:: Quando Philip K. Dick denunciò Stanisław Lem all’FBI: Recensione di Universi (Mondadori 2021) a cura di Emilio Patavini

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«Individuare quello storico momento in cui l’abaco raggiunse l’Intelligenza

è difficile quanto stabilire il momento in cui la scimmia si trasformò in uomo»

(Stanisław Lem, Prefazione a Golem XIV)

Il 2021 è l’anno di Lem, a dichiararlo è il Sejm, la camera bassa del Parlamento polacco, in occasione del centenario della nascita dello scrittore e futurologo Stanisław Lem (1921-2006), avvenuta il 12 settembre di cento anni fa. Ogni definizione sembra riduttiva per un autore che come pochi altri ha saputo unire i propri interessi scientifici – dalla cibernetica alla fisica, dalla biologia alla matematica – alla finzione narrativa e all’indagine filosofica, non senza rinunciare a una cifra personale di eclettismo (i suoi scritti sono caratterizzati da arguti neologismi e dal gusto per il grottesco). Stanisław Lem ha venduto oltre 40 milioni di copie in tutto il mondo, è stato tradotto in più di 50 lingue, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti in patria e all’estero, è stato candidato dalla Polonia al Premio Nobel e fatto cittadino onorario di Cracovia. Il settimanale americano Newsweek lo ha definito «il miglior scrittore di fantascienza in qualsiasi lingua».

Stanisław Lem nacque a Leopoli – oggi in Ucraina – nel 1921, da una famiglia polacca di origine ebraica. Crebbe nella biblioteca scientifica del padre, un ricco laringoiatra; con un Q.I. di 180 fu considerato «il bambino più intelligente della Polonia meridionale». Raccontò la propria infanzia a Leopoli nel romanzo autobiografico del 1966, Il castello alto (Bollati Boringhieri 2008).

Quando nel 1941 i nazisti istituirono il ghetto a Leopoli, si procurò documenti falsi assicurando a se stesso e alla propria famiglia una via di salvezza dai campi di concentramento. Durante l’occupazione tedesca lavorò come saldatore e meccanico in un’officina, e nel frattempo compiva azioni di sabotaggio a danno dei veicoli tedeschi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1946, studiò medicina all’Università Jagellonica di Cracovia, dove si laureò quello stesso anno, anche se il suo principale interesse fu la cibernetica. Prima dell’invasione tedesca, Lem aveva studiato medicina all’Università di Leopoli per seguire le orme paterne, ma con l’occupazione sovietica della Polonia orientale, la famiglia decise di trasferirsi a Cracovia. Mentre i suoi colleghi si arruolavano come chirurghi di guerra, Lem abbandonò gli studi, come ricordò in seguito: «Non superai l’ultimo esame. Nessuno poteva costringermi a dare la risposte che volevano». In quei tempi, infatti, si erano imposte le teorie di Lysenko, che Lem si rifiutava di accettare perché andavano contro la genetica mendeliana in favore di un’idea lamarckiana di biologia, distorta al fine di abbracciare l’ideologia sovietica.

Uomo poliglotta e di immensa cultura; scettico per natura, in una sua intervista si definì «ateo per ragioni morali» perché, come disse, «mi sembra che il mondo sia messo insieme in uno modo così penoso che preferisco credere che non sia stato creato da nessuno piuttosto che pensare che qualcuno lo abbia creato intenzionalmente».

Il suo primo romanzo è L’ospedale dei dannati (Bollati Boringhieri 2006), ambientato in un ospedale psichiatrico durante l’occupazione nazista, scritto tra il 1948 e il 1950, ma pubblicato solo nel 1956, a seguito del disgelo e del cosiddetto “Ottobre polacco”. I suoi primi romanzi di fantascienza sono utopie anticapitaliste che risentono fortemente del «realismo socialista» imposto dal regime: basti pensare che i censori lo costrinsero a eliminare dal suo secondo romanzo di fantascienza La nube di Magellano (in cui Lem parla di una “Biblioteca Trionica” e predice Google) la parola «cibernetica», perché era allora considerata «una falsa scienza capitalista». Lem la sostituì con un termine di sua invenzione, «meccanioristica», ma questo non bastò a passare il vaglio di un censore, che si accorse del calco. Con la morte di Stalin, Lem abbandonò il realismo socialista imposto ai suoi primi romanzi (che in seguito non apprezzerà), e produsse i suoi capolavori, vere e proprie gemme letterarie della fantascienza moderna.

Considerava trash la fantascienza americana, con l’eccezione di Philip K. Dick, che definì come un «visionario tra i ciarlatani». L’ammirazione per Dick si riflette nella volontà di pubblicare, nel 1972, un’edizione polacca di Ubik, il migliore romanzo dello scrittore americano. Iniziarono così i contatti tra i due scrittori, che si accordarono per la pubblicazione. Tuttavia, la Wydnawnictwo Literackie, la casa editrice di Lem, poteva pagare i diritti d’autore solo con la valuta polacca. Dick avrebbe dovuto così recarsi di persona in Polonia e spendere là i suoi złoty, mentre avrebbe voluto essere pagato in dollari, e subito. Al tempo Dick, dipendente da amfetamine e altre droghe, era in un momento particolare della sua travagliata vita: tra febbraio e marzo 1974 iniziarono a farsi sempre più frequenti allucinazioni dovute all’effetto del tiopental sodico, somministratogli come anestetico in un intervento odontoiatrico. Le sue esperienze mistiche e trascendentali si manifestarono nel periodo 2/3/74 e si tradussero in un manoscritto di quasi ottomila pagine, tra appunti scritti a mano e a macchina, che verrà poi pubblicato come l’Esegesi. In questo periodo, Dick credeva di essere un cristiano perseguitato al tempo dell’imperatore Nerone (il suo mantra era «The Empire never ended») e sosteneva di essere in contatto con un’intelligenza divina chiamata VALIS. È in questo contesto, nella paranoia da cui fu sempre affetto, che Dick decise di scrivere all’FBI. Nel settembre 1974, in piena guerra fredda, denunciò al Federal Bureau la presenza di un «gruppo senza nome di Cracovia» che agiva sotto il nome di Stanisław Lem, ma che in realtà era un «comitato composito» comunista, il cui obiettivo era quello di infiltrarsi nel mondo della fantascienza americana. Sappiamo che Lem non è mai stato membro del partito comunista, ma per Dick rappresentava un’evidente minaccia: dietro all’acronimo di L.E.M. vedeva la sinistra figura di una spia, ma dietro il suo cognome poteva celarsi al massimo l’acronimo del Lunar Excursion Module, il modulo lunare usato per l’allunaggio del 1969. In realtà, le vere ragioni all’origine del suo rancore personale, come ricorda Lawrence Sutin – biografo di Dick – sono tutt’altre: «Phil era arrabbiato per quelle che riteneva promesse non mantenute relative ai diritti d’autore, e – ingiustamente – ne diede la colpa a Lem». A seguito delle pressioni di Dick, nel 1976, Lem venne espulso dalla Science Fiction and Fantasy Writers of America (SFWA), l’associazione degli scrittori americani di fantascienza di cui Lem era stato fatto membro onorario nel 1973, e che ne revocò l’iscrizione per via delle sue posizioni critiche nei confronti della fantascienza americana.

I pensieri e gli scritti di Lem (tra cui molti inediti) sono raccolti in questo volume di oltre 1500 pagine, uscito il 14 settembre per gli Oscar Moderni Baobab della Mondadori. Qui ogni lettore può trovare qualcosa per sé: dalle fiabe fantascientifiche ai viaggi spaziali, dalle invenzioni strampalate di due inventori robotici a recensioni di libri inesistenti, sino alle altissime vette del suo pensiero scientifico-filosofico. Universi si apre con l’ottima introduzione del traduttore Lorenzo Pompeo, indispensabile per chiunque voglia comprendere la vicenda biografica dell’autore; introduzione in cui Lem viene considerato come «il più grande scrittore di fantascienza non angloamericano».

La prima raccolta che il lettore può trovare sfogliando Universi è Memorie di un viaggiatore spaziale, incentrata sui viaggi spaziali, con protagonista l’astronauta Ijon Tichy (presente anche ne Il congresso di futurologia, non contenuto in questa antologia); la seconda raccolta di viaggi spaziali, I viaggi del pilota Pirx, è dedicata invece al suo successore, il pilota Pirx. Nelle peripezie di Tichy, Lem riflette con acuta e sottile ironia che per certi versi ricorda la leggerezza di Swift sullo spazio e le sue contraddizioni, introducendo anche lucide previsioni, come l’avvento del turismo spaziale, che quest’anno ha avuto appuntamenti importanti con Virgin Galactic e SpaceX. Nella prima avventura spaziale, il viaggio settimo, Tichy entra in un vortice gravitazionale, e per via di «incalcolabili effetti relativistici» si creano innumerevoli copie di se stesso. Memorabile è anche la scherzosa pseudo-introduzione all’edizione critica delle Memorie di Ijon Tichy: la Tichologia ricalca in qualche modo la Solaristica, mentre gli pseudobiblia nelle note a piè di pagina anticipano la passione di Lem per gli apocrifi, che verrà approfondita nella sua ultima fase creativa.

Come lascia intendere il titolo, Fiabe per robot è una raccolta di fiabe fantascientifiche con robot come protagonisti e in cui si respirano atmosfere da fairy-tale, con tutti i cliché del caso. Preparatevi a scontri tra elettroguerrieri e elettrodraghi al suono di clangori metallici e a colpi di ciberarmi; a storie di principesse robot e di vecchi re robot. Come quella di un malvagio tiranno che vive in un palazzo di platino, talmente avido da ordinare ai suoi sudditi di indossare armature di uranio, in modo che non possano più radunarsi e ordire congiure contro di lui, perché ogni volta che si avvicinano si innesca una reazione a catena che causa un’esplosione.

Sulla scia delle fiabe robotiche, Cyberiade è l’epopea dell’era cibernetica («L’armi canto, e de’ robot il valore»), e racconta le comiche avventure di due inventori, Trurl e Klapaucius: non sono umani (anzi, visipallidi, come sono chiamati), ma robot, i primi esseri «veramente intelligenti». I protagonisti di Cyberiade sono costruttori di strampalate invenzioni, come il bardo elettronico, una macchina capace di recitare e produrre poesie attraverso sofisticati programmi informatici che simulano l’intero universo e la storia della civiltà – racconto che mi ha fatto pensare a The Great Automatic Grammatizator di Roald Dahl. In questi racconti, che hanno spesso finali esilaranti e al limite dell’assurdo, Lem dà libero sfogo a quella che abbiamo ormai imparato a riconoscere come suo carattere distintivo: giochi di parole e neologismi che conferiscono un’ aura di scientificità alle sue fiabe fantastiche. Non a caso, John Updike ha definito Lem come il poeta «della terminologia scientifica», e ha detto che i suoi libri sono per coloro «i cui cuori battono più forte quando ogni mese arriva Scientific American».

Le short stories contenute in Enigma raccolgono il corpus della narrativa breve di Lem, da Il ratto del labirinto (1956) a Il materassino (1995). La raccolta prende il nome da Enigma, racconto in cui due monaci robotici discutono di teologia cibernetica. Tra gli altri racconti si segnalano anche L’invasione da Aldebaran, che rielabora il topos più ricorrente della produzione lemmiana, quello del contatto con una civiltà aliena, ma questa volta dal punto di vista dei tentacolari invasori provenienti da Aldebaran. Degni di nota sono anche Il materassino (suo ultimo racconto), amara riflessione sulla realtà virtuale (che mi ha ricordato alcune pagine di Tempo fuor di sesto di Dick), e L’amico. Quest’ultimo, geniale come ogni creazione letteraria dell’autore, è una storia ricca di suspense che per le sue atmosfere cupe e gotiche deve qualcosa a Frankenstein di Mary Shelley e indaga, tra ampliamenti cerebrali e cervelli elettronici, gli inquietanti risvolti del rapporto con l’intelligenza artificiale. La passione di Lem per la cibernetica nasceva dalla sua fascinazione per il mistero della mente umana (uno dei suoi primi scritti è proprio un trattato intitolato Teoria della funzione del cervello), come emerge dal suo romanzo più famoso, Solaris: «L’uomo è andato incontro ad altri mondi e ad altre civiltà senza conoscere fino in fondo i propri anfratti, i propri vicoli ciechi, le proprie voragini e le proprie nere porte sbarrate». Forse un domani scopriremo ogni cosa sulle galassie, su soli lontani e sconosciuti, su universi nuovi e pianeti distanti anni luce, ma – sembra dirci Lem – quella macchina complessa e inconoscibile che chiamiamo cervello resterà un mistero. Forse spalancherebbe abissi e baratri troppo profondi per essere compresi.

Nelle sue ultime opere, Lem abbandonò la narrativa di fantascienza per cui è ricordato, per indossare i panni dell’estensore di apocrifi, cui è dedicata la terza e ultima sezione di Universi. Vuoto assoluto raccoglie recensioni di libri mai scritti, un genere inaugurato da Jorge Luis Borges. Il libro si apre con una recensione del libro stesso, a firma di un certo St. Lem; tra gli altri pseudobiblia qui presentati, vale la pena di citare Gigamesh, l’equivalente dell’Ulysses joyciano basato non sull’Odissea ma sul poema mesopotamico Gilgamesh; Gruppenführer Louis XIV, storia di un ex gerarca nazista che ricrea la corte di Re Sole nel cuore dell’Argentina; e infine Idiota di Gian Carlo Spallanzani, versione italiana del capolavoro di Dostoevskij (pubblicata nella finzione di Lem proprio dalla Mondadori). Spesso l’esito delle critiche fittizie è comico e grottesco; l’autore riesce, come un’abile equilibrista, a passare con una naturalezza disarmante dal tono giocoso della farsa e della parodia a trattazioni che potrebbero annoiare coloro che si aspettavano di leggere racconti di fantascienza. Va ricordato inoltre che il Lem delle recensioni fittizie è molto più caustico e disinibito, se confrontato allo stile di altri suoi scritti, ed è notevole la differenza con il tono leggero e scherzoso delle Fiabe per robot e Cyberiade; differenza che si acuisce ancor di più se si guarda ai suoi primi romanzi, rigidamente ancorati ai dettami del realsocialismo.

Il seguito di Vuoto assoluto è Grandezza immaginaria, che consiste in una serie di introduzioni apocrife a libri ancora da scrivere, come la Storia della letteratura bitica, che tratta di un genere letterario incomprensibile per gli uomini, in cui i computer si chiedono se gli esseri umani abbiano o meno una coscienza.

E poi c’è Golem XIV: dopo un’interessante prefazione del curatore fittizio, che ricostruisce brevemente la storia dei computer e dei cervelli elettronici del futuro, ci si trova di fronte a «una piccola parte delle registrazioni magnetiche» delle conferenze tenute da un supercomputer di 14a generazione della serie GOLEM progettato dal MIT. Golem XIV era stato messo a capo dello stato maggiore americano dal Pentagono, ma aveva fin da subito dimostrato un totale disinteresse nei confronti della guerra: per esso, le questioni militari sono nulla in confronto ai dilemmi filosofici. Golem XIV è un computer ribelle la cui intelligenza superiore non risponde più agli ordini dei suoi programmatori (come l’omonimo mostro della tradizione ebraica), ma il suo unico interesse è la «filosofia elettronica», ed è per questo che tiene conferenze su temi prescelti rivolte a una platea ristretta di umani (da lui accuratamente selezionati). La prima conferenza di questo computer-filosofo è sull’uomo, mentre l’ultima su stesso: qui emerge il tema prediletto di Lem, leitmotiv di tutta la sua produzione, che come ha rilevato Carlo Pagetti corrisponde al tema dell’ “incontro ravvicinato”: il contatto, in questo caso, di «umani con un essere intelligente, ma non umano», per dirla con Lem. Questo potrebbe essere il destino dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale? Un interrogativo che ogni lettore si pone durante la lettura. D’altro canto, Golem XIV affronta i problemi etici che riguardano lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, quando diventa troppo intelligente: infatti, il Golem è una macchina in grado di pensare un milione di volte più velocemente della mente umana. Golem XIV può essere considerato come la summa più alta del pensiero filosofico di Lem, espressione della sua visione di cibernetica.

Provocazione è un’estensione di Vuoto assoluto: qui sono raccolte le pseudo-recensioni di un’opera in due volumi scritta dal filosofo tedesco Aspernicus: ricorda Lem che alcuni scienziati e storici polacchi credettero che il libro in questione esistesse veramente e provarono a procurarsene una copia. La prima parte di Provocazione affronta il tema della soluzione finale e del genocidio ebraico (tema che riguarda da vicino la storia personale di Lem), mentre la seconda si concentra su One Human Minute, libro inesistente che, attraverso tabelle statistiche stilate da computer, elenca tutto ciò che accade all’umanità in un minuto. Nel suo commento, Lem formula la legge che porta il suo nome: «Nessuno legge più nulla; se legge, non capisce niente; se capisce qualcosa, lo dimentica all’istante».

Biblioteca del XXI secolo contiene The World as Holocaust: un brillante saggio che esplora il concetto di «creazione attraverso la distruzione» richiamato dal titolo, inteso non come la teoria del catastrofismo di Cuvier, bensì come catastrofi su scala cosmica. Qui Lem si interroga sul nostro posto in quel «deserto silenzioso» che è l’universo, sulla ricerca di vita extraterrestre, sull’origine del cosmo, sulla composizione chimica degli astri e persino sull’ipotesi del Multiverso (scrive Lem: «La teoria del Big Bang è salvata dall’ipotesi che, nel corso dell’esplosione creatrice, sia stata generata nello stesso momento un’enorme quantità di Universi. Il nostro Cosmo fu solo uno dei tanti. La teoria che mette d’accordo l’omogeneità dell’attuale Cosmo con l’impossibile omogeneità della sua espansione, attraverso l’idea che il Cosmo primordiale non costituisse un universo ma un multiverso, è stata enunciata nel 1982»), già anticipata nella sua Grandezza immaginaria (1972), in cui troviamo La nuova cosmogonia, un ipotetico discorso tenuto in occasione del conferimento di un premio Nobel, con riflessioni sul paradosso di Fermi e sulla visione del «Cosmo come Gioco».

Leggere Lem significa abbandonarsi al vero piacere della lettura; lasciarsi condurre per mano da un’immaginazione inesauribile, tra galassie senza confini e territori ancora da esplorare. La sua ironia pungente, il suo personale senso dell’umorismo, i suoi neologismi elaborati, la maestria con cui è capace di creare situazioni iperbolicamente paradossali, il suo dotto enciclopedismo scientifico, sono solo alcuni aspetti della sua opera e fanno di Stanisław Lem una delle voci più originali del panorama letterario del Novecento – un uomo che ha visto il futuro.

Stanislaw Lem (Leopoli, Polonia, oggi Ucraina, 1921 – Cracovia 2006). È autore di indimenticabili romanzi di fantascienza quali La nube di Magellano (1955) e Eden (1959). Dal suo libro più celebre, Solaris (1961), nel 1972 il regista russo Andrej Tarkovskij realizzò un film, premiato a Cannes, che portò alla popolarità Lem in Europa e in tutto l’Occidente. Le opere di Lem sono tradotte in oltre 40 lingue.

Source: inviato dall’editore al recensore. Si ringrazia l’Ufficio Stampa della Mondadori.

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