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“Mi hanno chiuso la scuola”, Chiara Lico, (Lapis edizione 2019) A cura di Viviana Filippini

16 ottobre 2019

ScuolaTorna in libreria e sempre con un libro per ragazzi la giornalista Chiara Lico, e lo fa con “Mi hanno chiuso la scuola”, pubblicato da Lapis edizioni. Protagonista Mos (Moscardino), un ragazzino che ama la sua scuola non solo per gli amici e gli insegnanti, ma come edificio, perché è un luogo dove si sente bene a studiare e con i compagni. Il dramma si compie quando Mos, accidentalmente, scopre che qualcuno (certi adulti che hanno interessi economici) è intenzionato a chiudere la sua scuola. Il ragazzino è disperato, allo stesso tempo arrabbiato, tanto che comincia a manifestare la sua irritazione vestendosi ogni singolo giorno, dalla testa ai piedi, di colore verde.  La cosa si complica in modo maggiore quando Mos scopre che la ragazzina per la quale ha perso la testa, Marilù, è la figlia di uno degli adulti (non vi svelo chi è) coinvolti nella vendita della scuola e questo scatenerà nel protagonista sentimenti contrastanti. Mos è quindi travolto e stravolto da emozioni e sensazioni del tutto nuove per lui e lo stress che lo colpisce lo mette a k.o. causandogli improvvisi, e anche parecchio lunghi, attacchi di sonno. Il protagonista non si perde d’animo e cerca di coinvolgere i suoi compagni in azioni che puntano alla salvezza della scuola, ma il loro agire si rivelerà composto dei veri e propri disastri. Mamma, papà, la sorella non sempre comprendono Mos, anzi spesso fraintendono quel suo attaccamento alla scuola e lo rimproverano per i suoi gesti che si trasformano in marachelle dalla conseguenze spesso incalcolabili. E l’essere incompreso colpisce il protagonista anche sul campo di calcio, dove né la sua allenatrice, né i suoi compagni di squadra sembrano comprendere il suo dramma. Il romanzo della Lico è la storia di una passione di un ragazzino per quello che è stato il luogo della sua prima formazione alla vita, non solo scolastica, ma alla vita quotidiana di ogni singolo giorno.  L’autrice si concentra sul fatto che a volte certi avvenimenti nell’esistenza delle personesono il segno incisivo del cambiamenti di abitudini consolidate, e questo variare, in alcuni casi sconvolge- come accade per Mos- chi ne è direttamente coinvolto. Mos sarà scosso dalla chiusura della scuola, dal nuovo istituto dove andrà a lezione, dai nuovi compagni che per lui sono un mondo tutto da scoprire. Mos protagonista di “Mi hanno chiuso al scuola” di Chiara Lico, vive uno dei primi step del suo cammino di formazione, nel senso che la chiusura della scuola è una prova che scatenerà in lui un cambiamento. Il libro di Chiara Lico dimostra che nella vita delle persone accadono eventi che a volte lasciano dei segni indelebili e abituarsi al nuovo che avanza e nel quale ci si trova immersi, a volte, sembra del tutto impossibile, ma la storia di Mos, dimostra che cambiare è si può, anche se il percorso è un po’ tortuoso. La storia è arricchita dalle simpatiche illustrazioni di Francesco Fagnini.

Chiara Lico lavora in RAI, al Tg2 dove si occupa di cronaca e conduce il telegiornale: ha realizzato servizi, inchieste e approfondimenti che hanno sempre come sfondo il sociale. Ha lavorato per il gruppo editoreiale L’espresso e per Mediaset (Tg5). Collabora con il blog de ilfattoquotidiano.it. Dal 2019 conduce il magazine Tg2Italia. NRl 2017 Chira Lico ha pubblicato il suo primo romanzo per ragazzi: “Il rischio” (Sinnos editore). Per saperne di più https://www.chiaralico.it/

Source: richiesto dal recensore all’editore. Ringraziamo l’ufficio stampa Lapis Edizione.

“Lettere a Hawthorne”, Herman Melville, a cura di Giuseppe Nori (LiberiLibri 2019) a cura di Viviana Filippini

5 ottobre 2019

lettere H.Lo scorso agosto sono stati i 200 anni dalla nascita di Melville, l’autore di Moby Dick e l’editore LiberiLibri per l’importante anniversario ha ripubblicato (seconda edizione riveduta e ampliata rispetto al 1994) “Le lettere a Hawthorne” di Herman Melville, il carteggio tra lui e Hawthorne, due figure magistrali della letteratura americana. Le pagine scritte da Melville permettono a noi lettori di entrare dentro una parte della sua vita, tra il 1851 e il 1852, per conoscerlo nel suo vissuto lavorativo, ma anche in quello privato. Ed è la mescolanza tra queste due dimensioni che ci aiuta ad avere un’immagine più nitida dello scrittore, che in quel biennio visse sulla propria pelle uno dei momenti più intensi della sua evoluzione come autore e della sua produzione letteraria. Quello che emerge da questi testi è la personalità complessa, piena di dubbi, timori emozioni e paure che attanagliavano Melville: uno scrittore dalla creatività in costante fermento. Melville aveva viaggiato molto nella sua esistenza e proprio grazie a questo suo continuo spostarsi, lui era riuscito a trovare lo spunto per molti  scritti proprio dal contatto con la realtà vissuta in prima persona e da quello con popolazioni differenti per usi e costumi da quella americana. Molti degli appunti presi dall’autore sono diventati romanzi a tutti gli effetti o rimasti delle bozze da sviluppare. L’autore di “Moby Dick” scrive a Hawthorne, manifestando il suo bisogno di incontrare lui e la sua famiglia, come per avere un contatto diretto con un collega che a tratti sembra essere il migliore amico mentre, in altri momenti, Hawthorne sembra essere non il nemico, ma quel tipo di autore, perfetto, di successo, con una famiglia da cartolina ed equilibrato che Melville avrebbe voluto essere, e che non divenne mai. Quello che emerge da queste pagine è il ritratto di un uomo tormentato, consapevole della sua capacità di scrittura ma, allo stesso tempo, convinto di venir ricordato dai posteri non per i propri romanzi, ma come l’individuo che viveva con i cannibali e che amava scrivere libri con protagonisti dei selvaggi. Nelle lettere lo stesso Melville si concentra su alcuni suoi testi: “Moby Dick” che, in quel periodo, era in revisione e che lo sfiancò psicologicamente ; poi ci sono riferimenti a “Pierre” e alle sue aspirazioni di letterarie e la storia di Agatha, unita agli spunti della vita vissuta che ispirarono Herman alla stesura del soggetto. “Lettere a Hawthorne è un vero e proprio viaggio nella vita letteraria e civile di Herman Melville, un uomo e un genio della scrittura dalla personalità complessa e in evoluzione, che nel corso del tempo è diventato  uno dei pilastri e dei classici della letteratura romantica americana e mondiale e che è riuscito a trasformare in eroi del quotidiano, gli umili protagonisti delle sue storie. Traduzione di Giuseppe Nori.

Herman Melville (New York, 1819-1891) A ventisei anni, dopo un’infanzia sofferta e una prima giovinezza «sregolata e avventurosa» di marinaio (nelle note parole di Hawthorne), Melville inizia la sua carriera letteraria. Scrive sette romanzi in sette anni, alternando successi a insuccessi, fino ad alienarsi definitivamente il favore e la stima del pubblico con i suoi capolavori, “Moby-Dick” (1851) e “Pierre” (1852), due opere audaci, tanto incomprensibili quanto dissacratorie per i suoi contemporanei. Sull’orlo del disastro letterario ed economico, continua la sua attività narrativa fino al 1857, per poi abbandonare la carriera pubblica di scrittore di prosa e dedicarsi a una lunga e oscura attività di poeta. Muore quasi del tutto dimenticato, lasciando fra le sue carte il manoscritto di “Billy Budd”, il suo ultimo capolavoro narrativo. Di Melville, Liberilibri ha pubblicato “Lettere ad Hawthorne” (1994).

Giuseppe Nori è professore di Lingue e letterature anglo-americane presso l’Università di Macerata. Si è dedicato principalmente ai classici dell’Ottocento: Melville, Hawthorne, Emerson, Bancroft, Whitman e Stephen Crane. Si è inoltre occupato di letteratura e religione nel Seicento e di narrativa e poesia moderniste. Per Liberilibri ha curato”Lettere ad Hawthorne” di Melville (1994) e “Cartismo” di Thomas Carlyle (1994). 

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa e a Maria Grazia Gelsomini.

Bonavia, Dragan Velikić, (Keller 2019) A cura di Viviana Filippini

1 settembre 2019

bonavia2Dragan Velikić è uno dei più importanti autori della letteratura serba e con “Bonavia” è riuscito a creare un grande romanzo dal respiro europeo. La narrazione prende il via a Belgrado, poco dopo la fine della guerra, dove si ritrovano anime solitarie pronte a mescolarsi tra loro per ridare vita alla città. Tra coloro che vivono a Belgrado ci sono Marko e Marija. Lui è davanti ad un consolato straniero per richiedere il visto di espatrio, mentre lei dice di essere lì di passaggio dopo aver accompagnato un’amica (Kristina) all’aeroporto, dove è salita su un aereo diretto a Boston, negli Stati Uniti, per realizzare il suo sogno. I due giovani si conoscono e in quel breve tempo che stanno nello stesso spazio il lettore ha la netta sensazione che il loro incontro non sia casuale. Il tempo passa, Marko e Marija li ritroviamo anni dopo e si scopre che quell’incontro causale ha dato vita a quella che sembra essere una relazione, un po’ complicata, ma vera. L’altra città dove si sviluppa la tra è Vienna, e qui, oltre ai due protagonisti, il lettore ritroverà anche Kristina tornata dagli USA e Miljan il padre acciaccato di Marko. Quello che emerge dalle parole dei personaggi, dalle loro azioni e relazioni, mette in evidenza pezzi di vita di un tempo trascorso umano pieno di dolori e sofferenze. Per esempio Marko è accanto al padre Miljan nonostante un passato di lontananza. Dallo ieri verrà a galla che l’uomo, quando si rese conto di essere il padre del piccolo Marko e vedovo, perché la moglie morì di parto, al posto di rimanere accanto al figlio prese il via per Vienna, fuggendo da una serie di responsabilità che non era pronto ad assumersi. Nel presente, questo uomo che il figlio ha ritrovato è anziano e malato, e Marko lo assisterà e accudirà dimostrando di sapergli dare un po’ di quell’affetto e amore che anche lui avrebbe dovuto ricevere da bambino. In “Bonavia” di Dragan Velikić i personaggi sono separati e tenuti lontani tra di loro dallo spazio e dal tempo, però quando queste due barriere vengono abbattute e i diversi protagonisti si trovano a vivere gli uni accanto agli altri, si scopre che certi legami e relazioni non sono mai state scalfite dal corso degli eventi. “Bonavia” è una narrazione toccante nella quale gli accadimenti della Storia si intrecciano con le tante vicende umane di coloro che in essa vivono e agiscono. Attraverso le vicende di Marko e Marija e dei loro comprimari l’autore riflette sulle fragilità umane, sentimentali ed emotive, rese ancora più consistenti dal conflitto bellico che ha toccato, in modo maggiore o minore, tutti i personaggi della narrazione. “Bonavia” di Dragan Velikić è una narrazione che indaga le vite nella loro quotidianità e evidenzia come, nonostante le difficoltà, le incomprensioni e gli ostacoli sperimentati dai diversi protagonisti, compresi gli “spettri” ingombranti del passato, tutti vivano vite nelle quali da un lato, quello che hanno vissuto non li abbandonerà mai e, dall’altro, il presente nel quale agiscono lo sperimentano nella speranza di diventare persone migliori e di lasciare segni positivi per il domani che verrà. Traduzione dal serbo Estera Miocic.

Dragan Velikić è uno degli autori più importanti della letteratura serba, tanto da aggiudicarsi alcuni dei maggiori premi letterari balcanici come il Premio Nin –per due volte– e il Premio Meša Selimović ai quali si sono aggiunti il Premio Letterario Mitteleuropa-Preis e il Premio della città di Budapest. Le sue opere sono tradotte in numerose lingue. Per Keller uscirà anche il romanzo “Islednik”.

Source: inviato dall’editore.

“L’intendente Sanshō”, Mori Ōgai, ed Marietti 1820 (2019) A cura di Viviana Filippini

22 agosto 2019

SanshoL’intendente Sanshō” di Mori Ōgai è la versione più nota di una leggenda antica del Giappone, con protagonisti sorella e fratello vissuti nel periodo Heian. La storia, pubblicata dall’editore Marietti 1820, ha al centro della narrazione Tanaki, Zushio e Anju, moglie e figli di un governatore spodestato dal suo ruolo perché ritenuto troppo buono e umano dai suoi superiori. Ad un certo punto le vite della madre e dei figli si separano. La donna viene venduta al mercato di Sado, mentre i due fratelli, che sono dei bambini, finiscono nelle terre dell’intendente Sanshō. Qui, i due, uniti dal profondo legame fraterno, metteranno a assieme le loro forze per sopravvivere e per sopportare le angherie dell’intendente. Il loro intento è quello di fuggire e di andare a trovare la madre, un desiderio che i due giovani nutrono sempre più nel loro cuore, e che diventa ancora più intenso quando sento una canto di una voce femminile arrivare da lontano. Una dolce voce che intona la stessa canzone che cantava sempre loro Tanaki. Grazie a quella melodia eseguita da un’anziana, i due fratelli organizzano una fuga per loro e per la donna che canta, però tutto viene mandato in fumo dagli uomini di Sanshō. Zushio non demorde e, anche su spinta della sorella, decide di partire per andare ad ottenere giustizia e promette ad Anju di tornare a prenderla, ma la ragazza, impensierita dalle pressioni che potrebbe subire nell’attesa del ritorno del fratello, compirà un gesto che lascerà il lettore senza parole. Zushio, trova aiuto in Taro, figlio di Sanshō, del tutto all’oscuro dei loschi traffici del padre. Solo dopoa ver esposto le sue ragioni al Primo Ministro di Tokyo, Zushio partirà per Sado alla ricerca della madre. Il romanzo breve, o racconto lungo, di Ōgai ci porta dentro al Giappone del passato, dentro all’intreccio della storia antica e permeata di un’atmosfera in perenne bilico tra Storia e leggenda. Quello che emerge è la coralità della vicenda, nel senso che i protagonisti incarnano sentimenti comuni vissuti da chi si era vittima di soprusi da parte dei potenti. Tra le pagine de “L’intendente Sanshō” di Mori Ōgai emergono altri temi, ancora attuali oggi, come l’importanza dei legami familiari; il valore degli insegnamenti morali per un vita degna e rispettosa e anche un’acuta e attenta riflessione sulle violenze, le vessazioni e le angherie dei potenti corrotti, verso coloro che cercavano di vivere onestamente. Testo curato da Matilde Mastrangelo con introduzione di Maria Teresa Orsi. Traduzione di Matilde Mastrangelo.

Mori Ōgai (1862-1822) è stato tra i principali esponenti della letteratura giapponese moderna, visse i grandi rinnovamenti dell’era Meiji (1868-1912) da letterato e da uomo di Stato, in qualità di ufficiale medico dell’esercito giapponese. Traduttore di Andersen e Goethe, scrisse i romanzi Vita sexualis, L‘età giovane e L’oca selvatica, opere teatrali e racconti storici.

Source: richiesto all’editore. Grazie ad Anna Ardissone, addetta ufficio stampa.

Il sogno di Mary Shelley (Oligo editore, 2019) a cura di Viviana Filippini

10 giugno 2019

Il sognoMary Shelley la conosciamo non solo perché fu la moglie di Percy Shelley, la conosciamo perché fu l’autrice di Frankenstein. In realtà la scrittrice diede vita anche ad altri testi tra i quali, Il sogno, un racconto pubblicato da poco da Oligo, editore mantovano. La storia è una vicenda d’amore romantica nella quale protagonista è un coppia di innamorati alla prese con l’impossibilità di vivere al meglio la propria relazione d’amore. L’ambientazione è la Francia del XVI secolo dove Constance, giovane contessa, ama Gaspar, tanto è vero che i due vorrebbero sposarsi, ma c’è qualcosa che impedisce il tutto. I padri dei due innamoratati si sono uccisi a vicenda durante uno scontro, ed è questo drammatico evento che impedisce alla ragazza di unirsi in matrimonio all’amato. Costance vorrebbe coronare il suo desiderio coniugale, ma sposandosi con il figlio dell’uomo che ha ucciso suo padre, la ragazza è assalita da una serie di tormenti, di angosce e di paure che le impediscono di coronare il suo sogno d’amore. Nemmeno l’intervento del re Enrico IV riuscirà a farle cambiare idea. Poi Constance, tentata di prendere i voti nella speranza di trovare pace, decide di dormire sul giaciglio di Santa Caterina, uno spuntone di roccia sul fiume delle Loira. La protagonista si addormenta nel luogo dove si dice che la santa appaia in sogno a chi risposa e, non a caso, dopo aver preso sonno, Consntace comincia ad avere diverse visioni oniriche che la porteranno a capire quali saranno i sentimenti da seguire. Le atmosfere che caratterizzano Il sogno, uscito per la prima volta nel 1832 sulla rivista «The Keepsake» sono un miscuglio tra il gotico e il romantico, grazie al quale l’autrice mette su carta i sentimenti e i tormenti d’amore che assillano la giovane Constance. La protagonista vive davvero un tempesta emotiva, nel senso che, da un lato,  è attratta dal il suo amato Gaspar de Vaudemont, che la ama e non comprende ciò che porta la ragazza a prendere le distanze e a tentennare. Dall’altra parte si percepisce il dolore, il tormento e la paura di Constance di Villeneuve di fare uno sgarro al padre morto, perché l’amato Gaspar è figlio del nemico del padre della protagonista. La Shelley, nelle poche pagine che costituiscono Il sogno, riesce a condensare i tormenti di questa giovane donna e i sentimenti che la costringono a vivere in bilico costante tra l’amore per il giovane amato e quel legame affettivo ed embrionale che la lega al padre e che le impedisce di staccarsi dal suo passato. Poi il sogno rivelatore le indicherà la strada maestra da seguire. Il libro presenta una riproduzione di un’incisione di Michelangelo del XVI secolo, intitolata Il sogno. Traduzione di Cristiano Ferrarese.

Mary Shelley, nata Mary Wollstonecraft Godwin (Londra, 30 agosto 1797 – Londra, 1º febbraio 1851) è stata una scrittrice, saggista e biografa britannica. È nota per essere l’autrice del romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus), pubblicato nel 1818, quando lei aveva 19 anni.  Tra le altre attività letterarie curò le edizioni delle poesie del marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e filosofo. Rimasta vedova continuò la sua vita a Londra, con l’unico figlio rimastole. La Shelley morì nel febbraio del 1851. Era figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del filosofo e politico William Godwin.

Source: richiesto all’editore. Grazie ad Anna Ardissone.

La sartoria di via Chiatamone, Marinella Savino, (Nutrimenti 2019) A cura di Viviana Filippini

17 marzo 2019

images“La sartoria di via Chiatamone” è il romanzo d’esordio di Marinella Savino, edito da Nutrimenti. La vicenda è una storia di vita e di sopravvivenza ambientata a Napoli dal 1938 fino alla fine della guerra. La narrazione si apre con l’arrivo di Hitler a Napoli. La folla lo attende con trepidazione, lo saluta col classico gesto romano e, in quella massa di persone e bandiere che sventolano, c’è Carolina, l’unica che sembra aver chiaro che la venuta di quell’uomo non promette nulla di buono. La protagonista è una sarta e abile ricamatrice che intuisce come da quel momento in poi lei, la sua famiglia, e il resto della popolazione italiana, più che vivere, dovranno imparare a resistere ai tempi bui e cupi in arrivo. Il libro della Savino non si limita narrare le ristrettezze e i pericoli che la popolazione partenopea e la famiglia della protagonista devono sopportare. Il romanzo dell’autrice napoletana, attraverso la figura di Carolina, ci mostra una donna intraprendente che, da semplice cucitrice, apre una propria bottega in via Chiatamone, nella quale realizza vestiti di alta qualità e ricamo. Con lei, oltre all’amica Irene, lavorano anche altre ragazze, segno evidente di un’attività che le impiega per molto tempo al giorno. Le cose cambieranno con l’arrivo della guerra. Carolina è imprenditrice, moglie e madre e non solo, perché comincia a pensare a come salvaguardare le entrate economiche e a come sfamare la famiglia. Carolina cosa fa? Compra e mette da parte scorte di cibo e lo fa in quantità industriale. Le derrate alimentari le nasconde proprio per andarle a recuperare quando la guerra porterà – e ne è sicura- sfacelo, distruzione, morte e fame per tutti. La protagonista è previdente, pensa a sé e alle persone che ama. La donna ama molto il marito Arturo e i figli, ma non esita a prendersi cura e ad accogliere sotto il proprio tetto gli amici che hanno perso la casa a causa delle bombe. È vero Carolina è consapevole delle bocche in più da sfamare, ma basta restringere un po’ le porzioni per garantire cibo a ogni persona.  La guerra è il nemico di Carolina e della gente di Napoli. È la guerra che li assedia giorno e notte, bomba su bomba, fino al culmine con le quattro giornate di Napoli. Tutti i personaggi rimangono profondamente traumatizzati dal conflitto che ha scompaginato il loro vivere quotidiano. C’è chi si si dispera, chi fugge, chi perde l’uso della parola a causa dello shock e chi cade in una dolorosa preoccupazione, per il timore che il figlio al fronte possa essere morto. Sì, perché il senso di fine e distruzione sono la costante del romanzo “La sartoria di via Chiatamone”, nel quale, allo stesso tempo, il laboratorio della sarta e la sua cantina diventano una specie di arca della salvezza. Una sorta di grande cassaforte dove trovare cibo, riparo e conforto da tutto il male che c’è. La trama della storia è coinvolgente e a rendere la narrazione ancora più appassionante e verosimili e vivi i personaggi, come ne “L’amica geniale” della Ferrante per citarne uno, c’è l’utilizzo del dialetto. Il romanzo d’esordio di Marinella Savino è una storia di amore per la vita e di lotta contro il turbinio delle violenze della Seconda guerra mondiale che travolse l’Italia e il mondo intero. “La sartoria di via Chiatamone” è la coraggiosa battaglia di una donna – Carolina-  che con intelligenza e con la speranza della libertà sempre nel cuore, agisce per salvaguardare il suo mondo fatto di affetti e persone.

Marinella Savino è nata a Napoli e vive a Roma. La sartoria di via Chiatamone è il suo primo romanzo, finalista al Premio Calvino 2018.

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie ad Anna Voltaggio.

Heidi, Francesco Muzzopappa, Fazi 2018 A cura di Viviana Filippini

8 settembre 2018

Heidi

Torna l’ironia che fa sorridere (di un riso amaro) e allo steso tempo riflette di Francesco Muzzopappa nel romanzo “Heidi”, pubblicato da Fazi editore. Protagonista della storia Chiara, un donna di 35 anni, milanese, dipendente della Videogramma, un’azienda che inventa contenuti per la tv. Chiara si occupa di provinare le centinaia di migliaia di persone che accorrono a fare provini per partecipare a programmi televisivi nella speranza di diventare famosi. La giovane lavora tanto;essere direttrice dei casting le porta via tempo e la carica di uno stress profondo, così opprimente da renderle difficile avere una vita dopo il lavoro. Tutto per Chiara si complica quando la casa di riposo dove si trova suo padre le rispedisce l’uomo, perché diventato ingestibile. Muzzopappa veste in modo simbolico i panni di una giovane donna single non solo per raccontarci il suo complicato e rocambolesco vissuto. Muzzopappa crea un’attenta riflessione su quella che è la nostra società contemporanea, ossessionata dai media e dalla bisogno (non si sa fino a quanto sano) di notorietà. Chiara dovrà rimboccarsi le maniche in una convivenza forzata con il babbo Massimo Lombroso, un vecchio critico letterario del «Corriere della Sera» malato di demenza selettiva che la chiama Heidi. Chiara vive con un lui che, a causa della malattia, non è più in grado di fare il padre, ma nemmeno di badare a se stesso. La patologia lo ha reso incapace di mettere in atto le cose più semplici, tanto è vero che per lui Chiara non è Chiara, ma Heidi, la protagonista dell’omonimo cartone animato con le caprette che fanno ciao. Thomas, il giovanotto assunto dalla protagonista per badare al padre, diventa Peter. A rendere ancora più complessa la vita di Chiara, lo Yeti, il nuovo capo dalla Videogramma pronto a licenziare i dipendenti e a “salvare” solo quelli che dimostreranno particolare inventiva nel creare format televisivi di successo. Lo Yeti è un uomo meschino, che non esiterà a mettere in atto loschi comportamenti, pur di ottenere quello che vuole (sesso in cambio del posto di lavoro) da chi si avvicina a lui, costringendo i dipendenti a scendere a compromessi. Questo, fino a quando qualcuno si stancherà del suo agire marcio e darà il via alla ribellione. Il mondo di Chiara presentato in “Heidi” – specchio dei nostri tempi- è una dimensione fatti di conflitti. C’è quello tra una figlia e un padre che non la riconosce più, c’è quello di una società dove, con la presenza massiccia dei media, conta più l’apparire che l’essere. C’è il contrasto sul fatto che importa più come ti poni per farti accettare dagli altri, che i valori in cui credi. E questo assecondare il prossimo per piacere, porta spesso l’individuo a perdere coscienza di sé, per diventare mera merce di intrattenimento. Con “Heidi”, Francesco Muzzopappa ci fa si sorridere però, allo stesso tempo, richiama noi lettori alla riflessione, mostrandoci il disadattamento della nostra società, tutta e troppo concentrata sul piacere effimero di un attimo di celebrità e sempre più smemorata verso  quei valori (amicizia, rispetto, lealtà. amore vero) che si dovrebbero recuperare e conservare come gemme preziose.

Francesco Muzzopappa ha vinto Premio Massimo Troisi 2017 con il romanzo Dente per dente, è uno tra i più conosciuti e apprezzati copywriter italiani. Per la categoria in cui eccelle, le pubblicità radiofoniche, ha vinto numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero. Sempre con Fazi Editore ha pubblicato nel 2013 Una posizione scomoda e nel 2014 Affari di famiglia. Tutti i libri sono stati tradotti in Francia dall’editore Autrement riscuotendo un grande successo di critica e di pubblico. Heidi è il suo quarto romanzo.

Source: libro inviato dall’ editore al recensore. Ringraziamo l’ufficio stampa della Fazi editore.

La rivoluzione delle api. Come salvare l’alimentazione e l’agricoltura nel mondo, Monica Pelliccia, Adelina Zarlenga, (Nutrimenti 2018). A cura di Viviana Filippini

12 luglio 2018

Le api… insetti operosi, perfettamente organizzati nel loro vivere e operare, tanto che  lo stesso Tolstoj le lodava per questo loro ordine. Le api, e non so se lo sapete (io l’ho scoperto leggendo questo libro) sono le responsabili del settantacinque per cento di ciò che arriva sulle nostre tavole. api2Questo insetto è diventato il protagonista di “La rivoluzione delle api. Come salvare l’alimentazione e l’agricoltura nel mondo”, scritto da Monica Pelliccia e Adelina Zarlenga, edito da Nutrimenti 2018, con prefazione di Vandana Shiva.  Il libro è un interessante saggio in pellegrinaggio nei diversi luoghi del pianeta per mettere in evidenza l’importanza delle api per l’agricoltura e sottolineare i pericoli in cui esse incorrono a causa dell’utilizzo sproporzionato ed esasperato di pesticidi che, purtroppo, spesso decimano questi poveri insetti. Quando sentiamo parlare di api pensiamo subito al loro dolce miele, in realtà come indicato all’inizio di questo scritto e nel libro, gli insetti giallo e neri sono davvero importanti per la produzione di molta della frutta e verdura che permette a noi umani di sopravvivere.  Le api sono  le dirette protagoniste del processo di impollinazione e il loro essere bottinatrici (ossia raccogliere acqua, polline, propoli) è proprio ciò che garantisce la sopravvivenza e il ciclo vitale delle piante. Purtroppo questi insetti sono in pericolo, perché oltre ai pesticidi (in particolare i neonicotinoidi), ad eliminare le api ci sono i cambiamenti climatici. Sono degli insetti in perenne pericolo, ma il libro della Pelliccia e della Zarlenga racconta anche le storie umane di coloro che stanno lavorando e lottando per salvare le api. Questo sta avvenendo in contemporanea  e in diverse parti del globo. Tra le pagine del libro emerge una profonda speranza proprio perché ci sono apicoltori, studiosi del mondo naturale, agricoltori, enti, istituzioni pubbliche e pure ex cacciatori di miele che si sono rimboccati le maniche per sostenere i piccoli insetti e mantenerli in vita, favorendone la riproduzione. Ci si imbatte così nell’apicoltore di Castel San Pietro in provincia di Bologna che alleva le sue api per i girasoli che daranno l’olio di girasole. La contadina indiana che cresce api per favorire lo sviluppo del frutto del mango; le angurie dell’Honduras (a Nacaome) nate dall’amore per l’agricoltura di sussistenza di padre e figlia; le mele di Malles, in Val Venosta, coltivate senza pesticidi o il pregiato e salutare cardamomo del Sikkim (Stato a Nord est dell’India). “La rivoluzione delle api. Come salvare l’alimentazione e l’agricoltura nel mondo” è una vera e propria inchiesta che le due autrici hanno compiuto girando in lungo e in largo il mondo, evidenziando come in un globo sempre più ferito dai cambiamenti climatici e dai pesticidi, un piccolo e pacifico esercito di allevatori, stanno cercando di salvare e tutelare gli insetti volanti per permettere a tutti gli umani – noi compresi- di poter sopravvivere. Il libro è nato grazie al progetto Hunger for Bees, che ha permesso a Monica Pelliccia e Adelina Zarlenga, con la fotografa Daniela Frechero, di vincere il Premio internazionale di Giornalismo ‘Innovation in development reporting’, gestito dal Centro europeo di Giornalismo.

Monica Pelliccia è giornalista freelance. È specializzata in questioni sociali e ambientali, specialmente su tematiche come la tutela della biodiversità, i diritti delle donne, le migrazioni climatiche, le popolazioni indigene e l’agroecologia. Ha realizzato reportage da India, Honduras, Brasile, Cambogia, Ecuador, pubblicati su testate italiane e internazionali.

Adelina Zarlenga è giornalista freelance. Scrive articoli e reportage, pubblicati su testate italiane e internazionali, prediligendo temi legati alla tutela dell’ambiente, all’agricoltura, all’alimentazione e al sociale. Svolge anche attività di ufficio stampa, in particolare nel settore dell’ecologia e dei viaggi.

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa Nutrimenti.

Mi vivi dentro, Alessandro Milan, Dea Planeta 2018 A cura di Viviana Filippini

24 giugno 2018

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“Mi vivi dentro” di Alessandro Milan, edito da Dea Planeta è un libro potente. “Mi vivi dentro” non è un romanzo, è un pezzo di vita vissuta che Milan mette su carta, raccontando il rapporto con la moglie Francesca Del Rosso, a tutti nota come Wondy, scomparsa a causa di un tumore nel dicembre del 2016. “Mi vivi dentro” è una storia di coraggio perenne, nonostante le storture che il destino ci riserva. È un inno alla vita che agisce contro quel senso di vuoto che ci attanaglia, che ci brucia nel petto e ci consuma, come se ci mancasse un pezzo del corpo, quando muore qualcuno che amiamo o a cui vogliamo bene. “Mi vivi dentro” è un cammino nel quale Milan, pagina dopo pagina, accompagna il lettore tra gli ultimi giorni di vita di Francesca e il viaggio a ritroso nel tempo e nei ricordi della loro storia d’amore. Alessandro Milan parte dal loro incontro alle sei di mattina, in radio, dove loro due, giornalisti spesso assonnati, si davano il turno. Un po’ di fretta, un pizzico si casualità del Fato e Alessandro si ritrovò a casa con il telefono di lei e, Francesca, in redazione con il telefono di lui. Questo piccolo e simpatico equivoco permise ai due colleghi di dare vita ad un’amicizia che, in poco tempo, è diventata una potente storia d’amore. “Mi vivi dentro” è un libro toccante dal quale traspare il profondo amore tra Alessandro e Francesca ma, allo stesso tempo, si sente in modo netto e chiaro il senso di vuoto e di dolore che anima il giornalista. Lui, rimasto vedovo, sta crescendo i due figli (Angelica e Mattia), sta cercando di far capire loro quello che è successo alla madre, una donna che in sei anni ha lottato fino alle fine combattendo come una vera e propria leonessa. Una wonder Woman. Milan però non racconta solo la malattia di Wondy. Tra le pagine ci sono i viaggi, il lavoro in radio e quello di scrittura di libri. Il desiderio di Francesca di aprire una libreria con la sua migliore amica, i figli, un gatto, i bonsai, la simpatica e dolce goffaggine di Alessandro e i piccoli litigi di coppia, velati da ironia e da profonda complicità, a dimostrazione di una relazione solida, purtroppo devastata dalla malattia. Oggi gli occhi azzurri di Francesca non brillano più, ma quella sua luce, la sua voglia di non arrendersi mai e di lottare sempre, sono rimasti nelle persone che l’hanno conosciuta. Francesca/Wondy e la sua vicenda personale sono un canto alla resilienza (ossia a quell’incassare colpi e imprevisti della vita, senza mollare mai) da alimentare ogni singolo giorno. Francesca è stata, ed è ancora oggi, un esempio per molti malati di tumore e questo scritto ne fa memoria facendoci conoscere in modo ancora più dettagliato e intimo la sua persona, il suo agire e pensare. Quello che Alessandro Milan fa è un vero e proprio gesto d’amore che vuole mantenere vivo il ricordo delle moglie, la sua schiettezza e sincerità nel fare e nel dire. In “Mi vivi dentro” Milan parla sì di morte ma, allo stesso tempo, è anche un inno alla vita che spera, che combatte e va avanti. L’o scrittore e i figli hanno perso una moglie, una madre ma è come se Francesca fosse ancora con loro, grazie alle tante persone che li circondano e che ricordano e parlano di Wondy e poi, da non scordare, c’è quella farfalla bianca che spesso volentieri appare nella vita di Alessandro, Angelica e Mattia.

Alessandro Milan (Sesto San Giovanni, 1970) lavora come giornalista da quasi venti anni a Radio24, dove conduce programmi di approfondimento. È presidente dell’associazione “Wondy Sono Io” wondysonoio.org, impegnata nella diffusione della cultura della resilienza.

Source: inviato dall’editore. Grazie a Riccardo Barbagallo dell’ufficio strampa.

 

I diari della Kolyma. Viaggio ai confini della Russia, Jacek Hugo Bader, (Keller 2018) A cura di Viviana Filippini

18 giugno 2018

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Tornano i reportage mozzafiato di Jacek Hugo Bader con “I diari della Kolyma. Viaggio ai confini della Russia”, edito in Italia da Keller. Nel libro lo scrittore giornalista si addentra nella terra della Kolyma dove, durante il periodo del Comunismo, centinaia di migliaia di persone furono internate nei Gulag. Bader va alla ricerca di coloro, uomini e donne, giovani o vecchi, che furono rinchiusi  nei campi di lavoro con l’accusa di aver violato l’articolo 58 del codice penale russo (bastava raccontare barzellette che sbeffeggiavano il regime) o perché sospettati di aver idee contrarie al regime al potere o di essere delle spie. Secondo le fonti recuperate da Bader, una volta chiusi i campi, la maggior parte dei sopravvissuti si sarebbe raccolta lungo i 2000 chilometri dell’autostrada che attraversa la Kolyma. Dal porto di Magadan fino alla Jacuzia, Bader si addentra in un territorio che, pagina dopo pagina, si rivelare essere uno dei cimiteri più estesi presenti al mondo. In questo reportage di viaggio, oltre alla cronaca nella quale Bader narra il suo spostamento fisico sull’autostrada, evidenziando le difficoltà e lo stato di precarietà in cui è costretto a vivere (freddo, mancanza di adeguata connessione internet per inviare i suoi articoli, condizioni igienico sanitarie scarse, povertà estrema delle persone incontrate), lo scrittore ci racconta le persone. Molti degli ex internati non ci sono più, ma a narrare degli “zek” (ossia i reclusi o prigionieri) ci sono i discendenti (figli o nipoti) o conoscenti. Anche loro, uomini e donne ricordano e, allo stesso tempo, si arrabattano a sopravvivere facendo i lavori più disparati e disperati: truffatori, pescatori di salmone, cercatori di oro, commercianti corrotti. Non solo, il giornalista polacco si imbatte anche in studiosi che vivono ogni giorno cercando funghi e bacche, in scultori che vanno alla ricerca delle teste estirpate di Lenin e minatori intenti a scavare nelle fosse comuni in cerca di oro, dove invece trovano spesso resti umani degli ex internati. Bader ha svolto il viaggio per raccogliere queste storie nel 2010 e durante il suo cammino ha incontrato tanti individui che hanno fatto rivivere un passato di dolore e morte non a tutti conosciuto. Un ritratto chiaro e lucido di un mondo dove molti innocenti finirono vittime di Lenin e Stalin senza avere colpe precise e concrete. A fare da sfondo a questo viaggio il paesaggio della Kolyma, il suo freddo pungente con il permafrost (un terreno perennemente ghiacciato) pronto a diventare paludoso nei pochi mesi in cui le temperature si alzano. Il tutto è caratterizzato da una desolazione costante di un paesaggio popolato da anime dolenti e solitarie. Ogni incontro vissuto da Bader è la scoperta di un pezzo di vita, tradizioni, usi e costumi altrui e, allo stesso tempo, è anche un confronto emotivo sulle dolorose esperienze vissute dagli “zek”. “I diari della Kolyma. Viaggio ai confini della Russia” di Jacek Hugo-Bader mostrano una Russia composta da gente povera, sfruttata, maltrattata e costretta, in passato, ma anche oggi, a subire indicibili violenze che hanno lasciato ferite indelebili nei corpi e negli animi. Traduzione Marco Vanchetti.

Jacek Hugo-Bader è nato a Sochaczew nel 1957, ha una moglie, due figli e due cani. È stato insegnante in una scuola per ragazzi in difficolta, ha lavorato in un negozio di alimentari, caricato e scaricato treni, è stato pesatore in un punto vendita di maiali, consulente matrimoniale e ha gestito una società di distribuzione. Dal 1991 è reporter per la «Gazeta Wyborcza», il piu importante quotidiano polacco. Ha scritto numerosi reportage sull’ex Unione Sovietica, sull’Asia centrale, Cina, Tibet e Mongolia e vinto prestigiosi premi come il Grand Press nel 1999 e nel 2003, il Bursztynowego Motyla nel 2010 oltre all’English Pen Award proprio con I diari della Kolyma. Sempre per Keller è uscito in Italia Febbre bianca. Un viaggio nel cuore ghiacciato della Siberia (trad. M. Borejczuk).

 

Source: inviato dall’editore.

Veloce la vita, Sylvie Schenk, (Keller editore 2018) A cura di Viviana Filippini

5 giugno 2018

Veloce la vita

Veloce la vita, di Sylvie Schenk è la storia di un’esistenza che scorre rapida come i fotogrammi di un film nelle pagine del libro edito in Italia da Keller. La vicenda prende il via a Lione, nell’immediato dopoguerra, dove sono ancora ben presenti e tangibili i segni del conflitto bellico. Ferite più morali ed emotive, che fisiche. In questo mondo che tenta di rinascere prende il via la storia di Louise, una giovane in arrivo a Lione dopo aver lasciato il suo paesino di residenza sulle Alpi francesi. La ragazza giunge in una dimensione per lei tutta nuova lontana dalla sua famiglia un po’ opprimente e ottusa. Per la protagonista la città è un insieme di luci, movimento, nuove conoscenze divertimento e anche un po’ di insidie.  Un assaggio di forte autonomia e indipendenza che la porteranno a scoprire la vita e anche l’amore. Due sono i poli d’attrazione di Louise: Henri e Johannes. Henri, grazie al suo talento, fa il pianista jazz, però nasconde un dolore profondo che lo tormenta. Il giovane non riesce ad accettare l’uccisione dei genitori. Orfano, vive con la nonna in una vecchia casa dove c’è una grande biblioteca completamente vuota. Tra Louise e Henri non è vero amore, ma amicizia e anche confidenza che portano a galla il passato di dolore del giovanotto. L’intimità tra i due permetterà alla ragazza di scoprire che sono stati i Nazisti a far sparire i libri che un tempo riempivano quella casa. Johannes invece è tedesco e vive momentaneamente in Francia. Louise se ne innamora alla follia. La ragazza è così coinvolta che pur di sposare e stare con l’amato andrà contro la sua famiglia che non vede di buon occhio il suo matrimonio con un giovane straniero, soprattutto tedesco. Lei, testarda e tenace, accetterà di andare a vivere lontano della Francia per sentirsi coronare il suo sogno d’amore ed essere libera di agire. Solo una cosa la assilla Louise, giorno dopo giorno per il resto della sua vita, una frase detta da Henri che evidenzia come le persone della sua nuova famiglia forse non sono così innocenti come sembrano o come vogliono far credere. Parole che per Louise peseranno come un macigno. Nel romanzo della Schenk la storia della vita delle persone comuni come la protagonista e i suoi compagni di avventura si mescola con la Storia dei grandi e drammatici eventi che sconvolsero l’Europa tra il 1940 e il 1945, ponendo attenzione alle conseguenze che essi continuarono ad avere una volta finita la guerra. Nel libro non solo si assiste allo scorrere rapido del vissuto di Louise dall’adolescenza all’età adulta. Dalle pagine di Veloce la vita, a poco a poco, emergono anche le infanzie di Henri e Johannes, esistenze dove non sono mancate povertà, fame, discriminazione, sensi di colpa e lotta per la sopravvivenza. Eventi del passato che agiranno in modo forte sui personaggi e sul loro agire. Sylvie Schenk crea un romanzo dinamico, in movimento, dove i protagonisti attraversano e vivono la Storia. Veloce la vita è la vicenda di una donna che lotta per la sua autonomia e indipendenza in una società postbellica, non del tutto abile e propensa a fare i conti e a convivere con i tremendi spettri del passato. Traduzione dal tedesco Franco Filice.

Sylvie Schenk è nata nel 1944 a Chambéry, in Francia. Ha studiato a Lione e si è trasferita in Germania nel 1966. Ha pubblicato poesie in francese e, dal 1992, ha iniziato a scrivere in tedesco. Vive vicino a Aachen (Aquisgrana) e a La Roche –de-Rame, nelle Alte Alpi francesi. Quando Veloce è la vita è stato pubblicato in Germania nel 2016, i libraio lo hanno scelto come uno dei cinque libri più belli dell’anno.

Source: inviato dall’editore.

La straordinaria storia di Francesca Sanna Sulis. Donna di Sardegna, Ada Lai (Palabanda editore 2017) A cura di Viviana Filippini

29 Maggio 2018

downloadIn La straordinaria storia di Francesca Sanna Sulis. Donna di Sardegna, Ada Lai veste i panni di questa donna imprenditrice e stilista vissuta in Sardegna tra il 1716 e il 1810. La narrazione del libro, edito da Palabanda, prende il via da Muravera, dove la Sulis nacque, per seguire tutto il suo cammino esistenziale. La trama e è molto interessante, poiché non solo ci racconta la storia di una donna intraprendente, che si pose come una delle prime imprenditrici in un mondo dominato principalmente da uomini. Il romanzo di Ada Lai mette per iscritto la storia di una  di  donna, tramandatasi nei secoli grazie ai racconti orali delle donne di Muravera e a quelle di Quartucciu, dove la Sulis diede vita alla sua attività imprenditoriale. La Sulis fu fortunata nella sua vita, perché trovò un marito che non solo la amò sempre, ma che la sostenne in ogni sua iniziativa e attività. Il consorte in questione era personalità molto nota per la Sardegna di quel periodo, era il giureconsulto Pietro Sanna Lecca che diede vita agli “Editti e Pregoni”, voluti dal Re Carlo Emanuele III. Questi testi raccoglievano tutte le leggi e le Ordinanze emanate per l’isola di Sardegna tra il 1720 e il 1774. Appena sposata la coppia si trasferì a Cagliari (1735), dove la Sulis diede vita ad una fervente attività imprenditoriale che si diffuse in diversi ambiti, da quello culturale e sociale, fino a quello agricolo, tessile e della moda. Infatti Francesca Sanna Sulis introdusse la produzione e lavorazione di seta, lino e lana, permettendo alle donne sarde di emanciparsi cominciando a lavorare in questo settore. La seta prodotta nei laboratori di Quartucciu, come testimoniano i ricordi e le cronache dell’epoca, era tra le migliori al mondo, perché Francesca Sanna e le sue lavoratrici agivano con passione e dedizione per ottenere prodotti di qualità. E non si limitò a questo, infatti la Sulis diede il via al lavoro domiciliare e avviò delle vere e proprio scuole di formazione professionale per insegnare come si faceva la filatura. Accanto alla formazione lavorativa degli adulti, l’imprenditrice, per la quale l’istruzione era valore fondamentale per ogni essere umano, fece aprire anche le scuole basse, ossia istituti dove i figli della popolazione più povera potevano imparare a leggere e scrivere. La Sulis ebbe tre figli, ma nessuno seguì la sua strada nell’imprenditoria della moda. Due presero i voti religiosi e uno divenne avvocato e commercialista. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1810, quella ventata di progresso e innovazione del ruolo femminile che la Sulis aveva cominciato a radicare nella società sarda subì, purtroppo, una forte battuta d’arresto e, in generale, la donna della Sardegna perse quello slancio di cambiamento che era cominciato con l’imprenditrice di Muravera. Certo è che La straordinaria storia di Francesca Sanna Sulis. Donna di Sardegna di Ada Lai è un’importante testimonianza di una figura femminile che con grande intraprendenza e intelligenza si impose come uno dei primi esempi di imprenditoria, collaborazione e tentativo di emancipazione dell’universo femminile capaci di essere, allo stesso tempo, casalingo e imprenditoriale.

Ada Lai (Oristano 1950) ha conseguito la laurea in Scienze Politiche e un Master alla Sorbona. Dopo aver lavorato per 17 anni all’Università di Cagliari è stata Dirigente del Comune di Cagliari, dove ha diretto tutti i servizi al Cittadino. È stata Direttrice Generale del Turismo regionale e Capo Gabinetto del Governatore della Sardegna. Ha fondato il Movimento “A.Cagliari”, per dar voce alle donne ed ai giovani sui problemi della città. Fa parte delle direttivo Parco Letterario Francesca Sanna Sulis. Ora, in pensione, si gode i due nipotini e si dedica alla scrittura.

Source: inviato dall’editore.