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:: Manimàn. Storie insolite su Genova e paraggi, Lorenzo Beccati, (Oligo editore 2023) A cura di Viviana Filippini

30 marzo 2023

Un libro che è un condensato di aneddoti, personaggi e curiosità su Genova. Pagine dove durante le lettura ci si imbatte Buffalo Bill, Jean- Michel Basquiat, i Beatles o qualche loro reliquia, il primo Maciste (Bartolomeo Pagano), Carlo Goldoni, Winston Churchill, vari personaggi vissuti in momenti diversi e tutti accomunati da una cosa: Genova. Ognuno di questi nomi e tanti altri sono i protagonisti di “Manimàn. Storie insolite su Genova e paraggi” di Lorenzo Beccati, edito da Oligo editore di Mantova. La città portuale e capoluogo della regione Liguria è stata nel corso dei secoli un importante punto di riferimento per  il commercio marittimo, ma qui è la protagonista unica e indiscussa di un viaggio non solo nella storia, ma anche nel cuore di un luogo affacciato sul mare dove personaggi illustri, e non solo, hanno fatto una piccola tappa nella loro vita. Lo scrittore e autore televisivo è andato a ripescare nella memoria e nei suoi ricordi di una vita, tante storie e aneddoti sentiti nel corso degli anni e ha deciso di metterli nero su bianco per lasciare ai lettori di oggi una testimonianza di persone, eventi, e situazioni curiose accadute tutte a Genova. Nelle pagine si scopre che Genova non si è fatta mancare nulla, e non a caso ci si imbatte nella peste, ma anche nel primo clown della storia e ancora nell’antica Barberia Giacalone, in Albert Einstein, Frankenstein, Stanlio e Ollio, tal lady Parker (la principessa Sissi) e pure Evita Peron. Sembra che nessuno sia escluso e che tutti siano quindi passati, almeno una volta nella vita (me che scrivo compresa, se ci penso bene) a Zena! Ed ecco che allora viene spontaneo chiedersi che sarà mai quel  “Manimàn” del titolo. È un  modo di dire dei genovesi, quel “non si sa mai” o “non sia mai”, nel quale si intravede un pizzico della classica circospezione, prudenza e diffidenza genovese. Lorenzo Beccati, noto anche per essere autore televisivo, ha un linguaggio fluido, trascinante, tanto è vero che leggendo il suo libro colmo di particolarità tratti davvero impensabili come la storia della nave Garaventa o del cane di San Lorenzo, sembra di avere Beccati al fianco che accompagna il lettore nelle viuzze della città alla scoperta di un mondo, di personaggi e di situazioni a volte così surreali e insolite che, manimàn, anche se non si è genovesi è impossibile resistere alle travolgenti e sorprendenti sfaccettature che Genova dona a chi la incontra.

Lorenzo Beccati (Genova, 1955) è scrittore e autore televisivo. Ha collaborato a Drive in, Lupo Solitario, Paperissima e tuttora a Striscia la notizia. Ha all’attivo molti libri, soprattutto romanzi e thriller storici. Per Oligo ha pubblicato Il pescatore di Lenin (2021) e Uno di Meno (2022) (www.lorenzobeccati.com)

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa 1A Comunicazione.

:: Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli, Paolo Possamai (Marsilio 2022) A cura di Viviana Filippini

5 luglio 2022

“Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli”  è il titolo del libro di memorie visive e storiche  edito da Marsilio, dedicato alla città di Trieste, scritto da Paolo Possamai, ideale da prendere sottobraccio con sè per visitare la città, ma entriamo nel dettaglio. Nettuno e Mercurio sono anche due antiche divinità ben note sin dai tempi degli antichi Greci e Romani. Nettuno era, e lo è ancora, il dio dei mari e delle correnti, e a Trieste di mare ce n’è. Mercurio per i Romani era la divinità del guadagno e del commercio e queste attività erano molto vive nella città di Trieste, soprattutto nell’800. Il libro di Possamai porta il lettore alla scoperta del volto urbano della città di Trieste che è protagonista in modo completo di questo volume. Interessanti sono sì le descrizioni dei diversi monumenti presi in esame, ma ancora più curioso è l’abbinamento alle fotografie inedite realizzate da Fabrizio Giraldi e da Manuela Schirra. Questo volume permette di restituire al lettore l’immagine di una città di impianto architettonico neoclassico nella quel la mitologia, le attività commerciali e il rapporto con la borghesia dell’epoca erano molto solidi. Matteo Pertsch, Antonio e Francesco Bosa, Pietro Nobile, Emilio Bisi sono solo alcuni degli architetti e degli scultori che agirono a Trieste contribuendo, attraverso l’architettura e la scultura, alla costruzione dell’identità della cittadina triestina dove eleganza, mitologia e lavoro si mescolano alla perfezione dal passato fino ai giorni nostri. E così, oltre a Mercurio e Nettuno, Giasone, Venere, ad accompagnare e vigilare sui triestini ci sono i santi patroni della città e figure simboliche come la Mercatura, la Giustizia, l’Onore, la Fama, l’Ingegno, l’Abbondanza, l’Industria, la Navigazione, la Perseveranza presentati in forma di sculture e  bassorilievi. Tutti lì presenti in diversi edifici pubblici (Teatro Verdi, Tergesteo, Palazzo della Borsa…) e privati (Palazzo Carciotti, Palazzo Vivante, Palazzo Rotonda Pancera). Queste e altre figure dal valore simbolico compaiono negli edifici con funzione civile e di abitazione, nei portoni, nelle cornici di porte e finestre, nelle facciate scolpite dei palazzi, dove dimostrano di non essere semplici decorazioni messe lì per fare bello uno stabile. Ogni singolo elemento decorativo è sì rappresentativo della stile architettonico neoclassico, ma ad un’attenta osservazione si ha come la sensazione che esso determini un’atmosfera di bizzarro, insolito e originale che pervade la città di Trieste. “Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli”, di Paolo Possamai, narra e mette in risalto gli elementi architettonici che non solo decoravano le architetture presenti ma che, allo stesso tempo, rappresentavano l’identità di una città e della sua classe sociale borghese composta dai mercanti, commercianti e dirigenti. Prefazione di Giuseppe Pavanello.

Paolo Possamai (Vicenza, 1960), è direttore del quotidiano “Il Piccolo di Trieste” e in precedenza ha diretto “La Nuova Venezia” ed è stato inviato speciale del Gruppo Espresso. Dal 1999 scrive per “La Repubblica, in particolare sul dorso economico Affari & Finanza. È consulente della Fondazione Nord Est per la stesura del Rapporto sulla società e l’economia e ha pubblicato vari libri.

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa Marsilio.

L’anima delle città, Jan Brokken (Iperborea, 2021) A cura di Viviana Filippini

14 dicembre 2021

Parigi, Amsterdam, Bologna, Cagliari, Düsseldorf e tante altre città sono le protagoniste di “L’anima delle città” di Jan Brokken, edito da Iperborea. In tutte le località narrate l’autore ci è stato una o più volte e quello che ne risulta è un vero e proprio reportage sulle città e sulle persone che in quei luoghi hanno vissuto o hanno avuto un legame particolare con esse, perché per esempio, proprio in quelle località ha preso forma ed espressione la loro creatività artistica o culturale. Pagina dopo pagina emergono i ritratti di tanti posti fisici e delle vite di coloro che li hanno animati in prima persona. Quello che colpisce di questo libro è che emergono due anime. Una è quella delle città nelle quali B. ha viaggiato e soggiornato, vere e proprie protagoniste a tutto tondo della narrazione. L’altra anima è quella delle persone raccontate da Brokken, mostrate in tutte le diverse sfaccettature che le caratterizzano . Il libro a tratti assomiglia a un romanzo, poi però ti accorgi che è anche un saggio, ma è pure un libro di ritratti biografici che conquistano chi legge, un elemento che dimostra quanto la loro dimensione umane sia approfondita dall’autore e molto legata alla città nella quale hanno vissuto. In un certo senso è come se Brokken prendesse per mano i lettori per portarli alla scoperta della Bologna raccontata attraverso il rapporto che l’artista Giorgio Morandi ebbe con la città, poi ci trasferiamo a Vilnius dove troviamo il pittore lituano Mikalojus Čiurlionis, che non fu solo un grande esponente del simbolismo in pittura, ma anche uno dei primi artisti ad aver sperimentato l’arte astratta e compositore di brevi componimenti musicali. Interessante anche il viaggio a Bergamo dove Brokken ci presenta la località raccontando la vita di Gaetano Donizetti, nato da una famiglia di umilissime origini e che riuscì a diventare uno dei più amati compositori e operisti del 1800, anche se la sua fine non fu del tutto gloriosa. Interessante anche il viaggio a Düsseldorf in compagnia dell’originale artista Beuys, sempre pronto a sorprendere con le sue performance artistiche. Non manca un viaggio a San Pietroburgo con Dmítrij Šostakóvič e la sua travagliata vita che lo porterà a non lasciare mai, a differenza dei figli, la madre Russia e poi torniamo in Italia, a Cagliari, per scoprire lei: Eva Mameli Calvino, non solo mamma di Italo Calvino, ma anche una botanica, naturalista e accademica italiana, amante delle sfide scientifiche, civili e prima donna italiana a conseguire la libera docenza in un’università. In “L’anima delle città”, Jan Brokken ancora una volta dimostra la sua grande sensibilità, la sua vivace curiosità che lo portano a indagare e raccontare le città da un punto di vista insolito, dove oltre agli interessi principali come l’arte, la poesia, la musica e l’architettura spiccano ritratti profondamente umani di importanti personalità che hanno lasciato un segno nella storia. Per rendere ancora più piacevole la lettura del libro, grazie anche alla collaborazione con l’Ambasciata e il Consolato Generale del Regno dei Paesi Bassi, sono stati realizzati una serie di podcast con la voce di Natashca Lusenti e i suoni di Paolo Corleoni. Traduzione Claudia Cozzi.

Jan Brokken è uno scrittore e viaggiatore olandese, noto per la capacità di raccontare le vite di personaggi fuori dal comune e i grandi protagonisti del mondo letterario e musicale, ha pubblicato numerosi libri che la stampa ha avvicinato a Graham Greene e Bruce Chatwin, come Jungle Rudy, il suo primo successo internazionale. Iperborea ha inoltre pubblicato Nella casa del pianista, sulla vita di Youri Egorov, Il giardino dei cosacchi, sul periodo siberiano di Dostoevskij, il bestseller Anime baltiche, viaggio in un cruciale ma dimenticato pezzo d’Europa, Bagliori a San Pietroburgo, dedicato alla grande città della musica e della poesia russa, e I Giusti, reportage sull’operazione di salvataggio del 1940 che coinvolse più di ottomila ebrei.

Source: Richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa Iperborea.

Paola Baratto e i racconti di “Malgrado il vento” (Manni 2021) A cura di Viviana Filippini

8 agosto 2021

Oggi abbiamo ospite Paola Baratto, giornalista e scrittrice bresciana, tornata in libreria con il suo nuovo libro, “Malgrado il vento” edito da Manni editore. Con lei abbiamo parlato della nascita del libro, dei diversi personaggi protagonisti che aniamano le pagine delle storie di vita narrate, ma anche del ruolo e del valore della scrittura nella vita delle persone. Buona lettura.

Come è nato l’idea di “Malgrado il vento”? Con Malgrado il vento ho proseguito il lavoro iniziato con Giardini d’inverno, in cui mettevo a fuoco alcune persone molto comuni, ma che a loro modo sfuggivano all’omologazione. Ma mentre là erano dei fermo immagine, qui li ho lasciati più liberi di muoversi, di parlare e di interagire tra loro con maggiore evidenza. Tanto è vero che per Giardini d’inverno e anche per Tra nevi ingenue, uso solitamente la definizione di “prose poetiche”, mentre per Malgrado il vento non mi sembra azzardato il termine “racconti”. Avevo in mente un tipo di film francese corale, che amo molto. Penso a pellicole, per esempio, di Cédric Klapisch, come Parigi, Someone Somewhere, Ognuno cerca il suo gatto… in cui individui che non hanno legami tra loro vengono osservati nella loro quotidianità, anche banale, in cui si sfiorano, a volte inconsapevolmente. Ci sono destini che s’intrecciano, incontri mancati. E vanno a comporre una sorta di “mosaico sociale”, dinamico, curioso, dove anche la tessera più piccola e insignificante ha un suo valore nell’insieme del quadro.

Quanto è stato – ed è importante- per uno scrittore osservare il mondo che lo circonda? Ci sono autori esclusivamente introspettivi ed altri che mettono l’umanità sotto il vetrino della loro capacità di osservazione. Sono modalità altrettanto valide. Per quanto riguarda il mio gusto, amo chi riesce a trovare un equilibrio tra queste due inclinazioni. Mettere a “tacere” la voce interiore, sospendere il proprio giudizio, per ascoltare gli altri, è sempre stato importante per me. E anche cercare d’indagare l’interiorità altrui, partendo da alcuni indizi, da dettagli rivelatori. Così come immaginare le vite degli altri, degli sconosciuti, partendo da poche frasi captate o da suggestioni. È quello che spiega Tomas, nel prologo del libro. È uno scrittore che fa ritratti con le parole. Il suo è uno stratagemma per acquisire materia su cui scrivere. Non gli interessa, tuttavia, il contenuto di quel che gli raccontano le persone. Gli episodi della loro esistenza. Ma i modi in cui li ricordano e li riportano, magari dopo anni, gravati di amarezza, di rancore oppure velati di nostalgia. La stessa esperienza, raccontata da persone diverse finisce per rivelare differenti personalità. È questo che conta per lui. E riesce anche a cogliere quello che le persone non dicono apertamente.

Secondo te, un quartiere –come nel tuo libro- o un piccolo paese possono essere visti come un mondo in miniatura per le diversità che caratterizzano chi ci vive? L’idea del microcosmo ha spesso attratto gli autori. Quello che si riesce ad osservare in una goccia, riproduce in scala ridotta quello che accade in contesti più ampi. Io amo il viaggio, l’altrove, le grandi città. Mi piace l’idea di perdermi nella folla, di scoprire nella stessa città, angoli che non conoscevo. Tuttavia, so che, anche quando si vive in una metropoli, si tende ad individuare punti di riferimento, percorsi preferiti, luoghi in cui si viene “riconosciuti” e in cui si incontrano le stesse persone. Nelle metropoli ci sono le zone, i quartieri. L’abbiamo sperimentato durante i lockdown, in cui il nostro mondo si è come rimpicciolito. E la funzione del negozio di prossimità è diventata all’improvviso vitale, indispensabile. Anche sotto il profilo umano. E mi auguro che questo fattore non venga dimenticato, una volta che questo momento terribile sarà superato.

I racconti sono ritratti di un’umanità variegata. C’è uno dei protagonisti al quale sei più legata? Se sì quale è e perché? Guardo con molta simpatia a Fernanda. Al suo salone di pedicure e callista, che è diventato un luogo di socializzazione. Una sorta di “social” dove le persone condividono cose concretamente, pettegolezzi, musica, cibo. È un personaggio totalmente inventato, ma che mi piacerebbe esistesse. Fernanda è solare ed è riuscita con la forza della sua freschezza e della sua capacità di accoglienza a ribaltare i pregiudizi dei suoi vicini. A conquistarli. E ha fatto del suo salone un luogo dove si curano anche le solitudini.

Nelle tue storie ci sono uomini e donne, italiani e stranieri, professioni differenti, come è per loro la convivenza e come è stato per te raccontarli nelle loro diversità?  Non è stato difficile perché lo vedo nella zona in cui vivo, a Brescia. Non è centro storico, ma diversi palazzi e ville sono sorti nei primi decenni del Novecento, quando lì c’erano solo campi. Vi convivono molti anziani, studenti, stranieri… o professionisti che, come l’architetto Eugenio del libro, hanno ristrutturato appartamenti negli antichi palazzi del Trenta. Convivono e si ritrovano tutti a fare la coda dai fruttivendoli o dai salumieri. Si incontrano persone non conformi a certi schemi, insolite. Io che non amo l’omologazione e apprezzo i contrasti, mi ci trovo molto bene. Non è un modello inedito e accade anche in altre città europee. Non è esente da rischi, e non bisogna mai sottovalutarli. Qualche problema c’è stato, ma siamo fortunati ad avere chi “vigila” e previene conflitti. Tuttavia, non mi piacerebbe vivere in luoghi dove gli abitanti sono conformi per ceto o censo. 

C’è un po’ di te in Marta la giornalista e in Tomas lo scrittore? Marta e Tomas rappresentano due aspetti contrastanti della mia personalità. La prima è più empatica. Anche se non è un’ingenua, mantiene un tratto emotivo nelle relazioni. Tomas è distaccato e molto lucido. Ha maturato quel disincanto cui è destinato ogni scrittore che osserva la realtà in maniera lucida.

Quanto e perché è importante la scrittura? Per alcuni è tormento, per altri piacere. Anche quando non sei davanti alla pagina, è un terzo occhio, un punto di vista che ti accompagna ovunque. Come avere un compagno immaginario. Certe esperienze dell’esistenza le vivi come persona e come autore e sai che qualcosa ti resterà attaccato e lo sublimerai, prima o poi, attraverso la scrittura. Scrivere è tanto cose insieme e lo si fa per le motivazioni più diverse. Ma una di queste è sicuramente la possibilità di sublimare il vissuto. Anche scegliere la parola esatta per definire qualcosa che ci ha ferito ci aiuta a portarlo ad un altro livello e a liberarcene.