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“Lettere a Hawthorne”, Herman Melville, a cura di Giuseppe Nori (LiberiLibri 2019) a cura di Viviana Filippini

5 ottobre 2019

lettere H.Lo scorso agosto sono stati i 200 anni dalla nascita di Melville, l’autore di Moby Dick e l’editore LiberiLibri per l’importante anniversario ha ripubblicato (seconda edizione riveduta e ampliata rispetto al 1994) “Le lettere a Hawthorne” di Herman Melville, il carteggio tra lui e Hawthorne, due figure magistrali della letteratura americana. Le pagine scritte da Melville permettono a noi lettori di entrare dentro una parte della sua vita, tra il 1851 e il 1852, per conoscerlo nel suo vissuto lavorativo, ma anche in quello privato. Ed è la mescolanza tra queste due dimensioni che ci aiuta ad avere un’immagine più nitida dello scrittore, che in quel biennio visse sulla propria pelle uno dei momenti più intensi della sua evoluzione come autore e della sua produzione letteraria. Quello che emerge da questi testi è la personalità complessa, piena di dubbi, timori emozioni e paure che attanagliavano Melville: uno scrittore dalla creatività in costante fermento. Melville aveva viaggiato molto nella sua esistenza e proprio grazie a questo suo continuo spostarsi, lui era riuscito a trovare lo spunto per molti  scritti proprio dal contatto con la realtà vissuta in prima persona e da quello con popolazioni differenti per usi e costumi da quella americana. Molti degli appunti presi dall’autore sono diventati romanzi a tutti gli effetti o rimasti delle bozze da sviluppare. L’autore di “Moby Dick” scrive a Hawthorne, manifestando il suo bisogno di incontrare lui e la sua famiglia, come per avere un contatto diretto con un collega che a tratti sembra essere il migliore amico mentre, in altri momenti, Hawthorne sembra essere non il nemico, ma quel tipo di autore, perfetto, di successo, con una famiglia da cartolina ed equilibrato che Melville avrebbe voluto essere, e che non divenne mai. Quello che emerge da queste pagine è il ritratto di un uomo tormentato, consapevole della sua capacità di scrittura ma, allo stesso tempo, convinto di venir ricordato dai posteri non per i propri romanzi, ma come l’individuo che viveva con i cannibali e che amava scrivere libri con protagonisti dei selvaggi. Nelle lettere lo stesso Melville si concentra su alcuni suoi testi: “Moby Dick” che, in quel periodo, era in revisione e che lo sfiancò psicologicamente ; poi ci sono riferimenti a “Pierre” e alle sue aspirazioni di letterarie e la storia di Agatha, unita agli spunti della vita vissuta che ispirarono Herman alla stesura del soggetto. “Lettere a Hawthorne è un vero e proprio viaggio nella vita letteraria e civile di Herman Melville, un uomo e un genio della scrittura dalla personalità complessa e in evoluzione, che nel corso del tempo è diventato  uno dei pilastri e dei classici della letteratura romantica americana e mondiale e che è riuscito a trasformare in eroi del quotidiano, gli umili protagonisti delle sue storie. Traduzione di Giuseppe Nori.

Herman Melville (New York, 1819-1891) A ventisei anni, dopo un’infanzia sofferta e una prima giovinezza «sregolata e avventurosa» di marinaio (nelle note parole di Hawthorne), Melville inizia la sua carriera letteraria. Scrive sette romanzi in sette anni, alternando successi a insuccessi, fino ad alienarsi definitivamente il favore e la stima del pubblico con i suoi capolavori, “Moby-Dick” (1851) e “Pierre” (1852), due opere audaci, tanto incomprensibili quanto dissacratorie per i suoi contemporanei. Sull’orlo del disastro letterario ed economico, continua la sua attività narrativa fino al 1857, per poi abbandonare la carriera pubblica di scrittore di prosa e dedicarsi a una lunga e oscura attività di poeta. Muore quasi del tutto dimenticato, lasciando fra le sue carte il manoscritto di “Billy Budd”, il suo ultimo capolavoro narrativo. Di Melville, Liberilibri ha pubblicato “Lettere ad Hawthorne” (1994).

Giuseppe Nori è professore di Lingue e letterature anglo-americane presso l’Università di Macerata. Si è dedicato principalmente ai classici dell’Ottocento: Melville, Hawthorne, Emerson, Bancroft, Whitman e Stephen Crane. Si è inoltre occupato di letteratura e religione nel Seicento e di narrativa e poesia moderniste. Per Liberilibri ha curato”Lettere ad Hawthorne” di Melville (1994) e “Cartismo” di Thomas Carlyle (1994). 

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa e a Maria Grazia Gelsomini.

:: Ti amerò di un amore nuovo – Lettere a Lou di Guillaume Apollinaire (L’orma Editore 2016) a cura di Michela Bortoletto

9 gennaio 2018
Spollinaire

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1914, Nizza. Lei è Louise de Coligny-Châtillon, ha trentatré anni, di nobili origini, è divorziata e presta servizio volontario come infermiera all’ospedale militare. Louise, detta Lou, è giovane, maliziosa e intraprendente, brillante e disinibita. Ama la vita, l’amore e gli uomini.
Lui è Guillaime Apollinaire, trentaquattro anni, poeta, scrittore e critico d’arte. Sostenitore delle prime avanguardie, Apollinaire fu un grande amico di Picasso e una delle figure centrali della Francia di inizio Novecento. Guillaume, Gui per Lou, è appassionato e irrequieto. Non è solo un uomo di lettere ma anche di azione: per questo non può star fermo a guardare il conflitto mondiale appena iniziato ma si arruola come volontario nell’esercito.
L’incontro tra queste due anime non può che essere fatidico: Guillaime si innamora all’istante della giovane Lou e dal giorno successivo comincia a scriverle delle lettere.
Ti amerò di un amore nuovo è la raccolta di queste lettere. Lettere appassionate, romantiche, travolgenti, sensuali ma anche sessuali. Sì perché l’amore vissuto tra Gui e Lou è un amore fisico e passionale. Lou non è per Apollinaire una semplice musa ispiratrice. Lou è presente nella sua vita in carne e ossa: i pochi incontri che saranno loro concessi dalle vicende dell’epoca sono ardenti e ricchi di passione e complicità.
E di passione, complicità, ardore e desiderio sono ricche le numerose epistole di Apollinaire spedite prima dal centro di addestramento e poi dal fronte. Ma non solo. Nelle lettere emerge anche la gelosia prima e la rassegnazione poi di Apollinaire. Lou, infatti, non ha un legame solo con Gui ma anche con un artigliere di stanza in Lorena conosciuto con il nome di Toutou. Lou non ha mai nascosto ad Apollinaire di volersi sentire libera e, nonostante Gui sembra inizialmente accettare, questa sua vita libertina e incostante sembra poi pesare sul poeta, il quale inizia a soffrire per la situazione e nelle sue missive recrimina l’assenza e il distacco della ragazza. Ci sarà quindi un ultimo incontro tra i due a Marsiglia il 27 marzo 1915. Incontro durante il quale è la stessa Lou a porre fine al rapporto amoroso con Guillaime proponendo di trasformarlo in amicizia. Da quel giorno Gui cercherà di amarla di un amore nuovo, in modo disincarnato, poetico e lirico. “Ombra del mio amore”, lettera del 31 marzo 1915 ne è un esempio: Ombra bella, tu sei la più bella tra le donne, per il tuo sguardo di voluttà dolente […]. Ma questo registro scelto da Apollinaire durerà ben poco e presto tornerà a dedicare a Lou versi appassionati perché, forse, Gui, non smetterà mai davvero di amare Lou, e in una delle sue ultime lettere le dedica i quattro versi seguenti:

Quando due cuori nobili si son davvero amati
Più della stessa morte è forte il loro amore
Cogliamo ora i ricordi che si son seminati
L’assenza quando si ama non ha nessun valore.

In questo epistolario c’è dunque tutto della storia d’amore tra Gui e Lou: dall’innamoramento iniziale alla semplice amicizia, passando dall’ebbrezza dei primi incontri, dal fuoco della passione, dalla gelosia e dall’incertezza. A far da sfondo alla storia d’amore ci sono gli eventi della Grande Guerra. Ed ecco quindi affiorare tra le righe le descrizioni della vita al campo di addestramento prima e in trincea poi.
Ti amerò di un amore nuovo non è solo la testimonianza di un grande amore ma anche un modo per osservare i primi mesi della Prima Guerra Mondiale attraverso gli occhi di un poeta che si chiude con quella che, a mio parere, è una bellissima dichiarazione a Lou:

Ti auguro begli amori e molta felicità.[…] Insomma, per ora me la cavo senza danni, e dopotutto non è mica male. Gui.

Trad. a cura di Lorenzo Flabbi.

Guillaume Apollinaire, pseudonimo di Wilhelm Albert Włodzimierz Apollinaris de Wąż-Kostrowicki è stato un poeta, scrittore, critico d’arte e drammaturgo francese. Muore a Parigi il 9 novembre 1918.

Source: acquisto del recensore.

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:: Non sapevamo giocare a niente, Emma Reyes (edizioni SUR, 2015) a cura di Federica Guglietta

23 ottobre 2015
amr

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Forse non lo sapete, ma a volte, la maggior parte delle volte ormai, è l’editoria indipendente a regalarci dei piccoli capolavori. Dopo Correzione di bozze in Alta Provenza e Carne Viva, torno a parlarvi di un autentico arcobaleno di colori proveniente dalla letteratura straniera (ispanica, sudamericana e, da poco, anche angloamericana), in traduzione italiana, quello dei libri SUR.

Lo faccio parlandovi di un epistolario: 23 lettere che la colombiana Emma Reyes, pittrice, scrisse e spedì per trent’anni, dalla Francia alla Colombia, al suo amico Gérman Arciniegas, colombiano come lei e giornalista, saggista, storico e diplomatico.

Nelle lettere indirizzate a questa sua amicizia di lunga data, ma anche e soprattutto a noi, Emma racconta di Bogotà e della sua infanzia, degli undici lunghi anni trascorsi in convento prima di potersi “lasciare tutto alle spalle” e partire alla volta di Argentina, Paraguay, Uruguay, Bolivia, per poi fermarsi a vivere in Francia. Viaggerà molto, nel mentre, non smetterà mai di dipingere. Prima di tutto ciò, da ragazzina, visse anni di stenti e privazioni insieme alla sorella maggiore Helena.

Con la protezione che questo epistolare familiare ed amichevole le offre, prima, come tutto il romanzo, poi, Emma ha modo di tornare la bambina che era a quattro anni, narrando nel tono ovattato tipico di chi ricorda, gli anni più duri della sua vita fatti di abbandono, periodi di vagabondaggi e poca dolcezza che sarebbe consona alla sua età bambina. Lo fa con la stressa innocenza e lo stesso identico candore del tempo, cosa che trasmette un senso di straniamento e di empatia assoluta con il personaggio – narratrice – autrice.

“Nelle ore di ricreazione tutte giocavano a molti giochi diversi; noi non sapevamo giocare a niente.”

Non sapevamo giocare a niente è l’opera prima di un’autrice rimasta analfabeta fino alla maggiore età, una donna che non ha mai messo piede né a scuola né all’università, come ci fa sapere Diego Garzón, direttore della rivista colombiana Soho, in un articolo riportato ad aprile scorso sul blog di SUR, in occasione della pubblicazione.

Inoltre, ho trovato bellissima e molto importante per la comprensione del romanzo la prefazione a cura di Tiziana Lo Porto che offre il quadro biografico di quest’autrice, il cui unico romanzo, questo, verrà pubblicato solo postumo. Non sapevamo giocare a niente viene pubblicato per la prima volta nel 2012, divenendo subito un unicum nella letteratura sudamericana, oltre che un caso letterario amato dalla critica e dai lettori.

Traduzione di Violetta Colonnelli. Prefazione di Tiziana Lo Porto.

Emma Reyes (1919-2003), pittrice, nata a Bogotà, viaggia molto e negli anni ’50 si ferma a vivere a Parigi, dove ha modo di avvicinarsi all’élite culturale dell’epoca ed è conosciuta e ricordata ancora oggi.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Marco dell’ufficio stampa edizioni SUR.

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