
C’è una Napoli che non dorme mai. Brilla di luce ingannevole sulle terrazze di Posillipo, ma nasconde in sé un dolore antico, talvolta quasi insopportabile. È in questa città contraddittoria, bellissima e crudele ma viva, che Barbara Perna ha ambientato Se tu non ridi più, il suo nuovo romanzo: un giallo che supera i confini del genere per trasformarsi in espressione dell’animo umano e, al tempo stesso, in una storia di colpa, amore e redenzione.
La vicenda prende il via da uno sconvolgente delitto ai danni di un’esponente della Napoli bene. Una bella e giovane donna, Serena Acton Bauer, viene rinvenuta cadavere nel Parco della Rimembranza, barbaramente soffocata con un sacco di plastica. Un gesto brutale, feroce e apparentemente inspiegabile.
A invocare giustizia e verità sarà una famiglia di grande peso, produttrice di una pasta rinomata e presente sulle tavole di mezza Italia. Ma dietro la misurata eleganza dei palazzi e il perbenismo di famiglie ancora condizionate da antiche tradizioni, si celano passioni inconfessabili e realtà oscure che nessuno osa davvero guardare in faccia.
A essere chiamata in causa sarà Amalia Carotenuto, detta Lia: un tempo uno dei migliori avvocati penalisti della città, oggi una donna affranta, soverchiata dal peso di un lutto e da un senso di colpa che non conoscono tregua. “Non sono più un avvocato”, ripete a tutti come un ritornello difensivo, quasi volesse proteggersi anche da se stessa. Da tre anni, infatti, ha lasciato le aule dei tribunali per insegnare diritto penale al Suor Orsola Benincasa, perché il quotidiano contatto con la legge non le offre più certezze, ma soltanto rimorsi. Tuttavia, quando l’impetuosa e carissima amica di sempre, Cetta Caracciolo, attrice mancata, pittrice per passione, figlia di una napoletanissima principessa che riempie la scena come una sovrana, le chiederà di far luce su quell’omicidio, Lia non saprà dire di no.
Richiamato in campo l’aiutante di un tempo, il fedele Picchio Malatesta, investigatore privato per vocazione e quasi suo personale segugio, oggi riciclatosi come tassista, Lia sarà costretta a confrontarsi con un’indagine che non rappresenterà soltanto un faticoso viaggio verso la verità di un orrendo crimine, ma anche un doloroso ritorno dentro di sé. Ogni indizio sembra condurre a un nuovo enigma, mentre ogni pista rischia di riaprire una ferita. Eppure, tra i tè, le colazioni e le chiacchiere dell’aristocrazia napoletana, le mura di Poggioreale e le aule universitarie, Lia dovrà affrontare i propri demoni per scoprire se la giustizia possa davvero ricucire gli strappi della sua anima.
Barbara Perna, magistrata e romanziera di grande sensibilità, scrive un’opera in cui la consueta ironia si intreccia con una profonda e a tratti sconvolgente intensità. Se tu non ridi più mette in risalto una tensione che nasce non tanto dall’indagine quanto dalle intime crepe dei personaggi. Napoli ne è il cardine più significativo: una città che osserva e giudica, che accoglie e respinge. Dalle sontuose dimore di Posillipo, dove il lusso si trasforma in corazza, al carcere di Poggioreale, dove l’umanità è ridotta all’essenziale, ogni luogo descritto racconta una parte della storia.
La scrittura della Perna è viva e palpabile: si percepisce nel profumo di pasta e patate che invade la cucina di Lia, nel chiassoso brusio dei vicoli, nelle voci sospese tra una battuta in dialetto e un pensiero doloroso. I dialoghi sono efficaci, capaci di restituire la musicalità partenopea e la sua naturale ironia. La prosa, brillante quando serve ad alleggerire, diventa tagliente quando affonda nel cuore della tragedia. Ottima la costruzione psicologica dei personaggi, che denotano maturità narrativa.
Lia è una figura complessa e divisa: madre ferita, donna colta, sospesa tra la razionalità della legge e il caos dei sentimenti. Il suo dolore è nascosto, rivelato solo da involontari cedimenti. Accanto a lei, Cetta e Picchio incarnano i due poli dell’esistenza: un’esplosiva vitalità dell’una contrapposta alla quieta saggezza dell’altro.
Il titolo del romanzo nasce da un verso di Euripide: “Se tu non ridi più, il mio dolore è gioia.” Un richiamo netto alla Medea, ma anche un presagio: nel cammino di Lia e delle altre madri del romanzo, il confine tra amore e distruzione diventa sottile, e la maternità un campo di battaglia dove il perdono sembra impossibile. La Perna affronta con coraggio il tema della colpa, scavando nel legame più profondo e doloroso dell’essere umano.
La trama si sviluppa con colpi di scena ben calibrati e una tensione che non si spegne mai. Ogni tassello dell’indagine si incastra in un mosaico complesso, in cui l’omicidio iniziale diventa il punto di partenza per una più ampia riflessione sulla giustizia e sulla fragilità umana. “Una cosa sono i pettegolezzi, altra le scabrose verità”: una frase che pare racchiudere l’essenza stessa del romanzo.
Se tu non ridi più non si limita a risolvere un delitto: tenta di comprendere cosa significhi davvero perdonare e quanta forza serva per accettare la realtà.
La Perna intreccia abilmente la suspense dell’indagine con la malinconia del dramma interiore della protagonista. Il risultato è un romanzo inquietante, che emoziona e scuote, in cui l’ombra della colpa e la possibile luce del riscatto si bilanciano in un Fragile e sofferto equilibrio.
Alla fine resta ferma l’immagine di una città che brucia e consola, di una donna che tenta di rialzarsi e di un dolore che non si cancella, ma con cui si deve imparare a convivere.
Barbara Perna, vive e lavora a Roma. Ci tiene a precisare che però lei è partenopea, nata a Napoli il 6.9.69 (avete letto bene). Il superamento del Concorso in Magistratura nel 1998 le ha brutalmente stroncato una (forse) brillante carriera come attrice teatrale comica. Ha svolto il ruolo di giudice tuttofare un po’ in giro per l’Italia ma il suo cuore è rimasto in Toscana nel piccolo Tribunale di Montepulciano dove ha lavorato per cinque anni prima di trasferirsi a Roma. Scrive per passione, lavora per dedizione, legge per autodifesa. E viaggia molto, soprattutto con la mente. Per Giunti ha esordito con il romanzo Annabella Abbondante. La verità non è una chimera (2021) pubblicando poi Annabella Abbondante. L’essenziale è invisibile agli occhi (2022) – vincitore del Premio NebbiaGialla 2023 – e Annabella Abbondante. Il passato è una curiosa creatura (2024).
Ci sono romanzi che lasciano il segno, non perché ti cadono addosso di spigolo. Lasciano il segno per la potenza che hanno le parole impresse sulla carta. Uno di questi libri è “Furore” di John Steinbeck, uscito nell’aprile del 1939 in America e arrivato in Italia nel 1940, per volontà (a lui immenso grazie!) dell’editore Valentino Bompiani. La storia narrata dallo scrittore americano ci trascina negli Stati Uniti d’America, ai tempi della Depressione, nelle vite di questa squattrinata famiglia americana che da Est a Ovest, sulla Route 66, si muove alla ricerca di una stabilità economica che, a dire la verità, sembra proprio non voler arrivare a loro. Il cuore narrativo è la struggente vicenda umana di questi esseri viventi sempre in bilico tra rinascita e perdizione, tutti con qualche cosa di traumatico nel loro vissuto. La capacità narrativa di Steinbeck è proprio quella di portarci dentro alla vite dei Joad, di creare quel coinvolgimento emotivo durante la lettura che, ad un certo punto, si ha la netta sensazione di essere lì, accanto ai protagonisti. Lo squattrinato Tom Joad è uscito di prigione con un permesso premio, quindi, da subito l’autore ci mostra uno dei protagonisti e il suo essere un relitto umano. T. Joad è stato condannato a sette anni di carcere per aver accoltellato un uomo e quel deserto, a tratti arido e piovoso, che lui attraversa mentre torna dalla famiglia è duplice. È la terra bruciata dalla tremenda crisi economica americana del 1929, dove aleggiano solo miseria e povertà e, allo stesso tempo, è il deserto delle relazioni umane che Tom ha perso a causa del suo violare la legge. Oltre a Tom incontriamo la mamma, poi Al, Connie e la giovane sposa e futura madrea Rosasharn (Rose of Sharon), il fratello maggiore Noah, la sorellina Ruth (12 anni) e il fratellino più piccolo Winfield (10 anni). Non mancano il babbo, lo zio John, i vecchi nonni e Casy, un ex-predicatore trovato da Tom, un uomo spesso e volentieri perso nei suoi pensieri filosofici sulla condizione umana. Questo piccolo gruppo, che già forma in sé una mini-comunità, si metterà alla ricerca della fortuna, del sogno americano, in una terra dove la grave crisi economica solcò per tempo l’intera America. Come fanno i Joad, ci sono centinaia di migliaia di altre famiglie che si muovono sul suolo americano per riuscire a riscattarsi e ad avere fortuna a livello economico. La realtà dei fatti sarà ben diversa, perché la famiglia dei protagonisti si troverà a convivere con tutta un’altra umanità derelitta, povera e imbarbarita dalla tremenda miseria che, a questo punto non è solo economica, ma anche di valori esistenziali. Basta un nulla per scatenare litigi, ripicche e aggressioni tra persone che nemmeno si conoscono, ma che sono accomunate dalla mancanza di sicurezze e dall’estrema fame. Sì perché nel libro, oltre ai personaggi, una delle altre componenti attive della narrazione è la fame che tormenta, assilla e mina in modo costante la vita della famiglia Joad e degli altri attori letterari messi in campo da Steinbeck in questo romanzo. Tutti sono alla ricerca di un lavoro per fare fortuna, per guadagnare soldi e per placare la fame che li attanaglia, quella che toglie loro le forze e che rende labile la possibilità di un riscatto per un domani migliore. In “Furore” però, Steinbeck non si concentra solo sulla sfera umana, spesso e volentieri ci sono parti narrative che hanno come tema centrale il dirompente arrivo dei mezzi meccanici nell’agricoltura. Essi appaiono in tutta la loro solitudine mentre lavorano nei campi. Un segno evidente del progresso meccanico che avanzava, ma anche del cambiamento radicale dell’economia agricola e del metodo di lavorare la terra che, accanto alla grave crisi del 1929, trasformò il destino dei braccianti. “Furore” di John Steinbeck, identificato come il grande romanzo sulla Depressione americana, è un libro che ti travolge e appassiona dalla prima all’ultima pagina, ed è entrando nel suo intreccio narrativo che ti rendi conto di come i Joad e i loro comprimari siano fragili e animati da quella forza e ostinazione che li rende pronti a tutto per un domani migliore. Nel novembre 2013, sempre per Bompiani, è uscita l’attesa nuova versione integrale curata dallo scrittore Sergio Claudio Perroni che è andata a sostituire quella fatta nel 1940 da Carlo Coardi.
Bentornata Loredana su Liberi di scrivere e grazie di aver accettato questa mia nuova intervista. È da poco uscito il tuo nuovo libro “Magia nera”, una raccolta di racconti di genere ibrido, dall’horror al fantastico, al racconto morale, con molte sfumature e peculiarità che li rendono difficilmente etichettabili. Ce ne vuoi parlare?
Ieri sera, mentre un pianista giovane e di talento suonava Ravel nel salotto di una casa privata, pensavo che morire vuol dire abbandonare gli amici, la vita, la musica.


“… Terribile è il tempo in cui l’Uomo non voglia soffrire e morire per un’idea, perché quest’unica qualità è fondamento dell’Uomo, e quest’unica qualità è l’uomo in sé, peculiare nell’universo”.
edico questo libro agli AMICI e ai NEMICI”.


























