Chi era davvero Stradivari? Quale era il suo volto? A provare a dare una risposta a queste e a tante altre domande ci pensa Marco Ghizzoni, autore cremonese, con “Violino. Luci e ombre i Stradivari” edito da Oligo. Il piccolo saggio dona al lettore un racconto inaspettato di Stradivari, ben noto a livello mondiale, perché nel XVIII secolo fu uno dei liutai più attivi a Cremona e non solo. In realtà, da quanto emerge dall’indagine di Ghizzoni poco si conosce sulla nascita di Stradivari, per esempio non si sa di preciso la data del compleanno, poco si conosce anche dela vita dell’artista e della sua morte che restano ancora oggi ammantante da un aura di mistero. Tra le altre curiosità individuate da Ghizzoni il fatto che, nonostante un certo benessere economico, Stradivari non si fece mai fare un ritratto e oggi per noi è difficile capire come lui fosse realmente, perché esistono sì alcuni dipinti che lo ritraggono e pure dei busti scultorei, ma in nessuno di essi vi è il vero Stradivari, sono solo rappresentazioni di fantasia. Così come non è vero che il suo cranio venne rubato dopo la sua morte. Certo è che ben poco si sa del liutaio delle sue origini e pure delle cause della morte. Qualcosa in più si è invece scoperto nel 1999 con il ritrovamento del suo testamento, dal quale emerge l’immagine di un uomo ben lontano dall’idea di artista romantico che le persone si sono create nella mente. A quanto sembra Stradivari era molto autoritario e molto- forse troppo- presente nella vita dei figli ma, allo stesso tempo, anche riservato, tanto che dopo la sua morte, la notizia non venne diffusa fuori da Cremona e gli incarichi di realizzazione dei violini continuarono ad arrivare da ovunque. Nel libro non manca nemmeno una sezione dedicata a Luigi Tarcisio, che fu uno dei più importanti conoscitori e collezionisti di violini del XIX secolo, che divenne anche abile commerciante degli strumenti cremonesi, compreso quello Stradivari del quale lui si vantava di essere in possesso e che non venne mai visto e suonato, tanto da meritarsi il soprannome di “Messia”. “Violino. Luci e ombre di Stradivari” è un breve saggio nel quale il cremonese Marco Ghizzoni evidenzia tutti i misteri, glie elementi poco noti e chiari della vita del grande liutaio Antonio Stradivari che lavorò fino ai 93 anni e che sì, forse ci ha lasciato tanti dubbi e aspetti poco nitidi sulla sua esistenza privata, ma la sua genialità, la sua professionalità e bravura sono certe, anzi vivono e risuonano negli strumenti usciti dalle sue mani.
Marco Ghizzoni è nato a Cremona, dove vive, nel 1983. Ha pubblicato romanzi con Guanda e con TEA. Nel 2020 ha pubblicato la raccolta di racconti “Il muro sottile. Dieci Racconti” con Oligo editore. Quando non scrive, lavora nel settore commerciale di una multinazionale tedesca.
Source: del recensore. Grazie all’ufficio stampa 1A Comunicazione.
“Pesca al cantautore in Emilia e altre storie in vinile” di Roberto Barbolini, edito da Oligo, è un romanzo corale, dove l’ironia è una delle componenti costanti per tratteggiare quella che è l’immagine di una generazione di giovani amanti della musica e alla ricerca del loro posto nel mondo, anche se, a volte, questo percorso è molto più complesso di quello che sembra. Ne abbiamo parlato con l’autore Roberto Barbolini.
Come è nata l’idea del libro “Pesca al cantautore in Emilia”? Direi che è nata per stratificazioni geologiche, con un nucleo di base legato a due aneddoti che mi portavo dietro fin dall’adolescenza: una gara di veglia che si tenne davvero nella mia città d’origine, Modena, verso la metà degli anni Sessanta, e l’avventura altrettanto autentica d’un mio vecchio amico, al quale capitò davvero di pescare un cantautore (e il suo motoscafo) nelle Valli di Comacchio. O almeno così raccontava. Attorno a queste due storie principali si agglutinano lasse narrative più brevi, fino al nanoracconto, in un arco temporale che dall’epoca dei Beatles e dei Rolling Stones arriva a oggi. I personaggi appartengono a una «generazione di sconvolti/ che non ha più santi né eroi», per dirla con Vasco Rossi, perduti fra le nebbie della provincia e la globalizzazione incipiente. Che vedono i loro idoli musicali andare via via all’altro mondo, oppure trasformarsi in innocui feticci.
Quanto per i personaggi protagonisti è importante la musica? Da zero a dieci, sicuramente dieci. È la generazione della musica ribelle, «che ti entra nelle ossa/ che ti entra nella pelle», come cantava Finardi. I suoni aspri e distorti delle chitarre rock esprimono le rabbie, le frustrazioni dei protagonisti, ma anche il loro oscuro desiderio di amore e di bellezza.
Quale è il filo rosso che collega i diversi momenti della narrazione, che spaziano dal racconto breve a quello lungo? Più che un filo rosso è un intreccio di fili: la musica rock innanzitutto, non semplice colonna sonora di sottofondo ma autentico collante della narrazione, che dà impulso e ritmo alla scrittura. È un sound che affonda nell’era beata dei dischi in vinile, dai Beatles ai Nomadi, da Hendrix e Clapton agli Who, dagli Stones all’Equipe 84 e ritorno. E poi la provincia, certo, con i suoi miti e i suoi riti, i sapori e i sopori. Si tratta però di intendersi: esiste certo un torpore della provincia, una specie di Grande Sonno che t’avvolge come un liquido amniotico, tanto più temibile quanto più confortevole. Ma c’è una forma di letargo perfino più insidiosa: il provincialismo di chi crede d’essersi scrollato di dosso il “mondo piccolo” solo perché si aggiorna secondo l’ultimo grido delle mode culturali. La provincia e la moda, osservava Cesare Garboli, sono in fondo la stessa cosa. Anche se vive in una grande metropoli, chi segue pedissequamente la moda è un provinciale. In questo senso, perfino perdersi nelle Valli di Comacchio può rivelarsi un’insperata salvezza, una via di fuga dal provincialismo.
Nella sinossi il suo romanzo è definito un “libro di formazione, o di deformazione”, come convivono nel vissuto dei diversi personaggi questi due aspetti? Il romanzo di formazione o Bildungsroman (in tedesco è più altisonante) è un genere che si fa nascere con il WilhelmMeister di Goethe, e dico poco, ma ha antenati che possono risalire fino alla Telemachia nell’Odissea di Omero. Roba grossa, insomma. Perciò mi sarei sentito pomposo a definire “romanzo di formazione” il mio libro, anche se indubbiamente lo è. Ecco allora l’idea di un doppio parodico, il “romanzo di deformazione”, che sta al primo come Mr.Hyde al dottor Jekyll. Alla base c’è la mia convinzione che nelle nostre vite, anche nei momenti più autentici, all’amore e al dolore s’intrecci spesso un elemento grottesco. Per questo le passioni, i tic, i drammi esistenziali dei miei personaggi hanno quasi sempre un contrappunto ironico.
Il libro può essere visto anche come romanzo corale e specchio di una generazione? La mia è la generazione di My Generation degli Who, con quel verso: “I hope I die before I get old”, “spero di morire prima di diventare vecchio”, che per tanti protagonisti di quegli anni -da Hendrix alla Joplin, da Jim Morrison a John Lennon, allo stesso Keith Moon degli Who- sarebbe diventato una sinistra profezia. Ma è anche la generazione di Woodstock, che nei grandi raduni giovanili viveva il suo romanzo di formazione collettivo: corale, appunto. Non fu sempre un coro armonioso, né mancarono le “stecche”: se Pesca al cantautore in Emilia rispecchia quella generazione, deve somigliare a uno di quegli specchi anamorfici che si trovano nei baracconi dei Luna Park, dove le immagini si deformano, le fisionomie si alterano, le identità si confondono. Ma forse solo fraintendendoci siamo in grado di riconoscerci.
Riguardo al titolo, perché proprio “pesca al cantautore in emilia e altre storie in vinile?” Be’, qui devo dichiarare a gran voce il mio amore per la parodia, evidente già nel titolo , che richiama Pesca alla Trota in America di Richard Brautigan, un piccolo mito della generazione beatnik. Quanto al vinile, col suo richiamo vintage, potrebbe sembrare l’esca per un’operazione nostalgia quanto mai scontata (e vorrei pure vedere che fosse a prezzo pieno…). Ma guai a considerare la nostalgia un fenomeno soltanto regressivo, identificandola con il rimpianto per qualcosa di perduto. Essa è invece quella “sofferenza dell’ignoranza” di cui parla Milan Kundera nel romanzo L’ignoranza, ossia qualcosa di legato alla dimenticanza più che alla memoria: è l’oscura volontà di tornare in un luogo dove in realtà non siamo mai stati. Tale è infatti il passato, finchéé i viaggi nel tempo non saranno possibili: quando lo abitammo esso era il presente, e adesso possiamo illuderci di ricrearlo solo attraverso gli inganni e le fallacie della memoria. Chissà se quel mio amico pescò davvero un cantautore nelle Valli di Comacchio…
Roberto Barbolini (Formigine,1951) è narratore che predilige il comico, il visionario e il fantastico. Ha lavorato con Giovanni Arpino al “Giornale” di Indro Montanelli, è stato redattore e critico teatrale di “Panorama”, si è occupato di gialli e di poesia erotica. Attualmente collabora al “QN-Quotidiano nazionale” e a “Tuttolibri”. Ha pubblicato numerosi romanzi, saggi e raccolte di racconti, tra cui “La strada fantasma” (1991, vincitore del premio Dessì), “Il punteggio di Vienna” (1995), “Piccola città bastardo posto” (1998), “Stephen King contro il Gruppo 63” (1999), “Ricette di famiglia” (2011), “L’uovo di colombo”(2014), “Vampiri conosciuti di persona” (2017). Il suo libro più recente è la raccolta di racconti “Il maiale e lo sciamano”, edito nel 2020 dalla Nave di Teseo.
Source: richiesto dal recensore. Grazie all’Ufficio stampa 1A Comunicazione
Un po’ funk e un po’ rock è l’anima dei Red Hot Chili Peppers ed essa riecheggia anche in “Acid for the children.” l’autobiografia di Flea, il bassista della band dei Red Hot Chili Peppers, pubblicata in Italia dall’editore HarperCollins. In questo libro il lettore si si divide tra l’Australia dove il protagonista, il cui vero nome all’anagrafe è Michael Peter Balzary, visse per una prima parte dell’infanzia, fino a quando i genitori divorziarono e la madre prese i figli per andare in America. Per un periodo Flea abitò a New York dove il nuovo compagno della madre era un musicista jazz che aprì un mondo nuovo al nostro narratore. Qui il piccolo Flea (pulce tradotto in italiano) imparò a conoscere la musica jazz che approfondì poi una volta trasferitosi a Los Angeles imparando a suonare la tromba. Da questo libro di memorie quello che viene a galla è l’amore viscerale per la musica, ma anche un vivere non sempre facile con le persone che Flea aveva accanto, perché se con e la sorella tutto filava liscio, il musicista nel libro scrive: “Sono cresciuto terrorizzato dai miei genitori, e in generale dalle figure paterne, che mi hanno causato molti problemi più tardi nella vita”. Accanto ai genitori a creare altri problemi a Flea furono i compagni di scuola che lo scelsero come il bersaglio dei loro scherz,i perché troppo basso, perché vestito in un modo che gli impediva di inserirsi in qualche gruppo, perché sempre con quel velo di malinconia sul viso che, nonostante una felice serenità presente in lui, impediva alle persone che gli stavano attorno di comprendere il suo vero stato d’animo. In questa narrazione di vita, ritmica e a tratti sincopata, Flea racconta le emozioni, i momenti di gioia e felicità, ma anche la perdita della retta via che lo portò per un certo periodo a compiere furtarelli di vario tipo da solo o con gli amici. Nelle parole del Flea adulto emerge la consapevolezza di aver esagerato da ragazzo, di essersi messo in situazioni dove la sua vita fu davvero messa a rischio e in bilico, come quando dalla semplice fumatina di erba passò a droghe molto più pesanti. A 14 anni l’incontro con Anthony Kiedies, anche lui adolescente e anche lui tossicodipendente, con il quale ci fu subito sintonia su più fronti (situazione familiare, uso e abuso di sostanze tossiche, la musica). Fu però proprio l’amore per le note a permettere ai due amici di dare vita ad una della band funk rock più amate al mondo: i Red Hot Chili Peppers. “Acid for the children.” ha un ritmo incalzante e mentre lo si legge si ha la sensazione di essere davvero in compagnia di Flea che ti racconta la sua vita tra alti e bassi, tra cadute, risalite e ammaccature (avete presente il video dei RHCP di “Scar tissue”?), evidenziando una sensibilità emotiva tutta da scoprire. Traduzione Stefano Chiapello.
Flea è un musicista e attore nato in Australia e cresciuto in America. È conosciuto come bassista e cofondatore dei Red Hot Chili Peppers. Da ricordate che è anche il fondatore del Silverlake Conservatory of Music.
Source: richiesto all’editore. Grazie all’ ufficio stampa HaperCollins
Edizioni NPE mette insieme due suoi long-seller di sempre, con La grande storia del rock e del metal afumetti, di Enzo Rizzi, in versione riveduta, corretta e aggiornata.
Nelle pagine di questa graphic novel che unisce due mondi amatissimi ma a volte visti come antitetici, i fumetti e la musica, il demone Heavy Bone guida i lettori a scoprire la storia di oltre 100 tra star singole e gruppi musicali, a partire da quando incominciò tutto, ottant’anni fa in un incrocio tra le rive del Missisippi. Nelle pagine riemergono brani cult e aneddoti intriganti di chi ha fatto la storia della cosiddetta musica del Diavolo, che ha unito generazioni, culture diverse, Paesi lontani, facendo da colonna sonora alla vita delle persone per decenni. Storia del Rock a fumetti e Storia del Metal a fumetti sono stati campioni di vendita ad ogni fiera per le Edizioni NPE, anche da parte di chi non aveva mai letto un fumetto in vita sua.
Sfogliando le pagine si trovano tantissime icone di due correnti capaci davvero di cambiare le vite, da Elvis Presley e Jimi Hendrix a Bruce Springsteen, dai Beatles ai Red Hot Chili Peppers, dai Pink Floyd ai Queen, dai Black Sabbath agli Iron Maiden e ai Metallica, dai The Doors ai Dire Straits. Ogni artista o band viene analizzato in due pagine ricche di aneddoti insoliti e bizzarri caratterizzanti la carriera di ogni singola leggenda musicale.
Questa nuova edizione presenta una nuova impaginazione e veste grafica, e ha sedici nuove schede, e cioè quelle di Lacuna Coil, Testament, Korn, Sepultura, Strana Officina, Vanadium, Saxon, Kansas, Green Day, Oasis, Ozzy Osbourne, Accept, Mott the Hoople, King Crimson, Yes, Tool. Inoltre, sono state ridisegnate le biografie di Kiss, Alice Cooper, Death SS e Iron Maiden.
Tutti i contenuti sono aggiornati al 2020, con un totale di 122 profili, dentro cui ogni fan troverà quello o quelli a cui è più affezionato, ma anche nuovi spunti di ascolto e di scoperta, con artisti magari che non si conoscono e di cui sarà bello leggere la storia e sentire la musica.
“Non accettare compromessi. Sei tutto ciò che hai”. (Janis Joplin)
Janis Joplin, una voce unica nel panorama musicale, una vita vissuta al limite e un animo ipersensibile in cerca del vero amore. Questi sono alcuni degli aspetti che emergono da “Janis. La biografia definitiva” scritta da Hollie George Warren e pubblicata da DeAgostini in occasione dei 50 anni dalla scomparsa della cantante, avvenuta il 4 ottobre del 1970. L’autrice fa compiere al lettore un vero e proprio viaggio nella vita di Janis Joplin partendo dal momento in cui i suoi genitori si incontrarono per la prima volta. Pagina dopo pagina, ci immergiamo nella vita di Janis bambina in Texas, poi adolescente con doti artistiche molto buone (amava molto il disegno) e pronta a mettere in atto diverse fughe dalla sua realtà quotidiana per trovare la propria strada maestra nella musica. Ecco allora Janis alle prese con i primi concerti di musica folk e blues nei club di Austin, poi a Venice a trascorrere giornate di vita bohémien, per passare a San Francisco dove la Joplin entrò in contatto con la generazione beatnik e a zonzo per altre città degli Stati Uniti d’America alla ricerca di sé e del proprio futuro. Janis desiderava cantare e il libro ci porta proprio alla scoperta del suo pellegrinaggio in campo musicale con quella sua voce blues, insolita in una ragazza bianca, che cominciò piano piano a conquistare le folle prima con il gruppo Big Brother And the Holding Company e poi come solista. Quello che emerge dal testo è l’immagine di una Janis che spesso infrangeva le regole ma che, allo stesso tempo, viveva nel terrore e nell’ansia del giudizio delle persone che amava. Da ragazzina Janis fu spesso vittima di bullismo per il suo fisico un po’ mascolino e perché sosteneva ideali (uguaglianza tra bianchi e neri) non compresi negli USA degli anni Cinquanta e Sessanta. In realtà nel testo della Warren ci sono tanti altri miti del rock che sfilarono accanto a Janis. Ecco comparire Jim Morrison (con lui il rapporto fu parecchio turbolento), Jimi Hendrix, i Jafferson Airplane. Janis era una ragazza che sprigionava sicurezza sul palco, una grande interprete del rock, ma nel suo io era un vulcano di emozioni in lotta. L’animo di Janis era afflitto da una profonda fragilità che in più occasioni portò la cantante ad una vera e propria discesa nel baratro. Un giudizio negativo sul suo modo di essere e apparire, uno shock emotivo, una delusione in amore o sul lavoro, erano la miccia che accendeva le crisi emotive ed esistenziali che portarono Janis a soffrire ripetutamente di perenni periodi di depressione e ad esprimere il suo dolore con esibizioni cariche di pathos, capaci di conquistare il pubblico. Janis cominciò a rimediare alle delusioni prima con l’alcool poi con la droga. La Joplin tentò più e più volte di disintossicarsi, ma non riuscì mai a farlo fino in fondo, fino al tragico epilogo che la portò via a soli 27 anni. Dalla biografia emerge anche una delle maggiori paure di Janis: quella di fallire, di non riuscire ad aver successo, perché questo non sarebbe stato solo una sconfitta personale, ma una delusione per le persone per lei importanti (in particolare la famiglia). “Janis. La biografia definitiva” di Holly George-Warren ci narra una Janis Joplin tra dimensione pubblica e privata dalla quale emerge l’immagine di una giovane donna in cerca di sentimenti veri e sinceri che voleva essere amata per quella che era e che viveva per la musica. Traduzione Luca Fusari e Sara Prencipe.
Holly George-Warren è una delle più autorevoli scrittrici americane di biografe musicali. Due volte candidata ai Grammy e vincitrice di diversi altri premi, ha pubblicato sedici libri, tra i quali il bestseller The Road to Woodstock, e prodotto numerosi documentari. Collabora con testate come il “New York Times”, “Rolling Stone” ed “Entertainment Weekly”, e fa parte della commissione candidature della Rock & Roll Hall of Fame. Insegna alla State University of New York.
Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa.
In attesa del film biografico sulla sua vita, dopo quelli su Freddy Mercury ed Elton John, arriva la graphic novel dedicata a David Bowie, il Duca bianco, uno degli artisti più iconici degli ultimi decenni, ormai consegnato all’immortalità dopo la sua scomparsa, che a molti ha fatto dire Se lo sono venuto a riprendere dallo spazio.. Panini Comics propone il volume in contemporanea con l’originale americano, in una lussuosa edizione con sovracoperta sfilabile in PVC: Bowie – Stardust, Rayguns & Moonage Daydreams racconta la vita a fumetti di David Bowie, artista anticonfomista capace di rivoluzionare il mondo della musica e di unire più generazioni di appassionati, con canzoni indimenticabili e emblematiche, oltre che di essere un artista dell’immagine, un perfomer visivo capace di creare un suo universo che ha lasciato un’impronta indelebile nell’immaginario degli ultimi decenni, oltre a ispirare altri a calcare le sue orme.
La graphic novel racconta in particolare la scalata al successo di Bowie, dall’anonimato alla fama mondiale, legata a quella del suo alter ego Ziggy Stardust, che poi lui lasciò cambiando look, mentre alla sua vita e ai successi dagli anni Ottanta e poi sono dedicate le tavole conclusive, senza testo, ma altrettanto emblematiche.
L’epopea rock di David Bowie rivive attraverso le tavole technicolor del duo Michael e Laura Allred, tanti sprazzi di vita efficaci e coinvolgenti, a raccontare un destino unico, un artista che era super eroe, extraterrestre e dio del rock and roll. Un volume per chiunque ami David Bowie, sia che segua o meno il mondo dei fumetti, un tributo colorato e poliedrico, da cui traspare il suo mondo e la sua arte, ma anche un modo per scoprirlo o riscoprirlo in tutte le sue incarnazioni, magari ascoltando insieme i suoi più grandi successi.
Del resto, David Bowie è stato il cantante e performer più vicino ai mondi del fumetto e del fantastico di sempre, con canzoni come Starman, Space Oddity, Heroes e ruoli come quello di Jareth nel cult fantasy Labyrinth. Non a caso il graphic novel ha una prefazione di Neil Gaiman, uno dei più grandi autori di fumetti e libri di genere fantastico, parte dello stesso universo del cantante da cui è stato influenzato.
Micheal Allred è un fumettista e scrittore americano, autore di graphic novel come Madman, Red Rocket 7 e iZombie. Le sue opere, caratterizzate da uno stile pop e immaginifico, sono spesso colorate dalla moglie Laura Allred, vincitrice del “Best Coloring” Eisner Award per il suo lavoro su iZombie e Madman All-New Giant-Size Super-Ginchy Special.
Steve Horton ha lavorato come sceneggiatore per diverse case editrici di fumetti, tra cui DC, Image, IDW (Satellite Falling) e Dark Horse (Amala’s Blade).
“Decamerock. Ribellioni, amori, eccessi dal lato oscuro della musica” edito da Marsilio è il nuovo libro di Massimo Cotto. Nel titolo, oltre al rock, riecheggia il “Decamerone” di Boccaccio (citato all’inizio di ogni nottata), e questo ci fa capire che il lettore farà un viaggio in una sorta di metaforica peste (vita di eccessi estremi) la quale, nel corso del tempo, ha colpito il mondo del rock. Vero, qui non ci sono un gruppo di ragazzi che si ritira in un luogo protetto per salvarsi dall’epidemia, ma ci sono storie su storie, grazie alle quali Cotto ci intrattiene. Lo speaker ci accompagna un viaggio nelle vite dissolute e sregolate di molti artisti della musica rock, organizzando i contenuti del libro in Dieci nottate, più un momento intitolato “Prima dell’alba”, alternati a frammenti narrativi nei quali lui racconta la sua infanzia e adolescenza a Genova. “Decamerock” ti porta nelle vite vissute all’estremo, che sono sì un po’ maledette, ma che hanno anche tante fragilità e un fascino travolgente e appassionante. Per esempio c’è il Club del 27 dove si trovano quei cantanti che morirono, per una strana coincidenza, tutti a 27 anni. Qualche nome? Brian Jones, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Amy Winehouse e tanti altri con alle spalle una vita breve, fatta di eccessi, dove la musica era però il cuore che li animava. Tanti nomi, tanti cantanti e musicisti che sono passati alla storia per ciò che suonavano o per la band dove militavano, ma anche per dei retroscena non sempre noti. Un esempio? Avete mai sentito la musica di Moondog? Lui, all’anagrafe Louis Thomas Hardin, era un compositore e musicista americano, non vedente, e nonostante questo compose musiche eccellenti, scrisse poesie e inventò pure strumenti musicali. Lo si notava subitoperché, oltre a vivere come un homeless, girava sempre con un lungo mantello e un cappello in stile vichingo. Che dire poi di John Bonham, che non sapeva suonare strumenti musicali e che diventò il batterista ufficiale dei Led Zeppelin di Jimmy Page e Robert Plant. Bonham suonò in ben nove album della band, prima di morire a soli 32 anni, dopo aver bevuto litri su litri di alcolici e super alcolici. La cosa interessante del libro di Massimo Cotto è che l’autore non si limita a narrarci le vite del mondo del rock e del jazz, perché lo scrittore ad un certo punto tra i lunghi viaggi, le stanze di albergo, le bottiglie di alcool , ci infila la musica classica con Mozart e Paganini. Mozart con la sua morte ammantata da un’atmosfera misteriosa e con quel “Requiem” che compose poco prima della sua scomparsa e prima di finire in una fossa comune. Accanto a lui, la figura istrionica di Paganini, che conquistò tutti per la sua bravura così fuori dalla norma, tanto che i suoi coevi pensavano avesse fatto un patto col diavolo per suonare in quel modo. “Decamerock” di Massimo Cotto è una lettura davvero piacevole, perché se da un lato, ti fa conoscere la dimensione umana e nascosta degli eccessi esistenziali di molte icone della musica, dall’altro, ad ogni storia letta, si sente l’irrefrenabile bisogno di andare ad ascoltare quella musica del passato che ti conquista anche nel presente.
Massimo Cotto (Asti, 1962), una delle voci più note di Virgin Radio, da quasi quarant’anni scandaglia l’universo rock. Scrittore (ha al suo attivo oltre 70 libri di argomento musicale), autore e conduttore televisivo, ideatore e animatore di spettacoli teatrali, giornalista, ha collaborato con vari quotidiani e scritto per le principali riviste italiane e internazionali, inclusa la leggendaria «Billboard». Su Virgin Radio conduce ogni mattina Rock and Talk. Per Marsilio ha pubblicato Rock Therapy. Rimedi in forma di canzone per ogni malanno o situazione (2017).