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:: Brividi, mistero e horror con le storie di Welsh, Antoine e Puard per Gallucci editore (2022). A cura di Viviana Filippini

23 settembre 2022

 Un po’ di brividi, non dovuti all’abbassamento delle temperature, ma a tre interessanti e coinvolgenti libri per ragazzi che hanno al centro l’horror, il terrore, la suspense e il mistero, tutti editi da Gallucci. Mi sto riferendo a “Rip van Winkle e racconti di un viaggiatore” (parte seconda) di Iriving Welsh, “La bambola maledetta” di Amélie Antoine e “Agenzia del brivido. La scuola del terrore” di Bertrand Puard. Tre storie ambientate tra passato e presente dove le emozioni forti, le apparenze, situazioni surreali e imprevedibili colpi di scena lasciano il piccolo lettore senza parole. In “Rip van Winkle e racconti di un viaggiatore” (parte seconda) l’americano Iriving Welsh crea una narrazione onirica dove Rip, uomo amato da tutti, ma molto (troppo) pigro è spesso richiamato all’ordine da chi gli sta attorno. Un giorno, stufo dell’ennesimo rimprovero, Rip parte, direzione la montagna. Qui, avvicinatosi ad un gruppo di strambe persone con le quali beve qualcosa, Rip è preso da un grande sonno e quando si risveglierà, il tempo (20 anni) sarà davvero per lui volato, senza capire bene il perché. Nella seconda parte il libro procede con dei ritratti umani di coloro che lavorano con i libri (scrittori, editori, critici…), punzecchiati con sapienza da Irving che tratteggia caratteri umani a cavallo del passato (siamo tra 1700 e 1800) e attuali ancora oggi. Traduzione dall’inglese di Adriana Cicalese e Riccardo Duranti.

“La bambola maledetta” di Amélie Antoine è un horror (il secondo della serie) a tutti gli effetti, o meglio, la storia parte con Tea e Margot in vacanza. Due sorelle davvero unite, anzi inseparabili. Poi, un giorno, in un mercatino delle pulci, Margot fa di tutto per comprare una bambola di porcellana con boccoli e abito di pizzo che lei piace davvare molto, forse un po’ troppo. Lei la adora, mentre Tea è inquieta, perché nota che all’improvviso cominciano ad accadere strani e inquietanti fenomeni. Tea è quindi pronta a tutto per sbarazzarsi della bambola, perchè secondo lei è la causa di tutti i mali, ma non sa che la situazione è molto più complicata di quello che le sembra. Traduzione dal francese di Silvia Mercurio.

“Agenzia del brivido. La scuola del terrore” di Bertrand Puard, illustrato da Claudia Petrazzi, porta il lettore nella scuola di Victor e Leila, dove accadono fatti strani come fotografie di classe con la presenza di ragazzini mai visti prima, voci che arrivano non si sa bene da dove, strano creature terrificanti e viscide presenti nei corridoi e muri della scuola. Il tutto è davvero spaventoso, ma si complica quando dei compagni di scuola di Victor e Leila scompaiono nel nulla. Chi li ha rapiti? Perché?  Ai due amici l’eroica missione di dipanare l’intricata matassa che li porterà alla scoperta di un inquietante mondo nascosto.  Traduzione dal francese di Margaret Petrarca e Matilde Piccinini.

:: Campo di pietra, Tove Jansson, Iperborea 2022 A cura di Viviana Filippini

9 settembre 2022

La scrittura nasconde in sé tante sfumature e lo dimostra la storia di “Campo di Pietra” di Tove Jansson, pubblicata da Iperborea. Il protagonista è un giornalista in pensione, Jonas, che ha appeso, ma solo in apparenza, la penna al chiodo. In realtà, per l’uomo c’è ancora un’importante sfida, ossia la scrittura della biografia di Y, il cui nome vero non viene mai citato, però intuiamo che è un grande magnate dei media. Jonas sa chi è Y, conosce alcuni aspetti del suo vissuto, ma deve approfondirli e da subito il protagonista si rende conto che non sarà un cammino facile, perché scrivere un articolo di giornale è un conto, ma raccontare la vita di un individuo, soprattutto di una persona come Y, è qualcosa di molto più complicato. L’autrice ci dimostra come questo giornalista cerchi di portare a termine quella che per lui è l ‘ultima opera, unita a tutte le difficoltà, gli imprevisti e intoppi che Jonas trova nel momento in cui si cimenta nella scrittura. Jonas vive questa sua impresa, o commissione- visto che sono altri ad avergli chiesto di scrivere-, in modo tormentato, perché ci sono i committenti che lo punzecchiano in più occasioni sulle bozze preparate che – secondo loro- hanno qualcosa di poco coinvolgente e interessante per il pubblico. La Jansson ci mostra un uomo anziano, senza amici, con colleghi che ormai sono diventati ex e che stanno a distanza. Jonas è solo, attorno a lui ci sono solo le due figlie, Karin e Maria, che provano, ancora un volta, ad avvicinare il padre e lo fanno invitandolo ad una vacanza da trascorrere assieme. L’azione delle due donne non è solo un tentativo di riavvicinarsi al padre, ma la volontà di proteggerlo e questo porterà Jonas, da una parte, a scrivere molto meno e, dall’altra, a prendere maggiore consapevolezza dell’esistenza di una vita vera, quotidiana, fatta di persone e di sentimenti nuovi e non solo di esistenze costruite con le parole. Questa nuova piccola saggezza, conduce Jonas a conoscere meglio e davvero le figlie, soprattutto la sensibile Maria. Il romanzo è ambientato a sud della città di Loviisa e sarà durante una vacanza a contatto con la natura brulla, con i boschi e con le pietre grezze del paesaggio, che il vecchio giornalista, dando ogni tanto un’occhiata al suo scritto, non solo leggerà la vita di Y in modo nuovo, ma farà una vera a propria autoanalisi del proprio io che gli permetterà di comprendere come è lui, cosa ha fatto di giusto e di sbagliato nella sua vita lavorativa e privata. In questo romanzo, attraverso la figura di Jonas, la finlandese Jansson attua una riflessione sul valore delle parole, su quello che esse possono fare (bene o male) a chi le legge e a chi le scrive. “Campo di pietra”, però, è anche un’acuta riflessione che la Jansson fa sulla solitudine e isolamento che caratterizzata la vita di coloro, scrittori e giornalisti, che lavorano con le parole e che narrano la vita degli altri a volte dimenticandosi della propria. Traduzione Carmen Cima Giorgetti.

Tove Jansson nata a Helsinki nel 1914 da padre scultore e madre illustratrice, appartiene alla minoranza di lingua svedese ed è considerata “monumento nazionale” in Finlandia, dove nel 1994 le celebrazioni per il suo ottantesimo compleanno sono durate un intero anno. È nota in tutto il mondo per i suoi libri per l’infanzia, la serie dei Mumin, che le valse tra gli altri il Premio Andersen e una fama senza tempo. È a partire dagli anni Settanta che ha iniziato a rivolgersi con lo stesso spirito, ironico e sottile, umano e poetico, anche agli adulti con una decina di libri, tra cui “Il libro dell’estate”, di cui cinque pubblicati in Italia, pur continuando a coltivare il filone dei libri per l’infanzia. È scomparsa nel giugno 2001.

Gandhi raccontato ai ragazzi nel romanzo corale di Chiara Lossani

3 settembre 2022

Chi era Gandhi? Come si comportava? Come ci si poteva relazionare con lui? A raccontare la figura del Mahatma ci pensano le ragazze e i ragazzi protagonisti del romanzo “Gandhi” di Chiara Lossani, edito da San Paolo Ragazzi. Un libro che narra la figura di Gandhi, il suo modo di relazionarsi al prossimo e il cammino, non facile, per l’emancipazione dell’India. Di come è nato il libro ne abbiamo parlato con Chiara Lossani, autrice di libri per ragazzi.

Come è nata l’idea di scrivere un libro su Gandhi dedicato ai bambini? Gandhi mi è sembrata la persona giusta da raccontare ai miei giovani lettori, perché io per prima ne sono rimasta coinvolta fin dal tempo del mio viaggio in India, molto tempo fa. Mi ha affascinato il suo pensiero sul cambiamento, e la sua coerenza ha mosso in me emozioni e riflessioni. Così, quando qualche anno fa un piccolo editore mi ha chiesto di scrivere un racconto per ragazzi su di lui, ho incominciato ad approfondirlo cercando però un modo nuovo di narrazione che potesse coinvolgere le ragazze e i ragazzi che l’avrebbero letto. Quel piccolo libro ha avuto un buon successo, e successivamente ho sentito il bisogno di estendere quel racconto (che nel frattempo è andato fuori catalogo e che si riferiva al solo episodio della marcia del sale) a tutta la sua vita. Ne è nato un romanzo: Gandhi, appunto, pubblicato da San Paolo. Raccontarlo ai ragazzi ha significato principalmente per me andare oltre ogni luogo comune sulla sua figura, spesso presentata come eroica o stravagante, in modo che potessero comprenderlo e amarlo, ma non solo. Per incontrare Gandhi bisogna innanzitutto incontrare se stessi, conoscere se stessi per essere “quel cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”, come diceva lui. I ragazzi e le ragazze di ogni tempo, ma soprattutto di oggi, hanno bisogno di conoscere se stessi e hanno bisogno di adulti che mostrino loro un modo nuovo di vivere. Un modo che presupponga l’amore. Nel mio romanzo Gandhi non è un eroe, è uomo fra gli uomini, con un profondo senso di autocritica e sempre alla ricerca della verità dentro di sé. I giovani lettori ne rimangono sorpresi, affascinati, lo sentono vicino e accolgono con interesse e coinvolgimento la sua proposta, cioè la ricerca della verità, dentro e fuori di sé. I ragazzi e le ragazze cercano la verità, e con Gandhi scoprono che la Verità è essenzialmente Amore.

Perché la scelta corale, a più voci, per narrare la figura di Gandhi? Questo romanzo immagina alcuni incontri possibili tra Gandhi e ragazzi e ragazze di provenienze diverse, in cui i lettori possono identificarsi, trovando il proprio incontro con Gandhi.  Gandhi intitolò la sua autobiografia “i miei esperimenti con la Verità”, e lo stesso percorso ho seguito nel mio romanzo. Sono storie di presa di coscienza e di testimonianza che hanno per protagonisti ragazze e ragazzi che raccontano il loro incontro con Gandhi in momenti importanti della sua pratica contro ogni violenza.  Il lettore a sua volta lo incontra attraverso il loro sguardo, e resta attonito davanti al suo non reagire con violenza alla violenza; e sorride alle sue battute; e ammira il suo coraggio nell’affrontare a mani nude i soldati; e si stupisce della sua capacità di compassione anche per gli assassini, e delle sue strane abitudini – pulire le latrine al posto degli intoccabili, o filare il cotone indiano all’arcolaio per due ore ogni giorno.

Da Laxmi, a Khoi, Vittoria, Srinivasa, passando per Seth e Kedar fino a Sushila, tutti apprendono qualcosa da Gandhi. Quanto è importante il rapporto con lui? La vita di ciascuno di noi è fatta di incontri, ad alcuni resistiamo, altri ci cambiano, ma è meglio dire che ci fanno ritrovare noi stessi, come è successo a Khoi, Laxmi, Kedar, Seth, Srinivasa, Victoria e Sushila, i protagonisti di questo romanzo, le cui storie hanno incrociato quella di Gandhi. Stanno vivendo momenti difficili della loro esistenza, e incontrano Gandhi in momenti cruciali della sua. È un incontro in fondo alla pari, ognuno guarda a sé e all’altro con libertà. La libertà di scegliere cosa fare, dove andare. Ognuno compie la sua scelta, anche Gandhi, che lascia sempre a chi ha di fronte la libertà di andarsene o di condividere il percorso con lui. Nell’episodio di Laxmi, questo è particolarmente evidenziato…Incontrare Gandhi per incontrare se stessi, per sperimentare se stessi, insieme a lui e in cammino con lui. Questo è il senso del romanzo.

Tra i protagonisti che si avvicendano attorno al Mahatma quanti sono reali e quanti frutto della fantasia?  Tutto ciò che nel romanzo riguarda Gandhi è documentato, ho cercato di rispettare il più possibile le sue vere parole, che meritano di essere ascoltate come lui le ha pronunciate. I ragazzi protagonisti invece sono frutto della mia fantasia, tranne Uka, l’intoccabile, che era un servo della casa dei Gandhi, e che lui conobbe da bambino.  La capra dell’episodio con protagonista Vittoria è un’invenzione, ma non il fatto che Gandhi abbia portato con sé una capra dall’India, sulla nave che lo condusse in Inghilterra nel 1931.  Ed è vero anche l’episodio nella fabbrica di cotone. Gli operai inglesi erano molto arrabbiati con Gandhi, perché molti di loro erano stati licenziati e vivevano in condizioni di miseria, anche in conseguenza della sua lotta contro i tessuti inglesi commercializzati in India. Gandhi ne era dispiaciuto, fece loro un discorso che è rimasto nella storia – quello che riporto nel racconto – con cui seppe conquistarsi la loro stima. C’è un’incredibile fotografia che ci documenta l’incontro con le tessitrici della fabbrica, che lo circondano, gli stringono le mani, lo acclamano. Una foto davvero emozionante, che mi ha ispirato il racconto. Anche l’episodio di Sushila e di Kedar – rivisto solo nel finale – è accaduto realmente. Ci viene riportato da Lapierre e Collins nel loro indimenticabile Stanotte la Libertà, che merita di essere riletto. Devo precisare però che alcune date sono state modificate per esigenze narrative, ma ciò non ha influito sul senso del racconto.

Cosa rappresenta per lei la figura del Mahatma? Come ha affermato in un’intervista la figlia del Vicerè dell’India, che lo incontrò da bambina, “Gandhi era irresistibile”. Era un uomo che catturava l’interesse di chiunque lo incontrava, che sapeva trascinare le folle, che scosse la coscienza non solo del suo popolo ma del mondo intero. Quello con Gandhi è stato per me un incontro fulminante, in cui mi sono immersa con tutta me stessa. Penso che le sue parole, i suoi gesti, le sue idee originali siano ancora oggi un’indicazione di vita, ci mostrino una via di convivenza, una possibilità vera per l’umanità di poter superare i conflitti che stiamo attraversando, mettendo in pratica quell’atteggiamento che fece dire a Gandhi che: “prima di lottare contro i pregiudizi degli inglesi, noi indiani dobbiamo superare i nostri pregiudizi cambiando noi stessi”. Credo che sia una grande lezione per me e per tutti. Sono convinta che abbiamo più che mai bisogno delle parole di Gandhi per trovare una pace nuova e dare spazio al cambiamento di cui il nostro mondo ha bisogno per sopravvivere.Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo… sono parole d’oro che tutti noi dovremmo cominciare a scrivere nella mente e nel cuore.

Come è stato raccontare ai lettori bambini e ragazzi una figura come quella di Gandhi e quanto è importante che i piccoli lettori conoscano le personalità che hanno agito nella Storia? Sento fortemente il bisogno che provano le ragazze e i ragazzi di leggere storie vere, di conoscere di figure di riferimento di adulti coerenti, che mostrino loro un nuovo modo di vivere oltre il consumismo e la banalità.  L’ attualità di Gandhi credo sia ben riassunta da una frase che mi disse un dirigente scolastico in un incontro con i ragazzi della sua scuola: “Lo dica a loro, che la vera forza, il coraggio, non è tirare pugni!” Penso che i ragazzi lettori possano identificarsi con i personaggi del romanzo  nella ricerca della propria verità. Gandhi è oltre ogni epoca, perché con la sua teoria e la sua pratica, che sperimentava innanzitutto su di sé,  affronta il tema della violenza individuale e collettiva. i conflitti persona contro persona, il pregiudizio, l’importanza delle scelte e della presa di coscienza di ciascuno. Gandhi risponde alla domanda che i nostri ragazzi e ragazze si pongono ogni giorno: come risolvo i miei conflitti? La risposta di Gandhi è: con l’amore, che si attua con la non violenza, un messaggio che egli sa trasmettere a tutti senza supponenza, ma sempre con coerenza e leggerezza.

Le piacerebbe fare un altro libro come questo? Se sì quale personalità le piacerebbe raccontare? Mi piacerebbe raccontare ancora la storia di una grande personalità attraverso le voci di ragazze e ragazze, certo, senza emulare questo romanzo ma trovando strade nuove. Persone che hanno portato qualcosa di nuovo nel pensiero dell’umanità, che possano “convertire” il cuore e la mente per trovare nuove possibilità di esprimere quanto di buono c’è nel genere umano. Non ho in mente il nome di nessuna personalità, per ora, ma tante si sono avvicendate nella Storia, e sono certa che la troverò.

Leo de Sanctis racconta le “Ricette di guerra” della zia Amalia. A cura di Viviana Filippini

28 luglio 2022

Vivere in tempo di guerra e cucinare piatti per sfamare le bocche della propria famiglia con quel poco che si ha. Questo e tante ricette si trovano in “Ricette di guerra. 1940/1944 per una cucina semplice semplice”, il ricettario di Amalia de Sanctis, della quale Fefè editore ha pubblicato il libro a cura di Leo Osslan de Sanctis e con un testo di Cesare de Sanctis, parenti della zia Amalia, che nella foto vediamo in compagnia Sante de Sanctis nel 1913 a Parrano, in Umbria, nei pressi di Città della Pieve paese di orgine della famiglia. Della zia Amalia e del suo mondo ne abbiamo parlato con Leo.

Leo, come è entrato in possesso delle ricette di zia Amalia e perché ha deciso di pubblicarle? La nascita di questo libro è a suo modo molto letteraria. Riordinando la piccola e originale biblioteca di libri gastronomici di mia madre, dopo la sua morte, mi sono imbattuto in un’anonima busta bianca, anzi grigia di polvere. L’ho aperta incuriosito e dentro vi ho trovato il manoscritto delle “Ricette di guerra 1940/1944” che la mia zia Amalia regalava a mia madre in occasione del suo matrimonio con mio padre, nel febbraio del ‘44. In realtà più che un manoscritto era la copia carbone di un dattiloscritto, battuto a macchina dalla “zia Amalia” in più copie, con la carta carbone tra un foglio e l’altro e i fogli leggeri leggeri, come carta velina. Cose d’altri tempi. E appunto molto letterari. In quel momento ho deciso d’impulso che dovevo farne un libro.

Nel libro si parla di Amalia come di una vestale, perché si afferma questo? La zia Amalia (l’ho sempre conosciuta e chiamata così, anche se in realtà era la mia prozia, sorella minore di mio nonno Carlo, nati entrambi alla fine dell’800) era molto legata a Parrano, microscopico paesino umbro dell’alto Orvietano in cui la famiglia De Sanctis ha prosperato fin dal 1480. Amalia, suo fratello Carlo e il fratello di mezzo Valerio, furono la prima generazione “romanizzata”: il loro padre e mio bisnonno Sante De Sanctis (uno dei fondatori della psicologia/psichiatria in Italia) era colui che aveva “fatto il salto”, abbandonando il paese per trasferirsi a Roma. Amalia aveva una memoria elefantiaca: del paese e delle radici della famiglia sapeva e ricordava tutto, e non perdeva occasione per ricordare, con orgoglio, fatti e persone del passato anche remoto. Per questo mio nonno Carlo l’aveva proclamata “vestale” della famiglia; era al tempo stesso un gentile sfottò e il riconoscimento di un ruolo importante.

Che idea e immagine si è fatto lei di zia Amalia? La zia Amalia era molto simpatica, molto cordiale, grande conversatrice, molto espressiva con continui e imprevedibili movimenti di occhi, mani e volto tutto. Da me e dai miei cugini, bambini e poi ragazzi, era amata. Proverbiali erano le sue “festicciole” in cui ci mescolava ad altri coetanei a noi sconosciuti e ci invitava a “socializzare”, con lo spirito pedagogico che le derivava dall’illustre suo padre Sante. Ricordo dovizia di panini burrosi con salumi vari e montagne di pasticcini, un po’ all’antica ma eravamo pur sempre negli anni ’60.

Le ricette sono tante, vanno dagli antipasti, ai primi, secondi, contorni, stuzzichini, dolci. C’è qualcosa che l’ha stupita di queste ricette? Quello che più mi ha stupito sono le non-ricette, quelle dettate materialmente dalla penuria di materie prime a causa della guerra. Ad esempio la “pastina senza pastina” o quelle che la zia ha definito “malizie culinarie”, cioè trucchi del mestiere per preparare “un’insalata senza olio” o “una maionese con poco olio” o come fare per “imburrare un recipiente senza burro”. Piccole truffe innocenti perpetrate con ingredienti succedanei ma egualmente genuini; molto diverse dalle vere e proprie truffe di oggi, in cui si spacciano per genuini prodotti realizzati con l’aiuto determinante e a volte pericoloso della chimica.

Cucinare in tempo di guerra cosa comportava per Amalia e per chi come lei stava vivendo quella situazione? La zia Amalia era in un certo senso fortunata ad aver mantenuto un legame con la campagna umbra natìa. Da lì arrivavano, saltuariamente, rifornimenti di cui non tutte le famiglie romane potevano godere. Risorse che comunque la zia utilizzava e insegnava ad utilizzare con parsimonia, con attenzione, con un occhio sì al gusto del piatto ma con molta cura, ad esempio, al riutilizzo degli avanzi o, come dicevo prima, all’uso di ingredienti succedanei più economici e disponibili.

Cosa possiamo imparare noi da zia Amalia? Ora un’altra guerra è in corso e non mi riferisco solo alla guerra guerreggiata di cui sappiamo (che pure ha e avrà la sua influenza su cosa mangiamo), ma alla guerra più subdola e sotterranea che affligge molte famiglie: la difficoltà a mettere insieme pranzo e cena come vorremmo o come eravamo abituati, la costrizione a rinunce e a scelte. Questo piccolo libro ci può aiutare in questa nuova diversa emergenza.

Ha provato a fare qualcuna delle ricette? Non sono un gran cuoco ma qualcuna l’ho voluta testare e il risultato non è stato niente male! Delle ricette della zia Amalia quello che apprezzo è che sono diverse dai ricettari “moderni”, che trovo un po’ ansiogeni e per niente rilassanti: non troverete quasi mai l’indicazione delle quantità precise (tot grammi non uno di più) né dei tempi (tot minuti non uno di meno) o dei gradi (al forno a tot gradi mi raccomando). Moltissimo è lasciato all’interpretazione di chi cucina, all’estro, alla sensibilità, al “naso” di chi è ai fornelli.

Tra tutti i piatti proposti qual è quello che le piace di più e quello che le piace di meno (se c’è)? Consiglierei questo menù, di estrema semplicità sia nella preparazione che negli ingredienti, con cui (come si dice) farete un figurone: “riso con mozzarella” di primo o se preferite una “minestra di noci”; per secondo, delle “polpette miracolose” (anche nel gusto) o per i vegetariani un “tortino con peperoni”; come contorno energetico, “patate vitalizzate”; infine per dessert, consiglio il “monte d’oro” (un mont blanc di guerra e assai più facile da preparare) o per i piccoli un “budino di pane”, facile e economico.

Quanto è importante fare memoria anche delle ricette di famiglia del passato? Credo che la memoria sia di per sé fondamentale, ovviamente quella storica, ma anche quella più minuta, di famiglia: sono le nostre radici che non dobbiamo mai dimenticare né trascurare, sono il nostro dna. La memoria gastronomica è ugualmente fondamentale: “siamo quello che mangiamo” possiamo declinarlo al passato “eravamo quello che mangiavamo”. E da quelle persone, che mangiavano così, noi deriviamo.

Source: richiesto dal recensore. Grazie allo studio 1A.

:: Borders, Giuliana  Facchini (Sinnos, editore 2022) A cura di Viviana Filippini

22 luglio 2022

“Borders” è il titolo del libro di Giuliana Facchini che torna in libreria con una storia ambientata in un futuro prossimo, non troppo lontano dal nostro mondo attuale. Il volume, edito da Sinnos, presenta un gruppo di ragazzi a Magnolia. Già, il nome è quello di un albero, ma la megalopoli del libro della Facchini è un luogo super avanzato dal punto di vista tecnologico, perfetto e inattaccabile. Quello che colpisce di Magnolia è il suo essere l’unico punto di vita in un luogo che è una landa deserta e sterminata dove l’aridità, la desolazione e la distruzione hanno spazzato via quella che una volta era la terra. Magnolia è un luogo nel quale la società è basata su regole rigide e controllo estremo di chi ci vive e di ogni cosa messa in circolazione, tanto è vero che nella località non esistono libri, sono completamente banditi e quello che si conosce è controllato e veicolato da chi gestisce il potere. Chi è fortunato ha ogni privilegio. Chi è povero e emarginato non ha nulla e deve lavorare duramente per poter sopravvivere. Nel cemento di Magnolia vivono un gruppo di ragazzi (Lindgren, Dickens, Verne e Alcott), tutti con nomi di noti scrittori per i più sconosciuti, perché qualcuno, o qualcosa, ha come cancellato la memoria delle persone. I quattro sono i figli adottivi di Olmo, una donna misteriosa che ha in serbo per loro un progetto fuori dalla norma e che li ha adottati appena nati per educarli ad alcuni valori come la conoscenza delle cose (i semi delle piante), la libertà, la ribellione, la ricerca della verità appartenuti ad un mondo lontano (la terra di un tempo sparita) che non è Magnolia dove tutto invece è sterile e freddo, dove ogni cosa viene fatta con la tecnologia, annientando per sempre le relazioni umane. Il piano di Olmo è quello di architettare per Lindgren, Dickens, Verne e Alcott una vera e propria fuga da Magnolia verso un luogo, perché è convinta che esista un posto, dove quei valori scomparsi ancora vivono. Il romanzo della Facchini, con copertina disegnata da Mara Becchetti, è avventuroso, al punto giusto distopico, ma in esso i protagonisti attuano quello che è il percorso di crescita tipico del romanzo di formazione. Perché? Perché nel momento in cui i ragazzi cominceranno ad attraversare il deserto di cemento per raggiungere l’isola sconosciuta dove si trova il vecchio William nella speranza che lui abbia i semi che stanno cercando, dovranno attraversare tutta una serie di prove, valicare ostacoli e imprevisti che metteranno in crisi ogni loro certezza. Ogni evento vissuto li porterà a confortarsi con la realtà sconosciuta e misteriosa fuori da Magnolia, con i resti di quello che era il mondo del passato, con persone nuove e con situazioni dove i quattro giovani rifletteranno sul valore dell’amicizia e su quello della libertà. “Borders” di Giuliana Facchini è quindi un romanzo che comprende diversi generi (avventura, distopia, formazione) dove Lindgren, Dickens, Verne e Alcott (che sono un po’ l’immagine riflessa dei giovani lettori di oggi) impareranno ad ascoltare a conoscere meglio il loro cuore e anche il mondo che li circonda, con la presa di coscienza che esistono eventi il cui corso può avere effetti drammatici e irreparabili sul singolo e sul mondo circostante e solo con la speranza, la forza e il coraggio è possibile agire insieme per tentare di cambiare le cose e tornare a vivere in libertà.

Giuliana Facchini è nata a Roma. Qui ha frequentato la facoltà di Lettere e ha ottenuto un attestato della Regione Lazio come Segretaria di Edizione Cinematografica. Ha seguito corsi di recitazione e doppiaggio ed è stata interprete di teatro amatoriale e semiprofessionale, occupandosi anche di teatro per ragazzi. Ha vissuto a Roma e a Lussemburgo e ora abita in un paese tra Verona e il Lago di Garda. Da anni scrive libri per ragazzi. Ha vinto nel 2008 il “Premio Montessori”, nel 2012 il “Premio Arpino” e nel 2015 il “Premio Giovanna Righini Ricci”. Con Sinnos ha pubblicato “La figlia dell’assassina” (2018).

Source: ricevuto dall’editore, grazie a Emanuela Casavecchi e all’ufficio stampa Sinnos.

:: Lady dal fiocco blu? Cinquant’anni con Oscar, Silvia Stucchi (Graphe.it, 2022)A cura di Viviana Filippini

14 luglio 2022

C’è una figura indimenticabile nella mia mente di bambina. Quella figura della quale ho il mio primo ricordo televisivo nel 1982, è quella ragazza coraggiosa dai lunghi capelli biondi, occhi azzurri, una bellezza unica tanto leale e coraggiosa. Lei è Oscar, o meglio Lady Oscar per tutti coloro che sono nati e cresciuti negli anni’80. Oggi, a 40 anni dalla serie tv e 50 dal manga, è uscito il libro “Lady dal fiocco blu? Cinquant’anni con Oscar” di Silvia Stucchi per Grpahe.it. L’autrice ha messo nel volume tutto quello che ha raccolto e scritto su Oscar nel corso degli anni, restituendo al lettore un saggio dettagliato e accurato che indaga a fondo la vicenda e la persona di Oscar. La cosa interessante che la Stucchi fa è il porre attenzione sulle differenze tra il manga e la serie televisiva, per la quale sono state create anche delle situazioni ad hoc, non presenti nel fumetto. Per esempio, se nel manga l’adolescente madamigella Oscar ama indossare la divisa per difendere la regina, nell’anime tv, Oscar non è convinta di seguire l’imposizione del padre che la cresce come se fosse un maschio. Altra differenza tra il manga e l’anime è che il secondo, adattato alla tv in 40 puntate, ha un tasso di drammaticità molto più elevato. “Lady dal fiocco blu? Cinquant’anni con Oscar” è un cammino profondo che dimostra non solo quanto sia stata accurata la ricostruzione storica messa in atto dalla Ikeda per i fatti storici e i personaggi, ma ha in sé la volontà di narrare il lato umano di Oscar, di Andrè e di alcuni loro comprimari. Interessante è pure la parte finale del volume nella quale si trova un approfondimento su due delle figure reali presenti che vengono raccontate dalla Stucchi per come erano veramente: la contessa du Barry, ultima favorita di Luigi XV di Francia, e Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois, contessa de La Motte, nota come Jean Baleau per il cartone animato e sorellastra di Rosalie. Quello che mi piace però del libro di Silvia Stucchi è l’analisi psicologica svolta nei confronti di Oscar e André che dona loro una profonda umanità, rendendoli persone reali con tutte le loro paure, dubbi, emozioni e tormenti del cuore. Vero è pure il fatto che Oscar nasconde il suo corpo sotto abiti maschili – e notate che le tre divise che indossa: bianca, rossa e blu, richiamano i colori della bandiera francese- ma, nonostante questo, Oscar è consapevole del suo essere donna, del suo sentire e vivere con un cuore di donna. Si guardi per esempio il rapporto tra Oscar e Rosalie, per la quale madamigella Oscar è una sorella maggiore, un’amica, un àncora di salvezza e una sorta di madre che la accudisce, la alleva e, a modo suo, le dona affetto. Stessa cosa è forte il legame di amicizia e stima tra Oscar e Maria Antonietta, messo in crisi solo alla fine dalla loro visione diversa dell’imminente Rivoluzione Francese. Certo è che nel saggio di Silvia Stucchi, Oscar, la cui lealtà e coraggio fanno pensare ad una versione femminile del cavaliere, è sempre donna, dalla prima all’ultima puntata e dalla prima all’ ultima pagina. Un donna che ha sempre amato André (come ha fatto lui con lei), ma che ha compreso il suo sentimento forse un po’ troppo tardi. Oscar e André sono giovani, belli e anche un po’ ribelli se vogliamo per i loro tempi, visto che ad un certo punto decidono di fare di testa loro andando oltre gli schemi sociali del tempo e stabilendo da soli della propria vita. Sono i due eroi, un po’ come quelli della mitologia antica, che muoiono giovani sacrificando la loro vita e trovando la consacrazione eterna che, ancora oggi, ogni 14 luglio fa ricordare Oscar.

Silvia Stucchi, bergamasca, laureata in Letteratura Latina, insegna latino nei licei e presso l’Università Cattolica di Milano. Autrice di monografie e saggi scientifici su Petronio, Seneca tragico, Ovidio, Cassio Emina e la cucina dell’antica Roma, collabora con riviste e testate giornalistiche, e nel tempo libero coltiva l’interesse per la letteratura poliziesca, la storia e la letteratura francese, i fumetti, e, naturalmente, per «Le Rose di Versailles».

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa 1A.

:: Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli, Paolo Possamai (Marsilio 2022) A cura di Viviana Filippini

5 luglio 2022

“Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli”  è il titolo del libro di memorie visive e storiche  edito da Marsilio, dedicato alla città di Trieste, scritto da Paolo Possamai, ideale da prendere sottobraccio con sè per visitare la città, ma entriamo nel dettaglio. Nettuno e Mercurio sono anche due antiche divinità ben note sin dai tempi degli antichi Greci e Romani. Nettuno era, e lo è ancora, il dio dei mari e delle correnti, e a Trieste di mare ce n’è. Mercurio per i Romani era la divinità del guadagno e del commercio e queste attività erano molto vive nella città di Trieste, soprattutto nell’800. Il libro di Possamai porta il lettore alla scoperta del volto urbano della città di Trieste che è protagonista in modo completo di questo volume. Interessanti sono sì le descrizioni dei diversi monumenti presi in esame, ma ancora più curioso è l’abbinamento alle fotografie inedite realizzate da Fabrizio Giraldi e da Manuela Schirra. Questo volume permette di restituire al lettore l’immagine di una città di impianto architettonico neoclassico nella quel la mitologia, le attività commerciali e il rapporto con la borghesia dell’epoca erano molto solidi. Matteo Pertsch, Antonio e Francesco Bosa, Pietro Nobile, Emilio Bisi sono solo alcuni degli architetti e degli scultori che agirono a Trieste contribuendo, attraverso l’architettura e la scultura, alla costruzione dell’identità della cittadina triestina dove eleganza, mitologia e lavoro si mescolano alla perfezione dal passato fino ai giorni nostri. E così, oltre a Mercurio e Nettuno, Giasone, Venere, ad accompagnare e vigilare sui triestini ci sono i santi patroni della città e figure simboliche come la Mercatura, la Giustizia, l’Onore, la Fama, l’Ingegno, l’Abbondanza, l’Industria, la Navigazione, la Perseveranza presentati in forma di sculture e  bassorilievi. Tutti lì presenti in diversi edifici pubblici (Teatro Verdi, Tergesteo, Palazzo della Borsa…) e privati (Palazzo Carciotti, Palazzo Vivante, Palazzo Rotonda Pancera). Queste e altre figure dal valore simbolico compaiono negli edifici con funzione civile e di abitazione, nei portoni, nelle cornici di porte e finestre, nelle facciate scolpite dei palazzi, dove dimostrano di non essere semplici decorazioni messe lì per fare bello uno stabile. Ogni singolo elemento decorativo è sì rappresentativo della stile architettonico neoclassico, ma ad un’attenta osservazione si ha come la sensazione che esso determini un’atmosfera di bizzarro, insolito e originale che pervade la città di Trieste. “Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli”, di Paolo Possamai, narra e mette in risalto gli elementi architettonici che non solo decoravano le architetture presenti ma che, allo stesso tempo, rappresentavano l’identità di una città e della sua classe sociale borghese composta dai mercanti, commercianti e dirigenti. Prefazione di Giuseppe Pavanello.

Paolo Possamai (Vicenza, 1960), è direttore del quotidiano “Il Piccolo di Trieste” e in precedenza ha diretto “La Nuova Venezia” ed è stato inviato speciale del Gruppo Espresso. Dal 1999 scrive per “La Repubblica, in particolare sul dorso economico Affari & Finanza. È consulente della Fondazione Nord Est per la stesura del Rapporto sulla società e l’economia e ha pubblicato vari libri.

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa Marsilio.

:: Millo & Cia – Avventure scout. Il mistero del palazzo maledetto, Camillo Acerbi, Emanuelle Caillat e Mauro Guidi (Gallucci 2022) A cura di Viviana Filippini

28 giugno 2022

«Facciamo che noi non lasciamo un amico in pericolo. Lui ci avrebbe aiutato, e lo stesso dobbiamo fare noi. Come dice Chil l’avvoltoio: “Siamo di uno stesso sangue!”». Ci sono voluti un po’ di anni (20) ma, alla fine, il fumetto con protagonisti i due gemelli Millo e Cia, creati da Camillo Acerbi, Emanuelle Caillat e Mauro Guidi, sono diventati un libro per i piccoli lettori edito da Gallucci. Protagonisti di “Millo & Cia – Avventure scout. Il mistero del palazzo maledetto” sono i due gemelli tra loro diversi per carattere e modo di essere, uniti dalla passione per lo scoutismo che li rende parte integrante del mondo scout e dell’avventura. Per i due protagonisti tutto sembra andare per il meglio, ma la situazione si movimenta nel momento in cui due loro amici lupetti svaniscono nel nulla. Per ritrovarli i ragazzi dovranno affrontare il temibile Palazzaccio, un palazzo vecchio e -a quanto di dice- maledetto che mette terrore solo a vederlo. La trama messa a punto dai tre autori è ben costruita grazie ad un intreccio nel quale non mancano i colpi di scena che lasciano il lettore pieno di stupore e che gli fanno capire anche quanto sia importante l’amicizia, visto che i protagonisti sono pronti a tutto pur di ritrovare i loro amici. Interessante è anche il fatto che Millo e Cia, essendo due scout, spesso usano il loro tipico linguaggio da lupetti ed esso risulta essere comprensibile pure a chi negli scuot non ci è mai entrato e che, proprio grazie a questa avventura, ne conosce un po’ le caratteristiche. Altro aspetto interessante è che questo libro con Millo e Cia è sì un romanzo per ragazzi, dove l’avventura è il genere principale, ma in esso c’è un po’ di romanzo di formazione. Perché affermo questo? Perché i protagonisti per ritrovare i due amici scomparsi entreranno nel Palazzaccio, un luogo tetro, misterioso  e sconosciuto dove ci sono elementi che possono incutere paura. La storia proposta dai tre autori più essere vista come un romanzo di formazione perché Millo, Cia e i loro compagni si trovano catapultati in mirabolanti avventure, con strane presenze da sconfiggere e tanti inaspettati imprevisti che rappresentano le prove che gli eroi della storia devono superare per raggiungere il proprio obiettivo e maturare un po’. “Millo & Cia – Avventure scout. Il mistero del palazzo maledetto” di Camillo Acerbi, Emanuelle Caillat e Mauro Guidi (Gallucci 2022) è una storia dove il coraggio, la collaborazione, il lavoro di squadra per salvare il prossimo in difficoltà, l’amicizia e il divertimento, sono valori importanti che non solo spingono Millo e Cia all’azione, ma che invitano anche il lettore – bambino o adulto che sia – a riscoprire alcuni dei valori della vita che aiutano a stare bene con se stessi e con il prossimo.

Camillo Acerbi è un dirigente della pubblica amministrazione e assessore al bilancio, con un passato da fisico teorico. Insieme a Emanuelle Caillat e Mauro Guidi sono stati a lungo capi scout e hanno collaborato per vent’anni alla redazione della rivista nazionale dei Lupetti, dove sono nati i fumetti di Millo & Cia.

Emanuelle Caillat è insegnante di francese e traduttrice letteraria di libri per ragazzi ma anche di premi Nobel. Insieme a Camillo Acerbi e Mauro Guidi sono stati a lungo capi scout e hanno collaborato per vent’anni alla redazione della rivista nazionale dei Lupetti, dove sono nati i fumetti di Millo & Cia.

Mauro Guidi è avvocato penalista e grande esperto di fumetti e romanzi noir. Insieme a Camillo Acerbi e Emanuelle Caillat sono stati a lungo capi scout e hanno collaborato per vent’anni alla redazione della rivista nazionale dei Lupetti, dove sono nati i fumetti di Millo & Cia.

Source: inviato dall’ufficio stampa Gallucci. Grazie a Marina Fanasca.

:: Che razza di libro! Jason Mott (NN editore, 2022)A cura di Viviana Filippini

21 giugno 2022

“Che razza di libo!” Un titolo, ma anche l’esclamazione che ogni tanto ti balza per la testa leggendo appunto “Che razza di libro!” di Jason Mott, edito da NN editore. Il lettore segue passo passo le vicende di questo scrittore americano dalla pelle nera che ha appena pubblicato un libro di grande successo e che sta girando gli Stati Uniti d’America per presentarlo. Durante il tour promozionale il protagonista non si fa mancare nulla: scappatelle amorose, interviste, sbronze pazzesche, situazioni che evidenziano un progressivo andare verso la sregolatezza. A mettere un po’ un freno alla dissolutezza del noto scrittore compare dal nulla, così sembra, questo ragazzino con la pelle scura, ma così scura da essere vista come una peculiarità sua ed esclusiva. Lo scrittore ascolta questo giovanotto che ha scelto di essere invisibile ai più, ma che ad ogni comparsata gli racconta un pezzo della sua vita  e getta nel panico l’affermato autore perché lui, conoscendosi bene, si domanda se quello che sta vivendo sia un sogno o realtà e se quel ragazzino che parla lo sente solo lui o anche gli altri che gli stanno attorno. Lo scrittore protagonista della storia si tormenta con tali domande per il semplice fatto che è conscio di essere affetto da una strana sindrome che gli impedisce di capire dove finisce il confine tra realtà e fantasia, ed è convito che forse quel ragazzino dalla vita non tanto facile sia reale, ma il dubbio che lo tormenta lo spinge di continuo a chiedersi se lo è davvero. Vero è che questa storia dal ritmo serrato porta chi legge a zonzo per gli Stati Uniti d’America in situazioni a volte davvero a limite del surreale e Mott mette in campo diversi temi come la diversità, il razzismo del passato radicato ancora nel presente e rivolto verso coloro che sono identificati come i diversi, unito agli effetti che tale pregiudizio scatena in chi li subisce e sulla società. Il lettore immerso nelle pagine potrebbe quindi davvero trovarsi ad esclamare: “Che razza di libro!”, perché durante la lettura si ha come la sensazione che lo scrittore, alle prese con quel ragazzino con la pelle scura e con un passato di sofferenza alle spalle, stia facendo i conti con il suo io bambino. Mettendo assieme le caratteristiche dei protagonisti della storia e di chi l’ha scritta nella realtà, non è difficile pensare che lo scrittore del libro sia lo stesso Mott e allora sì che ci sta l’esclamazione: “Che razza di libro!” (detta in senso buono e positivo), perché la geniale struttura narrativa creata da Mott porta chi legge  a scoprire una storia nella storia, un libro che racconta come è nato lo stesso libro in lettura. Ecco che quello scrittore tra le pagine, impegnato in un serrato faccia a faccia con quel misterioso bambino senza un nome preciso, mi ha dato la sensazione di un adulto alla prese con la sua coscienza più pura, libera da paletti e pregiudizi che richiama l’autore protagonista nel libro, l’autore del libro (Mott) e anche il lettore odierno diventato uomo adulto a ritrovarsi e a non scordarsi del proprio passato e delle proprie radici.  

Jason Mott è uno scrittore americano, autore di romanzi e poesie. Che razza di libro! è stato selezionato in diversi premi, tra cui il Carnegie Medals for Excellence in Fiction, l’Aspen Words Literary Prize, il Joyce Carol Oates Prize. Ha vinto il Sir Walter Raleigh Prize for Fiction e il National Book Award for Fiction 2021. “Che razza di libro!” Romanzo vincitore del National Book Award 2021. Questo libro è per chi ha inventato un pianeta senza nome, un luogo felice dove riconoscersi e sentirsi finalmente a casa.

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa NNeditore

Assegnato il Premio “Emilio Salgari” di Letteratura Avventurosa IX Edizione – 2022: tre i vincitori A cura di Viviana Filippini

10 giugno 2022

Individuati i tre autori vincitori e finalisti del Premio “Emilio Salgari” di Letteratura  Avventurosa, presentati mercoledì 1 giugno nella Sala Rossa della Provincia di Verona. A meritarsi il riconoscimento per il premio letterario che valorizza la letteratura contemporanea d’avventura sono stati: Gian Luca Barbera con “Mediterraneo” (Solferino, 2021), Luca di Fulvio con “La ballata della città eterna” (Rizzoli, 2020) e Orso Tosco con “London Voodoo” (Minimum Fax, 2022). Il Premio, giunto alla sua IX edizione, è organizzato e promosso dall’Associazione “Ilcorsaronero” di Verona, dal Comune di Negrar di Valpolicella (VR) e dall’Università del Tempo Libero di Negrar (UTL) in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Negrar di Valpolicella, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Verona, Valpolicella Veneto Banca, la casa editrice Il Rio-Oligo di Mantova, l’Azienda Agricola Cantina Corte San Benedetto,  altri enti pubblici e privati, con il patrocinio della Provincia di Verona e del Comune di Negrar di Valpolicella e con il sostegno di varie associazioni culturali nazionali e far riscoprire la Valpolicella, terra veronese dove il famoso scrittore Emilio Salgari trascorse gli anni dell’adolescenza e dalla quale trasse ispirazione la sua creatività.

Ora spetterà alla giuria popolare la scelta del nome del vincitore, decretato dai lettori per la quale è prevista la cerimonia di assegnazione dei premi il 25 novembre a Negrar di Valpolicella.

:: Liberi Junior: La Costituzione degli alberi, Valeria Cigliola e Elisabetta Morosini (Sinnos, 2022) A cura di Viviana Filippini

8 giugno 2022

 “Per fare un albero ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’ albero…” così cantava Sergio Endrigo un po’ di tempo fa e l’importanza degli alberi è quella che sentono anche Sow, Anna, Luisa, Jeanne protagonisti de “La Costituzione degli alberi” di Valeria Cigliola e Elisabetta Morosini edito da Sinnos. Un libro grazie al quale i personaggi principali impareranno a scoprire cosa si può fare per tutelare gli alberi e per salvaguardarli dalle azioni non sempre corrette degli uomini. Una mattina mentre Sow sta andando a scuola assiste ad una scena che lo lascia senza parole: il Comune è deciso ad abbattere una vecchia quercia e tutta un’altra serie di piante, perché come recita un cartello esposto: “Pericolo da abbattere”. Sow vede minacciato il suo albero amico e con Anna, Luisa, Jeanne e altre persone metteranno assieme le forze e le loro competenze per cercare di salvare la quercia. Elisabetta Morosini e Valeria Cigliola, le avevamo conosciute con il libro “La Costituzione in tasca”, con questo nuovo libro per ragazzi, portano il lettore dentro all’avventura di Sow e dei suoi amici per salvare la grande quercia e tutti gli altri amici alberi, tanto importanti per l’ambiente e per l’uomo, che non sempre riesce a capirlo. Il libro è interessante perché permette ai protagonisti della storia (e anche al fruitore) di scoprire leggi e le regole che favoriscono la tutela dell’ambiente, tanto è vero che i ragazzini imparano che la protezione degli alberi è addirittura inserita tra i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale. Questa rivelazione porterà i Sow, Anna, Luisa, Jeanne e gli altri amici loro a battersi per la tutela dell’ambiente per far sì che la consapevolezza di quello che si può fare per gli alberi e per salvaguardarli arrivi davvero a tutti. Il libro è corredato dalle belle e colorate illustrazioni di Irene Penazzi e anche da un simpatico poster da ritagliare per giocare con le leggi.

Elisabetta Morosini e Valeria Cigliola sono magistrate e collaborano attivamente con il progetto Bill Biblioteca della legalità di Ibby, per raccontare ai bambini e ai ragazzi le diverse facce che la legalità, la legge, i diritti di tutti, possono avere. Anche nei libri.

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa Sinnos, grazie a Emanuela Casavecchi.

:: Bandito, Selma Lagerlöf, (Iperborea 2022) A cura di Viviana Filippini

26 Maggio 2022

Selma Lagerlöf torna in libreria con “Bandito”, libro edito da Iperborea. Partendo dalle vicende del giovane Sven, tornato in Svezia dopo anni passati nell’aristocrazia inglese ed essere sopravvissuto ad una spedizione al Polo Nord, capiamo subito che il giovanotto non avrà vita facile nella sua terra. L’autrice pone l’attenzione su quanto un’azione compiuta possa avere conseguenze perenni sul vissuto della persona che l’ha messa in atto. Ne sa qualcosa appunto Sven, il protagonista di “Bandito” che, tornato a casa, si trova ad avere attorno vera e propria terra bruciata. Nessuna delle persone che Sven incontra riesce a comprendere quel gesto da lui compiuto durante la spedizione al Polo Nord. I suoi conterranei non comprendono che quel gesto non è stato compiuto per cattiveria, ma è stato fatto per spirito di sopravvivenza proprio e degli altri membri della spedizione. Il cannibalismo risulta essere inaccettabile agli occhi della gente che conosce Sven, è un atto ritenuto una vera e propria mostruosità che allontana tutti dal protagonista, tanto che quel cibarsi per sopravvivere, gli resterà addosso come un marchio indelebile. Non importa se Sven farà ogni cosa possibile per aiutare il prossimo, prestandosi a costruire una scuola, a riportare ordine su un peschereccio che aveva perso la sua funzione lavorativa, ma neppure il giovane parroco arrivato con la moglie Sigrun lo perdonerà e Sven sarà sempre visto come il bandito, colui che si è macchiato di un peccato gravissimo che deve essere escluso per l’immonda azione compiuta. L’unica persona che sembra essere in grado di comprenderlo è proprio Sigrun, la giovane moglie del parroco. La storia di Sven e Sigrun viene poi narrata da Lotta Hedman, una donna che ha strane visioni mistiche, una grande fede e che conosce bene quello che riguarda i due giovani e il loro destini intrecciati, a tal punto da diventare quasi indissolubili. La ricerca di stabilità e di pace che i personaggi stanno compiendo non solo è complicata, ma viene messa in crisi dalla Prima guerra mondiale che porterà i protagonisti di questa storia a rivedere in modo completo le loro scelte di vita. Selma Lagerlöf, la prima donna ad aver vinto il premio Nobel nel 1909, con “Bandito” crea una storia dove la realtà bellica e il destino di Sven e Sigrun si intrecciano a dimostrazione di come i conflitti (mondiali e sociali dei singoli) sconvolgano l’esistenza delle persone. “Bandito” è anche una storia di un lungo e doloroso cammino di un uomo alla ricerca di un riscatto sociale, di redenzione, ma soprattutto di comprensione vera da parte del prossimo che sembra solo giudicare senza cercare a fondo le origini di gesti compiuti per la sopravvivenza. Traduzione di Luca Tapparo. Postfazione di Chiara Valerio.

Selma Lagerlöf è nata a Mårbacka nel Värmland nel 1858 e morta nel 1940. Destinata a diventare, da maestra elementare, prima donna Premio Nobel nel 1909 e prima donna a essere nominata fra gli Accademici di Svezia nel 1914, è forse la scrittrice svedese più nota e amata nel mondo. Tra le tante opere ricordiamo la “Saga di Gösta Berling” (1891), censurata aspramente dalla critica positivista, il  “Viaggio meraviglioso di Nils Holgersson” e tanti altri.

Source: libro richiesto all’editore. Grazie all’ufficio stampa Iperborea.