Terzo e ultimo capitolo della saga con protagonista Emily di New Moon che è tornata nel luogo della sua infanzia con “Emily di New Moon 3. Il sentiero di Emily”, Lucy Maud Montgomery, edito da Gallucci. New Moon non è cambiata per nulla, è sempre il piacevole luogo in grado di accogliere con affetto coloro che vi tornano dopo tanto tempo. Emily è cambiata invece, perché è cresciuta, allo stesso tempo ha fatto scelte che l’hanno portata a rifiutare il posto di lavoro in una rivista di New York, ma, nonostante questo, lei ama ancora scrivere, anzi è una parte fondamentale della sua vita. Tornata a New Moon, Emily percepisce che c’è un qualcosa di diverso nel luogo dove è scresciuta con le zie e presto, giorno dopo giorno, lo scoprirà se quel cambiamento è effettivo o solo una impressione. Il terzo volume della storia (preceduto da “Emily di New Moon” (Gallucci 2021) e “Emily cresce” (Gallucci 2022)) è caratterizzato dalla ricerca del proprio posto nel mondo da parte di Emily, ma anche di quelli che sono i suoi comprimari e amici di sempre: Ilse, Perry e Teddy. Il libro è caratterizzato da un intreccio solido, dove si alternano fraintendimenti d’amore, colpi di scena improvvisi e cambiamenti dell’ultimo momento che, come noterà il lettore, trasformeranno in modo completo le sorti dei diversi personaggi e della stessa Emily. Uno degli elementi che torna sempre nella vita della protagonista, dal primo al terzo tomo della saga, è il suo bisogno di scrivere, sempre, in ogni momento. Inventare storie da leggere e da far leggere. Un fare irrinunciabile per la protagonista che vero sì vive la sua avventurosa vita quotidiana, anche con spasimanti del tutto impensabili che mettono un po’ di pettegolezzo a New Moon ma, allo stesso tempo, inventa storie dove il vissuto di ogni giorno anima le sue creature letterarie. “Emily di New Moon 3. Il sentiero di Emily” diLucy Maud Montgomery può essere visto come l’ultimo tassello del percorso di formazione della protagonista alle prese con le prove da superare, paure da affrontare e conflitti interiori da comprendere per entrare a far parte del mondo adulto, senza però dimenticare mai del tutto la spensieratezza delle propria infanzia. Traduzione dall’inglese Angela Ricci.
Lucy Maud Montgomery nacque a New London, in Canada, nel 1874 e morì a Toronto nel 1942. Nella sua vita pubblicò numerosi libri per ragazzi, raggiungendo l’apice del successo nel 1908 con Anna dai capelli rossi, primo di una serie di otto volumi. Le vicende dell’orfanella erano in parte ispirate all’infanzia dell’autrice, che da piccola aveva perso la madre ed era stata allevata dai nonni. Tradotte in decine di lingue, le storie di Anna hanno continuato ad avere grande seguito fino a oggi, grazie anche alla celebre serie animata giapponese che la tv italiana ha trasmesso a partire dal 1980 e alla recentissima fiction distribuita da Netflix in tutto il mondo.
Source: inviato dall’editore. Grazie all’ufficio stampa Gallucci.
“Borders” è il titolo del libro di Giuliana Facchini che torna in libreria con una storia ambientata in un futuro prossimo, non troppo lontano dal nostro mondo attuale. Il volume, edito da Sinnos, presenta un gruppo di ragazzi a Magnolia. Già, il nome è quello di un albero, ma la megalopoli del libro della Facchini è un luogo super avanzato dal punto di vista tecnologico, perfetto e inattaccabile. Quello che colpisce di Magnolia è il suo essere l’unico punto di vita in un luogo che è una landa deserta e sterminata dove l’aridità, la desolazione e la distruzione hanno spazzato via quella che una volta era la terra. Magnolia è un luogo nel quale la società è basata su regole rigide e controllo estremo di chi ci vive e di ogni cosa messa in circolazione, tanto è vero che nella località non esistono libri, sono completamente banditi e quello che si conosce è controllato e veicolato da chi gestisce il potere. Chi è fortunato ha ogni privilegio. Chi è povero e emarginato non ha nulla e deve lavorare duramente per poter sopravvivere. Nel cemento di Magnolia vivono un gruppo di ragazzi (Lindgren, Dickens, Verne e Alcott), tutti con nomi di noti scrittori per i più sconosciuti, perché qualcuno, o qualcosa, ha come cancellato la memoria delle persone. I quattro sono i figli adottivi di Olmo, una donna misteriosa che ha in serbo per loro un progetto fuori dalla norma e che li ha adottati appena nati per educarli ad alcuni valori come la conoscenza delle cose (i semi delle piante), la libertà, la ribellione, la ricerca della verità appartenuti ad un mondo lontano (la terra di un tempo sparita) che non è Magnolia dove tutto invece è sterile e freddo, dove ogni cosa viene fatta con la tecnologia, annientando per sempre le relazioni umane. Il piano di Olmo è quello di architettare per Lindgren, Dickens, Verne e Alcott una vera e propria fuga da Magnolia verso un luogo, perché è convinta che esista un posto, dove quei valori scomparsi ancora vivono. Il romanzo della Facchini, con copertina disegnata da Mara Becchetti, è avventuroso, al punto giusto distopico, ma in esso i protagonisti attuano quello che è il percorso di crescita tipico del romanzo di formazione. Perché? Perché nel momento in cui i ragazzi cominceranno ad attraversare il deserto di cemento per raggiungere l’isola sconosciuta dove si trova il vecchio William nella speranza che lui abbia i semi che stanno cercando, dovranno attraversare tutta una serie di prove, valicare ostacoli e imprevisti che metteranno in crisi ogni loro certezza. Ogni evento vissuto li porterà a confortarsi con la realtà sconosciuta e misteriosa fuori da Magnolia, con i resti di quello che era il mondo del passato, con persone nuove e con situazioni dove i quattro giovani rifletteranno sul valore dell’amicizia e su quello della libertà. “Borders” di Giuliana Facchini è quindi un romanzo che comprende diversi generi (avventura, distopia, formazione) dove Lindgren, Dickens, Verne e Alcott (che sono un po’ l’immagine riflessa dei giovani lettori di oggi) impareranno ad ascoltare a conoscere meglio il loro cuore e anche il mondo che li circonda, con la presa di coscienza che esistono eventi il cui corso può avere effetti drammatici e irreparabili sul singolo e sul mondo circostante e solo con la speranza, la forza e il coraggio è possibile agire insieme per tentare di cambiare le cose e tornare a vivere in libertà.
Giuliana Facchini è nata a Roma. Qui ha frequentato la facoltà di Lettere e ha ottenuto un attestato della Regione Lazio come Segretaria di Edizione Cinematografica. Ha seguito corsi di recitazione e doppiaggio ed è stata interprete di teatro amatoriale e semiprofessionale, occupandosi anche di teatro per ragazzi. Ha vissuto a Roma e a Lussemburgo e ora abita in un paese tra Verona e il Lago di Garda. Da anni scrive libri per ragazzi. Ha vinto nel 2008 il “Premio Montessori”, nel 2012 il “Premio Arpino” e nel 2015 il “Premio Giovanna Righini Ricci”. Con Sinnos ha pubblicato “La figlia dell’assassina” (2018).
Source: ricevuto dall’editore, grazie a Emanuela Casavecchi e all’ufficio stampa Sinnos.
“Pesca al cantautore in Emilia e altre storie in vinile” di Roberto Barbolini, edito da Oligo, è un romanzo corale, dove l’ironia è una delle componenti costanti per tratteggiare quella che è l’immagine di una generazione di giovani amanti della musica e alla ricerca del loro posto nel mondo, anche se, a volte, questo percorso è molto più complesso di quello che sembra. Ne abbiamo parlato con l’autore Roberto Barbolini.
Come è nata l’idea del libro “Pesca al cantautore in Emilia”? Direi che è nata per stratificazioni geologiche, con un nucleo di base legato a due aneddoti che mi portavo dietro fin dall’adolescenza: una gara di veglia che si tenne davvero nella mia città d’origine, Modena, verso la metà degli anni Sessanta, e l’avventura altrettanto autentica d’un mio vecchio amico, al quale capitò davvero di pescare un cantautore (e il suo motoscafo) nelle Valli di Comacchio. O almeno così raccontava. Attorno a queste due storie principali si agglutinano lasse narrative più brevi, fino al nanoracconto, in un arco temporale che dall’epoca dei Beatles e dei Rolling Stones arriva a oggi. I personaggi appartengono a una «generazione di sconvolti/ che non ha più santi né eroi», per dirla con Vasco Rossi, perduti fra le nebbie della provincia e la globalizzazione incipiente. Che vedono i loro idoli musicali andare via via all’altro mondo, oppure trasformarsi in innocui feticci.
Quanto per i personaggi protagonisti è importante la musica? Da zero a dieci, sicuramente dieci. È la generazione della musica ribelle, «che ti entra nelle ossa/ che ti entra nella pelle», come cantava Finardi. I suoni aspri e distorti delle chitarre rock esprimono le rabbie, le frustrazioni dei protagonisti, ma anche il loro oscuro desiderio di amore e di bellezza.
Quale è il filo rosso che collega i diversi momenti della narrazione, che spaziano dal racconto breve a quello lungo? Più che un filo rosso è un intreccio di fili: la musica rock innanzitutto, non semplice colonna sonora di sottofondo ma autentico collante della narrazione, che dà impulso e ritmo alla scrittura. È un sound che affonda nell’era beata dei dischi in vinile, dai Beatles ai Nomadi, da Hendrix e Clapton agli Who, dagli Stones all’Equipe 84 e ritorno. E poi la provincia, certo, con i suoi miti e i suoi riti, i sapori e i sopori. Si tratta però di intendersi: esiste certo un torpore della provincia, una specie di Grande Sonno che t’avvolge come un liquido amniotico, tanto più temibile quanto più confortevole. Ma c’è una forma di letargo perfino più insidiosa: il provincialismo di chi crede d’essersi scrollato di dosso il “mondo piccolo” solo perché si aggiorna secondo l’ultimo grido delle mode culturali. La provincia e la moda, osservava Cesare Garboli, sono in fondo la stessa cosa. Anche se vive in una grande metropoli, chi segue pedissequamente la moda è un provinciale. In questo senso, perfino perdersi nelle Valli di Comacchio può rivelarsi un’insperata salvezza, una via di fuga dal provincialismo.
Nella sinossi il suo romanzo è definito un “libro di formazione, o di deformazione”, come convivono nel vissuto dei diversi personaggi questi due aspetti? Il romanzo di formazione o Bildungsroman (in tedesco è più altisonante) è un genere che si fa nascere con il WilhelmMeister di Goethe, e dico poco, ma ha antenati che possono risalire fino alla Telemachia nell’Odissea di Omero. Roba grossa, insomma. Perciò mi sarei sentito pomposo a definire “romanzo di formazione” il mio libro, anche se indubbiamente lo è. Ecco allora l’idea di un doppio parodico, il “romanzo di deformazione”, che sta al primo come Mr.Hyde al dottor Jekyll. Alla base c’è la mia convinzione che nelle nostre vite, anche nei momenti più autentici, all’amore e al dolore s’intrecci spesso un elemento grottesco. Per questo le passioni, i tic, i drammi esistenziali dei miei personaggi hanno quasi sempre un contrappunto ironico.
Il libro può essere visto anche come romanzo corale e specchio di una generazione? La mia è la generazione di My Generation degli Who, con quel verso: “I hope I die before I get old”, “spero di morire prima di diventare vecchio”, che per tanti protagonisti di quegli anni -da Hendrix alla Joplin, da Jim Morrison a John Lennon, allo stesso Keith Moon degli Who- sarebbe diventato una sinistra profezia. Ma è anche la generazione di Woodstock, che nei grandi raduni giovanili viveva il suo romanzo di formazione collettivo: corale, appunto. Non fu sempre un coro armonioso, né mancarono le “stecche”: se Pesca al cantautore in Emilia rispecchia quella generazione, deve somigliare a uno di quegli specchi anamorfici che si trovano nei baracconi dei Luna Park, dove le immagini si deformano, le fisionomie si alterano, le identità si confondono. Ma forse solo fraintendendoci siamo in grado di riconoscerci.
Riguardo al titolo, perché proprio “pesca al cantautore in emilia e altre storie in vinile?” Be’, qui devo dichiarare a gran voce il mio amore per la parodia, evidente già nel titolo , che richiama Pesca alla Trota in America di Richard Brautigan, un piccolo mito della generazione beatnik. Quanto al vinile, col suo richiamo vintage, potrebbe sembrare l’esca per un’operazione nostalgia quanto mai scontata (e vorrei pure vedere che fosse a prezzo pieno…). Ma guai a considerare la nostalgia un fenomeno soltanto regressivo, identificandola con il rimpianto per qualcosa di perduto. Essa è invece quella “sofferenza dell’ignoranza” di cui parla Milan Kundera nel romanzo L’ignoranza, ossia qualcosa di legato alla dimenticanza più che alla memoria: è l’oscura volontà di tornare in un luogo dove in realtà non siamo mai stati. Tale è infatti il passato, finchéé i viaggi nel tempo non saranno possibili: quando lo abitammo esso era il presente, e adesso possiamo illuderci di ricrearlo solo attraverso gli inganni e le fallacie della memoria. Chissà se quel mio amico pescò davvero un cantautore nelle Valli di Comacchio…
Roberto Barbolini (Formigine,1951) è narratore che predilige il comico, il visionario e il fantastico. Ha lavorato con Giovanni Arpino al “Giornale” di Indro Montanelli, è stato redattore e critico teatrale di “Panorama”, si è occupato di gialli e di poesia erotica. Attualmente collabora al “QN-Quotidiano nazionale” e a “Tuttolibri”. Ha pubblicato numerosi romanzi, saggi e raccolte di racconti, tra cui “La strada fantasma” (1991, vincitore del premio Dessì), “Il punteggio di Vienna” (1995), “Piccola città bastardo posto” (1998), “Stephen King contro il Gruppo 63” (1999), “Ricette di famiglia” (2011), “L’uovo di colombo”(2014), “Vampiri conosciuti di persona” (2017). Il suo libro più recente è la raccolta di racconti “Il maiale e lo sciamano”, edito nel 2020 dalla Nave di Teseo.
Source: richiesto dal recensore. Grazie all’Ufficio stampa 1A Comunicazione
Remì è un ragazzino che non si demoralizza mai, lui non demorde e non si abbatte. Remì, alla ricerca del suo posto nel mondo, è il protagonista di “Senza famiglia”, romanzo di Hector Malot, uscito nel 1878 e diventato nel corso del tempo un classico della letteratura per ragazzi, tanto è vero che ne esiste pure versioni a cartone animato e film per tutti. Oggi, il libro di Malot, lo ritroviamo in libreria per Gallucci editore (Collana UAO), nella traduzione di Marina Karam. Fin dalle prime pagine, Remì è da subito alla prese con gli ostacoli della vita, perché lui vive con i Barberin, ma il patrigno ad un certo punto non lo accetta più e il ragazzino viene venduto a Vitalis, un suonatore ambulante. Per il protagonista comincia così una vita da strada con spettacoli itineranti per divertire le persone e guadagnarsi da vivere. Con lui ci sarà la sua nuova famiglia composta dall’anziano Vitalis, Capi, Dolce, Zerbino e Joli-Coeur, che sono una scimmietta e tre cani con i quali il ragazzino condividerà momenti di gioia e imprevisti che cambieranno la vita per tutti loro. Nel libro, oltre alle diverse avventure che il protagonista vive, ci sono anche svariati incontri che lui ha e che influenzeranno il corso del suo vissuto. Ci sono per esempio persone buone come la signora Barberin, mamma adottiva del piccolo; la signora Milligan e il figlio Arthur con i quali Remì instaurerà un forte legame; lo stesso Vitalis che fa il saltimbanco diventerà un punto di riferimento fondamentale per il ragazzino. Da non scordare anche l’amico Mattia e la famiglia Acquin. Tutti questi personaggi letterari sono il “buono” che Remì incrocia e che gli dà conforto. Sono per lui l’aiuto necessario ad andare oltre gli ostacoli e le angherie. A mettere i bastoni tra le ruote al piccolo saltimbanco ci sono infatti tutta una serie di individui ambigui che non sono quello che fanno apparire. Tra di loro Jerôme Barberin che vende Remì; Garofoli che maltratta bambini; James Milligan e la famiglia Driscoll che faranno di tutto per impedire al protagonista la scoperta delle proprie origini. “Senza famiglia” di Hector Malot è un romanzo di formazione, dove il protagonista è un bambino che sta diventando un giovane uomo. Remì è il buono della situazione, che affronta ostacoli e imprevisti per scovare non solo il suo posto nella società, ma per trovare una famiglia vera che sia in grado di amarlo e di volergli bene.
Hector Malot (La Bouille, 1830 – Fontenay-sous-Bois, 1907), scrittore e critico letterario, esordì nel 1859 con il romanzo Les amants. Dei suoi oltre sessanta libri, il più celebre è certamente Senza famiglia, apparso in origine a puntate sul quotidiano “Le Siècle” e poi pubblicato in due volumi nel 1878. Considerato uno dei classici per ragazzi più amati di tutti i tempi, il romanzo ha ispirato numerosi adattamenti per il grande schermo e la popolarissima serie animata Remi – Le sue avventure, trasmessa per la prima volta dalla tv italiana nel 1979.
Source: inviato dall’editore. Grazie all’ufficio stampa Gallucci. Grazie a Marina Fanasca.
Di Pollyanna il primo ricordo che ho è l’anime degli anni ‘70/’80 dedicato alla bambina dai capelli rossi e dal viso ricoperto di lentiggini, anche se in realtà la sua storia è un romanzo per bambini pubblicato della scrittrice statunitense Eleanor Hodgman Porter. Dal 1913, anno della prima uscita, il libro è una costante presenza nella storia della letteratura per l’infanzia. Protagonista della nuova edizione di Gallucci (Collana UAO) è appunto Pollyanna, 11 anni, orfana di entrambe i genitori. La bambina arriva a vivere da zia Polly, la sorella della mamma, donna molto seria, severa, con uno stile di vita che non lascia spazio a divertimento, affetti e distrazioni. Pollyanna è l’opposto della zia che dimostra da subito nei confronti della nipote, sempre allegra e felice, una freddezza glaciale. Il modo di essere solare di Pollyanna e quel suo voler aiutare le persone a trovare la felicità, sono un qualcosa che riusciranno a conquistare un po’ tutti e anche a scalfire il duro cuore della zia, fino a quando un evento imprevisto scombinerà la vita della piccola. Il romanzo della Porter può essere visto come un romanzo di formazione per Pollyanna che, andando ad abitare dalla zia, deve riorganizzare in po’ tutta la sua vita intrecciando rapporti umani con persone per lei nuove e sconosciute. Qualcuno sarà facile da conquistare (Nancy, il piccolo Jimmy Bean, il solitario Jim Pendelton), qualcuno altro sarà un po’ più ostico verso la protagonista. La prima ad avere un atteggiamento di chiusura verso Pollyanna è proprio la zia Polly che accetta la nipote perché deve farlo, perché la bambina non ha più nessuno, ma la donna non ha mai capito la scelta della sorella di sposarsi a un pastore anglicano. Zia Polly è distaccata dalla nipote, per esempio la mette a dormire nella parte più isolata e alta della casa, non si preoccupa di darle affetto o attenzioni, e forse questo suo essere anaffettiva è determinato più che dal suo carattere, da motivazioni personali, da qualcosa che le è accaduto e che ha reso fragile la sua serenità. Zia Polly si è un po’ “chiusa a riccio” come per la paura di soffrire ancora e Pollyanna, con il suo candore, la sua sincerità, riuscirà a smuovere dei cambiamenti nella zia e in chi le sta attorno, a dimostrazione che cambiare, anche se non è facile, è possibile. “Pollyanna” di Eleanor Hodgman Porter è un romanzo che narra la crescita emotiva e umana per la protagonista stessa e per i suoi comprimari, perché Pollyanna, con quel suo cercare, a volte anche con fatica e con ostacoli da valicare, la felicità nelle piccole cose del quotidiano diventerà un punto riferimento per adulti, per bambini e per noi lettori. Tradizione Paola Mazzarelli.
Eleanor Hodgman Porter (Littleton, 1868 – Cambridge, 1920) è stata una delle più note e prolifiche autrici statunitensi di libri per ragazzi. Dopo aver studiato canto al Conservatorio, all’inizio del Novecento decise di dedicarsi alla letteratura, raggiungendo la notorietà grazie al fortunato personaggio di Pollyanna, che ha ispirato film di successo e serie televisive amatissime.
Source: inviato dall’editore. Grazie all’uffcio stampa Gallucci e a Marina Fanasca.
In attesa di quell’incantesimo, la nostalgia del secolo passato già si insinuava silente. Il Novecento ci respirava ancora addosso, lo sentivo dileguarsi sulle torri frastornate dal caos urbano dell’ultima notte, sugli aliti frammisti ai calici consumati, sulla scia degli autobus indefessi, in quella mano inedita che scaldava le mie dita, nella reclame di un cartellone pubblicitario per metà staccato da un muro. Abbiamo svoltato in una viuzza e lì abbiamo capito, senza dircelo, quale era il punto in cui fermarci, il giardinetto dietro l’abside di san Domenico, mentre la Storia scivolava giù dalle nostre gambe e un’altra epoca si sovrapponeva come carta velina.
Cosa unisce Lili, ingenua ragazza bretone nata nel 1919, andata sposa senza amore a Parigi poco prima dell’occupazione nazista della Francia e Bianca bimbetta bolognese quattrenne nel 1980, innamorata del suo papà, ferita dall’apparente freddezza con cui la madre la lascia crescere privandola di quella complicità e di quell’affetto di cui avrebbe tanto bisogno? Lo scoprirete durante la lettura, mentre le loro voci a capitoli alternati si fondono e si intrecciano in Biancaneve nel Novecento (Solferino) libro davvero struggente e di una dolcezza dolorosa davvero rara che Marilù Oliva ha saputo scrivere mettendo molto di sé, se non nei fatti biografici oggettivi perlomeno in quel magma oscuro che orienta i moti dell’anima. Nelle note finali infatti la Oliva precisa che non è un testo autobiografico, seppure come ogni scrittore ha lasciato briciole di sé perlopiù nel personaggio di Bianca, perlomeno anagraficamente a lei più vicina. Marilù Oliva ha una grande sensibilità soprattutto quando tratta e delinea i bambini e i ragazzi e il suo lavoro di insegnante sicuramente le ha dato gli strumenti per indagare la loro psiche ancora in formazione e i vezzi più buffi che avvicina con rispetto, tenerezza e candore. Ma è soprattutto il personaggio di Lili che emerge potente come uno squarcio di luce nelle tenebre del Novecento che ha visto due Guerre Mondiali, i campi di concentramento, nella sua prima metà, il terrorismo, la droga diffusa tra i giovani, nella seconda metà. Lili e Bianca dunque si completano e si integrano e come in uno specchio riflettono una nell’altra quella visione femminile della storia che alla violenza e all’aggressività, al dolore aggiungono la potenza dei sentimenti, della dolcezza e della tenerezza. Lili soprattutto ha saputo sorprendermi con la sua forza, la sua determinazione, la sua volontà di non farsi sopraffare dalla violenza fisica e psicologica subita nel campo di concentramento di Buchenwald (la parte più drammatica della narrazione). Conoscevo la storia della principessa Mafalda di Savoia, non che fosse stata assistita da una ragazza che si prostituiva nel Sonderbau, che la Oliva ha sostituito con Lili. È raro leggere libri, o ascoltare testimonianze di queste vicende e sebbene abbia letto libri che testimoniano anche fenomeni di prostituzione maschile nei campi, l’impatto è sempre enorme quando li si affronta. Il libro dell’Oliva si fa quindi anche testimonianza e memoria, e la sua scrittura (non calca mai la mano, mai una parola di troppo) lo rende fruibile anche a un pubblico di lettori giovani e sensibili. La scrittura dell’Oliva poi è piacevole, curata, piena di rimandi e dettagli anche poetici, pur nascondendo una forza e ruvidezza che ne determinano la peculiarità. Buona lettura!
Marilù Oliva è scrittrice, saggista e docente di lettere. Ha scritto due thriller e numerosi romanzi di successo a sfondo giallo e noir. Ha co-curato per Zanichelli un’antologia sui Promessi Sposi, e realizzato due antologie patrocinate da Telefono Rosa, nell’ambito del suo lavoro sulle questioni di genere. Collabora con diverse riviste ed è caporedattrice del blog letterario Libroguerriero. Il suo libro più recente è L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (Solferino 2020). http://www.mariluoliva.net
Source: libro sia inviato dall’editore che acquistato. Ringraziamo l’Ufficio Stampa Solferino.
Faten, è il nome e il titolo del romanzo di Fatima Sharafeddine, edito da Gallucci. La storia si svolge nel Libano del 1985 dove Faten, 15 anni, è una giovane ragazzina obbligata a lasciare la scuola per andare a Beirut per lavorare come domestica in una famiglia molto benestante. La vita con i datori di lavoro non è facile come sembra, perché sono molto esigenti e Faten passa le giornate a far le pulizie di casa. La famiglia dove si trova ha due figlie, la maggiore ha pressappoco l’età della protagonista, l’altra invece è più piccola. Faten le osserva e si rende conto di quanto siano fortunate perché hanno tutto. Le sorelle possono studiare, divertirsi, mentre lei fa le faccende domestiche e ritiene di non avere possibilità alcune di riscatto. O almeno così le sembra. Faten e Dalia piano piano si conoscono meglio e si capisce che sono due giovani donne poste davanti a destini differenti. Dalia, la figlia dei datori di lavoro di Faten, è un po’ ribelle, lei vorrebbe fare la pittrice, ma tutto cambia quando i genitori cominciano a presentarle i possibili mariti. La ragazza comprende che non ha via di scelta e decide di sposarsi, non tanto per amore, ma perché obbligata dalla famiglia. Questo dimostra quanto i legami con la tradizione siano forti nella società libanese del 1985 e di come non sempre sia facile, e possibile, contrastarli per fare ciò che si vuole. Faten, la protagonista, invece non demorde, perché sì è vero lei lavora ma, allo stesso tempo, riprende a studiare. Lo fa la sera, in gran segreto, nella sua cameretta dopo aver lavorato tutto il giorno e lo fa per poter realizzare il suo sogno: prendere il diploma, iscriversi all’università e diventare infermiera. Certo è un fare davvero faticoso, anche perché Faten deve tenere nascosto tutto alla sua famiglia al villaggio, soprattutto al padre, che mai accetterebbe il fatto che la figlia voglia studiare. Unica consolazione per Faten è il ragazzo con l’auto blu della casa di fronte e la musica che lui suona. Marwan, questo è il suo nome, diventerà amico e forse anche qualcosa di più per la protagonista. In realtà quando il giovanotto è con Faten si ha come la sensazione che, come Dalia, sia un po’ imprigionato in quello che i suoi genitori vogliono per lui. Il libro della Sharafeddine è un romanzo di formazione nel quale la giovane protagonista, anche se deve lavorare per dare un contributo alla famiglia, è pronta a lottare per ottenere quello che vuole e cambiare il suo destino ed è una cosa del tutto impensabile per il Libano della metà degli anni ‘80. A differenza di Dalia e Marwan che in un certo senso si rassegnano alle volontà altrui, Faten no. Lei è più combattiva, lei vuole migliorare la sua vita, ed è davvero pronta a tutto per di cambiare e diventare una giovane donna autonoma, che ha un proprio lavoro e che è in grado di mantenersi da sola. “Faten” di Fatima Sharafeddine è un libro che mostra uno spaccato storico sociale e culturale libanese e, allo stesso tempo, narra la tenacia, l’impegno e il coraggio della giovane protagonista nel voler costruire il proprio futuro in un mondo dove l’andare oltre le tradizioni, il volere essere liberi di creare un domani migliore per sé e vivere fuori dagli schemi convenzionali è difficile da accettare. Traduzione di Barbara Teresi.
Fatima Sharafeddine, scrittrice, traduttrice e curatrice di libri per ragazzi, vive tra Beirut e Bruxelles. Ha pubblicato più di 120 libri, molti dei quali sono stati tradotti in varie lingue, dall’inglese all’hindi. Tra i numerosi premi che ha ricevuto figurano il Bologna Ragazzi Award 2016 (New Horizons) e la candidatura per ben tre volte al prestigioso Astrid Lindgren Memorial Award. Fatima conduce anche workshop di scrittura creativa e assiste i giovani scrittori nella realizzazione dei loro progetti. “Faten” rientra tra i Libri pensati per favorire un dialogo tra i bambini del Mediterraneo e le diverse culture ed è stato realizzato in collaborazione con Kalimat, partner di Galluccimpremiato come Miglior Editore dell’Anno dalla Fiera del libro per ragazzi di Bologna.
Source inviato dall’editore. Grazie all’ufficio stampa Gallucci.
Momo è la piccola protagonista della graphic novel “Momo” di Jonathan Garnier e Rony Hotin, pubblicato in Italia da Tenuè. La bambina di 5 anni, con i suoi capelli ribelli e la sua voglia di vivere in libertà, abita con la nonna con la quale passa le giornate dividendosi tra casa, uscita in paese, scuola, giochi e anche qualche marachella con gli amici più grandi di lei. Nonostante l’apparente spensieratezza Momo però è un po’ triste, tanto è vero che spesso e volentieri, si reca al molo della città portuale della Normandia dove abita e guarda l’orizzonte lontano, nella speranza di intravedere laggiù dove cielo e mare si fondono la barca del padre che le manca tanto. L’uomo è un marinaio d’altura costretto per lavoro a passare diversi e lunghi periodi dell’anno in mare. Ad un certo punto la vita di Momo cambia, perché la nonna muore e la bambina resta sola. A prendersi cura di lei, il pescivendolo del paese, un grande amico del padre che la accoglie in casa, pur di non farla finire sotto il controllo dei servizi sociali. Non solo, perché tra i tanti personaggi che compaiono nella vita della piccola Momo e che la aiutano a passare il brutto momento che si trova a vivere, ci sono Françoise e Tristan, soprannominato prima Banana per lo strambo ciuffo biondo e poi Pomodoro. I due amici di Momo (anche se ad un certo punti si ha come la sensazione che nel cuore di Tristan ci sia qualcosa in più dell’amicizia) la aiuteranno a passare il tempo e a ritrovare il padre sempre al lavoro in mezzo al mare. Il libro con i testi di Jonathan Garnier e le immagini di Rony Hotin è una vera e propria storia di formazione che ha al centro la piccola Momo. Ogni evento dal lei vissuto, ogni incontro fatto sono per la protagonista esperienze di vita, delle vere e proprie prove, a volte dure da accettare e superare (la perdita della nonna, la lontananza dal padre, le incomprensioni e i bisticci con i compagnia di scuola), ma che la aiuteranno a crescere e a comprendere quelli che sono i veri e importanti valori del vivere. “Momo” è una storia che è nata nella mente dell’autore prendendo spunto da una fotografia con ritratta un bambina giapponese e dove la spensieratezza, la felicità e la malinconia pulsano nel cuoricino di una bambina di 5 anni. “Momo” spinge il lettore -bambino o adulto- a riflettere sul senso del vivere e sul fatto che a volte ci sono eventi improvvisi che ci costringono, indipendentemente dall’età, a dover rivalutare e riorganizzare tutto il nostro modo di dire, fare pensare, proprio come accade alla piccola, simpatica e coraggiosa Momo. Traduzione di Stefano Andrea Cresti.
“Momo” ha vinto il Prix Bull’Gomme, del premio Pépite BD al Salon du livre et de la presse jeunesse de Montreuil e è stato nominato al Prix Sorcières.
Jonathan Garnier, nato nel 1982 in Normandia, ha lavorato come editor per Ankama Édition e lì ha scoperto talenti come Amélie Fléchais. Con lei ha realizzato ll sentiero smarrito, portato in Italia da Tunué. Spinto dalla volontà di dare vita alle sue storie, ha realizzato altri titoli, tra cui Momo, in collaborazione con Rony Hotin.
Rony Hotin ha lavorato per Disney come autore di graphic novel; il suo cortometraggio The Vagabond of Saint-Marcel ha ricevuto un Audi Talent Award, primo premio di una lunga lista.
Sono usciti i primi due libri della serie “Sarò una stella” pubblicati dalla casa editrice Gallucci di Roma, scritti da Elizabeth Berféty, illustrati da Magalie Foutrier e realizzati in collaborazione con l’Opéra National de Paris. Il primo “Sarò un stella. Amiche e Rivali” ha per protagonista Mila, una ragazzina alle prese con lo studio della danza, sempre pronta a sostenere gli altri e un po’ tentennante nell’esporsi in prima linea. In realtà, tutta la Scuola di danza dell’Opéra dove sta studiando il gruppo di amiche e amici è in agitazione, perché due allieve del primo anno saranno scelte per esibirsi sul palcoscenico del Palais Garnie. Maina, Constance, Doriana, Zoe, tutte sono alla prese con le diverse pose da imparare per dare il meglio di loro, anche se la paura e il timore di non essere all’altezza della situazione, sono quelle che frenano un po’ Maina. Poi, per tutti, ci sarà una speciale visita nella scuola e questa ospite, con le sue parole, infonderà nuovo coraggio ed entusiasmo a tutti. Il secondo libro “Sarò una stella. Perfetta … o quasi”, è sempre ambientato nella scuola di danza dell’Opéra de Paris, e questa volta la protagonista dell’episodio narrato è Constance, la più brava tra i compagni di corso, anche se qualcosa la tormenta e questo metterà in crisi il suo cammino di danzatrice. Un attacco di panico durante una dimostrazione, i dubbi se continuare a studiare danza o no, la scoperta della danza moderna, metteranno un po’ di panico nell’animo sensibile di Constance, sempre alla ricerca della perfezione per non deludere chi le vuole bene e chi crede in lei. I romanzi della Barféty sono un vero e proprio viaggio in una delle più importanti scuole di danza al mondo: L’ Opéra de Paris. Quello che emerge dalla lettura di entrambi i libri sono l’eccellenza, il rigore e la serietà della scuola, dove gli studenti che vi partecipano, lo fanno con impegno e profonda dedizione per diventare i grandi ballerini del domani. Non solo tecnica però, ma anche professionalità, studio, passione, e umanità. Nelle pagine dei due romanzi sono importanti i legami umani e le complicità che si creano tra compagni di corso e i rapporti tra generazioni diverse, ossia tra gli studenti e quegli adulti (professori, ballerini professionisti e anche genitori) che oltre ad essere docenti, diventano dei punti di riferimento esistenziali per i piccoli protagonisti. Tutti e due i volumi, alla fine, presentano notizie sulla scuola dell’Opéra e un glossario con le definizioni del linguaggio specifico utilizzato nel mondo della danza. “Sarò un stella. Amiche e Rivali” e “Sarò una stella. Perfetta… o quasi” di Elizabeth Barféty sono romanzi di formazione che hanno al centro giovani protagonisti impegnati a studiare per dare vita concreta a quelli che sono i loro sogni, senza perdere mai la speranza che quello che tanto desiderano possa un giorno diventare realtà. Traduzione del francese Camilla Diez.
Elizabeth Barféty è nata nel 1982, Elizabeth Barféty vive nella regione parigina. Da piccola le piaceva così tanto leggere che un venerdì sera è rimasta chiusa nella biblioteca comunale. Per fortuna un guardiano è arrivato a liberarla… Da adulta, la passione per i libri è diventata una professione: cura, traduce e scrive romanzi, documentari e fumetti destinati a bambini e ragazzi e pubblicati da diversi editori.
Magalie Foutrier giovane artista e illustratrice, Magalie Foutrier è molto apprezzata anche nel campo della pubblicità, da celebri marchi della moda e della cosmetica, per il suo tocco femminile molto “charmant” e “parigino.
Source: libri inviati dall’editore al recensore. Grazie a Marina Fanasca dell’Ufficio stampa Gallucci.
Bianca, dodici anni, perennemente scontrosa, infastidita e intrattabile. Bianca, in tutta questa sua personale complessità, è la protagonista dell’omonimo romanzo scritto dal fiammingo Bart Moeyaert, edito in Italia da Sinnos. La ragazzina vive con la madre e con quel fratello –Alan- che, ogni tanto ha degli improvvisi svenimenti. Crisi che portano la madre a preoccuparsi molto per il figlio, mentre Bianca ha un atteggiamento non ben definito. Da una parte è si preoccupata per il fratello ma, allo stesso tempo, si domanda quanto sia davvero reale quel suo non stare bene. Bianca sta spesso zitta, e nessuno comprende fino in fondo i suoi silenzi e i pensieri che le passano per la testa e lei, da parte sua, si sente del tutto incompresa, non capìta dalla famiglia e da tutto il mondo che la circonda. Tanto è vero che non tollera nemmeno Cruz, la nuova compagna del padre, perché lui, da quando sta con lei, non è più la stessa persona. Poi accade qualcosa di fenomenale e di piacevole per Bianca, perché a casa sua arriva Billie, attrice della serie tv che lei adora. Il passare un pomeriggio con la propria star preferita, vederla vivere nel quotidiano lontana da telecamere e riflettori, farà capire molte cose alla giovane protagonista. Tanto per cominciare Bianca comprenderà che anche Billie ha una vita sua vera e propria fuori dallo schermo, dove ha un figlio da crescere, amici e amiche reali, ben diversi da quelli narrati nella fiction. Altra cosa che Bianca capisce sempre grazie a Billie, è che quel suo sentirsi in conflitto con il mondo non è così giusto e deve essere in qualche modo risolto. Per cominciare il cambiamento, Bianca ad un certo punto, quando l’attrice le chiede come si chiama, risponde Perdon (perdono) e poi, ascoltando le parole della sua star preferita, la ragazzina sente in lei un profondo pentimento. Bianca inizia a prendere maggiore coscienza di sé, dei propri errori e del suo agire non sempre corretto che la fa sentire arrabbiata e che fa soffrire chi le vuole davvero bene. La ragazzina si pente di essersi ritagliata da tutte le foto di famiglia, del suo chiudersi a riccio nei confronti degli altri e del suo dubitare dei disturbi del fratello Alan. Bianca vede in modo nuovo anche il rapporto con la madre, perché quel lungo abbraccio che le due si danno dopo l’ennesima- e più grave del solito- crisi di Alan, permette all’adolescente di comprende che lei, con i suoi 12 anni, è molto importante per quella donna che le ha dato la vita. “Bianca” di Bart Moeyaert è un romanzo di formazione, nel quale la giovane protagonista matura a piccoli passi, imparando a fare i conti con se stessa, con i propri errori e a comprendere, grazie all’incontro con la sua attrice preferita, che a volte, prima di giudicare e prendere decisioni affrettate, si devono cercare di caprie al meglio le persone che si incontrano nel proprio cammino di vita e se necessario, anche se non è facile, si deve chiedere loro scusa. Traduzione Laura Pignatti.
Bart Moeyaert è l’ALMA 2019 (Astrid Lindgren Memoria Award) ovvero il premio Nobel della letteratura per ragazzi. È tra i più importanti scrittori fiamminghi contemporanei, tradotto in tutto il mondo. Con Sinnos ha già pubblicato Il Club della via lattea, finalista al Premio Cento 2018, e Mangia la foglia (2018).
Source: richiesto all’editore dal recensore. Grazie all’ufficio stampa Sinnos.
Elena ha quasi 18 anni ed è la protagonista del romanzo “Sette rose per Rachel”, scritto da Marie-Christophe Ruata-Arn e pubblicato da Sinnos. Elena ha tutto dalla vita, è bella, benestante, ha amici e ogni cosa. È l’adolescente viziata che più ha, più vorrebbe. Mentre il suo compleanno si avvicina, e la ragazza è convinta di trascorrerlo con il fidanzatino Arthur, a Ginevra, la madre le fa una sorpresa (non tanto amata però dalla ragazza) portandola in Italia. Motivo del viaggio è la messa in ordine della casa della nonna morta un anno prima. Elena si lamenta ogni singolo momento, poi arrivata in quella casa da svuotare, la giovane scoprirà che lo stabile non è vuoto come sembra e oltre ai mobili -e secondo le dicerie del paese- qualcuno in quelle mura ci vive e si muove ancora. Elena, che ritrova anche l’amico d’infanzia Matteo, all’inizio vorrebbe andare via, poi però capisce che quella strana presenza nella casa abbandonata è in stretto rapporto con la defunta nonna Rachel. In un romanzo che è un perfetto mix tra situazioni verisimili e fantasia, Elena dovrà fare i contri con il fantasma che vive nell’abitazione di nonna Rachel. La protagonista si approccia allo spettro anche se non lo vorrebbe udire, però quella cosa o resti di un individuo che si fa chiamare Tita chiede di essere ascoltato da lei, proprio per farle sapere come sono andate davvero le cose. Un ascoltare che aiuterà Elena a scoprire dolorose verità nascoste che da sempre hanno minato l’esistenza di sua nonna Rachel, di Tita e di suo nonno. “Sette rose per Rachel” è un romanzo di formazione nel quale la protagonista grazie alla scoperta della vita della nonna, riuscirà a compiere un percorso di crescita emotiva che la aiuterà a diventare più adulta e meno capricciosa. Elena dovrà fare i conti con il tormentato Tita, con Matteo l’amico di sempre che forse non è solo amico, con Arthur che arriva dalla Svizzera, con sua madre che non le crede, con le chiacchiere e i pettegolezzi di paese su sua nonna Rachel e Tita. Un magma di eventi che scuoteranno nel profondo la giovane protagonista. E sarà proprio grazie alla tormentata storia d’amore vissuta dalla nonna Rachel in gioventù, che Elena imparerà a conoscere il passato della sua famiglia materna, compresi quegli eventi drammatici che segnarono per sempre la vita dei suoi nonni e di quel fantasma che la assilla. Non solo, perché la quasi maggiorenne Elena, proprio grazie alle esperienze della nonna e in soli nove giorni (tempo in cui si svolge la narrazione) imparerà ad ascoltare e a conoscere se stessa, comprendendo i sentimenti in contrasto presenti nel proprio animo e imparando a riconoscere quali sono le persone, le scelte, le cose e le azioni davvero importanti per la sua esistenza. “Sette rose per Rachel” della Ruata-Arn è quindi un romanzo di formazione vero e proprio, nel quale la protagonista vive una serie di prove (eventi e ostacoli da superare) che le permetteranno di comprendere, attraverso la riscoperta delle proprie origini, quali sono i veri insegnamenti da cogliere per diventare una persona migliore. Traduzione dal francese Federico Appel.
Marie-Christophe Ruata-Arn ha un doppia formazione di architetto e sceneggiatrice. Oltre a insegnare, progettare, scrivere sceneggiature per spettacoli teatrali e programmi televisivi, romanzi per ragazzi e adulti, suona anche in un gruppo rock tutto al femminile
Source: inviato al recensore dall’editore Sinnos. Grazie a Emanuela Casavecchi dell’ufficio stampa.
Anna, una ragazzina orfana affidata a diverse famiglie, finisce in un orfanotrofio. Per lei non sembrano esserci speranze di trovare qualcuno che la voglia. Poi, un giorno, un fortunato gesto del destino la porterà ad Avonlea, un piccolo paesino dove vivono Marilla e Matthew Cuthbert. I due anziani fratelli si aspettavano un ragazzo e quando vedono Anna rimangono un po’ perplessi, tanto è vero che Marilla vorrebbe rispedire Anna nel luogo da dove è arrivata. La piccola, protagonista del romanzo “Anna dai capelli rossi”, edito da Gallucci, racconta la sua drammatica storia e i due anziani la accolgono tra le mura della loro fattoria Green Gable. Anna hai i capelli rossi, tante lentiggini e un passato fatto di dolore e sofferenza al quale reagisce con la fantasia e l’immaginazione. Un agire non sempre compreso dalle persone che le stanno attorno, soprattutto da Marilla, una donna molto pragmatica e concreta. La storia di Anna è un romanzo di formazione creato dall’autrice nel 1908 per ogni tipo di lettore ma, nel corso del tempo esso si è trasformato in un classico della letteratura per l’infanzia. Anna è una bambina che ha avuto, a soli 11 anni, un passato di dolore, sofferenza (i genitori sono morti quando lei era molto piccola), di mancanza di affetto e per lei i due fratelli Cuthbert sono una nuova famiglia nella quale trovare un po’ di tranquillità. Certo per la protagonista non sarà facile conquistare i due anziani e i nuovi compagni di scuola (Gilbert compreso), però un poco alla volta, passo dopo passo, Anna riuscirà a sistemare le cose e a farsi comprendere da tutti. “Anna dai capelli rossi” della canadese Lucy Maud Montgomery, tradotto da Angela Ricci, è una storia di ricerca di amicizia, di amore e di speranza, dove la protagonista sarà sì sottoposta ad un serie di prove, ma la sua tenacia, la voglia di mettersi in gioco e di imparare le permetteranno di riuscire a trovare il suo posto nel mondo. Oltre alla famosa serie animata trasmessa in tv dagli anni ’80 (vista una marea di volte), Netflix ha distribuito in tutto il mondo una fiction di recente produzione con protagonista “Anna dai capelli rossi”.
Lucy Maud Montgomery nacque a New London, in Canada, nel 1874 e morì a Toronto nel 1942. Nella sua vita pubblicò numerosi libri per ragazzi, raggiungendo l’apice del successo nel 1908 con “Anna dai capelli rossi”, primo di una serie di otto volumi. Le vicende dell’orfanella erano in parte ispirate all’infanzia dell’autrice, che da piccola aveva perso la madre ed era stata allevata dai nonni. Le storie si Anna sono state tradotte in decine di lingue.
Source richiesto all’editore. Grazie a Marina Fanasca dell’ufficio stampa.