Archivio dell'autore

:: Sotto lo stesso cielo, Anja Reumcheüssel (Gallucci 2024) A cura di Viviana Filippini

7 novembre 2024

“Sotto lo stesso cielo” è il romanzo di Anja Reumcheüssel edito da Gallucci, per la collana Young Adult, ed è una storia che ha al centro il conflitto tra Israele e Palestina narrato in due momenti storici distanti negli anni. Da una parte il lettore si trova nel 1948, dove incontra Tessa, una dei sopravvissuti alla Shoah. La giovane arriva a Gerusalemme come molti altri ebrei usciti vivi dai campi di sterminio con la speranza di cominciare una nuova fase della propria esistenza e avere un posto da poter chiamare casa. Nello stesso luogo c’è Mo, un arabo palestinese che con la nascita dello stato di Israele vedrà cambiare in modo radicale -e per sempre- la sua vita e quella sai palestinesi nati e cresciuti lì con lui. Un giorno i due ragazzi si incontrano, si conoscono e tra loro nasce un’ amicizia che forse è anche qualcosa in più. Siamo ancora in primavera, ma nel 2023,  ci sono ancora due giovani, Anat soldatessa dell’esercito israeliano e Karim, non soldato, ma un combattente per i diritti del  popolo palestinese. I due non si conoscono da subito, ed essendo schierati su fronti opposti tra loro non scorre buon sangue. C’è astio, rabbia, odio e risentimento, ma i due ragazzi, ognuno molto legato ai propri ideali, in realtà non sanno che nel loro passato c’è qualcosa o qualcuno che li unisce, più di quanto credono e sanno. Diversi, distanti, ma allo stesso tempo vicini e desiderosi di libertà e felicità sono tutti i protagonisti del romanzo della giornalista tedesca, solo che sono gli eventi, il loro corso che a volte sfugge di mano con conseguenze impreviste che ricadono sulla gente comune con effetti non prevedibili.  “Sotto lo stesso cielo” della Reumcheüssel porta il lettore a fare un viaggio nel passato e nel presente, dentro al conflitto israelo palestinese per raccontare attraverso gli occhi e i sentimenti dei giovani protagonisti dello ieri e dell’oggi come vivono il conflitto tra Israele e Palestina, cominciato nel 1948 e ancora oggi, purtroppo, ben lontano da una fine certa. Traduzione dal tedesco di Maria Alessandra Petrelli.

Anja Reumcheüssel (1983) è una giornalista tedesca. Scrive per varie testate, tra cui “GEO”, “National Geographic” e “Stern”. Ha vissuto per due anni in Israele e in Cisgiordania e qui ha ambientato il suo primo romanzo, “Sotto lo stesso cielo”, candidato al Deutscher Jugendliteraturpreis.

Source: inviato dall’editore.

::Nonostante i segreti del tempo, Josina Fatuzzo, (Edizioni Tipheret, 2024) A cura di Viviana Filippini

23 ottobre 2024

La Carruberia è lo snodo fondamentale dove prendono forma le vicende dei personaggi nel romanzo “Nonostante i segreti del tempo” di Josina Fatuzzo, edito da Tipheret. La vecchia villa disabitata in Sicilia entra in scena quando le due sorelle che la ereditano dovranno fare i conti con essa. In realtà, tra le due donne, quella sulla quale il lettore ha la maggiore possibilità di concentrarsi -proprio perché vive di più la villa chiamata Carruberia- è Maria Francesca. La professoressa universitaria di Storia dovrà fare i conti con la casa e con Viola, una figura femminile del passato da lei lontana, ma molto vicina, per la somiglianza delle esperienze e dei sentimenti che hanno vissuto in prima persona. La Carruberia per Maria Francesca è una sorta di ancora di salvezza che le permette di evadere un po’ dalla sua vita cupa, fatta di dolore e sofferenza e di lavoro assiduo, svolto proprio per dimenticare quello che la fa soffrire. Maria Francesca è rimasta da poco vedova, perché il marito Corrado, che lei aveva conosciuto giovanissima, è morto in un incidente. Il dramma per la scomparsa del proprio amato si è trasformato in rabbia potente verso il defunto, poiché la protagonista ha scoperto il tradimento dell’uomo con un’altra. Una situazione che mette a dura prova l’animo già lacerato della professoressa di Storia, la quale comincia un processo di completa rivalutazione della propria relazione con l’uomo che lei amava. Maria Francesca si interroga su Corrado e sulla veridicità dei suoi sentimenti, perché credeva di conoscere la sua dolce metà, ma l’amara verità  scoperta le ha posto una serie di dubbi da colmare. Il soggiorno alla Carruberia, il girare tra le sue stanze arredate, camminare nei giardini esterni, l’osservare e toccare con mano gli oggetti di un tempo, la porteranno a trovare un vecchio diario, quello scritto da Viola, dal quale emerge l’immagine della villa nel 1943,  e -soprattutto- il vissuto emotivo della donna. Viola nel suo diario racconta della Sicilia ai tempi della guerra, della sau famiglia, dell’arrivo degli Alleati, alcuni dei quali finirono ospiti della Carruberia. Tra loro il Maggiore Davis, con il quale per Viola ci fu subito empatia per la condivisione degli stessi interessi politici, culturali e letterari. Un rapporto di grande sinergia con il militare che, purtroppo, viste le vessazioni del marito di Viola, lei non trasformò in altro, anche perché Davis partì per altri fronti. Certo è che Maria Francesca e Viola, sono simili per i tormenti emotivi che hanno, per la consapevolezza di aver vissuto una vita che forse avrebbe potuto avere uno sviluppo diverso se solo, con un po’ di coraggio, entrambe avessero deciso di agire per far cambiare le cose e non subirle. Questo porta Maria Francesca anche a riflettere sui sentimenti per Marcello, altra figura maschile da tempo a lei vicina, sempre presente nel suo vissuto, perché vuole capire cosa rappresentano davvero per lei e se può fare ancora qualcosa per cambiare. Le vicende emotive umane presenti nella storia hanno per scenografia La Carruberia  che non è solo una casa. L’edificio è una custode e testimone del tempo, delle esperienze vissute da parte di coloro che in quelle mura hanno vissuto, amato, sofferto e provato emozioni nuove e a volte represse, prigioniere di usi, costumi e “leggi” di famiglia. “Nonostante i segreti del tempo” di Jopsina Fatuzzo è un viaggio tra presente  e passato che ci porta dentro alla vita e ai sentimenti di due donne che, viste le esperienze e le dolorose verità vissute, hanno rimesso in completa discussione la loro esistenza, cercando di capire come sarebbero state le loro vite se avessero seguito in modo maggiore la passione, l’istinto e la libertà nel decidere.

Josina Fatuzzo, nata a Roma e docente di materie letterarie, vive a Siracusa. Ha scritto per il teatro e alcune delle sue pubblicazioni hanno vinto premi prestigiosi, come il Premio Capuana per Sinfonia per una donna sola. È impegnata diverse attività culturali e teatrali e ha promosso il Premio Processo all’Autore, assegnato a numerose personalità del mondo dell’arte e della cultura, tra le quali Dacia Maraini, Gianni Amelio, Inge Feltrinelli. Tra le sue pubblicazioni “La Mastrartua”, “A Gloria dell’Alter ego”(Premio Campofranco), “Sinfonia per una donna sola” (Premio Capuana), “Cavalleria” e “Boccadiforno”.

:: Niente è come sembra, Stefania Gatti (Gallucci Bros, 2024)A cura di Viviana Filippini

8 ottobre 2024

“Niente è come sembra” è il romanzo di Stefania Gatti  edito da Gallucci Bros.  Protagonisti sono due adolescenti -Asa e Aline- che si conoscono, perché frequentano la stessa scuola (liceo classico), ma tra di loro sembra del tutto impossibile possa esserci armonia. Anzi, ogni parola, ogni azione o gesto tra loro porta a fraintendimenti che li allontanano. A renderli così distanti ci si mette anche la diversità dei caratteri che hanno. Asa vive con il padre, sua madre si  è trasferita all’estero e il ragazzo trova appoggio nell’amicizia di un’ esperta cuoca cinese non solo abile nel preparare manicaretti, ma anche nell’ascoltare e dare consigli a questo adolescente alle prese con il percorso di crescita. Asa ha un modo di  fare spontaneo, a volte un po’ troppo diretto, però questo non gli impedisce di avere una marea di amici, anche se non sempre in  amore le cose vanno come vorrebbe. Poi ha un segreto, ma nessuno (forse) lo sa: va dalla psicologa. Aline è l’opposto, lei è  silenziosa, ombrosa,  quasi senza amici e sempre pronta a difendere i diritti dei più deboli, tanto che questo suo atteggiamento la farà finire in più occasioni dalla dirigenza scolastica.  In realtà,  come Asa, anche lei ha qualcosa che pochi conoscono e che nessuno sa. Aline ama nascondersi nell’armadio a studiare, questo le permette di essere in una dimensione di pace, solo che l’armadio diventa anche per lei il luogo dal quale sentire i racconti dei pazienti della madre analista. A scuotere la giovane anche la scoperta di un comportamento inaspettato del padre.  Asa e Aline sono due universi che si punzecchiano,  stuzzicano e provocano, anche a seconda delle situazioni nelle quali si trovano coinvolti a scuola. Sarà proprio durante una seduta dalla madre di Aline, che la ragazza percepisce una voce familiare… (troppo) e da lì comincerà a cambiare qualcosa. Asa e  Aline, i due adolescenti protagonisti del  romanzo per ragazzi della Gatti, in certi momenti sono impacciati, in altri scontrosi, come per difendersi dalla paura di mostrare le loro fragilità. “Niente è come sembra” di Stefania Gatti è romanzo di formazione, ma anche una storia dove gli opposti si scontrano e attraggono in un percorso di  ricerca del proprio posto nel mondo vissuto sì in modo tortuoso, con inaspettate svolte scatenate dall’amicizia e anche dall’ amore che si pensava di non riuscire a trovare.

Stefania Gatti è nata nel Regno Unito e fin da bambina voleva fare la scrittrice. Oggi vive a Roma dove lavora come insegnante e dove ha finalmente realizzato il suo desiderio di scrivere romanzi e racconti. Nel 2016 ha pubblicato “Il mistero di Vera C.”, vincitore del premio letterario Il Battello a Vapore.

Source: inviato dall’editore.

:: “Blue Sky e il risveglio della Magia Pura”, Joe e Grace Commoner Grace Commoner (Dialoghi) A cura di Viviana Filippini

30 settembre 2024

Metello è il ragazzino protagonista di “Blue Sky e il risveglio della Magia Pura” di Joe e Grace Commoner, edito da Dialoghi.  Metello è buono, buffo e anche un po’ impacciato e pure tanto timido. Per tutte queste ragioni il bulletto della scuola Marcus non esita prenderlo di mira come bersaglio dei suoi scherzi. Stanco dei soliti attacchi,  e dopo l’ennesimo sberleffo subito, Metello va al parco dove sta bene e in pace,  perché per lui è un luogoche lo ripara e protegge. Metello è lì intento a fare delle fotografie quando tutto cambia all’improvviso e lui si trova nel fantastico Mondo dell’Apparenza. Una dimensione nuova, sconosciuta dove il ragazzino non sa come muoversi, ma ad aiutarlo ci saranno un satiro e un paperiglio, che lo condurranno alla scoperta del mondo misterioso e purtroppo colpito da una maledizione. Solo chi riuscirà a richiamare  in vita la Magia Pura potrà riportare la pace e Metello si ritroverà ad affrontare una serie di peripezie e prove che non solo avranno conseguenze per il  Mondo dell’Apparenza , ma anche per quello del protagonista. Metello nato dalla penna del due Commoner si muove quindi in un mondo pieno di avventure e in un’atmosfera fantasy, che forse solo fantasy non è. Infatti, ad un’ attenta lettura questo personaggio narrativo contemporaneo vive un percorso che ricalca i classici passi del  “viaggio dell’eroe”, dove oltre al viaggio fisico, c’è un pellegrinaggio più profondo che porta Metello, quando è nell’altra dimensione, quella del Mondo dell’Apparenza, a vivere un percorso di  ricerca del proprio io e della comprensione delle emozioni che vivono nel proprio animo.  A tal fine “Blue Sky e il risveglio della Magia Pura” di Joe e Grace Commoner, oltre ad essere un fantasy può essere interpretato come un vero e proprio romanzo di formazione, perché tutte le avventure vissute da Metello, tutte le prove da lui superate lo porteranno ad essere un ragazzino  con maggiore fiducia in se stesso e diverso qua quello che si incontra nelle prime pagine. “Blue Sky e il risveglio della Magia Pura”  ha un doppio fine quindi, uno è quello di aiutare i giovani lettori a trovare e a far crescere la fiducia in loro stessi e, allo stesso tempo, il libro vuole aiutare i ragazzi meno fortunati di Migoli (Tanzania), luogo dove l’autore ha avuto esperienze che hanno lasciato un segno profondo in lui.

Joe Commoner ha esordito nel 2005 con la fiaba “Blue Sky e l’ingannevole Mondo dell’Apparenza”.

Grace Commoner è alla prima esperienza come scrittrice: ha conosciuto Joe nel 2017 e dal comune interesse per il genere fantasy è nata l’idea di scrivere insieme il nuovo libro della saga di Blue Sky.

Source: inviato dall’autore.

:: L’ultima strega. Una storia vera dalla Calabria del XVIII secolo, Emanuela Bianchi (Oligo editore 2024) a cura di Viviana Filippini

15 settembre 2024

Quanto possono fare male il pregiudizio, il pettegolezzo della gente verso una persona? Possono fare tanto da metterne a rischio la vita? Ebbene sì, e qualcosa di simile accadde in Calabria nella seconda metà del 1700, quando Cecilia Faragò venne accusata di essere una strega. A raccontarci la sua storia in “L’ultima strega. Una storia  vera dalla Calabria del XVIII secolo” ci pensa Emanuela Bianchi, con prefazione di Roberto Alessandrini, nel libro pubblicato da Oligo Editore. Cecilia Faragò, vedova e analfabeta, venne ingiustamente accusata di essere una strega e di aver provocato la morte del parroco e non solo.  A darle il tormento due preti interessati ad appropiarsi dei suoi beni che la accusano di essere una maga, fattucchiera e di usare le erbe per fare cose strane. I due religiosi sono davvero pronti a tutto, pure a mentire, pur di ottenere ciò che vogliono. Così, come altri cittadini che lanciano -come leggerete- accuse ingiuste alla Faragò, nate dal pettegolezzo e che gravano poi in modo concreto sulla donna. La protagonista , anche se non sa leggere e scrivere, è tenace, coraggiosa e soprattutto ben consapevole del suo essere innocente, tanto è vero che farà di tutto pur di ottenere giustizia. Ad aiutarla in questo un giovane avvocato – tal Giuseppe Raffaelli- che finirà pure alla corte di Napoli e riuscirà ad ottenere giustizia per la Faragò, incastrando i veri colpevoli e inducendo Re Ferdinando ad abolire per sempre il reato di stregoneria. Emanuela Bianchi ha conosciuto la figura della Faragò grazie ad un libro che sua madre le regalò mentre stava pensando ad uno spettacolo su Cassandra. Da lì prese il via una volontà profonda di conoscere e ricercare dettagli sulla storia della Faragò. “L’ultima strega. Una storia  vera dalla Calabria del XVIII secolo” edito da Oligo editore, non solo racconta una vicenda umana avvenuta nel Sud d’Italia che si è innestata nella Storia, ma mette in evidenza come il pregiudizio, l’ignoranza, la non conoscenza, la maldicenza portarono spesso, nel corso del tempo, ad accusare degli innocenti trasformandoli in vittime condannate ed escluse da qualsiasi rapporto sociale e umano, come accadde alla Faragò, che però ottenne una riabilitazione e venne completamente scagionata.  Riportando alla luce la vicenda di Cecilia Faragò, ritenuta l’ultima Magara della Calabria, Emanuela Bianchi fa sentire e rivivere la sua voce, la storia di una donna innocente– anche se probabilmente furono molte altre quelle ingiustamente condannate-, ma consapevole delle proprie conoscenze e proprietà. Un figura femminile forte, troppo autonoma, indipendente per quei tempi che voleva giustizia, perché conscia della propria innocenza. Il lavoro teatrale di  Emanuela Bianchi ha avuto un forte impatto su Soveria Simeri, in provincia di Catanzaro, perché ha riportato l’attenzione della popolazione e dei giovani sulla figura della Faragò e l’interesse è così tanto che nella località calabrese, ogni anno, si svolge una rievocazione storica ispirata all’opera teatrale “LaMagara” della Bianchi (Premio della critica Gaiaitalia 2014) , finita poi nel libro edito da Oligo editore.

Emanuela Bianchi, antropologa e attrice catanzarese, ha studiato all’Università di Roma La Sapienza e,nel 2004, ha formato una compagnia teatrale che si concentra sul teatro antropologico e interattivo. 

Source: grazie all’ufficio stampa 1A Comunicazione.

:: #tutticontroclara, Annelise Heurtier, (Gallucci 2024)A cura di Viviana Filippini

9 settembre 2024

Clara, protagonista di “#tutticontroclara”, di Annelise Heurtier, edito da Gallucci, è giovane, è un’adolescente che ad un certo punto riceve in regalo uno smarthphone. Un dono per lei importante, che la rende super felice, perchè per è in un certo senso l’inizio di una nuova fase della sua vita dove entreranno a far parte chat, social media, meme e video. Accanto a questo però la madre e in particolar e il padre, le presentano un “Contratto” nel quale Clara deve impegnarsi ausare lo smarthphone e quello che gli gravita assieme nel miglior modo possibile, divertendosi nel rispetto delle regole date. Clara accetta, poi però un malinteso con un’amica cambia le cose e scatena una scia di commenti cattivi, offensivi, fotomontaggi di fotografie dove compare il volto della protagonista che non sa come difendersi e soprattutto non capisce il perchè di tutto questo odio. Nel nuovo romanzo per ragazzi,  Annelise Heurtier si occupa di  temi sociali attuali che vengo presi in esame anche a conseguenza di fatti di cronaca nei quali ritornano e che spesso sono fonte di ispirazione per la scrittrice. Nel romanzo con protagonista Clara i temi sono infatti i social, il loro utilizzo più o meno consapevole, ma anche i fenomeni di cyberbullismo che si scatenano in essi e che evidenziano non solo quanto sia sottile il confine tra realtà materiale e virtuale. Nel libro emerge anche il fatto che non sempre chi scrive commenti offensivi si rende conto delle conseguenze che quelle frasi, parole scritte o foto modificate pubblicate, possono scatenare in chi si trova ad esserne il bersaglio. Clara rischia davvero il crollo completo, tanto che anche i genitori ad un certo punto si sentono in colpa per non aver capito quello che stava accadendo alla figlia. Poi però, piano piano, le cose cambiano, ma il dolore per l’esperienza vissuta resta. Annalise Heurtier in “#tutticontroclara tratta”, come negli altri romanzi scritti in precedenza, tratta temi contemporanei (in questo caso il rapporto con i social, il loro utilizzo con relative conseguenze) per invitare i giovani lettori, ma anche quelli più adulti, a riflettere sulle insidie che a volte la vita nasconde e lo fa per raccontare storie dove fantasia e realtà convivono in perfetto equilibrio e per indurre chi legge prendere consapevolezza di quello che potrebbe accadere e trovare soluzioni per poter superare gli ostacoli e ricominciare a vivere una vita reale. Traduzione di Marina Karam.

Annelise Heurtier è nata nel 1979 vicino a Lione e da oltre quindici anni scrive per bambini e ragazzi di tutte le età. Spesso ispirate a fatti reali, le sue storie sono anche pretesti per viaggiare e scoprire culture e percorsi di vita singolari. Con Gallucci ha già pubblicato i romanzi “L’età dei sogni”, finalista al Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2020, “La ragazza con le scarpe di tela” e “Diario di una ginnasta”.

:: Notte Isterica, Miran Bax (Morellini editore,2024) A cura di Viviana Filippini

24 luglio 2024

“Una notte isterica, dove tutti sono andati via di testa senza nemmeno un motivo, spingendo le loro azioni al limite della follia. Forse tutti la ricorderanno come la notte dei fuochi, io me la ricorderò per il suo odore di bruciato”. Si chiama “Notte isterica” il nuovo romanzo di Miran Bax (all’anagrafe Massimo Anania), edito da Morellini, nel quale convivono diversi generi letterari che vanno dal giallo, alla sociologia con sfumature psicologiche. La vicenda narrata prende spunto da un fatto di cronaca accaduto qualche anno fa a Torino (era il 2011) e l’autore ci mette una buona dose della sua creatività per una vicenda avvincente, che riflette sulla società contemporanea. Tutto parte da un incendio in un campo Rom dalle conseguenze inaspettate, tragiche e attorno al quale ci sono tante domande: sarà casuale o ci sarà la mano di qualcuno? Il romanzo cerca di ricostruire la storia, lo sfondo socio culturale dove si muovono i diversi personaggi presenti all’interno della narrazione per capire come e dove è nato il tutto. Attorno ad esso si muovono i vari personaggi direttamente o no coinvolti nell’agghiacciante fatto. Per esempio c’è Debora, un’adolescente con qualche problema psichico, ma anche tante paure che la rendono fragile e insicura in ogni azione che deve compiere. Lei però, così chiusa in se stessa,  riesce a trovare un appiglio, una sorta di ancora di salvezza, in Steve. Lui, albanese di origine, comprende bene cosa vuol dire sentirsi diversi, esclusi e stranieri, perché non è italiano, ma arriva da un altro luogo e cultura. Poi ci sono Mara, sedicenne che perde la testa e si innamora di Giuseppe. Tra i due è passione folle, fino a quando non metterà lo zampino Giacomo, il fratello della ragazzina, che quella relazione non la tollera proprio e sarà pronto a tutto, anche all’impensabile, per mettervi la parola fine.  Miran Bax utilizza una scrittura fluida che trascina il lettore dentro le vite dei protagonisti, facendone conoscere le sfumature emotive e i loro tormenti. Sì perché questi giovani con l’animo minato da timori e insicurezze, sono alla ricerca di qualcosa -o qualcuno- che dia loro pace, solo che non è facile trovare questa isola di tranquillità. Sono ragazzi e ragazze soli, e questa solitudine a volte li travolge e annienta, perché  nessuno sembra essere in grado (o vuole) aiutarli. Il mondo che li circonda è cupo, disattento e sordo ai loro bisogni, tanto è vero che gli adulti (genitori e docenti per esempio) che dovrebbero -e potrebbero- essere dei punti di riferimento per questa gioventù, appaiono come un mondo a se stante, lontano, travolto dai propri problemi e spesso troppo fagocitato dal lavoro per rendersi conto di quello che sta accadendo nel prorpio mondo famigliare. “Notte isterica” però è un libro dove il tema del “diverso” è presente in una società contemporanea che parla di includere, ma che fatica a farlo in modo costante, perché si percepisce verso coloro che sono etichettati come “diversi” il timore e la volontà di tenere le distanze. C’è il diverso perché è malato, il diverso che appartiene ad un’ altra cultura, il diverso che è tale perché messo ai margini della società e il diverso che fa paura e che incute sospetto a tal punto da dover esser punito in modo completo per questa sua diversità. Il libro di Miran Bax è un romanzo che a tratti può sembrare crudo ma, allo stesso tempo, è una sguardo lucido e attento sulla società contemporanea e sulle contraddizioni e pregiudizi in essa presenti. Allo stesso tempo “Notte isterica” è una storia che invita il lettore a riflettere sui fatti narrati, sui tormenti dei protagonisti, per provare a comprenderli e per tentare di capire come orientarsi nel mondo di oggi e del domani, senza cadere negli stessi errori di sempre.

Miran Bax, all’anagrafe Massimo Ananania nasce a Torino nel 1975. Nel 2018 pubblica il romanzo “Autopstop per la notte” (Miraggio edizioni) finalista al Premio “Prunola” nel 2019 e con menzione d’onore nel 2021 al premio “Tre colori”. Nel 2020 esce “Tutto l’amore che manca” (Miraggi edizioni) e nel 2021 e 2023 vince il premio letterario “Raccontami in 25 parole”.

Source: Ufficio stampa Comunicazione1A e autore.

Intervista a Aldo Setaioli curatore de“Canti e leggende dei Ch’uan Miao” (Graphe.it). A cura di Viviana Filippini

17 luglio 2024

“Canti e leggende dei Ch’uan Miao” raccoglie gli affascinanti racconti e le particolari leggende di un popolo senza letteratura scritta. La popolazione è una delle minoranze riconosciute dal governo cinese (i Ch’uan Miao), diventate note al grande pubblico come gli Hmong del film “Gran Torino” di Clint Eastwood. In questa raccolta, curata da Aldo Setaioli per Graphe.it, ci sono alcune leggende del folclore popolare dove, a tratti, è possibile trovare qualcosa di familiare, anche se lontano da noi nello spazio e nel tempo. Ne abbiamo parlato con il curatore Aldo Setaioli.

In base a cosa o come ha scelto le storie inserite in “Canti e leggende dei Ch’uan Miao”? Innanzi tutto vorrei spiegare come sono venuto a conoscenza della popolazione dei Ch’uan Miao. Nel 2000 compii una crociera sul fiume Yang zi, il maggiore della Cina, e all’altezza della piu’ grande delle tre celebri gole del fiume, risalii lo Shennong, un piccolo affluente di sinistra del grande fiume in un sampan tirato a mano dalla riva. Giunsi cosi’ a un villaggio di un’altra minoranza, i Tujia, affine ai Ch’uan Miao, che abitano in prevalenza sulla riva opposta del grande fiume. Li’ per la prima volta sentii parlare di quest’altra minoranza affine. Solo più tardi, nel 2008, mi resi conto che si trattava della stessa popolazione di emigrati negli Stati Uniti del film di Clint Eastwood, Gran Torino: gli Hmong, che è il nome che quella popolazione si da’ nella propria lingua (Ch’uan Miao è il nome dato loro dai Cinesi). Venni in contatto diretto col folklore dei Ch’uan Miao ancora piu’ tardi, in rapporto alla mia attività di filologo classico, che pero’ ha sempre nutrito grande interesse per le culture e letterature orientali. Durante la stesura di un lavoro, presentato nel 2019 a Seoul, la capitale della Corea del Sud, che confrontava le versioni occidentali e orientali della leggenda di Androclo e il leone, dovetti prendere in considerazione, insieme con vari paralleli nella letteratura cinese, alcuni canti dei Ch’uan Miao di argomento simile (anche se, come sempre in Cina, il posto del leone viene preso da una tigre). Consultai perciò l’intera raccolta dei “Canti e Leggende dei Ch’uan Miao” messa insieme negli anni ’30 del secolo scorso dal missionario David Crockett Graham, pubblicata in uno dei volumi della Smithsonian. Incontrai così molti altri canti che mi sembrò utile e interessante far conoscere ai lettori italiani. La raccolta è molto vasta, ma siccome è fondata esclusivamente sulla tradizione orale, esistono numerose versioni della stessa leggenda, e in molti casi si incontrano incongruenze e contraddizioni, che hanno forzatamente ridotto la scelta dei canti da raccogliere nel volume. Ho scelto molti dei canti che presentano affinità col folklore nostro e di tanti altri paesi, sul piano cosmologico e religioso (creazione, diluvio, peccato originale) e favolistico, oltre che con leggende simili ad alcune delle nostre (per esempio quella di San Cristoforo) e anche con l’idea che fa derivare gli uomini da esseri scimmieschi. 

Che idea si è fatto di questa comunità? E’ una comunità rimasta isolata. Fino a verso la metà del secolo scorso non ha avuto alcuna tradizione scritta, ma ha conservato la sua lingua e le sue caratteristiche originali, pur in mezzo alla preponderanza territoriale e politica dei Cinesi, che li ha costretti a ritirarsi in zone sempre più ristrette e periferiche e, nel corso dei secoli, anche a emigrare in altri paesi, come il Laos, il Myanmar e il Viet Nam (da lì provengono gli Hmong del film Gran Torino). Ha inoltre sempre conservato il suo rapporto intimo con la terra (l’agricoltura e’ quasi l’unico mezzo per la sua sopravvivenza) e con la propria religione, che oltre a dei e demoni attribuisce vita e potenza o ogni oggetto, materiale e immateriale (come il tuono, l’eco, l’arcobaleno). Tramanda con musica e canti il suo ricco patrimonio culturale. Un ultimo frammento di umanita’ rimasto in uno stato di autentica originalità.

Quale è il filo conduttore delle leggende e canti presenti nel volume? In parte ho già risposto a questa domanda. Ho voluto che il lettore scoprisse da sè i tanti elementi comuni tra noi e questa popolazione così diversa e lontana. Ma un altro filone importante èil rapporto tra cielo e terra (un tempo uniti da una scala, interrotta per colpa degli uomini), come pure tra le generazioni presenti e quelle passate. E ho anche voluto mettere in evidenza certe idee morali, prima fra tutte l’avversione per il furto, tipica delle societa’ povere piu’ che di quelle ricche.

Ha trovato qualche somiglianza tra la cultura Miao e il nostro folclore? Moltissime: i fratelli ciascuno dotato di capacità straordinarie, il bel giovane nascosto sotto la pelle di un brutto animale, il demone racchiuso in una brocca, l’avidita’ punita, il ragazzo abbandonato nel bosco, i piccoli uomini che vivono sotto terra, il mantello che rende invisibili, sono motivi di tante storie che da bambino mi venivano raccontate da mia nonna, che certamente non aveva mai sentito parlare dei Ch’uan Miao.

Nelle storie tornano spesso elementi naturali, animali, ma anche demoni e figure buone in aiuto dei personaggi principali. Che ruolo avevano nella vita dei Ch’uan Miao questi racconti? Il mondo dei Ch’uan Miao è profondamente unitario. Dei e demoni interagiscono con gli uomini, cielo e terra sono tutt’uno, ed entrambi hanno bisogno di essere tenuti insieme da solidi legami – altrimenti si disgregherebbero. Le forze malefiche sono tenute a fremo dello sciamano, il tuan kung, e gli antenati proteggono se vengono onorati, possono punire se trascurati. Tutti questi elementi fanno parte di un mondo coerente e unitario, dove gli opposti non solo si equilibrano, ma hanno tutti la loro ragione e importanza. Questi canti sono il patrimonio culturale che da’ senso al bene e al male che l’uomo incontra nel mondo.

In alcune storie i Ch’uan Miao si confrontano con i Cinesi, ci racconta qualcosa su loro rapporto? I Ch’uan Miao si consideravano fratelli dei Cinesi. La loro origine, secondo le loro leggende, è comune. Ma i Cinesi hanno approfittato del loro numero e del loro potere per emarginare sempre piu’ i Ch’uan Miao, e a volte per cacciarli in altri paesi. Tracce evidenti di questo risentimento si incontrano nelle loro leggende.

Come è stato svolgere il lavoro di traduzione, che emozioni le ha lasciato il contatto con questa popolazione che sta in Cina, ma è diversa dai Cinesi? Prima della traduzione è stato necessario un vasto e difficile lavoro di scelta, anche a causa della condizione in cui la trasmissione orale ci ha trasmesso questi racconti. Ma una volta operata la scelta, tradurre questi racconti è stato come penetrare in un mondo meraviglioso, in cui l’insolito e il familiare s’incontrano ad ogni passo e mostrano la sostanziale unità del genere umano.

Se dovesse individuare 4 parole rappresentative dei “Canti e leggende dei Ch’una Miao” quali userebbe e perché? La prima: Unità del cosmo. La seconda: Unità fra le generazioni. La terza: Sapienza dei popoli tramandata dal folklore. La quarta: Lavoro e onestà fondamento della vita.

Martina Tonoli e i “Benefici dell’educazione ambientale”. Intervista a cura di Viviana Filippini

4 luglio 2024

Fa davvero bene vivere a diretto contatto con la natura? Quali sono i suoi effetti sull’essere umano? Quanto è importante conoscere la dimensione naturale che ci circonda? A dare risposta a queste e altre domande ci pensa la giovane psicologa Martina Tonoli nel libro “I benefici dell’educazione ambientale” edito da Angolazioni. Per saperne di più abbiamo parlato del libro con l’autrice.

Come è nata l’idea del libro? L’idea del libro nasce dall’esigenza di divulgare e rendere accessibili a tutti le informazioni e i risultati raccolti durante lo svolgimento della mia tesi magistrale in Psicologia per il Benessere. In quanto, durante la sua stesura mi sono resa conto nell’importanza delle informazioni raccolte e di quanto queste rese accessibili a tutti, possano aprire la mente a molte persone. Infatti, il libro parla dei benefici del contatto della natura che ogni singolo individuo può sperimentare su di sé. La natura ha straordinari effetti benefici a livello psico-fisico. Rigenera continuamente l’attenzione periferica e per questo migliora e prolunga la qualità dell’attenzione su di un compito. Perché non unire questi benefici con l’educazione? Se si inizia ad educare sin dai primi anni di vita i più piccoli alla cura della natura, a restare in contatto con essa, a preservarla, automaticamente ognuno di loro andrà a beneficiare di tutti questi straordinari effetti positivi. Inoltre, l’interazione con la natura sin dai primi anni di vita e l’introduzione dell’educazione al suo rispetto all’interno del programma scolastico predispone i soggetti alla salvaguardia e tutela di essa. Rousseau, Gandhi, Montessori e Dewey sostenevano che l’insegnamento attraverso l’esperienza diretta e il contatto possa collegare gli individui alla natura e plasmare la loro prospettiva morale nei confronti di essa.

Perché scrivere un libro dedicato all’educazione ambientale in un periodo storico dove la crisi climatica è sempre più presente? Il mio libro nasce proprio dal bisogno di sensibilizzare la popolazione sulla tematica della crisi climatica e rendere le persone consapevoli di quanto sia necessaria per noi la natura e il suo benessere per poi, di conseguenza, poterne godere anche noi. È forse proprio partendo dall’inserire i concetti di tutela e cura della natura all’interno dei contesti educativi che si può arginare questa problematica. In quanto, è dimostrato che durante i primi anni di scuola i bambini si plasmano in base a ciò che viene trasmesso loro, i valori che acquisiscono durante la prima infanzia rimarranno con loro per sempre. Dove più che nelle scuole è possibile inserire un’educazione traversale e comune a tutti? Io ho scelto di approfondire ed indagare gli effetti che l’educazione ambientale potrebbe apportare se inserita sin da subito nel contesto scolastico. Con un programma adeguato. Le scuole sono ritenute dei luoghi ideali per la realizzazione dei programmi che possano fornire un contatto continuo con l’ambiente naturale lungo tutto l’arco di crescita degli individui.


In che modo hai svolto le tue ricerche per dimostrare i benefici dell’educazione ambientale? La mia ricerca è una ricerca esplorativa qualitativa, innanzitutto ho raccolto più materiale possibile a livello bibliografico che andasse ad avvallare tutti i benefici della natura sull’uomo, oltre che verificare e raccogliere tutte le ricerche che già erano state realizzate, in precedenza, sul campo in merito a questa tematica. Successivamente, ho indagato in tre classi di prima elementare, in tre istituti statali differenti, anche per attività in relazione alla natura e spazi verdi esterni, i sentimenti, le percezioni e le nozioni dei bambini in relazione ad essa. Dai differenti programmi scolastici, alla differente sensibilità sulla tutela dell’ambiente naturale e del contesto scolastico, sono emersi risultati che sono andati a confermare le mie ipotesi. I bambini i quali hanno avuto la possibilità di avere maggior contatto con la natura si sentivano più vicini ad essa e più in dovere di proteggerla e tutelarla.

Cosa hai notato dal rapporto tra uomo e natura, quali sono i benefici, gli aspetti derivanti dal vivere un percorso di educazione in rapporto al mondo naturale? Vivere in contatto con la natura porta numerosi vantaggi psico-fisici. Abbassa il livello di cortisolo, ormone dello stress ed innalza il livello di ossitocina, ormone della felicità. Rallenta il battito cardiaco. La natura è un rigeneratore continuo dell’attenzione, migliora la concentrazione e le capacità cognitive, oltre che a sviluppare e sprigionare maggiore creatività. Le persone che vivono a contatto con la natura dimostrano livelli d’umore mediamente più alti, e minore possibilità di avere problemi cardiaci, ad esempio. Essendo la natura un elemento che dona ai soggetti benessere,automaticamente le persone si sentono innatamente spinte a tutelarla, a preservarla ed a mantenere questo contatto così benefico con essa.

Chi è il lettore ideale del tuo libro? Questo libro è volto a tutte le persone che lavorano e vivono in contesti educativi, può essere rivolto ad un insegnante come ad un genitore. Ma non solo, è per tutti quelli che si sentono vicini al mondo della natura, oppure che vogliono approfondire la sua tematica e il potere benefico che ha sul corpo e sulla mente dell’uomo.


Perché è importante recuperare il rapporto uomo natura nel percorso di educazione e farlo fin dalla scuola? Se non ci fosse la natura non ci saremmo nemmeno noi. Al giorno d’oggi siamo troppo concentrati sulle nostre attività, sui mille impegni e i mille problemi che ci si presentano ogni giorno. Ma non ci stiamo accorgendo di come stia soffrendo il mondo intorno a noi, ci stiamo dimenticando di cosa si prova a stare bene, a fermarsi e a godersi delle piccole cose della vita. Del calore del sole sulla nostra pelle, del rumore delle foglie che si muovono con il vento, della sensazione di distensione dei muscoli, immediati, nel vedere una distesa di prato verde. È importante ritornare a connetterci con la nostra linfa vitale, la natura, per poter ritornare a star bene. Ma per poterlo fare è necessario educare le nuove vite e rieducarci alla tutela della natura. Se si inizia a farlo sin dalla tenera età dei bambini, saranno essi stessi a continuare a mantenere e ricercare questo contatto benefico con tutto l’ambiente naturale e a preoccuparsi della sua tutela.

::La Via Francigena passo dopo passo. 2200 km da Canterbury a Roma, Alberto Foppa Vicenzini (Ugo Mursia, 2024) A cura di Viviana Filippini

18 giugno 2024

Tra i cammini che si possono affrontare a piedi, uno dei più noti è quello verso Santiago De Compostela. Nel nostro territorio italiano, abbiamo per esempio la Via Francigena, diventata la protagonista del libro “La Via Francigena passo dopo passo. 2200 km da Canterbury a Roma” , di Alberto Foppa Vicenzini. Da subito l’autore nato a Crema, mette in evidenza come il suo libro non vuole essere una guida, ma un condividere la sua esperienza personale di cammino con tutto quello che gli è capitato. Tanto è vero che il volume si apre con il capitolo “Istruzioni per l’uso” nel quale l’autore vuole fornire tutto quello che può essere utile al lettore-camminatore per affrontare la via Francigena che, con i suoi circa 2200 km, attraversa cinque Paesi, partendo da Canterbury (Regno Unito), passando per Francia, Svizzera, Italia, fino a Città del Vaticano. In reltà è possibile allungare poi il cammino con il prolungamento noto come Via Francigena del Sud, che si inoltra fino a Santa Maria di Leuca, in Puglia. Non solo, perché secondo Vicenzini oltre a conoscere la strada che si percorre è importante anche avere le idee un po’ chiare su chi sono gli abitanti lungo la via che si potrebbero incontrare, scoprendo i loro usi, costumi, tradizioni e anche molteplicità di lingue parlate. Altro aspetto interessante è il come l’autore è la preparazione al cammino, pensando al punto da dove partire, se da Dover o da Calais, ma anche il considerare il tempo in giorni per svolgere il tragitto (di solito dai tre ai tre mesi e mezzo) e quello atmosferico con i cambiamenti che si possono verificare di temperatura e condizioni meteorologiche, passando per esempio dalla zona pianeggiante a quella montuosa, dal sole alla pioggia. Tra le cose e i documenti da avere è fondamentale la credenziale, la quale certifica il passaggio nelle diverse stazioni della via Francigena e il fatto che si sta compiendo il cammino. Inoltre, uno dei suggerimenti di Vicenzini è che più che una preparazione specifica è importante che il corpo ad abituarsi alla camminata. Finita la parte di contestualizzazione e preparazione del e al cammino, Vicenzini parte con l’inizio di quello che è il suo vero e proprio diario del pellegrino del quale ci rende partecipi. Allora scopriamo che il percorso è un modo per fare nuove amicizie, per conoscere donne e uomini in cammino con le loro storie, ma anche per scoprire e apprezzare il paesaggio, grazie ad una mobilità lenta. Vero che fra le tante soddisfazioni ci sono, arrivano anche gli intoppi e i cosiddetti dolori del cammino che l’autore comunque affronta e supera. Tante sono le persone incontrate, ognuno con il proprio vissuto che è parte integrante del pellegrinaggio. Un aspetto curioso del quale il cremasco ci rende partecipi non sono solo gli acquazzoni, i venti o grandinate nelle quali si è imbattuto, ma anche il rito della lavanda dei piedi che ogni camminatore sperimenta come sulla via di Santiago anche sulla Francigena e, in questo caso, è tenuto dai volontari della Confraternita di San Jacopo a Radicofani, un Comune in provincia di Siena, in Toscana. Interessante anche l’ “Appendice” alla fine, dove l’autore descrive il peso di ogni singolo oggetto che ha portato con sé, che va dai vestiti, ai documenti, fino al kit pronto soccorso; per passare alla descrizione di ogni singola tappa dal Regno Unito, Francia, Svizzera fino all’Italia, indicando la località con i singoli chilometri. Il tutto accompagnato da un interessante QRcode che svela le immagini del cammino. “La Via Francigena passo dopo passo. 2200 km da Canterbury a Roma” di Alberto Foppa Vicenzini è un libro avvincente, profondamente umano che non solo racconta la Francigena, ma condivide con ogni lettore le esperienze, le emozioni che il cammino e gli incontri che si fanno durante esso, donano ad ogni pellegrino/lettore, il quale scopre la bellezza del camminare, del guardare, conoscere posti e persone nuove.

Alberto Foppa Vicenzini, nato nel 1976 a Crema, laureato in Informatica presso l’Università Statale di Milano, con un master in Management, lavora presso un’azienda globale di consulenza direzionale e si occupa della realizzazione di siti e-commerce. Amante della natura e delle passeggiate all’aria aperta, si è avvicinato ai viaggi a passo lento nel 2018 e ha percorso il Cammino di Santiago in Spagna, il Cammino d’Assisi e di San Benedetto in Italia; nel 2022 ha potuto realizzare il suo sogno: percorrere la Via Francigena da Canterbury a Roma.

Source: grazie allo studio di comunicazione 1A.

Valerio Vitantoni ci racconta “L’imperatrice Sissi a Madeira” (Mursia 2024) A cura di Viviana Filippini

11 giugno 2024

“L’imperatrice Sissi a Madeira” è il libro di Valerio Vitantoni, edito da Ugo Mursia Editore, nel quale l’autore affronta la figura della giovane imperatrice Sissi, dalla giovinezza introversa, alla vita alla Corte asburgica non proprio facile, fino alla malattia che la colpì verso il 1860 e che la mise a dura prova. Da lì, il viaggio, o forse più una fuga, a Madeira, in Portogallo, dove ci fu una vera e propria rinascita per la donna. A raccontarci qualche dettaglio in più sull’imperatrice l’autore Vitantoni.

Dove nasce la passione per la casa reale austrica e per la figura di Sissi? La mia passione per la figura storica dell’imperatrice Elisabetta d’Austria – il cui vero nomignolo era in realtà Sisi – nasce nel lontano 1998. Avevo appena dieci anni e ricorreva il centenario della sua tragica morte. I giornali erano pieni di articoli sulla leggendaria “principessa Sissi” e in televisione se ne parlava spesso, riproponendo i famosi film con Romy Schneider tanto leggendari come la vera sovrana austriaca. Al tempo uscì anche un cartone animato che stimolò ulteriormente la mia infantile curiosità. Inserendosi in un sempre crescente interesse, iniziai ad acquistare i primi libri sull’imperatrice scoprendo che il personaggio interpretato da Romy era molto diverso da quello reale, ma ancor più affascinante ed incredibilmente seducente. L’interesse crebbe negli anni e mi portò ad approfondire figure correlate con biografie sull’imperatore Francesco Giuseppe, sulla sorella di Elisabetta (la regina Maria Sofia del Regno delle Due Sicilie), sull’affascinante Ludwig II di Baviera… Potrei proseguire ad oltranza. La mia biblioteca “asburgica” conterà ormai più di duecento volumi tra biografie, romanzi, libri fotografici, saggi in lingua francese, inglese e tedesca riguardanti Elisabetta d’Austria e la sua famiglia. Con lo storico e giornalista Enrico Ercole, uno dei massimi esperti di storia asburgica e di Sisi che ci sono in Italia, ormai più di dieci anni fa aprimmo un forum online che ci portò a conoscere nuove persone che sono rimaste fra i nostri amici e con i quali si discuteva, anche animatamente, su tanti aspetti della vita di Sisi e della sua famiglia, suggerendoci vicendevolmente letture, film e quant’altro. Seguì poi un blog personale nel quale iniziai a scrivere delle mie passioni: non solo Sisi ma anche usi, costumi e tradizioni dell’Ottocento pure dell’arco alpino che sono un altro mio grande interesse. Seguì poi la creazione di un gruppo Facebook correlato al forum, con l’unico intento di far conoscere la vera “principessa Sissi”. Col tempo maturai l’idea di scrivere qualcosa di mio laddove l’editoria italiana risulta assai povera di approfondimenti aggiornati sulla figura di Sisi. Così ecco che nel 2018 ho pubblicato con Ugo Mursia Editore il mio primo saggio storico dedicato ai viaggi dell’imperatrice Elisabetta in Trentino Alto Adige. E la saga continua senza sosta.

Lei definisce Sissi un’imperatrice controcorrente, perché? Quando dico che Elisabetta fosse una donna affascinante e seducente, lo dico perché era una donna moderna, che aveva anticipato i tempi sotto moltissimi aspetti. La frase dello scrittore francese Paul Morand descrive assai bene questa modernità: “Elisabetta d’Austria è una donna di oggi, con tutte le sue qualità e i suoi difetti, entrata nel XIX secolo come chi sbaglia di porta”. Provò ad assolvere al ruolo di sovrana, di madre premurosa e di moglie affettuosa, come del resto doveva fare seguendo le regole dell’etichetta della Corte di Vienna che lei definirà più avanti come una “gabbia dorata”; purtroppo, lei che non aveva sicuramente la preparazione e l’indole per esser tutto ciò, non ebbe aiuto da nessuno. Si ammalò di depressione dopo la morte della prima figlia, dopo aver scoperto i tradimenti del marito e il contagio con una malattia venerea. Fuggì dall’Impero austriaco e quando tornò era un’altra donna: iniziò a pensare a se stessa prima d’ogni altra cosa, a coltivare il proprio benessere psico-fisico facendo attività fisiche d’ogni genere – dalla scherma alla palestra, passando per l’equitazione e il trekking. Si pensi che in tutte le sue residenze si era fatta installare una palestra con parallele ed anelli. Addirittura, dopo le sessioni di ginnastica, Elisabetta si faceva massaggiare da una propria cameriera, oppure dai massoterapisti più famosi del suo tempo. Curava molto la propria alimentazione e spesso alternava periodi in cui mangiava di più a periodi in cui mangiava molto meno, facendo diete anche bizzarre (in linea col suo secolo!) che purtroppo hanno portato alla creazione del mito d’una imperatrice anoressica (cosa che non è mai stata, altrimenti non sarebbe neppure arrivata a sessant’anni!). Nelle sue residenze aveva fatto collocare un water-closet all’inglese, primo di questa concezione nella conservatrice Corte di Vienna; addirittura fece mettere una vasca nella quale faceva il bagno ogni giorno, spesso si dice perfino nell’olio d’oliva o nel latte per mantenere la pelle idratata. Allo stesso modo si prendeva cura del viso con maschere e creme grasse assai idratanti, mentre di notte si dice che dormisse con dei panni umidi ai fianchi per mantenere il suo girovita sottilissimo, invidiato da tutte le donne del suo tempo. Aveva un vero e proprio culto per i capelli: si dice che li avesse lunghi sino al pavimento ed erano il suo vanto, ma anche il suo cruccio più grande. Li acconciava con mirabolanti pettinature che divennero molto di moda fra le dame dell’alta società.Fu una donna che viaggiò moltissimo in tutta Europa, soprattutto dopo la morte del figlio Rodolfo, visitando le località più à la mode dell’Ottocento. Frequentava la Riviera francese, le località termali dell’Impero austriaco e viaggiava per una sua sete di cultura attraverso la Grecia e le città dell’Egitto, della Turchia, del Marocco, della Spagna ecc… Non c’è forse un luogo in Europa dove l’imperatrice Sisi non abbia messo piede! Fu dunque un’icona sotto molti aspetti e se fosse vissuta nel nostro secolo sarebbe divenuta indubbiamente una influencer molto famosa.

Come fu per Sissi conciliare il suo carattere (vitale, aperto) con le esigenze della vita di corte austriaca? Innegabilmente fu molto difficile e anzi si dovette scontrare con le rigide regole che governavano ogni ambito della vita di una sovrana. Lei provò a fare di tutto, cercando di assolvere pienamente al ruolo che dovette ricoprire suo malgrado e almeno fino al 1860 (si era sposata nel 1854) fece del suo meglio per conciliare il suo essere vitale con l’aria compassata e vetusta della Corte. Almeno inizialmente portò una ventata di freschezza – per il cruccio di sua zia e suocera Sofia, assai tradizionalista – poiché aveva dei comportamenti non proprio consoni per una imperatrice: andava a fare spese in centro da sola, senza scorta, con una sola dama di compagnia; per le feste di Natale era lei stessa che preparava gli addobbi, gli alberi e i regali, ed era prodiga di doni e di affetto verso tutta la sua famiglia. Cercò di portare il suo spirito democratico anche nella politica del marito. Quest’ultimo è un aspetto del quale si parla molto poco, ma nei primi anni di matrimonio Elisabetta tentò di far attuare a Francesco Giuseppe una politica molto più liberale, poiché aveva compreso quanto l’assolutismo fosse la causa del malcontento dei sudditi (specialmente del Lombaro-Veneto). Per sua intercessione il marito concesse, ad esempio, l’amnistia a molti prigionieri politici durante i viaggi a Venezia e Milano; in seguito invece fu grazie a Sisi che si formò la duplice monarchia austro-ungarica.Tutto questo però fece storcere il naso alla Corte e agli aristocratici viennesi. Le critiche si sprecarono, sicché lei poi preferì mandare tutto al diavolo, favorendo la fuga agli eventi di rappresentanza per poter vivere pienamente la vita come voleva, senza sentire i giudizi di nessuno.

Come ha ricostruito questi viaggi, quali documenti ha utilizzato? Come detto, ho collezionato moltissimi libri su questo personaggio e sulle figure correlate che fecero parte della vita dell’imperatrice Elisabetta d’Austria. Al di là delle biografie in italiano, nel vasto panorama dell’editoria tedesca esistono tantissimi volumi su Sisi. Ne esistono di diversi editi moltissimi anni fa, spesso introvabili, con le lettere che il marito Francesco Giuseppe scrisse alla moglie. Sono state pubblicate ad esempio le missive del sovrano all’amica Katharina Schratt che sono fonte preziosa per scoprire gli spostamenti dell’imperatrice e conoscere i retroscena del rapporto tra Sisi e Franz. Si ritrova pure una edizione del diario della dama di compagnia Maria Festics, assai interessante e ricca di dettagli. In italiano, fortunatamente, sono stati pubblicati i memoriali della sua ultima dama di compagnia Irma Sztáray o della nipote Maria Larisch, ma anche il diario del suo lettore di greco Constantin Christomanos o quello della figlia prediletta, Maria Valeria.
Ecco, di solito la base per ricostruire i viaggi di Sisi è sempre questa, ma quello che non riportano questi libri si deve cercare nei giornali dell’epoca che sono una miniera d’oro di aneddoti, storielle e notizie curiose, che raramente vengono riportati nelle biografie. Grazie ai quotidiani digitalizzati dalla Biblioteca Nazionale Austriaca è dunque possibile ricostruire (quasi giorno per giorno) gli spostamenti dell’imperatrice d’Austria. Nel caso delle sue peregrinazioni sull’arcipelago di Madeira mi sono avvalso dell’aiuto della biblioteca locale che virtualmente mi ha inviato gli articoli dei giornali del XIX secolo riferiti al passaggio della sovrana austriaca a Funchal e dintorni.Ed è in questa maniera che, pian piano, ho avuto modo di riscoprire eventi mai narrati e di stilare un resoconto assai dettagliato sui viaggi di Sisi a Madeira – la stessa cosa la feci per i soggiorni dell’imperatrice in Trentino Alto Adige.

Qui si occupa dei ripetuti soggiorni di Sissi a Madeira, in Portogallo, per ragioni di salute, cosa rappresentò per lei quella località? Inizialmente Elisabetta raggiunse quest’arcipelago sperduto nell’Atlantico, così tanto lontano dall’Impero austriaco che pure aveva località di cura ben più alla moda e ben più attrezzate, per curare una presunta affezione polmonare. Si dice soffrì di tubercolosi, si temette addirittura la sua morte; tuttavia la ragione era ben diversa e assai meno nota. Seppur tormentata da una malattia, vera o presunta che fosse, a Madeira l’imperatrice scoprì per la prima volta cosa volessero dire i lussuosi viaggi per mare e ne rimase incantata; apprezzò la natura aspra e selvaggia dell’isola che suo cognato Massimiliano d’Asburgo (fratello dell’imperatore) le aveva descritto con tanto trasporto; gradì le sistemazioni modeste, i paeselli pittoreschi e i curiosi mezzi di trasporto dell’isola, con i carri trainati dai buoi o con le amache, e scoprì quanto le passeggiate sui monti o le cavalcate forsennate sulla spiaggia, così lontana da Vienna, la facessero sentire viva, felice e libera. Così, rasserenata nello spirito, Elisabetta guarì e conservò sempre un bellissimo ricordo dell’isola tanto da ritornavi dopo oltre trent’anni quando, affranta per la tragica scomparsa del figlio, ripercorrerà come Mater Dolorosa tutti quei luoghi nei quali era stata bene e che, come nel caso di Funchal, l’avevano curata nell’anima e nel corpo.

Che effetto ebbero i soggiorni a Madeira sul carattere di Sissi? Oltre all’effetto benefico sulla sua malattia, Elisabetta cambiò e comprese ben presto quanto ella valesse. A Vienna tutti la ossequiavano perché imperatrice, altrove tutti la apprezzavano non solo per il suo ruolo ma anche per la sua spontaneità, la freschezza e la cortesia che metteva sempre quando conversava con gli altri. A Vienna si sentiva giudicata da tutti: ogni suo gesto veniva criticato, malvisto, e la stessa Elisabetta era considerata solamente come una duchessina bavarese (del resto questo era effettivamente il suo titolo nobiliare, mai fu principessa). In altro luogo Sisi veniva invece apprezzata per i suoi modi ma anche per il suo fascino tanto leggendario. Lontana dalla capitale dell’Impero ella diveniva quasi un’altra persona. Celata dietro uno pseudonimo, sicura di non esser riconosciuta, si intratteneva addirittura a parlare amabilmente con i contadini, entrava nientemeno che in casa d’estranei che pure la trattavano con ogni riguardo pensandola una comune nobildonna in viaggio. La sua identità veniva scoperta solamente con la sua partenza, quando magari donava ingenti somme ai suoi ospiti. Così fu a Funchal. E quando capì quanto poteva fare da sola, con il suo carattere e la sua bellezza, tornò a Vienna sicura di sé, convinta di ciò che non voleva e di ciò che invece apprezzava, decisa di cambiare le carte in tavola alla Corte di Vienna. Forse non ci riuscì, ma da quel 1860 iniziò a far tutto di testa sua a scapito di suo marito, di sua suocera e dei suoi due figli.Il viaggio a Funchal fu dunque tappa fondamentale nella vita di Sisi e mi sono sempre chiesto del perché nessuno abbia mai deciso di scriverne un libro. Così ho pensato di farlo io.

Quanto c’è vero dell’imperatrice  Sissi che ci hanno fatto conoscere i film degli  anni ’50, ma anche quelli di più recente produzione, rispetto a quella reale? In un tripudio di serie televisive e film per il cinema dedicati all’imperatrice Elisabetta d’Austria, capita spesso di leggere che le ultime due fiction andate in onda su Canale5 e Netflix siano molto più vicine alla realtà di quanto invece fossero i film con Romy Schneider. Questi ultimi vengono ormai considerati prodotti di fantasia, esclusivamente zuccherosi, una fiaba ben lontana dalla realtà della vita della sovrana austriaca. Io però sono di avviso contrario. Ora, al di là del fatto che ogni epoca abbia il proprio stile ed il proprio prodotto cinematografico o televisivo, non voglio dilungarmi troppo nel narrare la genesi della trilogia (specificatamente tratta da un’operetta per il teatro dunque secondo uno linguaggio ben definito, in un’epoca ben precisa e con un intento dichiarato sin da principio), mi sento di dire che gli ultimi prodotti andati in onda siano un insulto alla Storia.La “Sissi” di Romy Schneider – ma anche quella di Cristiana Capotondi – è assai più vicina alla realtà di quanto invece lo siano le ultime produzioni. Per quanto possa esser a tratti stucchevole, almeno in questo caso la Storia viene rispettata: i personaggi vengono descritti assai meglio dal punto di vista biografico, se ne rispettano i caratteri (laddove le testimonianze, tante, ce li descrivono), si rispettano certe dinamiche, inventando sì episodi mai avvenuti ma che nulla tolgono o aggiungono all’aspetto generale di determinate figure storiche. Perché se si vuol creare un prodotto che racconta le vicende di una figura realmente esistita, non si possono inventare scene tipo la futura imperatrice d’Austria che si prende una dama di compagnia in un bordello. Men che meno si può dipingere il personaggio di Francesco Giuseppe come un despota che sin da principio vuol quasi violentare la cugina nel bosco dopo una rissa con degli ungheresi. Nei film con Romy Schneider si rispettano le regole e i tempi del XIX secolo, ma ci sono pure tutte le caratteristiche della vera Elisabetta: se ne descrive sin da subito (nel primo episodio) il carattere volitivo e anticonformista di una duchessa dal temperamento allegro, senza regole, disperazione della madre. Viene mostrata una giovinetta indomita, sin da subito contro l’etichetta e le regole la Corte. Dirà alla zia Sofia “Io voglio essere libera, non voglio costrizioni!” aggiungendo che la verità è il Vangelo di suo padre Max col quale va a caccia. Certo, il loro rapporto è edulcorato al massimo, così come quello con la moglie Ludovica – ma poco male. Fa parte della fiction, così come per altri personaggio o episodi inventati! Viene mostrato il lato melanconico della futura imperatrice d’Austria, l’incertezza nello sposare Francesco Giuseppe, la paura di lasciare la sua famiglia e il suo nido di Possenhofen e il timore di aver fatto un torto a sua sorella Elena. Nel secondo episodio viene mostrata tutta la sua intransigenza verso certe regole della Corte, i malumori e liti con la zia Sofia, vengono accennati tutti quelli che sono i suoi turbamenti interiori, il voler vivere la maternità come fece sua mamma Ludovica, la malinconia e la malattia che caratterizzano gli anni a venire e che vengono mostrati quasi velatamente nel terzo episodio. Particolari che non possono esser lasciati in secondo piano o non raccontati, perché la trilogia con Romy Schneider è anche questo e non solo zucchero inventato. Non dagli intenti puramente biografici sì, ma una Storia narrata secondo lo stile degli “Heimat-film”, che porta rispetto alla Storia stessa. Mentre le produzioni degli ultimi tempi sembrano voler discostarsi categoricamente dalla “Sissi” della Schneider, raccontando gli eventi con un occhio moderno, volendo mostrare a tutti i costi complotti e retroscena mai esistiti di orge, bordelli, liti con fratelli mai avvenute in certi termini. Almeno i film di Ernst Marischka avevano la decenza di rispettare quelli che erano usi, costumi e tradizioni del XIX secolo. Ormai queste cose sembrano quasi obsolete, minimamente considerate pur di fare un film attuale ed accattivante per le nuove generazioni, con scene di sesso ovunque – anche queste interamente decontestualizzate dell’epoca che si vuol narrare e che invece non sarebbero accadute con certe modalità. Nelle nuove produzioni manca proprio il rispetto per un’intera epoca, mentre nella trilogia con Romy Schneider questo c’è.

Quanto c’è ancora da raccontare sulla vita dell’imperatrice Sissi? Di Sissi è stato raccontato molto ed ogni anno esce sempre qualche romanzetto sulla vita di questa donna moderna ed emancipata. Sono state scritte tante biografie, molte pressoché identiche poiché come base comune hanno quella che tutti considerano la biografia di Sisi per antonomasia scritta da Brigitte Hamann. Tuttavia questo libro, che in Austria viene ormai considerato sorpassato in quanto scritto oltre quarant’anni fa, ha il difetto di aver apportato tante leggende nella vita dell’imperatrice che ormai anche chi non l’ha mai letta considera per vere. Fu lei che, ad esempio, per prima parlò dell’anoressia nervosa di Elisabetta, un aspetto che non corrisponde a verità. Però, da quando ha aperto il museo dedicato a Sisi nel palazzo imperiale di Vienna (col quale sono sempre in contatto, nel caso io abbia dei dubbi riguardo determinate cose), sono stati acquistati numerosi oggetti legati ad Elisabetta che gettano una luce diversa sulla sua esistenza. Così su di lei c’è ancora tanto da scrivere soprattutto in quest’ottica poiché, oltre alla leggenda, c’è anche molto altro e, poiché il suo mito sembra non voler mai tramontare, più che scrivere biografie è molto più stimolante andare ad approfondire dettagli meno conosciuti riguardanti i suoi viaggi in lungo e in largo per l’Europa.

In un nuovo adattamento cinematografico, che attrice vedrebbe nei panni di Sissi? Difficile fare il nome di un’attrice che possa interpretare l’imperatrice Elisabetta. Il suo volto era così tanto particolare che trovare una donna che possa somigliarle anche lontanamente è davvero un’impresa ardua. Oltretutto rendere un personaggio complesso come il suo, con un carattere volitivo, capriccioso, testardo ed incredibilmente cinico, è cosa assai complicata. Vero è che la somiglianza non è necessaria soprattutto se si guarda alla stessa Romy Schneider che, al di là delle acconciature, non ha nulla che possa ricondurre alla vera Sisi; tuttavia proprio lei vestirà di nuovo di Sisi nel film “Ludwig” di Luchino Visconti e proprio in questa produzione la sua interpretazione è talmente tanto esatta – forse anche un po’ a macchietta – che sembra quasi di vedere la vera imperatrice Elisabetta. Stessa cosa si può dire per l’attrice Marisa Mell, conosciuta soprattutto per il ruolo di Eva Kant nel film “Diabolik” diretto da Mario Bava nel 1968, che interpretò Sisi nel docu-film austriaco “Elisabeth – Kaiserin von Österreich” del 1972. Se proprio debbo fare un nome, penso sempre che l’attrice Rachel Weisz sia forse quella più adatta per vestire i panni di Sisi in una produzione che rispetti la storia e le vicende della sovrana austriaca. Ho sempre intravisto nel suo volto i tratti dell’imperatrice Elisabetta sin dai tempi del film “Agora”. Un’altra attrice nella quale ho intravisto i tratti di Sisi è Henriette Confurius che ho avuto modo di apprezzare nel film “Narciso e Boccadoro” di Stefan Ruzowitzky.

:: Trilby, George du Maurier, (Gallucci editore) A cura di Viviana Filippini

30 Maggio 2024

Arriva per la prima volta in Italia “Trilby” di George du  Maurier,  edito da Gallucci, un romanzo con protagonista una giovane, modella Trilby O’Ferrall, nella Parigi dell’Ottocento, che ebbe così tanto successo di pubblico da dare il via al mito della Bohème. Du Maurier è un cognome noto che rimanda a Daphne, scrittrice prolifica, nipote di George, la quale portò avanti con successo l’eredità della passione per la scrittura. George era nato artisticamente come pittore, passò poi all’illustrazione ma, costretto dalla mancanza di vista, optò per la scrittura. Di lui ci sono rimasti alcuni romanzi (tre) tra i quali “Trilby” che lo consacrò al successo.  La storia di Trilby è affasciante, la giovane modella vive nel quartiere Latino di Parigi, posa negli atelier degli artisti e con la sua bellezza riesce a conquistare tutti coloro che la incontrano. Tra di loro c’è Piccolo Billy (inglese come i suoi amici) che ne rimane ammaliato a tal punto da volerla sposare, anche perché pure Trilby lo ama. Purtroppo la vita di questi giovani artisti squattrinati alla ricerca del colpo di fortuna con la loro arte e della modella che tutti amano dipingere, si complica con l’arrivo del nemico di turno, pronto a fare di tutto pure di ostacolare la felicità altrui: Svengali. L’uomo è un violinista, suona il pianoforte, è un grande artista, ma il suo carattere prepotente e scorbutico è quello che gli impedisce di trovare l’adeguato successo a Parigi. Il cupo Svengali oltretutto è esperto di ipnosi, tanto da applicare sulla modella gli insegnamenti mesmerici (Mesmer medico tedesco vissuto tra il 1734 e il 1815) per guarirla da alcuni malanni che la affliggono. In realtà Svengali utilizzerà le sue competenze e astuzie per manipolare e plagiare Trilby  al fine di trasformarla in una grande cantante lirica (anche se lei non lo è), riuscendo a scovare in nella ragazza una voce meravigliosa. Il tutto solo per fare soldi. Questo atteggiamento meschino, velato dall’inganno, porterà il Piccolo Billy ad allontanarsi da Trilby, a vivere la sua vita lontano da quello che era, ed è, il suo amore e sarà proprio tale forza che riuscirà a riunire la coppia. Trilby agisce come un’ automa è sotto il completo controllo di Svengali, le azioni che compie non sono spontanee, ma indotte dal manipolatore che porta la ragazza a fare cose senza che lei non se ne renda conto. Il tutto  fino a quando un improvviso colpo di scena riunirà la coppia e vedrà la sconfitta di Svengali. Tutto sembra tornare alla normalità, ma gli imprevisti e l’abilità narrativa sono sempre dietro l’angolo tanto è vero che un ritratto del cupo violinista cambierà per sempre i piani di Trilby e del suo amore, il Piccolo Billy. “Trilby” è un romanzo avvincente, con colpi di scena inaspettati che ci regala un vero e proprio spaccato della vita nella Parigi ottocentesca. Allo stesso tempo  stesso tempo Geroge du Maurier pone però l’attenzione su alcuni temi attuali ieri e ancora oggi come la sete di potere e denaro; la manipolazione dell ’altro per trarne beneficio considerandolo più un oggetto che una persona con emozioni e sentimenti e quanto ambigui possono dimostrarsi gli esseri umani che nascondono dietro una maschera la loro vera natura, a volte buona, in altri casi (vedi Svengali) crudele e meschina, sempre pronta a sfruttare il prossimo per trarne beneficio. Traduzione Pierdomenico Baccalario.

George du Maurier era nato a Parigi nel 1834, il padre era francese e la madre inglese. Iniziò come pittore, passo poi all’illustrazione per la rivista satirica “Punch”. I seri problemi di visto lo portarono a dedicarsi alla scrittura di romanzi, ne realizzò tre, tra i quali Trilby, che lo consacrò al successo. George du Maurier morì a Londra nel 1896, era lo zio di Daphne du Maurier, anche lei scrittrice di successo.

Source: inviato dall’editore.