Posts Tagged ‘Piemme’

:: Le cose che non sai di Joann Chaney (Piemme 2018) a cura di Marcello Caccialanza

18 aprile 2018
Le cose che non sai di JoAnn Chaney

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Le cose che non sai” di Joann Chaney, edito dalla Piemme, è una vera opportunità per quanti amano i thriller raffinati, ben confezionati e capaci di far trattenere il fiato fino alla fine.
Jacky il protagonista maschile di questa narrazione è un ristoratore di Denver. Viene messo in galera, dopo che alcuni cadaveri vengono ritrovati nel suo garage. Non è lui l’autore di una vera e propria catena di omicidi. Non ha infatti ucciso la sua propria consorte Gloria e neppure il detective,  Hoskins, e la giornalista Sammie, che erano stati scelti per dipanare l’intricata faccenda. Eppure quest’uomo aveva una sola e grossa colpa quella di avere loro rovinato l’esistenza!
La dinamica del romanzo prende una nuova ed inaspettata piega nel momento in cui nella stessa città accadranno eventi sanguinari così simili e scioccanti ai precedenti.
A questo punto saranno proprio Gloria, Hoskins e Sammie a ricominciare ad indagare e grazie alla loro astuzia e caparbietà riusciranno a trovare il bandolo della matassa e a risolvere l’onerosa questione.

Joann Chaney vive in Colorado, e Le cose che non sai è il suo debutto nella narrativa, uno dei gialli più apprezzati dell’anno in USA, tradotto in diversi Paesi. L’autrice è al lavoro sul secondo romanzo. http://www.joannchaney.com

Source: libro del recensore.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Se la notte ti cerca di Romano De Marco (Piemme 2018) a cura di Nicola Vacca

4 aprile 2018
Se la notte ti cerca

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Tutto ha inizio con un omicidio crudele, quello di Claudia Longo, una donna cinquantenne molto, ma molto ricca, che abita nel quartiere Parioli di Roma.
La Roma decadente e volgare sempre al centro degli squallidi compromessi del potere è uno dei personaggi principali di Se la notte ti cerca, il nuovo romanzo – thriller di Romano De Marco.
Anche in questo libro lo scrittore abruzzese non si limita a tessere una trama gialla. Nel costruire l’intrigo non lascia fuori la letteratura.
Se la notte ti cerca è un romanzo di grande spessore letterario che va oltre qualsiasi sfumatura di giallo.
Laura Damiani, 37 anni, commissario di polizia allergica alle regole e soprattutto testarda nel combattere l’arroganza di ogni forma di potere, Paolo Silveri, ispettore capo e fedelissimo braccio destro del commissario, Leo Fragassi, vice sovraintendente, 27 anni, originario di Vittorio Veneto.
Questa è la squadra che indaga sull’omicidio di Claudia Longo e che presto si troverà coinvolta in una storia allucinante.
Dietro l’omicidio si nascondono una serie di oscure connivenze e di giochi di potere che hanno a che fare con i compromessi più sporchi della cattiva politica che si sporca le mani con il più squallido affarismo.
Laura Damiani è determinata e nonostante i suoi superiori la ostacolino riesce a portare avanti un indagine che la porterà al Single, un club privato nel quartiere Eur, dove conoscerà anche il musicista Andy Lovato. Nella depravazione e nella corruzione delle notti romane il commissario intuisce che quel luogo è il cuore della sua indagine. Così si infiltra, lasciandoci coinvolgere in un incubo che metterà seriamente in pericolo la sua vita.
Lasciando per un attimo da parte le sfumature gialle della narrazione, Romano De Marco ci consegna tre personaggi straordinari ben caratterizzati che hanno in comune i loro lati oscuri. Ed è proprio in questa parte del romanzo che lo scrittore ci mette la letteratura.
Laura, Paolo e Leo hanno in comune il peso della solitudine con cui condividono la propria vita. Una solitudine che nel disincanto diventa insopportabile e che spesso ci costringe a mettere fuori la parte peggiore di noi stessi. Nella consapevolezza che la vita è altrove, la recita non smette di portare avanti il proprio copione.
Romano De Marco, mentre costruisce gli intrecci della storia gialla, è abile nel delineare i profili esistenziali dei suoi personaggi, anime morte nella disillusione dell’esistenza con tutto il peso delle loro ossessioni. Figure inquiete alle prese con una solitudine e una mancanza d’amore che assumono dimensioni insopportabili.
Sullo sfondo di una Roma che assomiglia sempre di più alla Capitale di un basso impero in decadenza, si svolgono le diverse narrazioni di questo romanzo in cui l’azione lascia spesso il passo alla riflessione introspettiva di alto livello, che solo i grandi scrittori sanno fare.
Se la notte ti cerca è un noir, è anche un thriller coinvolgente, soprattutto è un romanzo in cui c’è la grande letteratura, quella che non dimentica mai il suo tempo e tutti noi che ne facciamo parte.
Romano De Marco si conferma un scrittore di enorme talento che non inventa soltanto libri polizieschi ma che nelle infinite sfumature del giallo sa soprattutto fare i conti con quell’idea di letteratura tanto cara a Italo Calvino, quella capace di rappresentare la molteplicità delle relazioni, in atto e potenziali.
Se la notte ti cerca è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore.
Anche il personaggio del musicista Andy Lovato è il frutto della fantasia dell’autore. De Marco qui, però, si ispira alla carriera di Danny Losito, un bravissimo compositore che da un paese della provincia di Bari (Gioia Del Colle) ha scalato le classifiche internazionali con la sua musica.

Romano De Marco, classe 1965, è responsabile della sicurezza di uno dei maggiori gruppi bancari italiani. Esordisce nel 2009 nel Giallo Mondadori con Ferro e fuoco, ripubblicato in libreria nel 2012 da Pendragon. Nel 2011 esce il suo Milano a mano armata (Foschi, Premio Lomellina in Giallo 2012). Con Fanucci pubblica nel 2013 A casa del diavolo e con Feltrinelli Morte di Luna, Io la troverò e Città di polvere (gli ultimi due finalisti al Premio Scerbanenco-La Stampa nel 2014 e nel 2015). I suoi racconti sono apparsi su giornali e riviste, tra cui “Linus” e il “Corriere della sera”, e i periodici del Giallo Mondadori. Vive tra l’Abruzzo, Modena e Milano.

Source: libro inviato al recensore dall’ editore con dedica dell’autore. Si ringrazia l’ufficio stampa Piemme.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Bosco d’Estate Tè nero e Il lato oscuro dell’ addio di Michael Connelly

12 febbraio 2018

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Il Carnevale sta finendo, San Valentino di avvicina e cosa c’è di meglio che sorseggiare una buona tazza di tè soli o in compagnia? Grazie alla collaborazione con PETER’S TeaHouse ho ricevuto cinque nuovi tè in degustazione, di cui di uno vi ho già parlato la scorsa settimana il Tè della Principessa Sissi. Se l’avete assaggiato avrete potuto constatare con mano quanto siano buoni questi tè. Oggi invece vi parlo del mio tè preferito di questa tornata Bosco d’Estate Tè nero.

E’ un tè sontuoso, ottimamente bilanciato, sempre nero, quindi piuttosto intenso, deliziosamente fruttato, molto profumato sia fresco, che in tazza una volta preparato. E’ composto da pregiato tè nero proveniente da Ceylon, India e Cina, impreziosito da un tocco di sambuco (sapore che io adoro è che si distingue chiaramente durante la degustazione) più fragola, mora e lampone, a cui viene aggiunto un intenso aroma naturale di frutti di bosco. Costa 5, 60 e all’etto. Costa meno di Magia invernale Tè nero, ma vi assicuro che se avete amato questo troverete ottimo anche Bosco d’estete.

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Mi piacciono i tè ricchi dall’intenso bouquet, anche se speziati o fruttati, Bosco d’Estate Tè nero è adatto a chi ama questo tipo di tè e non è allergico alla fragola e ai frutti di bosco. L’ho fatto assaggiare anche a mia madre, che di solito ha gusti difficilissimi da indovinare (e mai mi vuole dare soddisfazione) e mi ha detto: questo è buono!

Zuccherarlo o non zuccherarlo?, essendo a base di frutta si può anche non dolcificarlo, ma io l’ho degustato con un cucchiano di zucchero di canna naturale.

Se volete provarlo lo trovate a questo link.

Per una preparazione ottimale

vi rimando agli articoli precedenti qui:

Consigliati:

Un cucchiaio di tè per persona.
Temperatura dell’acqua di 95 °.
Tempo di infusione dai 3 ai 4 minuti.

Curiosità musicali

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Eilif Peterssen-Edvard Grieg 1891

Se la scorsa settimana vi ho parlato di una curiosità storica, oggi vi parlo di musica, e dei compositori e musicisti classici che hanno scritto pezzi musicali ispirandosi alla magia dei boschi. Sono davvero tanti, da Johann Strauss figlio con il valzer le Storielle del bosco viennese (Geschichten aus dem Wienerwald) op. 325, a Debussy con Reflets Dans L`eau, a Robert Schumann con Waldszenen Op. 82 (Forest Scenes), all’amatissimo da me Edvard Grieg autore di una dolcissima musica per pianoforte dal titolo Skogstillhet (Peace in the woods) tratto da i Pezzi lirici. Tutte musiche che facilmente trovate su Youtube, eseguite dai maggiori musicisti, c’è pure una esecuzione d’epoca di Reflets Dans L`eau di Debussy eseguita da Arturo Michelangeli.

Simbolo di spiritualità e di vita, il bosco ispirò non solo musicisti ma anche pittori e poeti, celebre è il poema Stopping by Woods on a Snowy Evening di Robert Frost. Ma tornando alla musica mi piacerebbe approfondire la figura di Edvard Grieg. Nacque a Bergen, in Norvegia, nel 1843. E’ stato sia un compositore, che un pianista celebre per aver composto la musica del Peer Gynt, di Henrik Ibsen, famosissima la Solveig’s Song nell’atto terzo. Peace in the woods è tratto da i Pezzi lirici (in norvegese Lyriske stykker), che sono una collezione di 66 composizioni per pianoforte. La musica fu composta nel 1901, Opera 71 N°4. Grieg morì a Bergen, il 4 settembre 1907. Al suo funerale fu eseguita la commovente e solenne marcia funebre di Fryderyk Chopin. Grieg e sua moglie Nina furono sepolti in una cripta ricavata su una parete rocciosa che scende verso il mare. Buon ascolto!

Consiglio goloso

Consiglio di accompagnare Bosco d’Estate Tè nero con dei piccoli biscottini al sambuco, che richiamano l’aroma già presente nel tè, questa ricetta è facilissima e molto veloce: qui.

E ora veniamo al mio consiglio di lettura

Consiglio di sorseggiare il Bosco d’Estate Tè nero leggendo Il lato oscuro dell’ addio di Michael Connelly, edito da Piemme e tradotto da Alfredo Colitto, ho voluto abbinare un tè che amo con uno dei miei autori americani preferiti di thriller.

Source libro: libro inviato dall’editore, si ringrazia Federica dell’ Ufficio Stampa Piemme.

Source tè: campione omaggio gentilmente inviato da PETER’S TeaHouse, ringraziamo Mattia dell’ ufficio marketing.

:: Non ti faccio niente di Paola Barbato (Piemme 2017) a cura di Federica Belleri

22 dicembre 2017
non ti faccio niente

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Gli anni ’80-’90 sono stati sconvolti da misteriosi rapimenti di bambini, tra i sei e gli otto anni. Bambini presi, fatti giocare, divertire. Bambini con vestiti nuovi e un sorriso meraviglioso stampato in viso, quando venivano riportati a casa dopo tre giorni. Bambini trascurati dalle loro famiglie, quasi sempre soli, a giocare per strada. Alcuni avevano dei lividi sul corpo, altri erano sporchi. Lui li avvicinava, loro si fidavano. Lui li coccolava e li faceva sentire importanti, nessuna violenza subita. Lui voleva solo fare del bene.
Anno 2015. Il papà di Greta va a prenderla all’asilo, ma in quell’asilo la bimba non è mai entrata. Il suo corpicino pulito e ricomposto in maniera ordinata verrà ritrovato sulla scrivania d’ufficio del padre.
Chi è Greta, chi è il responsabile della sua morte?
Il thriller di Paola Barbato segue lo scorrere del tempo. Segue un’indagine dimenticata che forse sta tornando a galla con prepotenza. Qualcuno rapiva i bambini e lasciava sul luogo del prelievo una paperella di gomma. Qualcuno rapisce i bambini, li uccide e lascia sul luogo del prelievo una paperella di gomma. Perché?
Questa storia scatena angoscia e immediata empatia. Chi si preoccupava all’epoca dei bambini soli era questo rapitore mai identificato. Chi se ne preoccupa ora lo fa per un motivo diverso, o forse identico. È la stessa persona?
La vicenda vede coinvolte un’ispettrice e la sua vice, assorbite dai loro opposti caratteri, difficili da amalgamare, e un commissario in pensione che si era occupato dei casi precedenti. A loro si unisce un gruppo di bambini in un certo senso mai cresciuti, che ostacola le indagini e crea confusione, anche se con buone intenzioni. Nel frattempo spariscono altri bambini, e vengono assassinati. Non sembrano esserci collegamenti fra passato e presente, o forse sembrano essercene troppi. Cosa sta succedendo?
Non ti faccio niente è una storia lunga decenni, attraversata da paura e angoscia, dal desiderio di salvarsi scappando. È la condivisione di un’esperienza traumatica ma positiva, condivisa per poter accedere a un pass verso una vita migliore. È l’osservazione rassegnata del dolore di genitori che perdono i loro figli e che vengono catapultati nel loro passato personale. È la resa dei conti verso le proprie ossessioni e manie, verso il disagio e la solitudine. Perché non ci si può mai fidare di nessuno e si deve sempre rimanere sospesi nella paura.
Lettura assolutamente coinvolgente, ottima la scrittura e la trama. Non sono previsti sconti o bonus per il lettore che si avvicina a questa storia. Tutto è molto chiaro e diretto, anche la morte. Buona lettura.

Source: acquisto personale del recensore.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Indian Chai Tè nero e L’amica sbagliata di Cass Green

15 dicembre 2017

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Gentili lettori questo è l’ultimo tè del cofanetto di campioni ricevuto da PETER’S TeaHouse. E’ come gli altri un tè nero, molto intenso adatto a chi ama degustare tè decisi. Indian Chai Tè nero è un tè classico molto speziato composto da una miscela di tè nero proveniente dall’Assam, con zenzero, cardamomo, chiodi di garofano, cannella, finocchio, anice. Un tè molto ricco. Costa € 6,40 all’etto. 8941_46807_TEE-00116Nella foto a destra potete vedere come si presenta il tè sfuso. Diversamente dagli altri tè lo sconsiglio se non zuccherato.

Preparazione, tempi e dosi

Per la preparazione del Indian Chai Tè nero è consigliato portare l’acqua a una temperatura di 95 °. (Spegnete il fuoco un  attimo prima della piena bollitura). Assolutamente non fate bollire l’acqua a lungo perderebbe di ossigeno, e la qualità del sapore del tè ne risentirebbe.

Dosi consigliate: 1 cucchiaino di tè per tazza, uno per la teiera.

Tempo di infusione: dai 3 ai 4 minuti (un segreto, se lo volete più carico non aumentate i tempi di infusione, ma maggiorate la quantità di tè).

Per la preparazione di un’ ottimo tè e la conservazione del tè rimando al post precedente: qui

Per l’acquisto, troverete qui la pagina dedicata da PETER’S TeaHouse a questo tè.

Consiglio goloso

Indian Chai Tè nero lo consiglio con i biscottini alla vaniglia. Qui una ricetta gustosa e davvero semplice.

Curiosità letteraria:

Si beve tè anche nei libri, molti scrittori sono insospettabili cultori di questo piccolo rito, oggi vi parlo di Oscar Wilde, e del suo Il ritratto di Dorian Gray:

Bussarono alla porta e il cameriere entrò con il vassoio del tè e lo posò sul tavolino giapponese. Si udì un tintinnire di tazze e di piattini e il sibilo flautato di un samovar georgiano. Un paggio portava due coppe cinesi. Dorian Gray si alzò e si versò il tè. I due uomini si avvicinarono lentamente alla tavola e alzarono i coprivivande.
“Andiamo a teatro, stasera, – disse lord Henry.

E ora veniamo al mio consiglio di lettura:

Indian Chai Tè nero è perfetto leggendo L’ amica sbagliata di Cass Green. Buona lettura!

E un ultimo consiglio, non abbiate fretta, sorseggiate il tè lentamente in compagnia di felici pensieri.

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Federica dell’ Ufficio stampa Piemme.

Source tè: campione omaggio gentilmente inviato da PETER’S TeaHouse, ringraziamo Mattia dell’ ufficio marketing.

:: Il giorno in cui Diana morì di Christopher Andersen (Piemme 1998)

5 dicembre 2017

il giorno in cui Diana MorìA vent’anni di distanza dalla tragica notte del trentuno agosto 1997 si è ritornati a parlare della triste parabola finale di Lady Diana Spencer, la Principessa del Popolo, come era stata opportunamente ribattezzata dal primo ministro britannico dell’epoca Tony Blair.
Antefatto di questo libro di Christopher Andersen, edito dalla Casa editrice Piemme, è il momento in cui un auto imbocca ad altissima velocità un tunnel parigino. Lo schianto è davvero terribile! Una catastrofe ad alta risonanza mediatica: su quella vettura viaggia Lady D., che di lì a poco morirà in ospedale. Incidente o complotto? La Principessa triste, infatti, è stata un pericolo per la Corona stessa, una donna che ha avuto il coraggio e la sfrontatezza di ribellarsi con tutte le sue forze ad un mondo ipocrita, ad un mondo di soffocanti convenzioni. Spettacolare la sua epocale confessione davanti alle telecamere di mezzo mondo attonito, che ha fatto tremare la Monarchia britannica e ha minato i nervi della povera Elisabetta II.
Il giorno in cui Diana morì “ parte dunque dal momento del ricovero di Diana in ospedale dopo l’avvenuto incidente automobilistico e prosegue con una precisa e puntuale ricostruzione, fatta di flash back e memorie documentate con dovizia di aneddoti.
L’autore quindi torna al principio dell’estate 1997 quando ha inizio la tanto chiacchierata e turbolenta relazione d’amore tra Dodi e la principessa. Ne racconta dunque gli sviluppi più accattivanti e significativi. Ci parla delle speranze di Diana come donna , dell’ostracismo della corte inglese, del rapporto di Diana mamma con i suoi adorati figli, di un sogno brutalmente stroncato sul nascere.
Poi nella parte finale, l’indagine sulla morte della Principessa, di cui rivela particolari inediti e alquanto scomodi, vagliando le molte ipotesi di molti avvenimenti per certi versi incomprensibili.

Christopher Andersen, giornalista di grido, collabora alle più importanti testate americane. È autore di numerose biografie di personaggi famosi del mondo dello spettacolo e della politica da Jacqueline Kennedy a Madonna; da Michael Jackson a Mick Jagger.
I suoi libri hanno sempre ottenuto un grande successo diventando dei veri e propri best-seller internazionali.

Source: libro del recensore.

:: L’amica sbagliata di Cass Green (Piemme 2017)

4 dicembre 2017
l'amica sbagliata

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C’è una battuta che dice pressappoco quanto sia difficile trovare un vero amico, di quelli che se uccidi qualcuno ti aiutano a seppellire il corpo senza farti troppe domande. Ecco credo che Cass Green, autrice inglese di young adult di successo, deve avere pensato a questo come spunto per il suo primo thriller psicologico rivolto a un pubblico di lettori adulti.
L’amica sbagliata (The Woman Next Door, 2016), edito da Piemme e tradotto da Cristina Ingiardi, è infatti la storia di due amiche Hester e Melissa che si trovano a vivere esattamente quello di cui vi parlavo all’inizio.
Sinceramente non so dirvi se mi sia stata più antipatica Hester o Melissa, quello che è certo è che l’autrice è stata brava a delineare entrambi i personaggi in modo estremamente negativo, in modo che è difficile, se non impossibile, provare empatia.
Hester è visibilmente squilibrata (i capitoli dedicati a lei sono narrati in prima persona così possiamo avere un dettagliato riscontro di quanto i suoi pensieri e i suoi comportamenti siano distorti, sebbene all’apparenza sembri un personaggio perfettamente integrato).
Melissa (i capitoli dedicati a lei sono narrati in una più fredda terza persona) è già più razionale, ma anche lei nasconde dei segreti, chiusi per lo più nel suo passato, troppo ingombrante per chiunque, che se emergessero potrebbero mandare in frantumi il suo presente borghesemente realizzato, con marito medico, figlia adolescente, soldi, una bella casa, amici e posizione.
Hester ha una passione morbosa per Melissa, la vede come una figlia, abitando vicina a casa sua l’ha aiutata a crescere la figlia Tilly di cui si sente in qualche modo la nonna. Non potere avere figli è stato per lei un trauma che non ha mai superato e ha distorto il suo istinto materno in derive che non vi anticipo, ma immaginatevi il peggio. Melissa non ne può più di questa vicina strana, invadente e impicciona.
Tutto degenera a una festa che Melissa organizza per il compleanno di Tilly. Hester ne scopre l’organizzazione spiando dalle finestre il camioncino del catering. Non invitata si sente esclusa e rifiutata, non sopportandolo si presenta dall’amica e tanto che fa le strappa l’agognato invito. Melissa mal la tollera, ma giudicandola innocua cerca di contenere il suo pessimo comportamento. Hester si ubriaca, scandalizza gli ospiti, insomma turba l’equilibrio già compromesso da un altro avvenimento ben più grave: l’arrivo di Jamie appena uscito di galera, un fantasma della vita di prima che Melissa ostinatamente e disperatamente tenta di tenere nascosta.
A questo punto, come è ovvio, le cose non possono che precipitare, e l’autrice ci narra il tutto sempre alternando i capitoli tra Hester e Melissa. Essendo un thriller dirvi altro sarebbe un delitto, ma ve lo ripeto immaginatevi il peggio in un susseguirsi di avvenimenti non privi di colpi di scena.
Cass Green è brava a creare nel lettore un senso costante di inquietudine e di minaccia. Se Melissa nasconde dei segreti, Hester non le è da meno, e certo non è la bonaria sessantenne, che segue corsi pubblici di computer e prepara deliziose torte al limone. Certo è anche quello, ma è soprattutto una minaccia, nella vita di Melissa, vita che si sta sgretolando come un assurdo castello di sabbia.
Se amate i thriller in cui nessun personaggio merita di salvarsi, è il libro che fa per voi, vi porterà nella sonnolenta periferia londinese, in compagnia di una delle paure più frequenti di chi vive in quartieri tranquilli: non sapere chi si nasconde tra i propri vicini di casa.

Cass Green, inglese, ha lavorato diversi anni come giornalista, dedicandosi contemporaneamente anche alla scrittura di romanzi per ragazzi. L’amica sbagliata è il suo esordio nella narrativa per adulti, accolto con grande entusiasmo dal pubblico.

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Federica dell’ Ufficio stampa Piemme.

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:: L’uomo di casa di Romano De Marco (Piemme 2017) a cura di Nicola Vacca

22 novembre 2017

l'uomo di casaIn occasione del Premio dei Lettori come romanzo più votato sul sito del Premio Scerbanenco 2017, in cui è rientrato nella cinquina finale, (il vincitore sarà proclamato il 4 dicembre), publichiamo questa recensione di Nicola Vacca già edita su Satisfiction.

Romano De Marco con L’uomo di casa scrive un thriller accattivante. L’ambientazione americana è impeccabile.
L’autore ricostruisce perfettamente i luoghi in cui si svolge la storia. Tra Richmond e Vienna, cittadina della Virginia, De Marco costruisce una storia mozzafiato dagli intrighi e colpi di scena infiniti che inchiodano i lettori al libro.
Su diversi piani temporali si svolgono le vicende narrate: un passato da incubo che riporta alla memoria il caso della misteriosa Lilith di Richmond, una donna che mai nessuno è riuscita a identificare ed è ricercata per il sequestro e l’assassinio di numerosi bambini.
Poi c’è il presente con il barbaro assassino di Alan, trovato morto nella sua auto in un parcheggio, e la storia di Sandra Morrison, sua moglie, che dopo la morte del marito si chiede chi fosse davvero l’uomo con cui ha condiviso un pezzo importante della sua vita.
Alan sempre premuroso e attento, appunto un perfetto uomo di casa, professionista stimato che non trascurava nulla adesso si scopre che aveva dei segreti e una doppia vita che lo ha portato a essere assassinato brutalmente.
Sandra precipita in un incubo quando apre i cassetti segreti dell’esistenza di suo marito che credeva di conoscere bene. Comincia a indagare, vuole conoscere la verità.
La vita segreta di suo marito si incontra per una serie di circostanze con il vecchio caso irrisolto dei delitti commessi dalla Lilith di Richmond.
Alan era ossessionato da quella oscura vicenda e lei non riesce a capire il perché.
Accade di tutto: il passato e il presente nella loro tragicità sono uniti da un filo comune di sangue. I delitti di Richmond sono legati alla strana e violenta morte di Alan.
Sandra nella ricerca della verità si accorgerà che molte delle persone a lei vicine hanno qualcosa da nascondere e sono coinvolte nella storia anche se sembrano al di sopra di ogni sospetto.
Un thriller in piena regola quello scritto da Romano De Marco. Una scrittura coinvolgente e soprattutto attenta a soffermarsi sull’introspezione e sulla caratterizzazione dei personaggi è la cornice perfetta che trascina il lettore negli abissi di questa storia nera fino al colpo di scena finale che lascerà tutti senza parole, con la consapevolezza che al male non c’è nessuna risposta ed è per questo che ci illudiamo di fingere che il mondo è un luogo di pace e di amore.

Romano De Marco, classe 1965, è responsabile della sicurezza di uno dei maggiori gruppi bancari italiani. Esordisce nel 2009 nel Giallo Mondadori con Ferro e fuoco, ripubblicato in libreria nel 2012 da Pendragon. Nel 2011 esce il suo Milano a mano armata (Foschi, Premio Lomellina in Giallo 2012). Con Fanucci pubblica nel 2013 A casa del diavolo e con Feltrinelli Morte di Luna, Io la troverò e Città di polvere (gli ultimi due finalisti al Premio Scerbanenco-La Stampa nel 2014 e nel 2015). I suoi racconti sono apparsi su giornali e riviste, tra cui “Linus” e il “Corriere della sera”, e i periodici del Giallo Mondadori. Vive tra l’Abruzzo, Modena e Milano.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo l’Ufficio Stampa “Piemme”.

:: La donna nella pioggia di Marina Visentin (Piemme 2017) a cura di Viviana Filippini

26 settembre 2017

la donna nella pioggiaQuella di Stella Romano, protagonista di “La donna nella pioggia”, edito da Piemme, è una vita monotona, ripetitiva, fatta di una quotidianità a tratti quasi sfiancante. La donna si divide tra i viaggi di lavoro del marito Mattia; le diverse attività che praticano Alice e Sofia, le due figlie; Nina, la domestica ucraina che la aiuta nelle faccende di casa e il proprio amato lavoro di illustratrice di libri per bambini. Tutto assomiglia al ritratto della perfezione assoluta, ma in realtà sotto la superficie di belle apparenze, la vita della protagonista nasconde una serie di eventi e cose che le danno il tormento. Tanto per cominciare si scopre che l’infanzia di Stella è stata minata da un evento drammatico: la morte tragica della madre. Fosse solo questo! Stella non ha mai avuto notizie certe su chi fosse suo padre e il cognome che porta, Romano, è quello di Gabriele, il compagno della mamma che la allevata come una figlia. Questi sono i fantasmi del passato, ma nel presente dove tutto sembra perfetto, la caduta del vaso della madre (unico oggetto che manteneva il legame tra le due) e la sua completa rottura lanciano nel panico la donna. Stella si rende conto che non può più tenersi dentro quello che la tormenta e che la fa soffrire, perché solo affrontato ciò che la assilla potrà, forse, trovare un po’ di pace. La protagonista passa dalla calma apparente in una spirale di crescente ansia che le fa rasentare la pazzia, tanto è vero che ad un certo punto la donna inizia a prendere dei medicinali (ansiolitici), e soffre per il fatto che le due amate figlie sono in vacanza con i parenti del marito e lui, Mattia, ecco non è così fedele come vuole fare credere. Ognuno di questi elementi non farà altro che gravare in modo maggiore sulla stabilità psicofisica di Stella che, oltre a sentirsi sempre più oppressa, prova un senso di minaccia incombente. Marina Visentin porta noi lettori a seguire il cammino nella psiche della protagonista, la quale prende coraggio e decide di indagare il suo passato per capire cosa la tormenta, perché ormai lei ha capito che il suo malessere è legato a qualche evento traumatico accaduto tanto tempo prima. Alla Milano del presente, quella dove Stella di divide tra mondo borghese ed editori di qualità, si innesta ad un certo punto il passato. Un tempo andato dal quel emergono gli aspetti cupi e mai del tutto chiari dei tanti delitti violenti e molto spesso inspiegabili che segnarono l’Italia degli Anni di piombo. Stella fa una viaggio alla ricerca delle proprie radici e per compierlo mette in gioco tutta la sua forza in un cammino di ricerca della verità complesso e pieno di difficoltà che la metteranno a dura prova. Questo non importa a lei, perché sono passi vitali da compiere, per dare un senso al proprio vivere. “La donna nella pioggia” di Marina Visentin, attraverso la vicenda personale di Stella, ci presenta mondi diversi, fatti di contraddizioni e contrasti che influiscono sul singolo essere umano e che lo destabilizzano a tal punto da trovare il primordiale istinto di coraggio per mettersi in discussione e ricercare la verità sul proprio passato e sulla propria esistenza.

Marina Visentin è nata a Novara, ma da quasi trent’anni vive e lavora a Milano. Giornalista, traduttrice, consulente editoriale, una laurea in filosofia e un lontano passato da copywriter in un’agenzia di pubblicità. Ha collaborato con varie testate nazionali, scrivendo di cinema e altro; attualmente si interessa di scrittura autobiografica, organizzando laboratori a Milano e dintorni. Ha pubblicato testi di critica cinematografica, saggi sulla storia del cinema, libri di filosofia e psicologia. Dopo la fiaba noir “Biancaneve” (Todaro Editore, 2010), “La donna nella pioggia” è il suo primo thriller psicologico.

Source: inviato dalla casa editrice al recensore, si ringrazia Luigi Scaffidi dell’ ufficio stampa.

:: La ragazza nel parco, di Alafair Burke (Piemme, 2016) a cura di Irma Loredana Galgano

4 ottobre 2016
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Pubblicato in Italia da Piemme, nella versione tradotta da Sara Marcolini, La ragazza nel parco di Alafair Burke è un libro con una storia che non poteva non fare presa sul pubblico, soprattutto quello americano.
Dall’11 settembre del 2001 in ogni sparatoria o esplosione che ha luogo sul territorio statunitense si cerca immediatamente la pista jihadista o del terrorismo in generale e quando così non è entra in gioco un altro triste aspetto della contemporanea società americana e non solo: le stragi folli messe in atto per i più svariati motivi, che vanno dal risentimento religioso a quello etnico, di orientamento sessuale…
Ne La ragazza del parco di Burke si ritrova tutto questo, studiato, elaborato in maniera tale da incastrarsi alla perfezione con i fatti di cronaca più o meno recenti.
Olivia Randall è un avvocato di successo con dei trascorsi burrascosi con Jack Harris, scrittore famoso, padre di una figlia adolescente che cresce da solo da quando sua moglie Molly è rimasta vittima di un attentato. Harris è accusato di triplice omicidio, di essere l’artefice di un attentato in cui ha perso la vita anche il padre del ragazzo che ha ucciso sua moglie.
L’epilogo che l’autrice ha scelto di dare alla vicenda bene si inserisce nei tristi risvolti a cui la narrazione rimanda. Le conseguenze delle azioni proprie e degli altri che ritornano quando meno ce lo si aspetta. I traumi che riaffiorano più forti che mai anche se ci si era illusi di averli superati. La vita che è un correre e un ripercorrere eventi che si incastrano tra di loro meglio delle tessere di un puzzle.
La narrazione è fitta di salti temporali tra il presente e il passato, in particolare al periodo giovanile di Olivia, agli anni del College e della relazione con Harris. Nella maggior parte dei casi sono dei flashback nei quali la protagonista rivive momenti del suo passato, situazioni intime o emozioni personali e come tali risultano, restando quasi estemporanei al racconto della vicenda principale non riuscendo neanche a dare spessore alla storia e ai trascorsi del suo rapporto con Jack Harris.
Leggendo La ragazza nel parco di Alafair Burke a volte sembra proprio che la storia e le scene siano state studiate per risultare interessanti, accattivanti per il lettore e non determinate dall’evoluzione della vicenda narrata. Quasi come se si volesse dare al lettore ciò che pensa di volere: una triste vicenda cui interessarsi e dei protagonisti cui affezionarsi.

Alafair Burke: È un avvocato penalista, con una grande esperienza di processi. I suoi romanzi sono bestseller del New York Times elogiati da autori come Micheal Connelly e Dennis Lehane.

Source: pdf inviato dall’editore al recensore, ringraziamo Federica Ufficio stampa Piemme.

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:: Una deliziosa pasticceria a Parigi, Laura Madeleine (Piemme, 2016) a cura di Elena Romanello

16 giugno 2016
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Petra studia Storia all’Università di Cambridge e si sta occupando di suo nonno, importante storico, per ricostruirne vita e opere: scartabellando nelle sue carte trova una lettera da lui firmata in cui chiede perdono per qualcosa che ha commesso a Parigi all’inizio del Novecento.
Nella Parigi del 1909, intorno ad una rinomata e famosa pasticceria, la Pâtisserie Clermont, famosa per i suoi macaroni, dolci amatissimi dalla regina Maria Antonietta e poi adottati dai francesi dopo la Rivoluzione, nasce l’amore tra Jeanne, la figlia del proprietario, e il giovane Guillaime du Frère, giunto da Bordeaux, aspirante ferroviere. Un amore che non può che essere ostacolato dalle convenzioni sociali e che sembra non destinato ad un lieto fine.
Parigi è sempre Parigi, e scegliere la capitale francese come sfondo per una storia è una mossa che di solito funziona, anche perché si può contare se non altro sul pubblico che la ama e legge il libro anche solo per sentire citati luoghi che rimangono nel cuore. Il rapporto letteratura cibo funziona da ben prima di Chocolat, e le pasticcerie non sono la prima cosa che viene in mente quando si pensa a Parigi, ma senz’altro esistono e hanno il loro fascino, così come ce li hanno i coloratissimi macaroni, che troneggiano sulla copertina del libro. Anche il rapporto tra passato e presente ha sempre il suo interesse, le ricerche oggi di storie perdute sono sempre un argomento che intriga, proprio perché in tempi in cui non c’erano i social era difficile capire cosa poteva succede alle persone.
Con tutte queste premesse, spiace però dire che Una deliziosa pasticceria a Parigi non mantiene le promesse a partire dalla colorata copertina, risultando comunque più convincente nella parte ambientata oggi che non in quella del 1909, di maniera, melodrammatica e poco avvincente nel presentare il topos abusato dell’amore contrastato che per conquistare deve riuscire ad essere almeno un po’ originale. D’accordo Parigi è sempre grande protagonista (anche se ci sono storie migliori sulla Villa Lumière) e anche il tema della pasticceria resta sullo sfondo, senza il sapore di buono e di goloso che emergeva da altri libri, a parte l’intramontabile Chocolat.
Un libro da consigliare a chi cerca una lettura d’evasione, ma forse non il migliore del genere: forse fosse stato solo ambientato oggi sul passato avrebbe funzionato di più. Peccato. Per l’autrice questo è il romanzo d’esordio, c’è da sperare che nelle sue prossime fatiche riesca ad essere più convincente e capace.

Laura Madeleine Dopo un passato come attrice di teatro e studi in letteratura, ha iniziato a scrivere per blog e riviste online. Una deliziosa pasticceria a Parigi è il suo romanzo d’esordio.

Source: libro inviato dall’ editore al recensore come novità da recensire, ringraziamo l’Ufficio stampa Piemme.

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:: La strategia di Bosch, Michael Connelly (Piemme, 2016) a cura di Giulietta Iannone

30 Maggio 2016
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Naturalmente doveva succedere, è inevitabile in una serie che vede invecchiare i suoi personaggi, che li segue nel loro percorso di crescita e sviluppo. Manca quasi un anno alla pensione e Henry Bosch si appresta a svolgere la sua ultima indagine all’interno del LAPD, nell’Unità Crimini Irrisolti. Il tempo passa, i computer hanno sostituito gli schedari, i vecchi casi vengono digitalizzati, laptop e smartphone ormai sono le fedeli armi dei poliziotti, accanto alla Glock d’ordinanza.
Piace a Bosch tutto questo? Beh non direi, più che altro l’accetta come un inevitabile deriva del progresso, (lui è della vecchia scuola, di quelli stati in Vietnam) certo che non finirà a fare il pensionato che gioca a golf in bermuda o va a pescare pesce persico. Se anche gli toglieranno pistola e distintivo (e con i chiari di luna dei tagli, e delle manovre diversive di risparmio, è quasi certo che troveranno la prima scusa per farlo prima dello scadere dei termini, così per risparmiare su liquidazione e parte della pensione), Bosch continuerà a fare quello che sa fare meglio oltre al padre, indagare, far pendere l’ago della bilancia dalla parte della verità e della giustizia.
Paroloni che il nostro Henry Bosch prende molto sul serio, scevro da compromessi, pronto a violare qualche regolamento e a pestare i piedi ai potenti, quando è necessario, o a fronteggiare arroganti giovani e ambiziosi vice procuratori con tanto di patacca di Harvard.
La strategia di Bosch (The Burning Room, 2014) ventisettesimo romanzo di Micheal Connelly, diciannovesimo romanzo con Bosch protagonista assoluto, è dunque una storia all’insegna della malinconia, con protagonista un vecchio poliziotto amareggiato e stanco, ma mai domo, e mai davvero sconfitto. Bosch ha intenzione di godersi gli ultimi scampoli della sua carriera, (Maddie vuole fare la poliziotta, quanto ci scommettete che lui diventerà il suo fedele custode) e di insegnare qualcosa alla sua giovane partner Lucy Soto che l’aiuta nell’indagine, l’ultima indagine ufficiale.
Comunque niente paura, in America è già uscito il prossimo, The Crossing, e a novembre esce The Wrong Side of Goodbye, sempre con protagonista Bosch, quindi malinconia sì, ma c’è ancora da divertirsi e siamo certi che Bosch venderà cara la pelle. Ma torniamo a La strategia di Bosch, questa volta tradotto dal bravo Alfredo Colitto che per quanto mi riguarda questa volta si è superato rendendo lo stile di Connelly al suo meglio.
La storia di per sé non presenta un intreccio particolarmente complesso, abbiamo due indagini parallele due casi freddi uno dei quali nato dai demoni della giovane Lucky Lucy, ma è lo stesso bello seguire lo sviluppo dei casi, il ritrovamento (avventuroso) delle armi, l’interrogatorio dei vecchi testimoni, il sopralluogo nelle scene dei delitti, insomma Connelly costruisce passo passo una caso (quello del mariachi) coerente, credibile, tanto credibile che ti da almeno l’illusione di essere vero. E in questo Connelly, è imbattibile, il migliore credo che ci sia sulla piazza e non credo di esagerare.
Come in ogni romanzo Connelly sceglie un tema, e questa volta ruota intorno al mondo dei Latinos, gruppo etnico dominante a Los Angeles, tra guerre tra bande, carte verdi, asili abusivi e mariachi, depositari della tradizione musicale messicana. Bosch capisce lo spagnolo, ma non benissimo, funzionale quindi il personaggio di Lucy Soto, tramite tra Bosch e quel mondo. Altri temi che tratta, con il suo solito acume e un retrogusto amaro, sono i rapporti tra polizia e media, gli intrallazzi politici, (con faccendieri più o meno loschi all’opera) la burocrazia che detta leggi non scritte, difficile da disattendere pure da un ribelle come Bosch.
Ma torniamo al plot, Orlando Merced, un mariachi, uno di quei musicisti messicani con sombrero e abiti variopinti che suonano alle feste, ai matrimoni, ai ricevimenti (anche la musica è un tratto dominante dei libri di Connelly, e ne parla da intenditore), muore per un avvelenamento del sangue dopo dieci anni dal ferimento. La morte viene così collegata direttamente al proiettile che lo colpì quell’ assolato giorno in cui tra i tanti mariachi aspetta un contratto, e quindi il caso passa di ufficio a Bosch e all’Unità Crimini Irrisolti.
Al tempo si pensò a una pallottola vagante nell’ambito delle guerre tra bande, ma essendosi conficcata nella spina dorsale dell’uomo (da quel giorno su una sedia a rotelle per la gioia dell’ex sindaco che ambisce a diventare governatore e che ci ha costruito la sua credibilità tra i Latinos) non si erano mai potuti fare i riscontri del caso. Ora dopo l’autopsia si può analizzare il proiettile, capire che proveniva da un fucile per giunta da caccia e determinare con assoluta certezza che il colpo fu sparato per uccidere da un albergo di fronte alla piazza. Ma chi davvero poteva volere morto Orlando Merced, un semplice e pulito mariachi, tanto da sparare di persona o assoldare un killer?
Beh non sto a dirvi che le cose non sono come sembrano, che assassini e mandanti hanno le loro sacrosante ragioni, ma se volete saperne di più non vi resta che leggere il libro. Alla prossima.       

Michael Connelly, una delle più grandi star della narrativa americana,  raggiunge il primo posto in classifica con ogni suo nuovo romanzo. I lettori italiani lo hanno accolto con entusiasmo fin dal primo libro pubblicato, Debito di sangue, da cui è stato tratto un film diretto e interpretato da Clint Eastwood. Poi hanno imparato a conoscere il detective Harry Bosch, indimenticabile protagonista di molti suoi thriller, tra cui Il ragno, vincitore nel 2000 del Premio Bancarella. In anni più recenti, Connelly ha ideato un nuovo riuscitissimo protagonista, che svolge la sua attività dal sedile posteriore di una Lincoln, oltre che in tribunale, e che, nella riduzione cinematografica di The Lincoln Lawyer, ha il volto noto di Matthew McConaughey. Connelly è stato spesso in Italia, tra le presenze eccellenti di numerosi festival: il Festivaletteratura a Mantova, il Noir in Festival a Courmayeur, dove gli è stato conferito il Raymond Chandler Award, e il Festival Internazionale delle Letterature a Roma. Di recente programmazione in Italia è la serie televisiva intitolata a Bosch, di cui Connelly ha curato la sceneggiatura. http://www.michaelconnelly.it http://www.michaelconnelly.com

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Marina dell’Ufficio Stampa Piemme.

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