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:: Indagine apparente, Luca Poldelmengo (Gallucci 2025) A cura di Viviana Filippini

16 luglio 2025

Può una persona scomparire nel nulla, proprio durante il breve tragitto tra il bar e casa propria? Spesso i fatti di cronaca ci raccontano di improvvise e inspiegabili sparizioni, ed è quello che accade anche in “Indagine apparente” di Luca Poldelmengo. Ed è proprio la scomparsa di uno dei personaggi chiave del romanzo, edito da Gallucci, che porteranno la pm Letizia Riva a fare il possibile per trovare lo scomparso: suo marito Aldo e padre dei suoi due figli. Letizia Riva è definita dai colleghi “la stronza”, per il suo modo di fare mirato, preciso che punta ad ottenere sempre quello che vuole. Una donna, una certezza. Poi, però, tutto comincia a frantumarsi nel momento in cui il marito Aldo scompare nel nulla senza un perché, senza tracce, segni o avvisaglie (o forse ci sono anche state ma la protagonista, come si renderà conto poi, non le ha sapute cogliere). Unico indizio  e appiglio dal quale partire un’immagine poco nitida di una telecamera di videosorveglianza del bar dove Aldo è stato prima di sparire e dove lavora un ex compagno di scuola del figlio. Letizia non si abbatte e parte con la sua indagine, un agire che la porterà a incrociare la sulla strada con malviventi di ogni stampo, italiani e stranieri, impegnati nel traffico di animali, donne e uomini che mai nella sua vita avrebbe pensato di incontrare e conoscere così da vicino. Accanto a questa ricerca per ritrovare Aldo, la Riva dovrà fare i conti anche con quello che accade a casa, con la figlia piccola che sta diventando un’adolescente e Mattia, il figlio studente universitario che sembra incerto su cosa fare davvero nel e del suo futuro. Una situazione di tensioni che si percepiscono nell’atmosfere e dove la Riva stessa, poco a poco si accorgerà, come  la sua sfera privata e quella lavorativa non sono poi così separate come lei crede. Poldelmengo costruisce un romanzo nero dalla trama solida, dove non mancano inaspettati colpi di scena che dimostrano al lettore non solo quanto il confine tra verità e menzogna sia sottile, ma evidenziano anche quanto le persone non sempre sono davvero quello che ci sembrano all’apparenza o vogliono far credere di essere. Letizia Riva sarà pronta a fare tutto il possibile per ritrovare Aldo, per riportare un po’ di pace e di serenità nella sua famiglia, ma le cose non saranno così facili come la donna crede. Passo dopo passo, incontro dopo incontro la protagonista sarà infatti costretta a scontarsi e confrontarsi con eventi e verità del tutto inaspettate e impensabili che riguardano la sua stessa famiglia. Questo porterà l’integerrima Letizia Riva rivedere e rivalutare in modo completo il suo  modo di percepire le cose e le persone, comprese quelle più vicine a lei. Un riflettere che indurrà la protagonista stessa a compiere azioni che mai avrebbe pensato di poter mettere in atto. “Indagine apparente”  di Luca Poldemengo è un thriller avvincente, appassionante, nel quale oltre alla trama di eventi che si concatenano alla perfezione, l’autore indaga non solo la psiche, ma anche i sentimenti presenti dell’animo umano, evidenziando quanto a volte sia forte e non facile da gestire il contrasto tra la dimensione razionale e quella emotiva. Un rapporto conflittuale dove in certe situazioni le due parti convivono in equilibrio ma, in altre, magari quando ci sono di mezzo le persone che si amano, una vince sull’altra portando ad azioni del tutto inaspettate.

Luca Poldelmengo (Roma, 1973) è scrittore, sceneggiatore per il cinema e producer a Rai Fiction. Il suo romanzo d’esordio Odia il prossimo tuo (2009), tradotto anche in Francia, ha vinto il Premio Crovi come migliore opera prima. Tra i suoi noir L’uomo nero (2012), finalista al Premio Scerbanenco, Nel posto sbagliato (2014), I pregiudizi di Dio (2016), Negli occhi di Timea (2018). Ha scritto i film Cemento armato (2007), Calibro 9 (2020) e Bastardi a mano armata (2021). Con il libro Valerio e la scomparsa del professor Boatigre ha esordito con Gallucci nella narrativa per ragazzi. (fonte ed. Gallucci)

Source: inviato dall’editore.

:: La moglie del becchino di Frédéric Dard (Rizzoli 2024) a cura di Giulietta Iannone

29 agosto 2024

Celebre forse più per le inchieste umoristiche del commissario Sanantonio, Frédéric Dard è anche autore di una serie più che considerevole di romanzi noir che Rizzoli sta meritoriamente pubblicando in italiano tradotti da Elena Cappellini, tra cui l’ultimo La moglie del becchino (Le Pain Des Fossoyeurs, 1956). Protagonista di questo breve romanzo dove trionfa l’amour fou, è Blaise Delange, un parigino senza né arte né parte che si reca in provincia per rispondere a un’inserzione di lavoro da parte di una ditta di caucciù. Arriva tardi, il posto è già stato preso ma all’ufficio postale incontra una donna bellissima e melanconica e se ne innamora. La donna perde il portafogli e l’uomo in un rigurgito di coscienza e onestà, o forse solo per rivedere la donna, decide di non tenersi gli ottomila franchi che contiene, di cui avrebbe disperatamente bisogno, e di riconsegnare il portafogli. Così fa la conoscenza di Germaine Castain, infelice moglie di Achille Castain, il becchino del paese. Colpito da tanta onestà Castain decide di offrirgli un lavoro e così Blaise accetta rimanendo inevitabilmente invischiato nei segreti di quell’improbabile coppia. Dard ha un debole per le belle donne capaci di portare alla rovina uomini sentimentali e inevitabilmente ingenui seppure fondamentalmente poco onesti e anche in questa storia vediamo ripresentato questo schema seppure l’ironia e l’amarezza con cui Dard delinea caratteri e ambienti rende la lettura piacevole e scorrevole. I romanzi di Dard si leggono in fretta e questo non fa differenza. Abbiamo la provincia inquietante e sonnolenta, una coppia mal assortita, e l’ingenuo Blaise Delange come terzo incomodo, innamorato e poi amante di Germaine, la dark lady della storia, una ragazza giovane, bellissima, malinconica forse non raffinata ed elegante ma basta poco arrivata a Parigi per trasformarla in una vera bellezza. A ritroso poi ci si chiede se la bella Germaine ha davvero perso inavvertitamente il portafogli o è stato solo un ingegnoso e diabolico piano per catturare un ingenuo nella sua trappola. I noir non prevedono lieto fine, e anche questo non l’avrà ma è singolare vedere come Dard riesca a far sembrare tutto inevitabile, seppure l’ingiustizia del finale gridi vendetta. Particolare. Da segnalare soprattutto la scena nella tomba quando Blaise tenta di recuperare un cadavere, macabra e nello stesso tempo divertente.

Frédéric Dard (1921-2000) ha iniziato a pubblicare romanzi alla fine degli anni Quaranta e i 175 volumi della serie del commissario San-Antonio sono stati uno dei più grandi successi editoriali francesi della seconda metà del Novecento. Parallelamente, Dard ha scritto numerosi altri romanzi e racconti. Amico di Georges Simenon, come lui autore di una vastissima opera, Dard è considerato tra i più importanti esponenti del noir francese. Per Rizzoli sono usciti: Il montacarichi (2019), I bastardi vanno all’inferno (2021), Gli scellerati (2022), Prato all’inglese (2022) e Negli occhi di Marianne (2023).

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Giulia dell’Ufficio Stampa Rizzoli.

:: Negli occhi di Marianne di Frédéric Dard (Rizzoli, 2023) a cura di Giulietta Iannone

1 giugno 2023

Daniel Mermet, pittore parigino in vacanza in Spagna, una notte investe con l’auto una donna. Spaventato, non sapendo cosa fare, la porta nell’albergo dove risiede e scopre nell’ordine che è bellissima, bionda, parla francese e non ricorda più nulla del suo passato. Il giorno seguente affascinato dalla sua bellezza e dal suo mistero decide di portarla sulla spiaggia e farle un ritratto. Ma una luce sinistra nel suo sguardo lo turba. Cosa nasconde Marianne, questo si scoprirà dopo è il nome della donna, cosa nasconde il suo sguardo? Negli occhi di Marianne, tradotto da Elena Cappellini, si va ad aggiungere ai piccoli capolavori noir di Frederic Dard che Nero Rizzoli ospita nella collana dove già sono presenti Gli scellerati, Il montacarichi, I bastardi vanno all’inferno e Prato all’inglese. Letto in treno, nel breve viaggio tra Torino e Milano, Negli occhi di Marianne racchiude un mistero, un mistero terribile, che il protagonista svelerà a poco a poco lasciandosi coinvolgere in un amore pericoloso e oscuro come tutti gli amori. Conosciamo davvero chi crediamo di amare? Questa domanda ci accompagnerà per tutto lo svolgersi degli eventi fino al tragico finale. Fulminante, ipnotico, essenziale, come tutti i noir di Dard ci porta in terre sconosciute che forse non vorremo esplorare. Il mistero dell’animo umano è ciò che affascina e respinge e in un susseguirsi di eventi e colpi di scena il lettore attraversa una vasta gamma di sensazioni dalla curiosità, alla sopresa, all’orrore, perchè è in realtà una piccola storia di orrore come se ne vivono in provincia, a voi la scelta se leggerlo o meno, ma se amate Dard direi che è il caso che non ve lo lasciate sfuggire. Alla prossima.

Frederic Dard (1921-2000) ha iniziato a pubblicare romanzi negli anni Quaranta. Il grande successo sarebbe arrivato però più tardi, con lo pseudonimo San-Antonio. È in atto una riscoperta internazionale della sua opera, vastissima, inaugurata in Italia da Rizzoli con Gli scellerati (2018), Il montacarichi (20219), I bastardi vanno all’inferno (2021) e Prato all’inglese (2022).

Elena Cappellini, dopo la laurea in Lettere moderne presso l’Università di Bologna, ha studiato a Siena, dove ha conseguito il dottorato in Letteratura comparata e Traduzione del testo letterario. Ha partecipato a convegni e pubblicato saggi su Michel Tournier, sul fantastico, sull’immaginario radiofonico, fotografico e radiologico. Dal 2002, a Cremona, è stata curatrice del festival Pensare la differenza, percorsi, incontri e spettacoli sulla cultura di genere.

Source: libro inviato al recensore dall’ editore. Ringraziamo Giulia e Chiara dell’ Ufficio stampa Rizzoli.

Intervista a Stefano Sciacca per il suo noir “L’ombra del passato” (Mimesis, 2020). A cura di Viviana Filippini

23 novembre 2020

“L’ombra del passato” di Stefano Sciacca, edito da Mimesis, è un intrigante noir dal ritmo incalzante e ricco di colpi di scena, che prende forma nella Torino post Seconda guerra mondiale. Qui, il protagonista – il detective Artusi- si aggira nei meandri delle vie cittadine per indagare su due casi pieni di enigmi irrisolti e scoprire che non sempre le persone e i fatti sono quello che sembrano o che vogliono far credere. Ne abbiamo parlato con l’autre.

Benvenuto Stefano, come è nata l’idea del romanzo e la scelta di ambientarlo nella Torino post bellica? Il romanzo nasce dal desiderio di confrontarmi con un genere cinematografico, il noir hollywoodiano, che amo e che ho affrontato attraverso la pubblicazione intitolata Prima e dopo il noir. La sfida che mi sono posto è stata adattare i cliché tipici dei b-movies americani al contesto europeo e in particolare alla mia città, Torino, provando allo stesso tempo a declinare in maniera inedita l’angoscia e l’inquietudine tipiche del dopoguerra e già appunto oggetto della polemica realistica del cinema nero statunitense, a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso.

Perché ha scelto la narrazione in prima persona? Ecco un altro omaggio al noir americano che spesso ha valorizzato la componente soggettiva attraverso memorabili sequenze oniriche. In questo il cinema hollywoodiano ha tratto a propria volta ispirazione dal cinema espressionista tedesco, fortemente influenzato durante gli anni ’20 del XX secolo dagli studi psicanalitici. Comunque non si è trattato solo di una questione stilistica. La narrazione in prima persona è stata funzionale a raccontare il mondo attraverso la prospettiva di un protagonista-narratore che domina la scena e condiziona e altera persino la percezione stessa della scenografia e dello sviluppo, secondo una logica appunto espressionista. Tutto quanto è raccontato risulta espressione della sua sensibilità e di come essa lo porta a vivere gli eventi in prima persona.  

Leggendo il romanzo si percepisce il costante bisogno e desiderio di soldi di Artusio, quanto è importante davvero per lui guadagnare? Il bisogno, a quei tempi, per molti era effettivamente impellente. Quanto al desiderio, non vi è dubbio che il carattere di Artusio risponda, almeno all’apparenza, allo stereotipo del detective hard-boiled portato sullo schermo dai film noir americani. La poetica di quei capolavori fu certamente ispirata da una concezione disillusa e cinica della natura umana che anche io sento di condividere. La società moderna, come sono quella del romanzo e la nostra, è caratterizzata dalla promiscuità e dalla mobilità sociale. A nessuno è teoricamente preclusa la possibilità di ottenere successo e fare strada. Perciò tutti si lanciano nella corsa, urtandosi, sgambettandosi, cadendo a propria volta. La maggior parte viene travolta dalla massa e resta schiacciata, ferita, agonizzante. Eppure, nonostante l’evidenza di questo gioco al massacro, nessuno riesce a sottrarvisi, in quanto il costante confronto con chi sta meglio, con chi ha di più, stimola vergogna e desiderio di riscatto. La maniera più facile per riscattarsi è appunto fare fortuna. Ma Artusio scoprirà che (ri)guadagnare se stesso vale assai più che guadagnare un mucchio di denaro sporco di sangue. Questa, in fondo, è la morale del racconto.

Quali sono i modelli letterari e non dai quali ha preso ispirazione? Benché il romanzo sia breve e, mi auguro, anche piuttosto agile, esso costituisce l’esito di un forte investimento personale. Si è trattato dello strumento attraverso cui sfogare convinzioni maturate durante lo studio della Modernità, attraverso la critica letteraria, artistica, cinematografica, attraverso la lettura e l’analisi di Seneca, Shakespeare, Balzac, Dostoevskij, Nietzsche e Pirandello. Il confronto con Fritz Lang, John Huston e Akira Kurosawa, l’incontro con Courbet e Van Gogh, Grosz e Bellows, Hopper e de Chirico, André Breton e Luis Buñuel. Insomma, dentro c’è un po’ di tutto. Ci sono io. E il mio mondo che, indubbiamente, è molto noir.    

Quanto il vissuto del passato influenza le vite dei personaggi protagonisti? Quanto influenza quello di ciascuno di noi, secondo le teorie psicanalitiche e anche alla luce dell’esperienza di tutti i giorni. L’idea del passato come giudice al quale è impossibile sottrarsi caratterizzava già il cinema noir e rappresenta un assillo ricorrente della mentalità moderna. La quale, mentre esalta il presente, considerandolo sufficiente a se stesso, condanna se stessa a relegare il passato nel proprio subconscio, pronto a ritornare alla prima occasione sotto forma di incubo. Tutti noi siamo la somma delle nostre esperienze, dei nostri incontri, specialmente quando questi sono stati particolarmente dolorosi e traumatici. Ed è illusorio sperare di potersene liberare semplicemente cambiando vita o identità. Cambiando nome, come tanti autori e tanti personaggi della letteratura moderna hanno provato a fare.   

Artusio indaga su due casi diversi, ma quando essi si intrecciano resta indifferente a questa casualità, perché?  Più che indifferente, direi che è impotente. E di questa impotenza, in verità, egli soffrirà moltissimo. Perché si scoprirà assai più debole e vulnerabile di quanto non amasse credere.  L’indifferenza che Artusio ostenta così come anche il suo dissacrante cinismo sono solo una posa. Una maschera, di quelle che tutti, più o meno consapevolmente, indossiamo per difenderci dalla realtà.  Però, nel corso della narrazione, ricorrono diversi passaggi durante i quali, rimasto solo con se stesso, egli deve toglierla e, osservandosi in uno specchio ideale, fare i conti con la propria coscienza. In questo modo egli metterà in discussione il ruolo che, per sua volontà o per capriccio della vita, è stato costretto a inscenare. Quel ruolo che, appunto, lo ha condotto a ritrovarsi annodato tra i due casi, fino a rischiare di restarne soffocato.

Artusio è spesso irriverente verso le forze dell’ordine, cosa scatena in lui questo atteggiamento? Il dissenso nei confronti della società moderna e delle sue istituzioni. Ipocrite, perbeniste, insensibili e disumanizzate. Si tratta di un altro cliché del cinema noir che confrontava in continuazione reietti e marginali, dotati di straordinaria umanità e di una propria solida morale, con personaggi rispettabili, potenti e affermati, del tutto privi però di carattere, emozioni, coscienza e rimorsi. Il commissario Lombardi è appunto l’investigatore votato a una caccia spietata, condotta secondo una logica ferrea e insensibile. Un personaggio esclusivamente scientifico, sprovvisto di qualunque poesia. Di qualunque umana compassione.  

Nel suo libro precedente si occupava di Shakespeare, mentre in questo c’è un investigatore privato alle prese con due indagini. Come è sperimentare generi letterari diversi? Indubbiamente costituisce una sfida, ma offre anche l’opportunità di sperimentare più vie e, dunque, fare più incontri, ciascuno dei quali contribuisce ad arricchire e formare la poetica di un autore.  In realtà, comunque, si tratta di lavori che, sebbene molto diversi tra loro, condividono il comune interesse per lo studio della società e dell’uomo moderni.

Se si facesse un film tratto dal suo romanzo, chi vedrebbe nella parte di Artusio e in quella di Lombardi? Per uno scrittore cinefilo come me, fantasticare sugli attori che potrebbero portare sullo schermo i personaggi dei propri romanzi non è soltanto un bel sogno, ma anche l’occasione per una revisione critica del lavoro svolto. In questo senso ritengo che per la parte di Artusio sia indispensabile un attore capace di esprimere contraddizione e tormento. Qualcuno in grado di passare da un certo timbro nelle sequenze corali d’azione a un altro, molto diverso, nelle sequenze più meditative. Quando cioè il protagonista si ritrova da solo con se stesso e i propri fantasmi e assume un tipo di espressioni che non mostra in pubblico. Mi piacerebbe chiedere ad Alessandro Gassmann come si vedrebbe alle prese con un incarico del genere. Perché gli riconosco versatilità e complessità. Per quanto riguarda Lombardi è necessario un interprete capace di esprimere, in poche scene, la disumanità della modernità. Il successo di un film si regge spesso sulla qualità dei personaggi minori, come fu per esempio nel caso di uno dei capolavori del genere noir, Il mistero del Falco, alla cui magia la bravura di Peter Lorre e Sidney Greenstreet contribuì non meno del carisma di Bogart e della Astor. Questo ruolo, poi, è estremamente delicato e ulteriormente complicato perché, per essere consapevolmente disumani, occorre conoscere a fondo cosa sia l’umanità. Mi piacerebbe che il compito fosse affidato ad Alessio Boni. Secondo me, potrebbe essere uno straordinario commissario Lombardi. Si tratta, in entrambi i casi, di attori che stimo e sono sicuro che saprebbero conferire ai personaggi sfumature e caratteristiche che io non sono stato capace di immaginare. Contribuirebbero cioè alla vita del romanzo, facendolo crescere, maturare, migliorare. Più o meno come capita con i critici e i lettori più attenti e appassionati. Esattamente come è capitato anche con Steve Della Casa, autore della bellissima prefazione che rilegge il mio racconto persino aldilà delle mie migliori intenzioni.    

Ha intenzione di proseguire con le indagini dell’investigatore privato Artusio? Michele Artusio è stato il mio alter ego in una bella avventura letteraria e personale. Egli resta parte di me e talvolta ancora mi parla, si fa interprete delle mie convinzioni, volto delle mie ossessioni. È un amico, un caro amico. E non me la sento di dirgli definitivamente addio. Comunque continuerà a vivere anche in altri personaggi. Seguiterà a farmi sentire la propria voce. Con riferimento alle sue indagini, è possibile che prima o poi ne scriva ancora. Ma si tratterà soprattutto di indagini interiori, alla scoperta della sua e della mia complessità. Delle nostre poche virtù e dei nostri innumerevoli vizi.

Stefano Sciacca è nato a Torino nel 1982. Si è laureato in giurisprudenza e specializzato nelle professioni legali all’Università degli Studi di Torino, ha studiato all’Università di Oxford e collaborato con l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale. Ha pubblicato testi di critica cinematografica e letteraria e il romanzo Il diavolo ha scelto Torino (2014). Con Mimesis ha pubblicato “Sir William Shakespeare, buffone e profeta” (2018).

:: I semi finalisti del Premio Giorgio Scerbanenco 2020

14 novembre 2020

È stata finalmente svelata la lista dei 17 romanzi semi finalisti all’edizione 2020 del Premio Giorgio Scerbanenco, il più importante premio letterario italiano dedicato al noir.

Tra questi a partire dal 14 novembre fino alle ore 23:30 di sabato 21 novembre 2020 ogni lettore potrà votare sul sito della manifestazione i suoi cinque titoli preferiti.

I cinque finalisti saranno presentati dal 30 novembre al 3 dicembre con una serie di incontri sui canali social del festival; tra questi, la Giuria Letteraria sceglierà il vincitore del Premio Giorgio Scerbanenco 2020 che sarà annunciato il 4 dicembre e premiato nel corso della prossima edizione del Noir in Festival, in programma dal 1 al 6 marzo 2021.

Ecco l’elenco dei libri:

Francesco Abate, I delitti della salina, Einaudi

Tullio Avoledo, Nero come la notte, Marsilio

Daniele Bresciani, Anime trasparenti, Garzanti

Enrico Camanni, Una coperta di neve, Mondadori

Cristina Cassar Scalia, La salita dei saponari, Einaudi

Ermanno Cavazzoni, La madre assassina, La nave di Teseo

Gianni   Farinetti, Doppio silenzio, Marsilio

Antonio Fusco, La stagione del fango, Giunti

Gabriella Genisi, I quattro cantoni, Sonzogno

Lorenza Ghinelli, Tracce dal silenzio, Marsilio

Leonardo Gori, Il ragazzo inglese, Tea

Bruno Morchio, Dove crollano i sogni, Rizzoli

Paolo Nelli, Il terzo giorno, La nave di Teseo

Paolo Roversi, Psychokiller, SEM

Marcello Simoni, La selva degli impiccati, Einaudi

Rosa Teruzzi, La memoria del lago, Sonzogno

Grazia Verasani, Come la pioggia sul cellofan, Marsilio

Fonte: (In 17 per il Premio Scerbanenco 2020)

:: Un blues per Dave di Shanmei disponibile su Amazon

21 aprile 2020

In tutta franchezza non ricordo la ragione precisa che mi ha portato a questo.
A cambiare la mia vecchia vita con questo sottoprodotto scadente e squallido di farsa in cui trascino ormai i miei giorni.
Ah, sì, le donne, la mia unica debolezza.
Il mio unico vizio.
Nel mio ambiente non era difficile trovarsene uno di vizio, anzi, folleggiare con diversi nello stesso tempo.
C’era l’alcool, ma forse era più per i romantici, che amavano aggrapparsi a un bicchiere come a un’ ancora di salvataggio, portandolo sempre con sè, anche nei momenti meno opportuni.
Poi c’era la droga, sì, l’eroina, andava decisamente per la maggiore.
E come non pensare ai soldi.
L’avidità era una droga altrettanto dannosa.
Un’amante esigente, per giunta.
Ma io avevo altri progetti in mente, altre ambizioni se vogliamo e mi bastava la musica, la mia musica che suonavo nei club sulla spiaggia, o a volte invitato in feste private.
La musica e le donne, non mi serviva altro.
Anche se una vocina dentro di me mi sussurrava maligna che un giorno avrei incontrato quella capace di sbriciolarmi la vita.
E successe, successe davvero.
Ora sopravvivo, chiuso in questo ufficio da investigatore privato di quart’ordine, ad aspettare clienti come un ragno.
E ogni tanto, sì, ascolto musica jazz alla radio.
Tutto quello che mi resta di quei bei vecchi tempi.

Arrivai a Los Angeles una sera d’estate del 1949.
Indossavo un unico vestito, di cotone grigio, un po’ liso ai gomiti, fatto su misura in una sartoria cinese di Kansas City.
Sembrava elegante, perlomeno ad una prima occhiata molto distratta ed era tutto quello che mi serviva.
Dopo tutto l’apparenza è una dote troppo spesso sottovalutata.

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blues per dave

:: Una spaventosa faccenda e altri racconti di Jim Thompson (Fanucci 2006) a cura di Giulietta Iannone

3 novembre 2017

una spaventosa faccendaJim Thompson credo sia un nome che non necessiti di grandi presentazioni, specie tra noi lettori amanti del noir contemporaneo americano. Nel mio ipotetico pantheon ha un posto di rilievo, e non solo io tendo a pensare che sia stato uno dei più grandi e versatili, perlomeno della sua generazione, se non il più grande.
Nacque nel 1906 in una sperduta e minuscola cittadina dell’ Oklahoma, una generazione dopo Chandler (1888- 1959) per intenderci, e morì a Hollywood verso la fine degli anni ’70 solo e alcolizzato, come un tipico personaggio dei suoi libri, libri che almeno in vita furono considerati, dopo un effimero successo negli anni ‘50, niente di più che romanzetti pulp da quattro soldi (a parte tre, tutti i ventinove libri pubblicati tra il 1942 e il 1973 erano tascabili).
Per capire il suo valore arrivarono in massa i critici dagli anni ’80 in poi del Novecento, facendo accostamenti vertiginosi più che ai maestri del noir e dell’ hardboiled, ad autori prettamente letterari e non di genere come Céline, Erskine Caldwell per non parlare di William Faulkner o addirittura Dostoevskij. Insomma quando un autore viene sdoganato, gli osanna della critica arrivano fino al Cielo.
Ma insomma Jim Thompson se lo meritava, avrebbe certo meritato anche più riconoscimenti in vita, meno disperazione e indifferenza specie negli ultimi anni di vita, ma forse avrebbero alterato il suo stile, (o forse il successo stesso non apparteneva alle sue corde) e noi oggi non avremmo avuto opere come L’assassino che è in me, Un uomo da niente, o Colpo di spugna, romanzi che se vogliamo rappresentano un punto di non ritorno e una nuova ridefinizione del genere.
Dunque sebbene più famoso per i suoi romanzi Jim Thompson non evitò la narrativa breve, e se volete accostarvi a questo autore vi consiglio proprio di iniziare dai racconti. Non sarà un innamoramento veloce, Jim Thompson non utilizza artifici letterari ed effetti speciali o fuochi d’artificio, anzi ha uno stile sobrio, piano se vogliamo, che utilizza anche cinicamente un’ apparente calma compositiva per poi mordere all’improvviso come un serpente a sonagli. Ma ragazzi se amate l’arte del racconto da Jim Thompson c’è solo da imparare, dalla caratterizzazione dei personaggi (truffatori, prostitute, psicopatici, assassini e tutto il sottobosco borderline dell’ epoca che lui conosceva per esperienza diretta), all’ambientazione (perlopiù squallida e degradata, e metropolitana), a quel mood che oscilla tra cieca disperazione e ottusa speranza, che naturalmente noi lettori sappiamo benissimo quanto sia senza futuro.
Jim Thompson tocca corde profonde, grazie a un’autenticità che nasce da una profonda sofferenza. Lo sguardo di pietà umana e tenerezza che getta sui i suoi antieroi, è qualcosa che commuove e rende splendide storie di per sé sordide, deprimenti e sporche, anzi cattive ma Jim Thompson non giudica né giustifica, i suoi perdenti sono gentaglia, ma forse l’intera umanità è fatta di gentaglia, di cialtroni per cui stare dal lato giusto della legge non è una grande priorità e che cercano sempre una nuova occasione ma non la trovano mai.
Una spaventosa faccenda e altri racconti (Fireworks. The Lost Writings, 1998), raccolta curata da Robert Polito, il suo biografo ufficiale, autore anche della breve e brillante prefazione, edita in Italia nel marzo del 2006 da Fanucci con traduzioni di Eleonora Lacorte, raccoglie 12 racconti usciti nell’arco di vent’anni (1946-1967) e pubblicati sulle più famose riviste americane di genere.
Abbiamo un Jim Thompson in splendida forma capace di scrivere racconti come Buio in sala, Per sempre (il mio preferito), Una spaventosa faccenda, Pagare all’uscita e La falla del sistema il più insolito e filosofico se vogliamo. Jim Thompson scrive racconti di suspense, neri fino nel midollo. Il cinismo di Aurora a mezzanotte è difficilmente sostenibile, nonostante l’apparente dolcezza con cui è scritto. La storia è sordida, dolorosa, disturbante, e lascia poco spazio a forme anche velate di redenzione o lieto fine.
I suoi truffatori sono quasi sempre falliti e mezze tacche, alle prese col colpo che gli dovrebbe cambiare la vita, ma tutto gli si ritorce sempre contro, e non perché il male deve essere punito e meglio se in modo eclatante, ma perché la vita e i meccanismi corrotti e contorti che la regolano portano a questo fallimento esistenziale prima che etico o morale. In un lento e inesorabile sgretolamento di difese.
Mitch Allison il truffatore sfortunato (ma criminale nel midollo) de Il calice di Cellini, lo ritroviamo anche in un secondo racconto, Una spaventosa faccenda (che dà il titolo italiano alla raccolta) ed è se vogliamo il più limpido esempio dell’antieroe tipicamente americano caro a Jim Thompson.
Gli elementi autobiografici si perdono in una densa struttura narrativa in cui la realtà è deformata dalle aspirazioni e da un disperato desiderio di riscatto e di conservazione e sopravvivenza. Truffare una compagnia, uccidere, prestarsi a grandi e piccoli raggiri è quasi una forma di compensazione, un desiderio folle di ottenere un risarcimento per una vita di stenti, povertà e miseria.
I personaggi sono fermamente convinti che la loro condizione è una grande ingiustizia, loro cercano solo di pareggiare la bilancia, come la sfortunata Ardis Clinton (non vi anticipo il colpo di scena finale, ma è geniale) e il suo folle piano congeniato col suo amante che porterà a derive horror e soprannaturali.
Ho in lettura Un uomo da niente, vi saprò dire, intanto buona lettura per questo.

Per approfondire: Lia Volpatti – Senza speranza da Vita da niente, Omnibus Gialli Mondadori

Jim Thompson, per tutti Jim, nacque in Oklahoma, nel 1906. A causa di dissesti finanziari familiari fin da ragazzo fu costretto a fare i lavori più umili, dal manovale al fattorino, dall’operaio nei pozzi petroliferi al gestore di sale cinematografiche. La scrittura arriva piuttosto tardi tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta. Thompson deve la sua fama principalmente ai romanzi. Ne ha scritti più di trenta, molti dei quali nel suo periodo più prolifico, dalla fine degli anni Quaranta alla metà degli anni Cinquanta. Poco apprezzato in vita, la sua statura di autore cresce negli anni Ottanta con le riedizioni dei suoi romanzi per la casa editrice Black Lizard.
I personaggi che popolano i libri di Thompson sono truffatori, perdenti, psicopatici; alcuni di questi vivono ai margini della società, altri vi sono perfettamente inseriti. La visione nichilista dell’autore è quasi sempre espressa da una narrazione in prima persona; la profondità della sua comprensione degli abissi della follia criminale è quasi spaventosa. Difficile trovare personaggi “buoni”, nei suoi libri: anche quelli apparentemente più innocui mascherano egoismo, opportunismo e vizio.

Source: libro preso in prestito dalle biblioteche del circuito SBAM.

:: Il sorcio – Georges Simenon (Adelphi, 2017) a cura di Nicola Vacca

6 settembre 2017

sorcioMosselbach, detto il sorcio, è un chlochard alsaziano che vive sotto i ponti di Parigi da molti anni. Una sera mentre è impegnato nei suoi soliti vagabondaggi nei pressi dell’ Opéra trova un portafogli gonfio di dollari e non solo. Architetta un piano infallibile per venire in possesso di quei soldi senza trovarsi nei guai con la polizia che lo conosce.
Ma ancora non sa che quel portafogli e il suo proprietario defunto gli procureranno un mare di guai.
Inizia così, Il Sorcio (Adelphi, pagine 155, euro 18), il romanzo di Georges Simenon che Adelphi ha pubblicato questa estate
La casa editrice milanese continua a scavare nell’opera del grande scrittore belga e bene ha fatto a dare alle stampe questo romanzo che mancava da molto tempo. Simenon lo scrive nel 1937 e arrivo nelle librerie nel 1938.
In una Parigi che non è mai abbandonata dalla pioggia battente, Georges Simenon costruisce un intreccio ricco e intrigante in cui ritroviamo alcuni dei personaggi vicini al commissario Maigret come il commissario Lucas e lo sfigato ispettore Lognon.
Ma è il Sorcio il re di questa storia. L’anziano barbone alsaziano è forse il personaggio più accattivante che Simenon abbia creato.
Ugo Mosselbach che sogna di comprarsi una canonica a Bischwiller – sur Moder si troverà al centro di peripezie e di complotti. Lui non crede che aver trovato un portafogli accanto a un cadavere lo porti a essere il protagonista di una vicenda intrigata che ha a che fare con la finanza internazionale e molti altri affari sporchi. È troppo preso dall’organizzazione del suo piano per rendersi conto del pericolo in cui è precipitato.
Quando scompare un importante finanziere si accorge di essere stato il testimone inconsapevole di qualcosa di molto più grande di lui quando ha trovato tutti quei soldi. Lognon e Lucas lo pedinano perché sospettano che lui sappia qualcosa e non hanno torto.
Sullo sfondo di una Parigi dei quartieri alti, Simenon ci conduce in una storia da commedia poliziesca che sarebbe piaciuta molto al commissario Maigret.
Infatti quando Il Sorcio uscì fu immediatamente definito «un Maigret senza Maigret».
Mosselbach è «un ometto, magro con due occhi eccezionali, vivaci e maliziosi, una peluria rossiccia che tendeva al bianco sporco e un modo personalissimo di portare stracci troppo grandi per lui con una dignità che rasentava l’eleganza» Così come è descritto da Simenon, il Sorcio è uno dei più riusciti tra i numerosi personaggi indimenticabili partoriti dalla sua straordinaria fantasia.

Georges Joseph Christian Simenon (Liegi, 13 febbraio 1903 – Losanna, 4 settembre 1989) è stato uno scrittore belga di lingua francese, autore di numerosi romanzi, noto al grande pubblico soprattutto per avere inventato il personaggio di Jules Maigret, commissario di polizia francese. Tra i più prolifici scrittori del XX secolo, Simenon era in grado di produrre fino a ottanta pagine al giorno. A lui si devono centinaia di romanzi e racconti, molti dei quali pubblicati sotto diversi pseudonimi. La tiratura complessiva delle sue opere, tradotte in oltre cinquanta lingue e pubblicate in più di quaranta Paesi, supera i settecento milioni di copie. Secondo l’Index Translationum, un database dell’UNESCO che raccoglie tutti i titoli tradotti nei Paesi membri, Georges Simenon è il sedicesimo autore più tradotto di sempre e il terzo di lingua francese dopo Jules Verne e Alexandre Dumas (padre) – Wikipedia

Source: Libro inviato dall’Editore al recensore. Ringraziamo l’Ufficio Stampa “Adelphi”.

:: Un interminabile inverno – Alex Boschetti (Edizioni Alpha Beta Verlag 2017) a cura di Federica Belleri

6 settembre 2017

interminabile invernoSecondo romanzo per Alex Boschetti. Un interminabile inverno, che tocca il Trentino, Bologna e New York. Tre luoghi diversi per tradizione, cultura e dimensioni. Luoghi che permettono di respirare aria pulita, ma anche umidità e caos. Strade dove è possibile sentirsi anonimi o vivi, a seconda delle esigenze. Proprio questo sta cercando Albert Kleim, ex professore universitario e noto volto della tv. Lui, che ha ancora voglia di leggerezza ma si chiude troppo spesso nella solitudine e nel silenzio. Ha un matrimonio fallito alle spalle, una carriera distrutta e un difficile rapporto con la figlia adolescente. È intrappolato in un immenso dolore, che lo soffoca. La scomparsa di suo figlio Nicola, un bambino, solo due anni prima. Un dolore muto, che in famiglia ognuno ha vissuto a modo suo, senza condividerlo.
Nasce così, con Albert, un personaggio ben costruito, anche se discutibile in alcuni atteggiamenti egoistici e fin troppo schietti. Il lettore riesce ad immedesimarsi nella sua muta sofferenza, grazie alle parole utilizzate dall’autore, profonde e sensibili dove serve. Questo noir intreccia in modo perfetto passato e presente del professor Kleim, fra amicizia, promesse, patti pericolosi, tradimenti e segreti. Il suo male di vivere si mescola a terribili eventi, mai sradicati dalla sua memoria. Come cambiano gli amici di sempre nel corso del tempo? Cosa significa per Albert piangere? Ha paura della morte? Questi sono alcuni degli interrogativi che Kleim si pone e sui quali anche il lettore è invitato a riflettere. Albert Kleim, una vita passata a cercare uno spiraglio. Il quotidiano trascorso cercando di evitare la negatività.
Un interminabile inverno. Quando l’orrore dell’anima supera ogni limite. Quando la vendetta è marcia e distorta. Noir splendido, feroce. Terribile ma efficace. Le frasi sono essenziali. I capitoli, brevi. Le parole lasciano un diffuso senso di inadeguatezza e di malessere. Così deve essere.
Editing praticamente perfetto, complimenti alla ab edizioni Alphabeta Verlag di Merano. Assolutamente consigliato. Buona lettura.

Alex Boschetti (1977) ha al suo attivo diverse sceneggiature per fumetti e graphic novel, tra cui La strage di Bologna (Becco Giallo, 2006) e La scomparsa di Emanuela Orlandi (Becco Giallo/Fandango 2013). Nel 2017 è prevista l’uscita del suo nuovo lavoro, sempre per Becco Giallo, dal titolo Mani Pulite. Ha scritto anche sceneggiature per cortometraggi in animazione e videoclip. Ha inoltre pubblicato racconti in diverse antologie e il romanzo Nera Neve (ENS, 2003).
Un Interminabile Inverno è il suo secondo romanzo.

Source: libro inviato dall’ editore al recensore, si ringrazia Silvia di Manzoni22 ufficio stampa Edizione Alpha Beta Verlag.

:: Un’ intervista con Enrico Pandiani

28 giugno 2016

indexBentornato Enrico sul nostro blog. E’ uscito da poco un nuovo libro de Les italiens, di nuovo per Rizzoli, dal titolo Una pistola come la tua. Non sei proprio stanco di Mordenti?

Buongiorno Giulia, come si fa a essere stanchi di Mordenti? Per me, ormai, è come un fratello. Insieme ne abbiamo passate tante e ci siamo divertiti. Siamo caracollati su e giù per la Francia, abbiamo gironzolato per Parigi, in pratica mi ha aiutato a realizzare un po’ di sogni che avevo da parte e a togliermi qualche sassolino dalle scarpe. Anche se tenta sempre di mettermi in difficoltà, lasciandomi di fronte a imprevisti che poi mi toccherà affrontare, lui, e di conseguenza i suoi colleghi, sono legati a me a filo doppio. La scommessa è quella di resistere, di continuare a divertire i lettori senza perdere colpi e senza annoiare.

Dicci tutto di Nicolas Winding Refn, hai visto il suo nuovo film? Pensi ti chiamerà a scrivere la sceneggiatura della serie tv? Non è che poi scappi a Hollywood?

Quando Fulvio Lucisano mi ha invitato a Roma per conoscermi, mi ha detto che era loro intenzione domandare a Winding Refn di girare i primi due episodi della serie televisiva su Les italiens che intendevano produrre. Io non credevo alle mie orecchie, perché non ti capita tutti i giorni che qualcuno ti dica che vuole fare una serie dai tuoi romanzi, ma ancora meno che ti dicano che la vogliono far girare a uno dei registi più famosi del mondo. Ho visto Drive, certamente, un film che mi è piaciuto molto perché al di là della violenza estrema, aveva una bella storia di relazioni umane, molto sentimentale. Dai primi contatti, e dopo aver letto il pitch, Refn ha deciso di produrre la serie al cinquanta per cento con la Space Rocket Nation, la sua casa di produzione, e di diventarne lo showrunner. Questo è straordinario perché, se davvero il progetto dovesse andare in porto, sono certo che sarebbe un lavoro eccezionale. Non so se avrò qualche ruolo nella sceneggiatura. Certo, imparare da dei professionisti non mi dispiacerebbe.

Forse avrei preferito Olivier Marchal, in un certo senso una scelta come dire più ovvia, cosa pensi privilegerà invece Nicolas Winding Refn, non hai un po’ paura?

Marchal non mi dispiace, anche se l’atmosfera dei suoi film non mi fa impazzire. È troppo legata alla figura del poliziotto depresso, alcolista, che ce l’ha con tutto il mondo e al quale Mordenti, che è proprio il contrario, dedica una frase ironica nel nuovo romanzo. Penso che Refn ci darebbe dentro con la violenza, ma sono certo che saprebbe conservare quel coté ironico e l’umorismo senza i quali i miei personaggi perdono buona parte del loro carattere.

Come stai vivendo questa esperienza dell’autore famoso? Tua moglie che dice?

Il giorno che diventerò un autore famoso te lo saprò dire. Per ora sono soltanto uno dei tanti scrittori di genere che fanno i salti mortali per vendere qualche copia in più dei loro libri e per farsi conoscere dal pubblico dei lettori. Quelli famosi sono ben altri. Mia moglie, per l’appunto, dice che non sarebbe male se vendessi qualche copia in più e se portassi a casa la pagnotta. Al mio livello, si conta molto sul passaparola di coloro ai quali sono piaciuti i romanzi e sul fatto che i librai apprezzino il tuo lavoro e ti facciano scoprire ai loro clienti. Il libraio è la figura chiave.

Che tipo di accoglienza hai ricevuto in Francia? E’ vero, come dicono, che il noir italiano è da loro molto apprezzato?

In Francia l’accoglienza è stata buona. Lì vai a sgrugnarti con la storia del noir e, soprattutto, con quelli che sono i miei mostri sacri. Il mio editore francese dice che gli piacciono i miei romanzi perché c’è molta ironia e si ride, cosa che oggi succede raramente, nel noir d’oltralpe. All’inizio del 2017 uscirà in Francia Lezioni di Tenebra, il terzo romanzo di Mordenti. Spero che sarà accompagnato dalla notizia che la serie si farà sul serio. Quello potrebbe davvero cambiare le cose.

Hai ancora tempo per leggere? Quali sono le tue letture in questo momento, e se c’è facci qualche nome di giovani promesse.

In questo momento sto leggendo molto, ma pochissimi romanzi di genere. Ho letto Marías, Amis, Franzen, Dumas, Giono, Wilder, Tonani, molto Cercas, la Murgia, la Sagan, la Despentes. Per quanto riguarda il noir, invece, tre autori interessanti che mi è capitato di leggere sono Darien Levani, che per Spartaco edizioni ha scritto un bel romanzo, Toringrad, Antonio Mesisca che per Scrittura e Scritture ha pubblicato Nero Dostoevskij e Stefano Trinchero che è uscito con La coppia infedele per i tipi di 66th&2nd. Io trovo che il panorama noir italiano sia bello vivo e interessante, con romanzi che raccontano molto bene i problemi e le contraddizioni della nostra società.

Un uccellino mi ha detto che l’altro giorno eri a Chieri a una presentazione. Come è andata? Ti diverti a presentare i tuoi libri in sale gremite di gente, o sei un timido? L’episodio più bizzarro successo durante una presentazione.

Le sale “gremite” di gente sono una rarità, però qualche volta ancora succede. A Chieri è successo e la presentazione è andata molto bene, grazie anche a Carlo De Filippis, l’autore de Le molliche del commissario, che mi ha messo sotto con grande humour e simpatia. Fare le presentazioni è un’attività che mi diverte molto. Ti dà la possibilità di conoscere i tuoi lettori e di conquistarne di nuovi e ti permette di viaggiare. Quando capita che ci sia poco pubblico non me la prendo, in linea di massima la colpa è solo mia e della mia piccola fama. Quelle persone sono venute ad ascoltare me e quindi si meritano tutto il mio rispetto. In genere, quando capita, ci si siede attorno a un tavolo, si apre una bottiglia di vino e si fa una bella chiacchierata. L’episodio più bizzarro mi è successo qualche tempo fa; dovevo presentare Simone Sarasso, appena uscito con il suo romanzo sulla storia della mafia americana e ho portato con me un mitragliatore Thompson, quello con la ruota che si vede nei film di gangsters. Era finto, ma la gente che passava fuori dalla libreria non lo sapeva e vedere le loro facce è stato divertente. Una signora è entrata in libreria, ha visto Simone con il mitra ed è uscita come se niente fosse, ma molto alla svelta.

Come procede Torinoir, mi è giunta voce che l’altro giorno uno di voi si è sposato. Avrete ancora il tempo di riunirvi nelle piole a tirar tardi?

Torinoir è sempre viva e vegeta e i soci non disdegnano il ritrovarsi a chiacchierare bevendo vino e mangiando le torte di Patrizia Durante, la sola donna del gruppo e, di conseguenza, la testa pensante. Abbiamo in corso diversi progetti e nelle prossime settimane se ne vedranno delle belle.

Parliamo di scrittura. Come si fa a far vivere a lungo un personaggio seriale? Quali sono gli errori da non commettere e i piccoli segreti da non divulgare?

I piccoli segreti da non divulgare non te li dico, così non li divulghiamo. Penso che ogni autore abbia un suo modo di gestire un personaggio seriale. Per prima cosa devi decidere se invecchia; io ho già un piede nella fossa e se faccio invecchiare Mordenti, nel giro di qualche anno finiamo entrambi in seggiola a rotelle e addio indagini. Quindi ho deciso che lui invecchia al contrario dei cani: un anno ogni sette. Questo significa che deve cambiare utilizando altri parametri. Ogni romanzo ci svela qualcosa di sé che prima non si sapeva, o qualche lato del suo carattere. Man mano che si va avanti i protagonisti si raccontano al lettore, si svelano, coltivano un’intimità con lui sempre più stretta. Penso che sia questo il vero segreto, fare in modo che la curiosità non sia mai del tutto soddisfatta.

Si ride nei tuoi noir. Perché questa scelta?  È la lezione di Dard?

Senza dubbio e a mia insaputa, Frédéric Dard, con il suo San-Antonio, è stato molto importante nella mia formazione e mi ha immensamente divertito. Ancora continua a farlo. Mi ha svelato l’importanza dell’ironia, anche l’auto-ironia, e dell’umorismo nel romanzo di genere. Tutti i grandi che hanno utilizzato questi due ingredienti mi sono piaciuti più di quelli che si prendevano troppo sul serio. Ironia e umorismo aiutano a stemperare la violenza, possono rendere paradossale una scena che viceversa sarebbe banale, senza però farla diventare inverosimile. Io non posso farne a meno, forse è dovuto al fatto che trovo che per sopravvivere nel mondo di oggi c’è bisogno di tanta ironia e di una buona dose di humour. Altrimenti, ti butti dalla finestra.

Cosa consiglieresti a un giovane scrittore, con un discreto talento, che non sa che pesci pigliare e non ha amici nell’ambiente. L’autopubblicazione è una strada, o la sconsigli?

Gli consiglierei di aprire un ristorante e di dimenticarsi la scrittura. Tanto, nessuno ti dà retta.

Leggi anche ebook, o solo libri di carta e inchiostro?

Leggo essenzialmente volumi di carta. E “volumi” non è una parola usata a casaccio, perché si fa in fretta a riempire una casa. Però non posso farne a meno. Non ho un lettore Kindle o similare e non ho sostanzialmente nulla contro l’ebook. Io li leggo sul telefono e sono in genere romanzi in lingua originale, francese e inglese. In questo modo faccio prima a trovarli e me li leggo quando sono in coda alle poste o dal dentista.

Pensi che il digitale abbia costretto a chiudere molte librerie o i problemi sono altrove?

No, credo che il digitale c’entri poco. Cosa mette in ginocchio i miei amici librai è il fatto che in questo paese il settanta per cento della gente non legge un solo libro all’anno. E poi ci sono i giganti come Amazon e simili, che penso portino via la fetta più grossa di venduto. Quello che è certo, è che in questo paese non esiste uno straccio di politica che vada incontro ai librai, né da parte del governo, né da parte dell’editoria. Vedere le librerie che chiudono è una sensazione molto dolorosa, appena appena ripagata dal vederne ogni tanto qualcuna che apre. Quelli sì che sono dei pazzi, ma coraggiosi.

In un’ intervista ho letto che hai molto imparato da un libro autobiografico di una donna che è stata a capo del Quai des Orfèvres, mi piacerebbe saperne di più.

Dici il giusto, donna bianca. In effetti, anni fa la mia amica e mia traduttrice in francese, Catherine, mi ha regalato l’autobiografia di Martine Monteil, la prima donna commissario francese. Madame Monteil ha fatto carriera all’interno della polizia giudiziaria. Era bella come un’attrice, un tipo tosto, a occhio e croce. Lei ha diretto tutte le brigate della PJ, comprese la brigata per la repressione del banditismo e la celebre Crim’, la brigata criminale. Ha seguito casi molto importanti, come quello delle bombe sul metrò a Parigi, l’arresto di Françoise Sagan, e il suicidio di Jean Seberg, che le ultime settimane di vita passava spesso al Quai des Orfèvres. Era Martine Monteil che comandava la brigata criminale durante l’indagine più difficile e delicata, la morte di Lady Diana nel tunnel dell’Alma. Madame è poi diventata prefetto e, una volta in pensione, ha scritto la sua autobiografia che è una vera fonte enciclopedica di termini, tecniche e luoghi. Merci Martine!

E adesso parlaci di cosa stai scrivendo. Zara tornerà presto?

Al momento sto scrivendo un romanzo a sé stante, un noir che si svolge a Torino e il cui personaggio non è un poliziotto, o, per lo meno, non lo è più. Mi piace come sta venendo ma ci devo sputar sangue. Nel frattempo sto cercando di mettere insieme un nuovo romanzo di Zara e, per ovvi motivi, uno di Mordenti. Estote parati

E adesso un saluto, e ricordati che mi devi un autografo, dopo Refn quando ti piglio più.

Un saluto a te e un abbraccio forte. E non ti preoccupare, dovesse esserci un dopo Refn, mi ripigli esattamente come prima. Son troppo vecchio per metttermi a fare il prezioso.

:: Una pistola come la tua, Enrico Pandiani, (Rizzoli, 2016)

9 giugno 2016

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Nuova indagine per Les italiens, fortunata serie che sta facendo conoscere nel mondo il nostro torinesissimo Enrico Pandiani. E’ certa la notizia che Nicolas Winding Refn girerà una serie televisiva (per lo meno il primo episodio) ambientata a Parigi, tratta dal primo romanzo della serie. E anche i nostri cugini d’Oltralpe, di solito molto diffidenti e campanilisti, sembrano aver gradito i suoi noir venati di umorismo alla Frédéric Dard. Insomma è un bel periodo per Pandiani, che certo non si sarebbe mai immaginato sette anni fa, quando usci Les italiens per un piccolo editore torinese, tutto ciò. Lui no ma i lettori in un certo senso se ne sono accorti eccome che erano storie diverse dal solito, storie che sarebbero andate lontano. Per Rizzoli dunque è uscito in libreria Una pistola come la tua, quinto romanzo della serie, una storia amara, divertente, politicamente scorretta nel più puro stile Pandiani (forse è l’unico che usa ancora la parola negro in un suo romanzo). Una storia che ci porta a scorrazzare per Parigi, di locale in locale, dietro a un delinquente di mezza tacca, che ci fa trovare una testa di donna sul tavolo dell’ingresso di un appartamento di lusso. Una storia di inseguimenti, gente che salta dai tetti, sparatorie, con un pizzico di violenza in più, sempre stemperata da un disincantato umorismo, una dissacrante ironia che non rassicura del tutto, ma ci fa prendere le cose non troppo sul serio, non troppo lugubremente insomma. Avete presente quei noir torbidi e deprimenti, con una cappa nera che grava inesorabile. Beh i noir di Pandiani non sono così, anche nei momenti più drammatici una battuta, una freddura, un’ arguzia scolora il tutto, senza però scadere nella macchietta o nella pochade. C’è sempre un retrogusto amaro, molto francese, una morale di fondo, forse un po’ manichea, che pone i cattivi da un lato, senza speranza, senza possibilità di redenzione. E poi intrighi, politici corrotti, fusti in fondo al lago, maneggi da alte sfere, figli illegittimi, ragazze in difficoltà. Pandiani ama complicare le cose, non gli piacciono le storie lineari dove da a si va a b, ci son sempre sottotrame che portano altrove, e questa volta in 400 pagine ne ha trovato di spazio per far carambolare il lettore dietro ai suoi personaggi. Si mangia sempre choucroute, piatto alsaziano a base di carne di maiale e crauti (mi sono informata, se volete ho anche la ricetta), la squadra cambia ma i personaggi storici resistono incrollabili, e se Mordenti fa cancellare una multa alla nipote di Madame Kaganovitch, prostituta d’alto bordo sua amica, da Roger Bollani, un rimbambito che lavora alla stradale, promettendogli un appuntamento con Liz Hurley, noi che facciamo, non lo perdoniamo? Mordenti, malgrado tutto si trova la patacca dell’eroe, del cavaliere bianco dalla splendente armatura pronto a tutto quando c’è una donzella in difficoltà. Va beh un cavaliere un po’ recalcitrante, ma Mordenti è Mordenti. Prendere o lasciare. E poi ha anche un capo piuttosto ingombrante di cui tenere conto, una capo che in questa indagine sarà coinvolto molto da vicino. Buona lettura.

Enrico Pandiani (Torino, 1956) ha esordito nel 2009 con Les Italiens, primo romanzo di una serie poliziesca che diventerà presto anche serie tv, con una coproduzione internazionale. Nel catalogo Bur sono disponibili Pessime scuse per un massacro, La donna di troppo e Più sporco della neve.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Giulia dell’Ufficio stampa Rizzoli.

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:: Un caso come gli altri, di Pasquale Ruju (E/O, collezione Sabot/age, 2016) a cura di Federica Belleri

27 Maggio 2016

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Annamaria si è innamorata, sui banchi della scuola superiore. La sua vita nella Locride è sempre stata semplice e modesta. Con le parole e i giusti modi Marcello l’ha conquistata e chiesta in moglie alla futura suocera. Tutto in regola, tutto perfetto e così intenso da stordire. Marcello pare un uomo per bene, anche se ogni tanto un’ombra gli oscura lo sguardo. Annamaria lo ama e non fa domande. Anche il suo lavoro è un argomento da non affrontare, perché non le compete. Anche le regole sono fondamentali e vanno rispettate. Perché Annamaria è sua moglie, questo conta. Possibile che sia tutto così semplice? Possibile che il loro benessere economico arrivi improvviso? Possibile che per strada vengano salutati entrambi in modo ossequioso? Cosa non riesce a vedere Annamaria?
Un caso come gli altri” è una nera storia d’amore, legata all’importanza e alla rispettabilità della Famiglia, dove ogni tradimento o trascuratezza ha un prezzo. L’ammirazione di Annamaria per Marcello la rende inconsapevole del significato dei suoi silenzi. La rende quasi immune al dolore e all’amore per lui, che sta cambiando. Marcello e Annamaria sono sposati da parecchi anni ormai, ma le loro strade cambiano direzione. La dolcezza si trasforma in rabbia, il pericolo e l’istinto di protezione chiedono vendetta. Il sospetto e la gelosia annebbiano la capacità di ragionamento. Il rifiuto non è contemplato. Chi è davvero Marcello? Chi è sua moglie, e perché si trova in una stanza degli interrogatori davanti al sostituto procuratore?  “Un caso come gli altri“. La vita di una donna, intrecciata a quella del suo uomo, per sempre, fino alla fine. Attraverso gli occhi, l’onore, la forza del possesso e la fragilità degli istinti. Dentro la paura e il sangue, la bellezza e il sesso. Scrittura precisa, fine e diretta. Emozioni curate con tatto e sensibilità.  Ottimo romanzo. Buona lettura.

Pasquale Ruju, classe 1962, laureato in Architettura, ha lavorato in teatro, cinema, radio, televisione e nel doppiaggio, dando voce a personaggi di cartoni animati, soap e telefilm. Dal 1994 collabora con la Sergio Bonelli Editore in qualità di soggettista e sceneggiatore. Ha scritto oltre cento storie per albi di Tex, Dylan Dog, Nathan Never, Dampyr, Martin Mystère ed è autore delle miniserie Demian, Cassidy e Hellnoir. Un caso come gli altri è il suo primo romanzo.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Colomba dell’Ufficio Stampa E/O, Sabot/age.

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