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:: Un’intervista con Elisa Guidelli, in arte Eliselle a cura di Giulietta Iannone

15 dicembre 2022

Bentornata Elisa su Liberi di scrivere, sono felice di ospitarti per questa nuova intervista. Hai appena scritto un libro per ragazzi molto particolare, dal titolo She- Shakespeare, ce ne vuoi parlare?

Grazie innanzitutto dell’ospitalità! She-Shakespeare racconta la storia della piccola Judith Shakespeare, che sbirciando tra le pagine dei libri di casa vede nascere in sé il desiderio fortissimo di andare a scuola. Scuola che però, nel XVI secolo è riservata ai maschi. Judith non vuole rassegnarsi e rinunciare alla vita che vorrebbe per sé e, quando vede in soffitta dei vecchi abiti da ragazzo, inizia a pensare a come aggirare il divieto.

Raccontaci un po’ com’era, da storica, la vita delle bambine inglesi nel XVI.

Le bambine e le ragazzine venivano cresciute con il compito bene chiaro di occuparsi, da ragazze e da adulte, della casa e della famiglia. Tutto ciò che era economia e lavoro domestico era contemplato, cura dei fratelli e dei padri per propedeutico alla cura, un giorno, dei figli che sarebbero arrivati. Le più fortunate, quelle appartenenti alle classi più agiate, potevano avere un tutore per imparare a leggere, scrivere e fare di conto, ma nulla più, dal momento che la dote matrimoniale sarebbe stata gestita dal futuro marito. Con esiti alle volte disastrosi.

Sulla vera identità di Shakespeare hanno costruite leggende, quindi non è tanto assurdo immaginare che fosse una donna, una ragazza. Chi nel passato per primo l’ha ipotizzato?

Già nell’Ottocento si comincia a ipotizzare che William Shakespeare fosse in realtà uno pseudonimo fittizio per celare altre identità. Si è parlato di Francesco Bacone, dei fratelli Florio, e c’è chi si è spinto a suggerire che fosse la stessa regina Elisabetta, appassionata di teatro, a scrivere, o una cortigiana della sua corte che, essendo donna, non poteva firmare le proprie opere. Sono tutte ipotesi interessanti e ricche di suggestioni, in cui una come me ci sguazza!

Dunque Judith Shakespeare si finge maschio per potere accedere a una scuola preclusa alle donne. L’istruzione, la cultura la letteratura come arma di emancipazione, di libertà e di autodeterminazione. Le donne sono state tenute lontane dagli studi superiori, nel passato e in alcune culture anche nel presente, per poterle dominare, per impedirgli di prendere coscienza di sé. E’ corretta questa interpretazione?

Nel presente, dati alla mano, abbiamo ad oggi 132 milioni di bambine che non hanno accesso all’istruzione per motivi politici, religiosi, culturali. E la cultura è da sempre uno strumento di emancipazione che permette a chi lo utilizza di abbattere differenze, divisioni, muri troppo alti. Le donne vengono tenute in un recinto, ancora oggi, in moltissimi luoghi, è ora di cambiare la situazione una volta per tutte.

Pensi che il tuo libro possa essere di aiuto alle ragazze, anche molto giovani, che si formano in questi anni difficili dove la parità di genere sembra assodata ma ci sono ancora tante discriminazioni. Per una donna è sempre difficile emanciparsi?

Può essere utile per riflettere sui corsi e ricorsi della storia, sul non dare mai nulla per scontato, anche quando alcune libertà sono state apparentemente raggiunte. Basta un soffio di vento per farle svanire e bisogna sempre stare all’erta per evitare di vedersele scippare da sotto il naso con la scusa di “bisogni maggiori” e “crisi inevitabili”.

Parlaci del teatro in epoca elisabettiana, non più teatro medioevale, non ancora teatro moderno. Un punto di incontro?

La tradizione teatrale inglese affonda le sue radici nelle sacre rappresentazioni all’interno delle chiese, che verso la fine del XIII secolo, escono da lì per svolgersi sui sagrati o nelle piazze. In questa fase si trasformano nelle miracle plays, che diventano di fatto rappresentazioni teatrali. La loro naturale evoluzione sono i morality plays, dei componimenti a carattere didattico e religioso che nascono alla fine del XV. In questa tradizione, nasce il genio di Shakespeare, che traghetta questo sapere verso il teatro rinascimentale elisabettiano.

Belle le illustrazioni di Arianna Farricella, come avete lavorato assieme?

Arianna ha fatto un lavoro bellissimo e la cover è super! Dopo aver letto il romanzo, mi ha mandato qualche bozza, e poi una lista dove con poche parole mi comunicava come “vedeva” le varie aperture: io non ho fatto altro che dire sì praticamente a tutto. Geniale.

Che responsabilità si hanno a scrivere testi per un pubblico di lettori anche molto giovane? Credi serva un approccio differente rispetto a quando si scrivono storie per adulti?

Io quando scrivo, scrivo. Non mi pongo problemi di linguaggio o tematiche di sorta perché sarebbe come dire che i ragazzi capiscono meno degli adulti (ti dirò, molto spesso è il contrario) o certe cose non possono affrontarle. Inoltre c’è il discorso della “discriminazione” che viene fatta nei confronti della letteratura per ragazzi, derubricata a volte a un genere “più semplice” o “minore” non solo da scrivere, ma anche da leggere e comprendere: non è affatto così, ci sono molti esempi di romanzi per ragazzi che lo dimostrano.

Nel ringraziarti per la disponibilità ti chiederei come ultima domanda qualche notizia sui tuoi progetti futuri.

Sto facendo ricerca per un nuovo romanzo per ragazzi, dal tema difficile. Lo sento necessario per diversi motivi legati al mio interesse personale per questo tema, e perché credo sia il momento di parlarne.

Ah, ho sentito parlare di progetti cinematografici… sono progetti concreti?

Ci sono diverse cose in ballo, interessanti, sia per lungometraggi che per serie tv. Incrocio le dita e spero che il 2023 porti belle conferme!

Ora è davvero tutto, ancora grazie.

Grazie a voi!

:: La danza del topino della foresta di Pirkko-Liisa Surojegin (Iperborea 2022) a cura di Giulietta Iannone

14 dicembre 2022

È arrivato l’autunno e gli animali della foresta hanno passato l’intera giornata a raccogliere funghi. Il tasso, la lepre, la volpe ne trascinano cesti stracolmi con cui prepareranno una deliziosa zuppa e faranno una grande festa. Sono esausti ma tutti molto felici. Tutti tranne il topino, che è di cattivo umore fin dalla mattina e ora, seduto in cima alla montagna di funghi che trasporta l’orso, chiede di scendere a terra e abbandona la comitiva. Non ha nessuna voglia di festeggiare, anzi, lui è l’unico così piccolo da non aver raccolto nemmeno un fungo, e adesso che è rimasto solo e si guarda intorno nell’immensità della foresta si sente una nullità. Finché non nota le foglie che cadono dagli alberi e che il vento fa volare tutt’intorno. Una gli passa sopra il musetto e lui prova ad afferrarla senza riuscirci. Allora comincia a saltare e volteggiare in aria inseguendo le foglie e giocando con loro, sempre più agile, leggero, euforico, mentre canticchia spensierato. «Non ho mai visto una danza più bella in vita mia», dice la lepre quando lo vede, rimanendone incantata. Felice e affamato, il topino raggiunge così la festa, dove tutti gli altri animali si mettono a ballare cercando di imitare la sua danza. Con una storia di delicata semplicità poetica e illustrazioni evocative e divertenti nel ritrarre la vita degli animali, questo libro incoraggia tutti i topini danzerini a credere in loro stessi.

Arriva dalla Finlandia un albo illustrato per bambini, dai tre anni in su, sui toni del verde, del marrone e del grigio. La illustratrice è Pirkko-Liisa Surojegin, la traduzione dal finlandese del testo è di Cristina Casaburi. Un albo poetico che ci porta nella foresta, in autunno, a contatto della natura, in compagnia dei simapitici ospiti di questo habitat: l’orso, la volpe, il lupo, la lepre, la puzzola, e un simpatico topino grigio e campagnolo, troppo piccolo per contribuire alla raccolta dei funghi per la zuppa che alieterà il pranzo della simpatica brigata. Ma il topino, che si sente per questo triste e inutile, ha altre doti nascoste… e questa è la morale di questo albo utile per trasmettere i valori dell’amicizia, della bellezza di stare insieme e che fa apprezzare le doti anche nascoste che ciascuno ha. Un simpatico dono per le prossime feste per i bambini di tutte l’età.

Pirkko-Liisa Surojegin (1950) è un’autrice e illustratrice finlandese nota per il tratto fine e preciso con cui ritrae la natura e il folklore del suo paese. Dopo gli studi artistici a Helsinki ha illustrato numerosi libri amati da bambini e adulti.

:: Istruzioni per il buon governo – Antologia in 360 massime sui principi per il retto governare della Cina antica – introduzione di Tiziana Lippiello, a cura di Ludovica Gallinaro (Marsilio 2022) a cura di Giulietta Iannone

12 dicembre 2022

All’inizio dell’era imperiale Zhenguan, l’imperatore Taizong della dinastia Tang (618-907) decretò che fosse redatta l’opera Qunshu Zhiyao (Istruzioni per il buon governo). Affidò a due ministri della corte il compito di catalogare il materiale storico e storiografico attinente all’arte di governo, scegliendo tra i classici, le compilazioni storiche e le opere di pensatori ogni contenuto che potesse illustrare i principi della coltivazione di sé, della cura della famiglia e del governo dello Stato. Durante la dinastia Song (960-1279) l’opera andò perduta, ma fortunatamente una copia manoscritta a cura dei monaci giapponesi dell’epoca Kamakura (1192-1330) fu conservata in una delle collezioni del Museo Kanazawa. Nel sessantesimo anno (1795) del regno dell’imperatore Qianlong della dinastia Qing (1644-1911) l’opera fu restituita alla Cina.
La raccolta consta di sessantacinque volumi divisi in cinquanta libri e racchiude, attraverso un’esperienza politica plurisecolare, l’essenza della cultura cinese. La versione qui pubblicata è una selezione di 360 aforismi divisi in sei capitoli: Il dao del governante, L’arte del ministro, Valorizzare le virtù, Sull’atto del governare, Avere ligia premura e Comprendere e giudicare.

Metti in pratica la virtù, e il tuo cuore sarà leggero, gratificato giorno dopo giorno. Segui la falsità, e il tuo cuore sarà affaticato, logorato giorno dopo giorno.

(Classico dei documenti, libro II)

Se alcuni monaci giapponesi dell’epoca Kamakura (1192-1330) non avessero copiato questo importante documento e non fosse stato conservato nel Museo Kanazawa, per poi nel 1795 restituirlo alla Cina, i sessanta volumi de “Istruzioni per il buon governo” (Qunshu Zhiyao) sarebbero andati perduti e noi non potremmo fare tesoro di questa sapienza secolare mai tanto utile quanto oggi. La saggezza cinese è in un certo senso un patrimonio dell’intera umanità, e in questa selezione di 360 aforismi troviamo un fulgido esempio di questo sapere antico. L’arte del governo è un’arte difficile, complessa, strettamente legata alla moralità e l’abilità dei governanti. Non si può essere un saggio e capace governanate senza essere un uomo retto, onesto, e lungimirante. Questo volume è splendido e curato, con testo cinese a fronte, e ci porta a conoscere l’essenza del retto governare, forse ancora più importante de L’arte della guerra del già famoso Tzu Sun, l’antico generale cinese, stratega e filosofo che può essere considerato il Machiavelli cinese, a cui è attribuito questo testo. L’arte del buon governo è un’arte pacifica, etica, morale, e tesa al benessere e alla felicità di tutti. Perchè il cuore sarà leggero se si pratica la virtù.

Ludovica Gallinaro ha conseguito le lauree in Filosofia e in Lingua cinese all’Università degli Studi di Padova e all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e ha ottenuto un dottorato in Filosofia cinese all’Università Tsinghua di Pechino con una tesi sul pensiero morale di Zhou Dunyi. Ha pubblicato articoli sul pensiero confuciano e neoconfuciano di epoca Song e svolge attività di traduzione di opere della filosofia cinese moderna e contemporanea.

Tiziana Lippiello, è rettrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. È autrice di numerosi saggi sul pensiero e le religioni della Cina antica, fra cui Auspicious Omens and Miracles in Ancient China: Han, Three Kingdoms and Six Dynasties (2001) e Il confucianesimo (2009). Ha tradotto e curato i Dialoghi di Confucio (20062). Per Marsilio ha curato La costante pratica del giusto mezzo (2010) ed è nel comitato scientifico della Letteratura universale Marsilio.

:: La mosca di George Langelaan (NPE 2022) a cura di Emilio Patavini

8 dicembre 2022

«Una mattina Gregorio Samsa, destandosi da sogni inquieti,

si trovò mutato, nel suo letto, in un insetto mostruoso»

(Franz Kafka, La metamorfosi, 1915)

Ritorna nelle librerie La mosca dello scrittore franco-britannico George Langelaan, un racconto breve che mischia orrore, fantascienza e dramma familiare. Dopo essere stato disponibile solo in antologie fuori catalogo, è stato recentemente ripubblicato dalla casa editrice specializzata in fumetto d’autore NPE Editore in una bellissima edizione curata da Denis Pitter, che ne è sia l’illustratore che il traduttore. Il racconto, intitolato The Fly, fu pubblicato originariamente in inglese su Playboy nel giugno 1957. Nel 1962 Langelaan riscrisse il racconto in francese pubblicandolo nell’antologia Nouvelles de l’Anti-Monde. Curioso il fatto che nel racconto originale (scritto in inglese) i nomi dei personaggi e le ambientazioni fossero francesi, mentre nella riscrittura in francese de La mouche (1962) tutti i riferimenti francofoni sono stati sostituiti da nomi anglofoni. Per fare alcuni esempi, François, André, madame Hélène e Henri Delambre diventano Arthur, Robert, lady Anne e Harry Delambre, o ancora il commissario Charas diventa l’ispettore Twinker. La traduzione della presente edizione è condotta sulla versione francese e contiene le integrazioni delle parti tagliate dalla seconda versione (1962). Il racconto ha avuto una fortunata serie di trasposizioni cinematografiche e persino una trasposizione operistica (2008), composta da Howard Shore su libretto di David Henry Hwang. La prima di queste trasposizioni cinematografiche è sicuramente The Fly, un film del 1958 con Vincent Price prodotto e diretto da Kurt Neumann. La pellicola uscì l’anno dopo la pubblicazione dell’omonimo racconto di Langelaan, ma da noi venne intitolata L’esperimento del dottor K. in riferimento a La metamorfosi di Kafka. Il film è ambientato in Canada e si apre con l’omicidio di André Delambre, il cui cadavere viene ritrovato sotto la pressa idraulica della sua fabbrica. Sua moglie Hélène (lady Anne, nel racconto) confessa l’omicidio del marito ma si rifiuta di spiegarne il movente. La strana calma di lady Anne / madame Hélène viene interpretata dai medici come sintomo di follia. Il film di Neumann e il racconto originale hanno la struttura di un noir, con un mistero da risolvere. Nel film il mistero viene svelato ricorrendo all’espediente del flashback di Hélène, mentre nel racconto lady Anne consegna una confessione scritta al cognato Arthur Browning. Se la sceneggiatura di James Clavell per il film di Neumann è molto fedele al racconto originale, tanto da trasporre intere scene e persino alcuni dialoghi, essa si discosta però nel finale. A The Fly di Neumann seguirono altri due film che composero una trilogia cinematografica: La vendetta del dottor K. (The Return of the Fly, 1959), diretto da Edward Bernds, e La maledizione della mosca (Curse of the Fly, 1965), diretto da Don Sharp.

Nel 1986 il regista canadese David Cronenberg realizzò un celebre remake di The Fly, uscito con lo stesso titolo e divenuto un film di culto. La sceneggiatura era scritta da Charles Edward Pogue e da David Cronenberg, mentre la colonna sonora, come in moltissimi altri film del maestro del body horror, venne affidata a Howard Shore. La mosca di Cronenberg ha anche un seguito, La mosca 2 (The Fly II, 1989), diretto da Chris Walas, vincitore dell’Oscar al miglior trucco 1987 assieme a Stephan Dupuis proprio per La mosca di Cronenberg.

La storia è la stessa: uno scienziato geniale è alle prese con una macchina capace di disintegrare la materia e di teletrasportarla da un luogo a un altro. Da notare che nel racconto – e nel film di Neumann – non si parla mai di “teletrasporto”, bensì della «disgregazione e la riaggregazione della materia» (p. 15). Dopo i primi tentativi fallimentari, il teletrasporto sembra funzionare, così lo scienziato decide di entrare nella macchina in prima persona, senza accorgersi che una mosca è entrata nella cabina, causando una inattesa fusione uomo-insetto. Ne L’esperimento del dottor K., quello di Delambre non è il lento e mostruoso deterioramento fisico e morale di Seth Brundle, ma un incidente improvviso. Tuttavia, nel racconto, dopo un ulteriore esperimento, Robert Browning non ha più solo la testa di mosca ma anche alcune parti appartenenti a Dandelo, il gatto disintegrato in uno dei suoi primi esperimenti, che compare anche nel film di Neumann con il nome di Isabelle, la povera gatta che continua a miagolare misteriosamente anche una volta dematerializzata.

In entrambe le pellicole è sempre l’hybris a spingere uno scienziato a varcare «confini che l’uomo non dovrebbe superare», per usare una citazione dal film di Neumann, e inoltre è di primaria importanza l’amore che lega lo scienziato a sua moglie Hélène (L’esperimento del dottor K.) o alla giornalista di cui si è innamorato (La mosca), tanto che Cronenberg ha definito il suo remake una «commedia romantica». Nel film di Neumann la tensione viene scandita dal costante ronzio della mosca in sottofondo fino al ritrovamento finale che permette a Hélène di non essere accusata dell’omicidio del marito. Ne La mosca di Cronenberg il crescendo di tensione segue il declino fisico e morale di Brundle e si accompagna a una abbondanza di sequenze raccapriccianti e disgustose.

George Langelaan (1908-1972), nato a Parigi da padre inglese e madre inglese, lavorò prima come giornalista e poi, durante la Seconda Guerra Mondiale, come spia per lo Special Operations Executive (SOE) dei servizi segreti inglesi. Come scrisse nella sua autobiografia The Masks of War (1959), fu sottoposto a interventi di chirurgia plastica per rimuovere alcuni tratti distintivi del suo aspetto, come le orecchie troppo sporgenti. Dopo la Liberazione si dedicò alla scrittura di romanzi di spionaggio e di racconti del soprannaturale. Era inoltre amico dell’occultista e scrittore britannico Aleister Crowley.

Source: inviato dall’editore. Si ringrazia l’Ufficio Stampa NPE Editore.

:: Il mistero del Mandarino calunniato di Shanmei (Amazon Media 2022) a cura di Patrizia Debicke

5 dicembre 2022

Un nuovo episodio delle avventure del tenente Luigi Bianchi in Cina, con in copertina la vera foto del dignitario cinese, il calunniato personaggio della storia e al quale il protagonista e ispiratore della serie, Luigi Paolo Piovano, bisnonno della autrice con il successo della sua indagine, salvò la vita.

Parliamo oggi pertanto di Il mistero del Mandarino calunniato o quarto intrigante capitolo delle vicende cinesi del tenente Luigi Bianchi.

Capitolo che segue cronologicamente i precedenti: Delitto a bordo del Giava, Lo strano caso del missionario scomparso e Il mistero della Fenice d’Oro, ed è ambientato durante le trattative di pace dopo la sconfitta che finirono con la sigla del cosiddetto accordo di pace o “Protocollo dei Boxer”.

Pechino Primavera 1901. La città imperiale che porta ancora ovunque gli sfregi degli scontri a seguito della feroce e sanguinosa rivolta, tuttora immersa in continue e convulse trattative di pace, dopo un lungo e gelido inverno comincia a percepire l’inizio della primavera.
E l’italiano tenente Bianchi, ormai felicemente sposato (pur solo religiosamente per le severe regole militari italiane) con la bella Mei, una ricca e ben introdotta vedova cinese, si troverà coinvolto per l’intercessione di sua moglie, amica di famiglia dell’accusato, in una difficile e pericolosa indagine. Un nuovo caso, che poi si rivelerà una specie di bomba innescata destinata, se riuscirà, a rivelare tutta la sua potenzialità oltre a infiammare gli ambienti pechinesi e rischiare addirittura di rimettere in gioco importanti decisioni e accordi già presi . Il Mandarino Ch’en Kang-sheng, uomo molto anziano, vecchio consigliere dell’imperatrice, pare con ogni evidenza colpevole dell’omicidio di un importante funzionario dell’ambasciata russa. Le prove lo incastrano ma il tenente Bianchi è convinto della sua innocenza e a suo rischio e pericolo si impegna con tutte le sue forze per riuscire a scagionarlo. Come potrà riuscire? E soprattutto quale sarà il prezzo da pagare? L’indagine presenta troppi lati oscuri. Insondabili? Per esempio intanto pare necessario scoprire quali fossero i legami della vittima con la sua vecchia conoscenza, la splendida, affascinante e misteriosa principessa Tretyakov, che anche stavolta entra in scena. Tra inattese rivelazioni e segreti intrighi segreti che si celano dietro le trattative di pace, al tenente Bianchi toccherà farsi strada senza riguardo tra alti esponenti militari e dignitari di varie nazionalità.
Una vivace carrellata tra affollati ricevimenti in ambasciata e combattute partite a tennis per scoprire un mondo ormai scomparso, ma tornato vivo sulla carte e addirittura palpabile. E vi avvicinerete a quella Cina dei primi del ‘900, molto cinese e poco occidentale, con la curiosità nello sguardo di qualcuno che la incontra per la prima volta.

E seguendo le tracce del Tenente Bianchi arriverete alla vigilia della firma del Trattato. Il protocollo dei Boxer.

Un trattato ineguale che fu firmato a Pechino il 7 settembre 1901 nei locali della Legazione Spagnola dai rappresentanti dell’ impero Qing e dell’Alleanza delle otto nazioni (Francia, Germania, Giappone, Impero austroungarico, Regno d’Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) più Belgio, Paesi Bassi e Spagna. L’Imperatrice Tzu Hsi fece ritorno a Pechino agli inizi del 1902.

Un accordo che aveva richiesto diversi mesi soprattutto, più che per reali contrasti coi cinesi che, dolorosamente sconfitti e in modo definito, con ormai poco o nullo margine di negoziato, miravano a concludere in fretta per impedire agli stati alleatisi nel conflitto di ampliare le loro richieste. Ma e soprattutto per le divergenze sorte tra i paesi occidentali. Questi infatti, indotti forzosamente in uno pseudo idillio consolidatosi in una missione congiunta che in Cina pareva tesa alla salvaguardia della civiltà, ben presto a causa degli egoismi nazionali si divisero nelle loro rivendicazioni mostrando senza remora l’avidità e quegli antagonismi colonialisti già in embrione e che in pochi anni porteranno agli orrori della Prima Guerra Mondiale. Con gli alleati di quei tempi trasformati in irriducibili nemici, pronti a insanguinare l’Europa.

Ma in quel lontano 1900, ancora uniti e apparentemente concordi, nonostante le complicazioni e lo sfibrante protrarsi dei negoziati, alla fine siglarono la pace.

Quarta novella di Shanmei (Giulietta Iannone) che traccia con la sua serie un’intrigante sequenza di mystery storici coloniali con ambientazione cinese legati a un importante periodo storico mondiale ignoto ai più. Anni quelli dell’inizio del XX secolo, che pur precursori di straordinarie innovazioni tecnologiche relegavano ancora per le conoscenze europee quel lontano, immenso e multiforme potente impero fatto da milioni di uomini, al di là del mappamondo. Anni in cui le informazioni e le notizie erano ancora affidate al ritmico ticchettare del telegrafo che ritrasmetteva gli avvenimenti nell’aere ma con le linee che durante la sanguinosa rivoluzione avevano dimostrato la loro fragilità, spesso tagliate durante i ripetuti attacchi alle delegazioni europee.
Avventura, amore, intrighi, giochi di spie, suspence e delitti su uno sfondo esotico, con un buon e accurato contesto storico che copre l’arco temporale cha va dal 1900 al 1905.

Nota storica

Il 22 dicembre 1900 il Corpo Diplomatico di Pechino presentò ai plenipotenziari cinesi una nota collettiva e definitiva, contenente 12 articoli, che, incondizionatamente accettata dalla Cina, doveva ristabilire la pace con le potenze straniere, ma le trattative, per arrivare alla firma del Protocollo, si protrassero sino al 7 settembre del 1901.

La Cina fu costretta ad accettare durissime condizioni:

pagamento dei danni di guerra ammontanti a 450 milioni di taels rateizzati in 40 anni, divieto di importare armi, smantellamento del forte di Taku (Dagu), presentazione di scuse diplomatiche, emanazione di un editto che vietasse in tutto il paese le manifestazioni xenofobe.

Anche l’Italia, sebbene in misura ridotta rispetto alle altre nazioni, ebbe la sua parte di “bottino di guerra”, al quale rinunciò con il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947.

I “privilegi” italiani in Cina consistevano in:

il riconoscimento della Legazione italiana nel quartiere delle Legazioni di Pechino con un contingente di truppe a presidio; la Concessione di Tientsin (Tianjin), che occupava un’area di circa mezzo chilometro quadrato, e che costituiva la principale acquisizione in Cina; l’autorizzazione ad aprire il loro comando militare a Huang Tsun, l’autorizzazione a servirsi dei quartieri internazionali di Shanghai e Amoy (Xiamen, nel Fujian); un indennizzo per danni di guerra di 26.617.000 di taels (equivalenti a 100 milioni di lire del 1901).

:: A Enrico Pandiani per Fuoco (Rizzoli Nero) il Premio Scerbanenco 2022

4 dicembre 2022

La giuria composta da Cecilia Scerbanenco (presidente), Alessandra Calanchi, Valerio Calzolaio, Luca Crovi, Cecilia Lavopa, Sergio Pent, Alessandra Tedesco, Sebastiano Triulzi e John Vignola

ha deciso all’unanimità di attribuire il

Premio Giorgio Scerbanenco 2022  

a
 
FUOCO (Rizzoli Nero)
di Enrico Pandiani
 
con la seguente motivazione: 

“Perché il suo autore, in questo romanzo dal ritmo hard boiled, conferma la solidità e la varietà dell’impianto narrativo noir evidenziate fin dagli esordi, mettendo al centro di quest’opera un gruppo di antieroi metropolitani impegnati a salvare se stessi e casualmente un po’ anche il mondo”.

:: La pienezza di vita di Edith Wharton (Oligo editore 2022) a cura di Giulietta Iannone

30 novembre 2022

Di Edith Wharton ho sempre letto e amato i romanzi, per cui è stata una singolare scoperta leggere questo racconto breve, di età giovanile, scritto nel 1891, tra i primi pubblicati sullo “Scribner᾽s Magazine” nel 1893, dal titolo La pienezza di vita, edito per Oligo editore, con traduzione a cura di Enrico De Luca.
Considerato dall’autrice quasi un esperimento giovanile, su cui non rimise più mano, è una ghost story abbastanza peculiare, sopra le righe, il cui scopo non è tanto spaventare o immalinconire, nella tradizione del racconto gotico, quanto delineare e definire con pochi tratti decisi e precisi la natura femminile, la sua psicologia, e il rapporto tra i sessi.
Quando scrisse questo racconto era già intrappolata in un matrimonio infelice, con il ricco banchiere Edward Wharton, di dodici anni più anziano di lei, che sposò nel 1885, per cui conoscenva per esperienza le dinamiche dei matrimoni se non di convenienza, tipici dell’alta società a cui apparteneva, perlomeno impaludati in dinamiche non sempre tese alla valorizzazione di sè e alla propria felicità personale.
Protagonista del racconto è una donna nell’attimo in cui muore per un eccesso di medicinali. Si sveglia nel mondo dell’altrove e incontra lo Spirito di vita. Paradiso, Ade, Oltretomba, non è dato sapere è un’altrove di quieta pace e di bellezza. A lei che in vita non ha mai conosciuto la pienezza di sè, sposata a un uomo per certi versi banale, di cui ricorda solo lo scricchiolio degli stivali e che sbatteva la porta, e che non comprendeva la sua sensibilità nè l’amore di lei per l’arte e la bellezza, epifanica la scena amientata a Firenze nella chiesa di San Michele in Orto, viene offerta la possibilità di vivere per l’eternità con la sua “anima gemella” che non è suo marito…
Lascio in sospeso il racconto perchè svelare oltre sciuperebbe la bellezza del racconto e il piccolo colpo di scena, che ci porta a riflettere sull’essenza dei sentimenti, sulla paura della libertà svincolata da vincoli di dovere e riconoscenza. Grande viaggiatrice in questo racconto la Wharton trasmette anche l’amore per l’Italia, e i suoi luoghi d’arte, come Firenze, descrivendo la tipica vertigine che si prova frastornati da tanta bellezza. Oltre alla percezione di una cosienza dopo la morte, influenzata dalle correnti spiritualistiche in voga in quel periodo.
Una frecciatina molto femminista sulla differenza tra uomini e donne, nella sua affermazione che gli uomini dimenticano (le altre donne quando ne incontrano una nuova)… ma non dico davvero oltre, leggetelo è molto bello, forse ancora acerbo e di maniera, ma ricco degli spunti che hanno reso grande questa autrice straordinaria e che saranno in seguido ampliati e approfonditi nelle sue opere successive.

Edith Wharton (1862-1937), prima donna a vincere il premio Pulitzer nel 1921 con il romanzo L’età dell’innocenza, fu una scrittrice e una poetessa americana dall’ampia e poliedrica produzione: quindici romanzi, sette romanzi brevi, ottantacinque racconti, poesie, libri di viaggi, di critica letteraria e un’autobiografia.

Enrico De Luca è professore a contratto presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria. Ha pubblicato varie edizioni critiche e filologiche, tra cui ricordiamo Storia di una capinera di Verga (Caravaggio 2022), ha curato un’antologia petrarchesca (Unicopli 2013) e ha collaborato all’Enciclopedia Machiavelliana (Treccani 2013). Ha tradotto testi di L.M. Montgomery, M.R. James, Dickens, Webster, Nesbit, Stevenson, Jerome, ecc.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Anna dell’Ufficio stampa Oligo editore.

:: Lontani parenti di Veit Heinichen (Edizioni e/o, 2022) a cura di Valerio Calzolaio

29 novembre 2022

Trieste. Febbraio 2020. Il giugno precedente a Boulevard des Moulins nel Principato di Monaco il quasi 75enne ricchissimo consulente finanziario Jacques Minuzzi viene ucciso davanti all’ufficio, trovano alcune pagine intrise di sangue, una lettera a Nora della 85enne “zia” Vilma, dalle quali emerge l’oscuro passato della sua famiglia, la fuga di un parente collaborazionista dal Friuli nell’immediato dopoguerra. La coppia formata dall’insegnante Eleonora Norina Rota e dal più giovane (di diciotto anni) Nicola Niki Dapasin (ex forze speciali della polizia francese) ne sta ancora discutendo in Savoia a Chambéry, prima di partire per una crociera verso l‘Alto Adriatico. E a Prosecco Giorgio Dvot muore per la freccia ben mirata tirata a distanza ravvicinata da una balestra professionale, interviene il vicequestore capo della polizia giudiziaria Proteo Laurenti, capisce subito che l’omicidio ha origini nel lontano passato dei conflitti di guerra, il corpo è disteso accanto a una lapide commemorativa, i nomi dei trentadue partigiani giustiziati sono imbrattati da una svastica al contrario disegnata con una vernice spray rosso fluorescente. Sono stati visti un uomo e una donna su una piccola Peugeot rossa, parlano italiano con chiaro accento francese, forse sono determinati a scorrazzare e uccidere intorno a Trieste, non sarà semplice affrontarli. Tanto più che vi sono state altre vittime in zona negli ultimi mesi e la mano probabilmente non è la stessa, pur se tutto origina in vario modo dall’occupazione tedesca dopo l’8 settembre 1943, dalla Risiera di San Sabba, dai crimini nazisti, dalle complicità fasciste, dalla resistenza partigiana (diversa nell’Italia parzialmente liberata e nella Jugoslavia liberata). Inoltre nonno Proteo è distratto dai figli: la bella traduttrice Livia ormai intende sposarsi in comune con l’avvocato tedesco Dirk, la sorprendente Patrizia è di nuovo incinta ma magari il fidanzato Gigi non c’entra.

Veit Heinichen (Villingen-Schwenningen, 1957) è un economista tedesco che ha scelto prima di essere solo un professionista letterario, libraio editore giornalista, poi di trasferirsi nel raffinato meticcio capoluogo del Friuli Venezia Giulia dove vive da decenni. In oltre venti anni ha scritto oltre una decina di belle premiate avventure di genere giallo, imperniate sul testardo affascinante capofamiglia Proteo Laurenti, ormai vicequestore sessantenne, di lontane origini salernitane, poliziotto di strada, alto e sottile, sempre innamorato della moglie Laura, bella energica donna d’affari (le storie con Linda e Ziva risalgono al passato) e dei tre figli ormai grandicelli, Livia Patrizia Marco (nati a due anni di distanza l’una dall’altro, cresciuti con le solite dinamiche familiari, ogni volta articolate e aggiornate). Essenziali i personaggi della vitale fumatrice 95enne Ada Cavallin, già staffetta partigiana, che inizia proteggendo la 85enne suocera di Proteo e poi ha molte storie vere da raccontare, e del puzzolente barbone Kurt Kurti Anader, testimone e possibile colpevole. Anche questo è un ottimo romanzo da consigliare: descrizione accurata di luoghi importanti, stile asciutto ed efficace, colti competenti riferimenti storico-culturali, sguardo accorto sulle facilonerie di destra lì e altrove. In esergo: “L’innocenza è una forma di follia” (Graham Greene). Il titolo richiama le eredità intergenerazionali oltre che i meticciamenti linguistici (in particolare a pag. 80). La narrazione è in terza varia al passato; frequenti e corrette le continue citazioni delle fuorvianti cronache giornalistiche contemporanee (per esempio, assurdamente, contro l’Anpi); in corsivo gli stralci della lettera sugli orridi “fatti” del 1943-1945. Ovviamente vini e liquori di gran qualità (lasciate stare il prosecco).

Tra gli scrittori europei di noir di maggior successo, Veit Heinichen, scrittore tedesco che vive ormai da molti anni a Trieste, ambienta le sue inchieste politicamente scomode e coraggiose in una città dove il noir nordico incontra quello mediterraneo. Le Edizioni E/O hanno pubblicato tutte le indagini del commissario Proteo Laurenti: I morti del Carso, Morte in lista d’attesa, A ciascuno la sua morte, Le lunghe ombre della morte, Danza macabra, La calma del più forte, Nessuno da solo, Il suo peggior nemico, La giornalaia e Ostracismo. Sempre per le nostre edizioni sono usciti la guida letteraria Trieste. La città dei venti, scritta assieme ad Ami Scabar, e Borderless.

:: Il ritorno del mostro di Modena di Luigi Guicciardi (Damster 2022) a cura di Patrizia Debicke

26 novembre 2022

È fatta. Il giovane commissario Giovanni Torrisi, uno tra più giovani d’Italia, è tornato al lavoro. Insomma è di nuovo seduto dietro la scrivania del suo ufficio. Finalmente sano. Guarito, dopo che il Covid l’ha prima costretto al ricovero in ospedale, poi all’angoscia dell’intubazione e la lunga degenza, seguita dal ritorno a casa, annegato in una convalescenza che pareva interminabile e lasciava tanto, troppo tempo per pensare. Soprattutto pensare alla fine della sua storia con Debora, durata poco e appena due mesi prima al definitivo addio seguito dalla sua partenza per gli States ad accettare il lavoro e fare la biologa. Insomma cosa chiusa e forse…. Ma no non era destino e neppure questa volta ha funzionato. Forse l’amore, un rapporto vero fisso non fanno per lui.
Ma quel suo rientro in servizio il 10 febbraio in una mattinata che si prometteva tranquilla, di routine, lo catapulterà invece immediatamente in una brutta indagine. Una prostituta, tutto di lei lo fa pensare, è stata uccisa… Uccisa a coltellate in periferia. L’ha ritrovata un pensionato che passeggiava tranquillo con il cane. Morta da almeno tre settimane.
Prende la rincorsa così “Il ritorno del Mostro di Modena”, nuovo romanzo poliziesco d’indagine di Luigi Guicciardi che stavolta introduce nella storia un altro personaggio molto diverso dal suo consueto protagonista. Ragion per cui et voila il nuovo interprete (sempre un poliziotto però) ma contrariamente al catanese Cataldo, Torrisi è un modenese quasi doc, insomma della provincia, nato a Samone, un paese vicino a Guiglia. Un “nuovo” commissario di 30 anni più giovane di Cataldo, sicuramente meno logico e competente in materia di lui ma forse più adatto ad affrontare un altro tipo di storia, più dura, più dolorosa, violenta, feroce e a impegnarsi senza tregua nelle indagini.
Nessuno conosce la donna assassinata, o almeno pare, e Torrisi gira a vuoto per due settimane, poi, quando fa mettere un suo schizzo sui giornali, finalmente a fine mese qualcuno viene in commissariato e la identifica come Manuela Volpi… E dalle sue mezze parole si conferma anche l’ipotesi che battesse … In seguito però, a parte il dolore della madre vedova, niente. Ma tre mesi dopo, il 4 maggio, a quel primo delitto dai macabri risvolti, farà seguito un secondo con come vittima sempre una prostituta, accoltellata come l’altra e fatta ritrovare dall’ assassino presso la cava di San Damaso… Passano altri tre mesi. L’inchiesta che fin dal primo momento si presentava oscura, con praticamente zero indizi o poco utili e soprattutto priva di appigli, zoppica tristemente, non va avanti di un passo anzi pare destinata ad arenarsi, finché a luglio un’altra vittima, la terza, che va ad accrescere il macabro carniere dell’assassino, fa cominciare a valutare agli inquirenti un’altra possibilità.
Tutte le donne ammazzate che si prostituivano e spesso erano anche tossicodipendenti, sono state uccise in modo efferato ma secondo uno schema bene preciso e quegli omicidi hanno, nel loro articolato modus operandi, nette similitudini con altri commessi tanti anni prima dal famigerato mostro di Modena. Un omicida che aveva terrorizzato e insanguinato la città e la zona tra il 1983 e il 1995. Un assassino che aveva lungamente operato impunemente commettendo per più di un decennio,tutta una inspiegabile serie di delitti, con addirittura dieci vittime. Delitti per i quali non era mai stato trovato il colpevole.
Torrisi, essendo troppo giovane, non può ricordare il clamore di quella storia. Ma sollecitando l’aiuto di un anziano poliziotto vicino alla pensione e andando a caccia di maggiori riscontri negli articoli dei giornali dell’epoca, si renderà conto che ci sono delle mostruose analogie tra i vecchi e i nuovi omicidi. Lo stesso assassino? Noo, pare molto più logico pensare a un emulatore? Uno psicopatico, un impotente, un maniaco sessuale o altro, magari un vendicatore deciso a punire con la morte il male commesso dalle puttane, vendendosi. E comunque un nuovo efferato mostro che ha deciso di agire, di sfidare le forze dell’ordine.
Non resta al commissario Torrisi che imboccare questa pista seguendo un’ipotesi investigativa, suffragata da più di un indizio, e continuare a seguirla fino a quando nella macabra sequenza di uccisioni ci sarà come una rottura o forse meglio dire una smagliatura. Perché la vittima prescelta dal mostro sarà una donna della Modena che conta, ricca e influente una signora, una nota giornalista, co-direttrice di una importante emittente televisiva locale. Forse di mente e costumi aperti, ma non certo una prostituta Una persona che oltre tutto Torrisi conosce personalmente, addirittura è una sua vicina di casa.
Non sarà un compito facile venire a capo di una spinosa faccenda, talmente ingarbugliata da far girare la testa anche a un poliziotto tanto preciso, razionale e accurato come Torrisi.
Ma sarà poi possibile arrivare a scoprire che non basta individuare una e plausibile verità perché a conti fatti le possibili verità potrebbero essere diverse e più d’una.
Un nuovo personaggio per Guicciardi che dobbiamo ancora imparare a conoscere meglio ma, sono certa, non ci mancherà l’occasione. Lo ritroveremo, mi sa che ha voglia di farsi strada, anche in futuro.
Luigi Guicciardi fa parte, a buon diritto, del gruppo degli autori rappresentanti del più classico giallo italiano legato al campanile e che spesso narra della tante magagne di ogni città ai nostri giorni. Gialli tradizionali, ancora cari a tanto pubblico, sempre realizzati su inchieste e indagini e sulla ben calibrata costruzione dei suoi personaggi, specchi parlante di ogni umanità.

Modenese, insegnante di liceo e critico letterario, Luigi Guicciardi è il creatore del commissario Cataldo, poliziotto al centro di una serie di mystery: “La calda estate del commissario Cataldo”; “Filastrocca di sangue per il commissario Cataldo” – entrambi finalisti al Premio Scerbanenco – “Relazioni pericolose per il commissario Cataldo” (2001), “Un nido di vipere per il commissario Cataldo” (2003), “Cadaveri diversi” (2004, Piemme); “Occhi nel buio” (2006), “Dipinto nel sangue” (2007), “Errore di prospettiva” (2008), “Senza rimorso” (2008), “La belva” (2009), “La morte ha mille mani” (2010) per Hobby&Work; “Una tranquilla città di paura” (2013, LCF Edizioni); “Le stanze segrete” (2014), “Paesaggio con figure morte” (2015) e “Giorni di dubbio” (2016) per Cordero Editore. Ha contribuito all’antologia “Scosse. Scrittori per il terremoto”, (Felici Editore, 2012).

:: She-Shakespeare di Eliselle

24 novembre 2022

La vita delle donne è sempre stata difficile, immaginatevi la vita delle bambine inglesi nel XVI secolo. Non potevano andare a scuola, recitare, essere indipendenti. Dovevano ubbidire, tacere, occuparsi delle faccende domestiche e non avere aspirazioni artistiche. In questo romanzo per ragazzi, per la casa editrice Gallucci, Elisa Guidelli, in arte Eliselle, ci racconta la vita di Judith Shakespeare che con la complicità di madre e zia, diventa niente meno che William Shakespeare, sì il grande drammaturgo inglese, autore di alcune delle opere più famose e importanti della letteratura, la cui identità è per certi versi ancora oscura.

E se fosse stato una donna? Sulle orme di alcune riflessioni di Virginia Woolf Eliselle dà concretezza e crea il personaggio di Judith e ci racconta la sua infanzia, il suo amore per i libri, il teatro, la lettura, la musica e la scrittura.

Un romanzo di formazione per ragazze moderne intelligenti ed emancipate, dai 12 anni in su, che invita a riflettere sulle disuguaglianze di genere e sociali, sull’educazione e sui modelli imposti alle donne che hanno avuto sempre ben poche possibilità di cambiare le cose. Ma si sa le difficoltà aguzzano l’ingegno e la nostra Judith ha mille risorse oltre a un grandissimo talento e così si trasforma in William per poter essere ammessa a una scuola accessibile solo ai maschi.

In quel particolare periodo tra la fine del teatro medievale e la nascita del dramma moderno sullo sfondo dell’Inghilterra elisabettiana, tra disparità sociali e divisioni politiche, sociali e religiose si snoda una storia di riscatto, determinazione, consapevolezza e voglia di perseguire i propri sogni, che sarà di esempio a molte giovani d’oggi turbate dalle prime difficoltà. Una storia tenera, buffa, ricca di umanità e grinta, con illustrazioni di Arianna Farricella.

Elisa Guidelli, in arte Eliselle, vive nel modenese. È laureata in Storia medievale e lavora come libraia, storyteller, organizzatrice di eventi letterari e festival dei libri per ragazzi. Ha già pubblicato due romanzi per ragazzi: “Girlz vs Boyz” e “Il Collegio”, entrambi con Einaudi Ragazzi.

Arianna Farricella è modenese di nascita e bolognese d’adozione. Ha imparato a leggere con Asterix e Topolino, poi ha cominciato a disegnare fumetti e storie illustrate. Da allora ne ha fatto un mestiere, lavorando come fumettista e illustratrice per ragazzi.

:: Gli imperdibili: Un brav’uomo è difficile da trovare

24 novembre 2022

A Good Man is Hard to Find and Other Stories

Flannery O’Connor

Traduzione di Gaja Cenciarelli

Uscito nel 1955 e composto da dieci racconti inarrivabili per forza espressiva e spietatezza dello sguardo, Un brav’uomo è difficile da trovare impose immediatamente Flannery O’Connor come l’esponente di punta di quello che sarebbe stato ribattezzato il «gotico sudista».Unica sua raccolta pubblicata in vita, ha esercitato un’influenza incalcolabile su scrittori, musicisti, filosofi, politici per la ricchezza dell’apparato simbolico e la potenza e originalità del tema religioso.Dal racconto che dà il titolo al volume – con l’esplosione finale di violenza e le parole misteriose con le quali il Balordo, capo di una banda di rapinatori e assassini, chiude la storia, –all’irruzione di uno straniero nella tranquilla esistenza della «brava gente di campagna» di un’altra memorabile novella, fino alla sarcastica rielaborazione del tema razziale nel «Negro artificiale», O’Connor attinge al grottesco e a un umorismo a tratti feroce per costruire un un microcosmo umano in miracolosa sospensione tra commedia e tragedia, amore e crudeltà, dannazione e salvezza. Con una postfazione di Joyce Carol Oates.

Generazioni intere di scrittori (da Elizabeth Bishop a Raymond Carver, passando per le nuove leve della narrativa di oggi) hanno riconosciuto in Flannery O’Connor una delle voci più geniali e influenti della letteratura americana del Novecento, consegnandola insindacabilmente alla categoria degli scrittori di culto – uno status a cui ha contribuito, come spesso accade, il fatto di aver trascorso una vita particolarmente appartata dalla mondanità letteraria, nonché tragicamente breve.

Nata a Savannah, in Georgia, nel 1925, Flannery O’Connor si trasferisce a soli sette anni nella cittadina di Milledgeville, dove abiterà per tutta la vita. Nel 1947, sei anni dopo la morte del padre, lei e la madre ereditano una grande fattoria: è qui che la O’Connor mette su l’insolito allevamento di pavoni a cui si dedicherà con enorme passione e che diventerà parte integrante della sua immagine pubblica (in apertura alla raccolta di saggi Mystery and Manners [Nel territorio del diavolo] se ne trova un’indimenticabile descrizione).

La passione per la scrittura comincia già all’epoca del college: presso la State University of Iowa Flannery frequenta corsi e laboratori di letteratura e comincia a inviare racconti alle riviste. È nel 1952 che pubblica il suo romanzo d’esordio, Wise Blood [La saggezza nel sangue], a cui faranno seguito una raccolta di racconti, A Good Man Is Hard to Find (1955) e un secondo romanzo, The Violent Bear It Away [Il cielo è dei violenti, 1960]. Il successo è immediato: fra il ’57 e il ’65 tre suoi racconti vincono il prestigioso O’Henry Award, e viene spesso invitata a tenere corsi e conferenze nelle università del Sud degli Stati Uniti. 
È proprio questo l’ambiente geografico e culturale in cui si consuma l’intera vicenda biografica e letteraria della O’Connor: le zone rurali della cosiddetta Bible Belt, percorse dalle tensioni razziali e dal fervore religioso – il mondo a cui aveva dato magistralmente voce William Faulkner, del quale Flannery O’Connor condivide la sensibilità per il grottesco e i toni espressionisti. I protagonisti della sua narrativa sono figure profondamente legate alla realtà locale di quella terra e descritte con un realismo sanguigno, ma le loro vicende – quasi sempre pervase di violenza, follia e deformazioni – trascendono a veri e propri simboli della presenza contraddittoria e inquietante del divino, del mistero e della grazia nella vita umana. Il cattolicesimo è infatti una delle componenti basilari della cultura e della scrittura della O’Connor; la sua è una fede profondissima e assolutamente ortodossa ma che non degenera mai nel facile moralismo: ai gusti perbenisti dei bigotti oppone anzi storie a tinte forti e senza finali consolatori, ben consapevole della sua problematica missione di narratrice cattolica nel territorio del diavolo.

Il lupus eritematoso, la stessa malattia del sistema immunitario che aveva ucciso il padre, si manifesta per Flannery O’Connor nel 1950, a soli venticinque anni. Malgrado continue cure molto pesanti, che le fanno gonfiare il viso e perdere i capelli, e la costringono a camminare con le stampelle, le sue condizioni non miglioreranno mai. Nel 1964 le viene diagnosticato un tumore, che in concomitanza con la malattia è difficile da curare. Subisce un’operazione, ma poco dopo peggiora nuovamente, e muore il 4 agosto.

Dopo la sua morte è uscita una seconda antologia di racconti (Everything That Rises Must Converge, 1965) e, a cura di Robert e Sally Fitzgerald, due fra i suoi amici più cari, una raccolta di saggi, Mystery and Manners, nel 1969e una di lettere, The Habit of Being [Sola a presidiare la fortezza], nel 1979.

:: Fiabe Italiane del Piemonte: un libro di fiabe per regalare un sorriso ai bimbi in ospedale

24 novembre 2022

Fiabe Italiane del Piemonte: un libro di fiabe per regalare un sorriso ai bimbi in ospedale.

Dal 1 al 31 Dicembre, per ogni libro acquistato “Fiabe Italiane del Piemonte” scritto da Paolo Menconi e presentato da Loredana Cella, una copia verrà donata ai bimbi ricoverati in ospedale.
Una iniziativa dell’Associazione Culturale AEDE in collaborazione con la Fondazione FORMA Onlus dell’Ospedale Regina Margherita di Torino.

Il libro di fiabe è disponibile su Amazon: