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:: Un’ intervista con Loredana Lipperini a cura di Giulietta Iannone

13 luglio 2019

Loredana LipperiniBentornata Loredana su Liberi di scrivere e grazie di aver accettato questa mia nuova intervista. È da poco uscito il tuo nuovo libro “Magia nera”, una raccolta di racconti di genere ibrido, dall’horror al fantastico, al racconto morale, con molte sfumature e peculiarità che li rendono difficilmente etichettabili. Ce ne vuoi parlare?

Io preferisco sempre la definizione più generale di fantastico, in cui rientra anche l’horror, perché non esiste, in questa raccolta ma in assoluto in quello che scrivo, una categorizzazione precisa. In “Magia nera” ci sono racconti steampunk, fantascientifici, horror. Ma mai a pieno titolo. Preferisco interpretare il concetto di fantastico nella chiave del perturbante indicata da Todorov: qualcosa che curva il reale, lo modifica, lo rende sottile, fa intravedere l’elemento magico dietro la concretezza. Quanto al racconto morale a cui accennavi: sono convinta che tutta la letteratura fantastica, per sua stessa natura, imponga ai personaggi una scelta etica. Se vuoi, tra bene e male, ma in generale fra la via più semplice e quella più complessa.

Che criterio hai usato per sceglierli per questa antologia? C’è un fil rouge sotto traccia?

Mi sono resa conto, scegliendoli, che già preesistevano le tematiche in cui sono suddivisi i racconti (Matrimoni, Madri, Ribellioni, Doni) in quello che stavo scrivendo o avevo scritto. Probabilmente perché sono le tematiche che mi sono care, e non a caso sono presenti sia nella produzione saggistica che in quella narrativa. È stato abbastanza semplice, dunque, suddividerli. La tematica più ampia che li comprende tutti è quella dell’inciampo in cui le mie protagoniste, donne qualsiasi (quasi tutte), si imbattono in un determinato momento della loro vita. Un momento casuale, non necessariamente drammatico: una sosta in una locanda, una casa che affaccia su un melograno, una partita a tombola.

Sono racconti scritti nello stesso periodo, o in periodi diversi della tua vita? Già usciti su antologie o riviste, o del tutto inediti?

Sei erano già apparsi in antologie o su riviste, sei sono inediti. Il più lontano è di sette anni fa, il più vicino di sette mesi fa. Alcuni sono stati pubblicati, o concepiti, con l’eteronimo di Lara Manni che ho usato dal 2007 al 2012.

Il racconto non è un genere molto comune, o perlomeno è così difficile da scrivere che pochi autori di racconti figurano nelle classifiche dei libri più venduti. Perché questo, secondo te? da dove nasce questa diffidenza nei lettori?

Credo che sia più una diffidenza degli editori. Non dimentichiamo che con i suoi bellissimi “Sessanta racconti” Dino Buzzati ha vinto il Premio Strega (peraltro, il suo è il tipo di fantastico a cui mi riferisco, in “Magia nera”) e che grazie alla sua produzione di (meravigliosi) racconti Alice Munro ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Non ho mai compreso fino in fondo il motivo della diffidenza medesima, poi. Forse si ritiene che il lettore voglia “la” storia in cui immergersi e non desideri frazionare la propria attenzione in tante piccole storie? Non mi convince. Mi sembra, però, che le cose stiano lentamente cambiando.

I tuoi racconti sono molto kinghiani, per il tipo di scrittura rifinita e piana, e per quel senso di inaspettato e meraviglioso che appare all’improvviso in un contesto si può dire comune, quotidiano, oltre a King (e non si può non citare Shirley Jackson, da poco al centro di un significativo revival) quali sono i tuoi maestri letterari?

Sono molti. Certamente l’influenza di King è determinante, e a sua volta King ha molto amato e stimato Jackson. E’ difficile elencare tutte le scrittrici e gli scrittori che hanno avuto e hanno un peso su di me: Munro, certamente, ma anche altre grandi autrici di racconti come Lucia Berlin, Grace Paley, Amy Hempel per quanto riguarda le più vicine a noi. Katherine Mansfield è stata la mia lettura di ragazza più coinvolgente. E poi Atwood, LeGuin, Carter, Du Maurier, Lovecraft, Harlan Ellison, Richard Matheson, Ray Bradbury per quanto riguarda il fantastico. E, in generale, la pietosa lucidità di Thomas Mann. O la grazia feroce di Kazuo Ishiguro. Ma sono troppo pochi, rispetto a quelli reali.

Protagoniste dei tuoi racconti sono principalmente donne, molto diverse l’una dall’altra, la cui forza deriva da qualcosa di ancestrale, misterioso e sconosciuto. Già che parli di magia, in che misura le donne sono canali privilegiati per veicolarla?

Non dovrebbero esserlo, in realtà. Inchiodare la donna al sacro è una grande trappola, come ricordava Simone de Beauvoir ne “Il secondo sesso”. Le mie donne non sono streghe. Sono persone comuni. Solo, deragliano più facilmente nel non-possibile. Scrivo di donne perché mi viene naturale: non c’è alcun sottinteso ideologico in “Magia nera”.

La maggior parte dei racconti sono ambientati in epoca contemporanea, ma ce ne uno dove addirittura c’è al centro il mago per antonomasia, il celebre illusionista Harry Houdinì, capace come si suol dire di “concorrenza sleale”. Gli uomini accettano con meno buona grazia delle donne di essere meno bravi in alcune cose? Vivono la competizione (se competizione c’è) in modo più drammatico e doloroso?

Tre racconti hanno una diversa ambientazione: “Madame” in epoca vittoriana, “Rosa Virgo” nella seconda guerra mondiale – almeno in parte, “Rosabelle, rispondi” nei primi anni del Novecento, quando era proprio il realismo a vacillare, dopo gli orrori della Grande Guerra. Quel racconto, l’ultimo in ordine di scrittura, è nato da uno spunto di Mariano Tomatis, illusionista e storico dell’illusionismo, che mi ha raccontato la vera storia di Minerva e del pessimo tiro giocatole da Houdini. Alla seconda parte della domanda rispondo con qualche titubanza: non mi piace mai la generalizzazione. Da un punto di vista storico e sociale potrei rispondere di sì, e che è ancora molto difficile accettare la competizione con una donna, comunque.

Mi è piaciuto molto un racconto che parla di cristalli, tradimento e con un finale nerissimo. Cosa ti ha ispirato la sua scrittura?

Ti riferisci a “Soltanto due euro”, immagino. Beh, l’innesco è stato semplicissimo: ho comprato due cristalli al mercantino. Non sapevo perché, proprio come la mia protagonista. Poi ho deciso di costruirci un racconto. Succede, quasi sempre, così.

Già ai tempi dell’antica Cina la scrittura era uno strumento di emancipazione femminile, se non economica perlomeno morale e psicologica. Era diciamo una delle poche attività consentite. Anche nella cultura Occidentale, donne che scrivono ce ne sono parecchie sin dall’antichità. Ancora oggi, secondo te, la scrittura è uno strumento di emancipazione?

No, la scrittura è scrittura, almeno oggi. L’emancipazione passa per molte altre cose. Se poi mi chiedi se le scrittrici vengano viste, qualitativamente e letterariamente parlando, allo stesso modo degli scrittori, la risposta è no.

Grazie della disponibilità vorrei chiudere questa intervista chiedendoti se stai scrivendo al momento, e quali sono i tuoi progetti per il futuro.

Sto lavorando, ormai da tre anni, a un romanzo. È piuttosto complesso e ci metterò un po’ di tempo. Anche perché di tempo non ne ho così tanto, purtroppo, o per fortuna, tra radio e altre avventure. Ma va bene così.