massaua) e la bellezza classica della scrittura di Ballario che rispecchia in modo molto fedele anche la mentalità dell’epoca, i piccoli capricci, le tragedie. Continua anche il rapporto epistolare con Erika Hagen, fotografa tedesca e agente dei servizi segreti, della quale Morosini si è perdutamente innamorato, che sicuramente incontreremo di nuovo nei prossimi capitoli della serie. Buona lettura!

Giorgio Ballario, è nato a Torino nel 1964. Oltre a essere giornalista professionista ha pubblicato racconti in svariate antologie giallo-noir, tra cui, per Edizioni del Capricorno, Porta Palazzo in noir (2016) e Il Po in noir (2017), e sei romanzi: Morire è un attimo (2008), Una donna di troppo (2009), Il volo della cicala (2010), Le rose di Axum (2010), tutti appartenenti al ciclo del maggiore Morosini; Nero Tav (2013) e, per Edizioni del Capricorno, Il destino dell’avvoltoio (2017). Nel 2010 ha vinto con Morire è un attimo il Premio Archè Anguillara Sabazia e nel 2013 il Premio GialloLatino con il racconto Dos gardenias, pubblicato da Segretissimo Mondadori. Con Vita spericolata di Albert Spaggiari, biografia di un famoso ladro francese degli anni Settanta (2016), è stato finalista al Premio Acqui Storia. Fuori dal coro (2017) è una galleria di personaggi irregolari e controcorrente del Novecento. Dal 2014 è presidente di Torinoir, sodalizio di scrittori torinesi malati di noir.

:: Chi si ferma è perduto di Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone (Sellerio 2022) a cura di Valerio Calzolaio

29 ottobre 2022

Ponte San Giacomo, Pisa. Un’intensa settimana, di recente. La 45enne Serena Martini ora non viene retribuita per il lavoro che fa, ha due figli in piena dipendente età scolastica, da accudire nutrire accompagnare, Pietro (quasi tredici anni, studia violoncello) e Martino (dieci, si allena con lo judo), e il pur ottimo marito (da più di venti anni) Virgilio insegna all’Università, ordinario di Intelligenza Artificiale a Informatica. Si era laureata e aveva un po’ lavorato in quanto bravissima esperta di chimica sopramolecolare dei metalli (inorganica), aveva da sempre uno straordinario olfatto (organico) ancor più evidente da quando era divenuta sommelier (talora con collaborazioni retribuite in ristoranti), continua a domandarsi se cercare o accettare lavori a tempo pieno. Quella domenica mattina scopre per caso un cadavere. Durante la tradizionale camminata con le amiche Giulia e Debora le sono cadute le chiavi ed è rimasta fuori casa (i congiunti sono sulla spiaggia a giocare con il drone), torna sullo stradone del percorso, deve fare pipì, s’inoltra appena nel boschetto, vede il corpo senza più vita e sente almeno due odori (da polvere da sparo e da acidemia isovalerica), farà tardi al pranzo dalla suocera (ex sua arcigna docente di matematica del liceo). Qualcuno ha sparato al 54enne Luigi Caroselli, professore pro tempore di musica presso la scuola privata Della Casa di Procura Missionaria, solitario appartato e senza familiari, ecologista cacciatore, colto apprezzato clavicembalista e insegnante, abbastanza rompicoglioni a detta di molti. La scuola dell’obbligo è l’unica del posto, la discutibile gestione è delle suore, ci vanno tutti in paese, compresi i figli di Serena e delle sue amiche. La sovrintendente Ana Corinna Stelea indaga con buon piglio e rigore giuridico, è alta un metro e novantuno, capelli biondi e occhi grigi orlati di verde, bellissima e intelligente, non sposata né fidanzata, senza figli. Serena e Corinna s’intenderanno, dopo qualche sana diffidenza.

La chimica scrittrice Samantha Bruzzone (Genova, 1974) e il chimico scrittore Marco Malvaldi (Pisa, 1974) sono incidentalmente sposati da una ventina d’anni, da sempre appassionati di gialli per deformazione professionale. Nel loro primo bel romanzo a quattro mani fanno di continuo riferimento alle differenze fra fiction e no fiction, fra letteratura o cinema e realtà, scherzano. Malvaldi è divenuto un apprezzato originale vendutissimo giallista dal 2007 con l’inizio della celebrata divertente serie del BarLume. Nel 2011 iniziò a intervallare le avventure matematiche dei vecchietti di Pineta con altri romanzi di genere e con saggi di natura scientifica. Le divagazioni sono via via divenute prevalenti, per il gusto nostro e di lettori curiosi che cercano intrattenimento e divulgazione. Il giallo (umoristico) di coppia non è una divagazione. La moglie era sempre ringraziata dal marito per il contributo preventivo alle stesure dei testi, così questa volta la narrazione è in prima persona al femminile su Serena, intervallando ogni tanto un capitolo in terza su Corinna, con l’obiettivo (abbastanza riuscito) della “fusione di un punto di vista maschile e uno femminile”. Le acrobatiche digressioni sul lato comico o paradossale o assurdo o triste della vita sono continue e simpatiche e ruotano intorno all’indiscutibile fatto che “non sempre i genitori sono in grado di parlare con i figli”, fatto salvo che l’intreccio resta giallo e il dipanarsi della vicenda un’indagine su un crimine per scoprirne il o la colpevole (il o la?). Le pillole scientifiche sono salutari e benvenute (talora condite di polemiche contemporanee), si rintracciano anche qualche ricetta di pasticceria e spiegazioni sulla conservazione in frigo. Il paesino è minuscolo e inventato, il contesto quello pisano di San Giuliano Terme. Alla cena finale degustano Vorberg 2019 (Pinot bianco) per la pasta alla bottarga e San Leonardo 2016 (Merlot) per il pecorino al forno, poi rum. Molto gettonato Fabrizio De André.

Marco Malvaldi, laureato in chimica presso l’Università di Pisa, ha provato a fare il cantante lirico, ma ha abbandonato dopo poco per tornare alla professione di chimico. Esordisce nella narrativa nel 2007 con la serie dei vecchietti del BarLume, pubblicata da Sellerio: La briscola in cinque (2007), Il gioco delle tre carte (2008), Il re dei giochi (2010), La carta più alta (2012), Il telefono senza fili (2014); La battaglia navale (2016), A bocce ferme (2018). Da questa serie a partire dal 2013 è stata tratta una serie televisiva dal titolo I delitti del BarLume. Ha pubblicato anche Odore di chiuso (Sellerio, 2011, Premio Castiglioncello e Isola d’Elba-Raffaello Brignetti), giallo a sfondo storico, Milioni di milioni (Sellerio, 2012), Argento vivo (Sellerio, 2013),  Buchi nella sabbia (Sellerio, 2015) e i saggi L’ architetto dell’invisibile ovvero come pensa un chimico (Cortina Raffaello, 2017), Le due teste del tiranno. Metodi matematici per la libertà (Rizzoli, 2017), Per ridere aggiungere acqua. Piccolo saggio sull’umorismo e il linguaggio (Rizzoli, 2018), La misura dell’uomo (Giunti, 2018), Vento in scatola (Sellerio, 2019) e Bolle di sapone (Sellerio, 2021).
Suoi racconti sono inclusi nelle antologie di Sellerio: Un Natale in giallo (2011), Capodanno in giallo (2012), Ferragosto in giallo (2013), Regalo di Natale (2013, La tombola dei troiai), Carnevale in giallo (2014, Costumi di tutto il mondo).  Nel luglio 2013 vince il Premio letterario La Tore Isola d’Elba.
Nel 2019 pubblica per il Mulino assieme a Stefano Marmi Caos.

:: Dal libro al cinema: La Marie del porto di Georges Simenon a cura di Giulietta Iannone

29 ottobre 2022

“Acqua cheta scardina i ponti” è un detto popolare che ben definisce il personaggio enigmatico e sfuggente di Marie, protagonista del romanzo La Marie del porto di Georges Simenon, romanzo del 1938, che nel 1950 Marcel Carnè trasformò in un’opera cinematografica con al centro una star di prima grandezza come Jean Gabin (bisognerà aspettare il 1958 per vederlo nella sua prima interpretazione di Maigret ne “Maigret tend un piege” di Jean Dellanoy) e una giovanissima (e forse troppo bella) Nicol Courcel, forse al primo impegno importante, nel ruolo di Marie. Del cast facevano anche parte Blanchette Brunoy, Claude Romain, Louis Seigner, René Blancard, Charles Mahieu, Robert Vattier, Louise Fouquet, e Olivier Hussenot più comparse assortite che animavano il piccolo villaggio portuale (Port-en-Bessin) dove vive Marie e la cittadina più grande a pochi chilometri di Cherbourg. Avendo da poco letto il libro e visto in francese su Youtube il film (libero da diritti) ho colto l’occasione per parlarne nella mia rubrica Dal libro al cinema. Premesso che il mio francese non è così buono, e che dunque qualcosa forse ho perso dei dialoghi, tuttavia le immagini sono così espressive, che mi hanno concesso di fare le mie valutazioni. Innanzitutto è un film in bianco e nero, uscito in Italia con il titolo La vergine scaltra, Gabin ruba la scena e prima che ve lo chiediate aveva superato il visto della censura, Marie ha 18 anni, è maggiorenne, (sebbene ne dimostri meno) e sebbene il lui della storia, almeno nel film, (nel libro ha poco più che trent’anni), sia di mezza età e quindi la differenza di età alla sensibilità moderna possa fare un po’ storcere il naso, è una storia che può rientrare nei canoni del lecito.

Insomma Marie non è una bambina, e non ne ha la psicologia, è una giovane donna piuttosto scaltra se vogliamo, consapevole delle sue scelte, emancipata, e tipicamente francese oltre che proveniente da una classe sociale (è la figlia di un pescatore della zona) che sebbene goda di una certa agiatezza (ha una casa, una barca di proprietà etc…) conosce il significato della fatica, e del lavoro. Rimasta orfana ha due strade: finire sul marciapiede, o trovarsi un lavoro, sceglie di farsi assumere come cameriera nell’unico Caffè del porto. Nè Simenon né Carnè si fanno illusioni, questa è la realtà, la vita è un gioco duro sia nella Francia del 1938 che in quella del 1950 (la prostituta “sfortunata” seduta al tavolo del locale di Chatelard a cui offre dei soldi è un buon memento). Premesso che bisognerebbe scrivere un saggio per questo film comparato al libro e questo breve mio testo non ha nessuna pretesa di essere esaustivo, devo dire che anche se diverso per alcune sfumature (Marie si reca nel film a Cherbourg, nella tana di Henri Chatelard, perchè preoccupata per Marcel e non per la trappola, come nel libro, un po’ “vigliaccamente” ordita da Chatelard, con la complicità di Odile) anche il film è un piccolo capolavoro della svolta naturalista di Carnè. Il tono del film è più leggero che nel libro, Marie è più bella della ragazzina smunta e pallida descritta da Simenon, Odile nel film ha il bellissimo sorriso e l’eleganza di Blanchette Brunoy, ed è meno “oca” dell’ Odile simenoniana, insomma a volerci vedere differenze ce ne sono, e sostanziali, anche se lo spirito del libro è stato rispettato. L’uomo di affari (a Cherbourg ha un’elegante brasserie, e un cinema che gli rendono sicuramente bene) un po’ sbruffone e la povera cameriera di un caffè del porto insomma non potrebbero essere più diversi.

Nulla li lega, lui conosce le regole del mondo e le adatta ai suoi comodi, ha un’amante, sorride a ogni donna che si trova sulla sua strada, ha un’attività legale ma insomma permette alle prostitute di adescare clienti nel suo locale, insomma il clima di corruzione e disonestà poteva essere reso più sordidamente ma un po’ sfumato c’è. Chatelard per quanto simpatico non è uno stinco di santo, almeno per la morale dell’epoca, ma ha un cuore, come quando investe Marcel e lo porta da lui e lo fa visitare da un medico o dà i soldi alla prostituta che non riesce ad adescare nessuno, o già nella scena iniziale accompagna anche solo Odile al funerale del padre, o porta a Odile la colazione a letto (molto joyciana come scena) e soprattutto non usa la violenza per costringere Marie a subire le sue avance (nella scena clou del romanzo, come del film) e a sottomettersi al suo capriccio, capriccio che per lui non è, se ne accorge quando credendola in pericolo corre dietro alla corriera. Lei è modesta, povera, una cameriera senza futuro, fidanzata a Marcel, un giovane garzone di un barbiere che indubbiamente non ama, tutta la parte del tribunale per l’emancipazione è stata saltata, e dell’importanza data ai fratellini non se ne fa cenno, vanno via coi parenti senza drammi, ma nonostante questo è indipendente, si mantiene da sé, porta una piccola croce al collo, è una ragazza seria, di una purezza antica, che non è tentata di seguire le orme della sorella sognando Parigi, sorride poco, e solo quando pensa o vede Chatelard. Più che fare la sostenuta per calcolo mantiene la sua individualità senza compromessi. E la sua scaltrezza sta, pur anche nella sua giovane età, nel capire il fondo di bontà che c’è in Chatelard, molto migliore da come appare. Marie è un bel personaggio, forse il migliore personaggio femminile di Simenon, che Carnè valorizza in un film decisamente solare e luminoso ricco di pathos, e dolcezza. Ai dialoghi partecipò (non accreditato) Jacques Prévert.

:: La Marie del porto di Georges Simenon (Adelphi 2019) a cura di Giulietta Iannone

27 ottobre 2022

Un grappolo di case strette attorno a un piccolo porto di pescatori normanni, un molo sul quale si affaccia il Caffè della Marina, centro focale dell’intreccio, la modesta casa sulla scogliera dove abita Marie, la protagonista, e, sullo sfondo, la città di Cherbourg: sono i luoghi, quanto mai simenoniani, dove si svolge la vicenda di questo romanzo del 1938, a cui Simenon teneva particolarmente, come rivela la sua corrispondenza con Gide, al quale scrisse, a proposito della Marie: «È una buona cosa provare a se stessi che è possibile dare una personalità alle comparse incaricate di venire a dire: “La Signora è servita”». E aggiunse anche: «È il solo romanzo che sia riuscito a scrivere con un tono completamente oggettivo». La Marie del porto è una figura che non si dimentica nella vasta galleria delle donne di Simenon: una ragazzina poco appariscente, una vera «acqua cheta», che riesce a impaniare un uomo sbrigativo e spavaldo, avvezzo a vincere e comandare. Questo personaggio, Chatelard, scorge da lontano la smilza figuretta di Marie che segue compunta il feretro del padre, e se ne innamora. Per starle vicino, compra un peschereccio, che gli fornirà la scusa per tornare in paese e frequentare il Caffè della Marina dove la ragazza è stata assunta come cameriera. Chatelard crede di avere in pugno il proprio destino e quello della Marie, ma in realtà è quest’ultima a tessere con abilità consumata e ironica determinazione una sottile trama di eventi nella quale l’uomo si lascerà avvolgere.

Può un romanzo costituire una svolta nella carriera letteraria di un autore, fargli vedere, anzi intravedere, un luccichio di verità autentica, completamente oggettiva, dopo del quale nulla sarà più lo stesso? Per Simenon questo romanzo fu La Marie del porto, piccolo capolavoro, senza pretese, scritto nell’ottobre dell’1937 all’Hôtel de l’Europe, Port-en-Bessin-Huppain (nel Calvados, dipartimento francese della regione della Normandia). Un romanzo straordinario nella sua compiutezza, confermando il parere di Gide e dello stesso Simenon che se voleva essere giudicato lo voleva per questo singolo libro, o tutt’al più per due o tre altri romanzi scritti quell’anno. Ma cosa ha di così straordinario questo romanzo, nella seppur già straordinaria produzione di un autore precoce (ha iniziato a pubblicare romanzi a sedici anni) e prolifico, oltre che unico nel panorama della letteratura mondiale? Rispondere a questa domanda non è così semplice, perchè come aveva intuito l’autore stesso non è la dimostrazione platele di un qualcosa a essere importante, è all’opposto un barlume, un lampo, una sensazione a trasparire, un luccichio appunto della verità vera che trascende la realtà, e che non può essere trasmessa a parole che cercando di definire qualcosa di evanescente e imperscrutabile, delicatissimo, creativo e lieve come l’amore. In questa libro viene espressa l’essenza stessa dell’amore. Tutti noi (lettori) sappiamo che Marie e Chatelard si amano, prima di loro, prima della stessa Marie che tesse le fila di tutta la storia con il suo sorriso enigmatico di “acqua cheta”. Ma i sentimenti non sono così facili da esprimere tra fragilità e ritrosie, caparbietà e ostinazioni. Marie non ha niente di speciale, è una modesta ragazzetta senza futuro in una cittadina di pescatori sulla costa della Normadia. Ha 18 anni ma ne dimostra 15, è pallida, quasi smunta, vestita in abiti neri poco appariscenti, a differenza della sorella Odile che fa la vita a Cherbourg (ovvero è l’amante di Chatelard e questo fa di lei una donna perduta, che grande scandalo si trucca pure). E nonostante questo Chatelard, che potrebbe avere tutte le donne della zona, si innamora di lei vedendola neanche troppo nitidamente durante la processione di un funarele. Tutto infatti inizia con il funerale, appunto, di Jules Le Flem, rispettivamente padre sia di Odile che di Marie e di alcuni altri bimbetti. Marie, come i pescatori della zona gettano le reti per pescare i pesci e procurarsi il loro sostentamento, lei getta la sua rete per ottenere l’amore di un uomo di per sè molto diverso da lei, sia per condizione sociale, che per carattere. Nulla li lega, ma il sottilissimo filo invisibile del sentimento li avviluppa e e li avvolge senza che quasi se ne accorgano. Marie non è una scaltra arrampicatrice sociale, o venale opportunista, è una giovane donna che sa che nel suo mondo tutto quello vuole ottenere se lo deve conquistare duramente, con il lavoro, con il coraggio, la determinazione, e l’amore e la generosità per i fratelli prima e poi per lo stesso Chatelard, che non sarà una vittima dei suoi giochi sentimentali, ma un uomo che davvero ama, (riamata). Aveva scelta la giovane Marie nell’agire così? Nessuna, come combatte per la sua emancipazione, per avere la custodia dei fratelli, sottraendoli a un destino gramo di orfani nelle mani di parenti poco amorevoli, così combatte per Chatelard, recandosi senza difese nella trappola che lui gli tesse con la complicità inconsapevole di Odile (quando è naturalmente lei che regge le fila di tutto). Ma una giovane donna senza risorse, senza mezzi, senza istruzione, senza più i genitori che la difendano dal mondo, con solo il lavoro delle sue mani a separarla dalla vita, (strada che la più sciocca Odile ha intrapreso) può davvero permettersi il lusso di seguire i suoi sogni. Marie ha questo coraggio e dato che il destino premia gli audaci, potrà vedere coronati i suoi sforzi. Romanzo corale, di atmosfera, naturalista nella descrizione di paesaggi e ambienti, impressionista per quanto riguarda emozioni, senzazioni, palpiti del cuore.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: acquisto del recensore.