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:: Taiwan – L’isola nello scacchiere asiatico e mondiale di Giacomo Gabellini LAD Gruppo editoriale 2023 a cura di Giulietta Iannone

21 marzo 2024

Proprio quando l’Europa sta affrontando la più grave crisi dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi con tutte le incognite legate alla difficile composizione del conflitto tra Russia e Ucraina, che ormai si trascina da due lunghi anni e che da un momento all’altro può deflagrare in una imprevedibile escalation dalle conseguenze irreparabili, lasciamo per un attimo l’Europa, che a torto o a ragione non è il centro del mondo, per spostarci nell’Indo- Pacifico e analizzare forse il nuovo punto caldo del pianeta dove si giocheranno nei prossimi anni gli equilibri geostrategici mondiali. Parlo dell’isola di Taiwan con la sua capitale Taipei, isola posizionata a sole tre miglia nautiche dalla costa cinese, proprio di fronte al porto di Xiamen, nella provincia del Fujian e roccafòrte militare statunitense e baluardo della Cina non comunista. Dunque un’isola sentinella, con molte similitudini con la Cuba, a parti invertite, degli anni ’60. La Repubblica Popolare cinese non nasconde la sua volontà di riannetterla pacificamente al territorio cinese (come in tempi recenti è accaduto per Hong Kong e Macao) in conformità alla formula teorizzata da Deng Xiaoping di “un Paese, due sistemi”, gli Stati Uniti dal canto loro sono pronti a tutto per mantenerla come punto di appoggio per il controllo del Pacifico. Per cui è sicuramente di estremo interesse la lettura di Taiwan – L’isola nello scacchiere asiatico e mondiale dell’analista indipendente Giacomo Gabellini che con i suoi soliti acume e libertà di pensiero parte dall’analisi storica delle vicende che toccarono Taiwan per giungere, intrecciando i dati economici, politici e militari, a conclusioni personali e non prive di coerenza e originalità. I rapporti tra Washington e Pechino sono messi a fuoco e analizzati nel dettaglio, interessanti le pagine dedicate a Nixon e Kissinger e alla “diplomazia triangolare” culminata con la storica visita ufficiale a Pechino del presidente americano Nixon del febbraio del 1972 che diede l’avvio al riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese come stato sovrano e alla sua inclusione nelle Nazioni Unite (a scapito di Taiwan). Per la Cina Taiwan resta un affare interno cinese e tollera con molto fastidio le interferenze americane che si frappongono a questo, dai cinesi considerato inevitabile, ricongiungimento. Taiwan non ha solo una collocazione geostrategica unica, tanto da essere una vistosa spina nel fianco del colosso cinese, ma è di per sé una piccola potenza economica con centri all’avanguardia (soprattutto nel campo informatico) e capacità tecniche e scientifiche di prim’ordine. Stratega dell’avvicinamento se non dell’alleanza tra Stati Uniti e Repubblica Popolare cinese fu senz’altro Kissinger, abile tessitore di rapporti diplomatici, che comunque lasciò una porticina aperta con Taiwan negli accordi autorizzando il suo governo a rifornire l’isola di sistemi d’arma difensivi per pararsi le spalle da eventuali ripensamenti e gettando quel germe di incertezza che tuttora persiste e che il prof. Li Peng nella sua postfazione non esita a definire vera e propria interferenza statunitense negli affari interni cinesi stigmatizzando il suo ruolo attivo nell’ostacolare la riunificazione dell’isola con la Cina continentale. Il sostegno a Taiwan da parte degli Stati Uniti comunque non venne mai a mancare basti pensare che tra il 1950 e il 1962 gli Stati Uniti erogarono all’isola ben 4 miliardi di dollari di cui 1,5 destinati all’industrializzazione e 2,5 al rafforzamento dell’apparato militare. C’è da dire che ai vari richiami della Cina continentale a ricongiungersi con Pechino con tutte le concessioni del caso, Taipei ha sempre rispedito al mittente le proposte puntando al conseguimento di un’indipendenza anche formale da ottenere mediante l’istituzione di un nuovo Stato opportunamente “de-sinizzato”. Che non esistano rapporti di collaborazione tra Pechino e Taipei comunque non è esatto, basti pensare che le sinergie generate dalla complementarietà tra le strutture produttive taiwanesi e cinesi rendono in una prospettiva anche futura un apporto economico di tale entità che rende Taiwan irrinunciabile per la Cina continentale. Si arriverà mai a uno scontro diretto per il possesso dell’isola? Dio non voglia, un’invasione militare di Taiwan da parte cinese, seppur seguita anche a obiettive provocazioni statunitensi, segnerebbe una via di non ritorno con ripercussioni catastrofiche. Per ora il Dragone attende il momento opportuno per fare le sue mosse, sempre preferendo una via pacifica tra negoziati e sostegno popolare. Per ora la popolazione di Taiwan non sembra volerne sapere di un ricongiungimento con Pechino, ma le condizioni potrebbero cambiare, le alleanze rinsaldarsi e Washington accetterebbe di perdere Taiwan? Staremo a vedere nei giochi delle sfere di influenza che si verranno a creare nel Pacifico e avranno ripercussioni sul mondo intero. Insomma l’affare Taiwan non è così marginale come può sembrare, ma è al contrario da monitorare attentamente calibrando sviluppi e opportunità. Gabellini con il suo documentato saggio (ricca e aggiornata la bibliografia) getta una luce nella comprensione di queste dinamiche e lo fa con successo tanto da essere apprezzato e guadagnarsi la stima di un esperto dell’Istituto di ricerca di Taiwan dell’Università di Xiamen come il prof Li Peng che lo invita addirittura nella sua Università per confrontarsi con gli studiosi cinesi della maggiore e più nota istituzione accademica di ricerca su Taiwan tra le università cinesi.

Giacomo Gabellini (1985) è saggista e ricercatore specializzato in questioni economiche e geopolitiche, con all’attivo collaborazioni con diverse testate sia italiane che straniere, tra cui il centro studi Osservatorio Globalizzazione e il quotidiano cinese «Global Times». È autore dei volumi Ucraina. Una guerra per procura (Arianna, 2016), Israele. Geopolitica di una piccola grande potenza (Arianna, 2017), Weltpolitik. La continuità politica, economica e strategica della Germania (goWare, 2019), Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense (Mimesis, 2021) e Dottrina Monroe. Il predominio statunitense sull’emisfero occidentale (Diarkos, 2022). Vive a Terre Roveresche (PU).

:: Codice 93 di Olivier Norek (Rizzoli 2024) a cura di Patrizia Debicke

18 marzo 2024

Benvenuti nel dipartimento 93 dove insieme alla squadra di Coste dovrete scendere nei seminterrati e nelle cantine, e dove si può trovare di tutto, perché là spesso si nascondono i peggiori rifiuti dell’umanità. Una trama irresistibile quella di “Codice 93”, fatta di pagine su pagine in cui Olivier Norek mischiando tranquillamente crimine, corruzione e integrità morale ci presenta il suo capitano Coste, poliziotto straordinario alla testa della squadra Anticrimine di questa periferia delle periferie, bell’uomo, tosto, quarant’anni, con all’angolo della bocca una sigaretta sempre accesa. Una persona che pare fatta tutta d’un pezzo e invece si muove e opera sempre senza mai perdere la sua generosità e umanità.
Un ambiente duro, violento, il dipartimento in cui spalleggiato dalla sua eterogenea squadra di fedelissimi, deve darsi da fare e cavarsela Victor Coste. Quello di Seine-Sainte-Denis, uno dei tre distretti che costituiscono l’area periferica di Parigi giustamente noto per il suo tasso altissimo di criminalità. Zona malfamata , da paura, e affollata da una variegata fauna multicolore. Fare il poliziotto nella Seine-Saint-Denis, è un vero lavoraccio. Seine- Saint- Denis rappresenta infatti un oscuro agglomerato urbano fatto di orrendi e popolosi edifici, affollati da individui ai margini, insomma un quartiere spazzatura, dove morte e delinquenza dipendono solo dalla legge della strada.
Ragion per cui quando una telefonata alle quattro del mattino sveglia Victor Coste, può significare solo una cosa: qualcuno è stato ammazzato. E infatti a Coste ormai aduso a ogni violenza a prima vista in quell’alba gelida, sulla scena del delitto, si presenterà un assassinio come tanti altri con il cadavere di un gigante nero con addosso un maglione bianco e tre fori sanguinanti sul petto, rinvenuto nel capannone di un magazzino in disuso del canale dell’Ourcq. Il medico della polizia arrivato al volo, ne constaterà la morte: nessun segno vitale.
Ma stranamente, non risultando nessuna ferita in corrispondenza dei fori dei proiettili, il successivo raccapricciante evento, benché la vittima presenti tutti i segni di un decesso, farà diventare quello che pareva un omicidio, in un caso quasi da incubo. Il “morto” infatti si risveglierà mentre è già in atto l’autopsia, trasformando la morgue in un mostruoso e sanguinoso scenario dell’orrore. E solo il fatto che sia barbaramente evirato e imbottito di barbiturici magari per un regolamento di conti sta a dimostrare quale sia stata la causa di choc in grado di provocare la morte apparente.
L’ ex cadavere, trasferito d’urgenza in ospedale e piantonato dalla polizia, verrà identificato come tal Bébé Coulibaly, attualmente non ricercato ma con sulle spalle una corposa fedina penale.
La faccenda, proseguirà sulle orme del macabro cammino intrapreso all’inizio con la scoperta, a meno di ventiquattr’ore di distanza, dello scheletro carbonizzato di Frank Somoy, localizzato tramite il suo cellulare lasciato incastrato tra le costole in una casa disabitata di Rue des Acacias in cima alla collina di Prés Saint Gervais. Ritrovamento reso possibile dall’analisi del sangue sui fori di proiettile del maglione bianco indossato da Bébé che evidenziava il dna di un drogato, schedato dalle forze dell’ordine. Ma l’incubo continua: non ci sono tracce di incendio intorno al corpo di Somoy, neppure sulla sedia pieghevole di plastica sulla quale è stato sistemato. Evidentemente qualcuno l’ha ucciso altrove e poi portato là solo per farlo ritrovare.
Potrebbe mai trattarsi di un processo di “autocombustione”. Come in certi riti voodo o che altro… O invece c’è qualcuno che ha lanciato il guanto di sfida alle forze dell’ordine? E vuole metterle in ridicolo contringendole a impegnarsi in un’orrenda caccia al tesoro.
Un bella rogna anche perché i due delitti arricchiti da una, anzi due macabre messinscena e che rischiano di compromettere la credibilità delle indagini sono già arrivati chi sa come alle orecchie della stampa (una talpa?) e infiammando l’opinione pubblica stanno scatenando il caos mediatico. Eh già perché a conti fatti, finora il dipartimento di polizia di Seine-Saint-Denis non ci fa una bella figura. E se la cosa se non piace alla diretta superiore di Coste, la comandante Damiani, piace ancor meno al gran capo e al prefetto.
Insomma il capitano Victor Coste, dovrà prepararsi subito ad affrontare il peggio.
E tutta questa brutta storia si complicherà ulteriormente quando riceverà una lettera anonima che lo costringerà a ripescare un fascicolo in apparenza sparito dagli archivi della polizia . Brutta storia perché, proprio da questa prima lettera ricevuta, scaturirà la scoperta di tutta una serie di morti, probabilmente di “invisibili” della società, spariti o peggio affossati proprio da chi avrebbe dovuto indagare… Tramite l’operazione 93, una manovra di occultamento congegnata dai piani alti solo per il loro sporco interesse.
Alla prima lettera farà seguito una seconda… É mai possibile che esista un legame, tra questo fatto e i suoi due ultimi casi? Coste stenta a raccapezzarsi. E la strada da fare per arrivare a una soluzione sarà lunga difficile anche per un cambio della guardia nella sua squadra, anche se il nuovo acquisto ben presto allineato con il punto di vista e il modo di pensare dei compagni, dopo l’indispensabile rodaggio, saprà farsi valere e apprezzare da tutti. Interessanti al di là dell’indagine i rapporti personali e di calda umanità che vanno a crearsi tra i membri del gruppo….
Una difficile pista da seguire e che intriga anche perché per riuscire a inquadrare il colpevole, avviato a trasformarsi in un killer vendicatore, si dovrà persino arrivare a superare i limiti di ogni misura, oltre a quelli della tangenziale che divide Seine-Sainte-Denis dall’ arroganza parigina e spaziare senza riguardi nei giri cittadini più altolocati per poi spostarsi fino agli estremi limiti dei quartieri più miseri. Un confronto diretto tra gli sporchi interessi della Grande metropoli e la periferia. Insomma il capitano Coste e suoi dovranno riuscire in qualche modo a controllare una brutta storia. In una rete di perversione che non risparmia nessuno, e dove a fare le spese sono sempre i più deboli. E dove il male si confonde col bene a punto di non permettere più di capire quanto e cosa sia veramente sbagliato. E come giustamente scrive Olivier Norek ohimè : “Alcune vette sono troppo alte perché la giustizia si metta a fare l’alpinista”.
Scrittura facile, essenziale, immediata e coinvolgente quella di Norek che ci regala un altro bel polar come solo lui sembra poter fare, duro, intrigante e molto alla francese .

Oliver Norek è uno scrittore francese. Ha partecipato ai soccorsi umanitari durante la guerra nella ex Jugoslavia prima di entrare nella polizia giudiziaria, dove è rimasto per diciotto anni. È autore di romanzi polizieschi con il commissario Coste, tutti tra i primi posti delle classifiche francesi. Tra due mondi (Rizzoli 2018) è il suo primo libro pubblicato in Italia. Tradotti in 14 lingue, i libri di Norek hanno venduto due milioni di copie nel mondo, ottenendo numerosi premi letterari, tra cui il Prix “Le Point” du Polar Européen nel 2016, il Grand Prix des Lectrices de “Elle” nel 2017, il Prix Maison de la Presse, il Prix Relay e il Prix Babelio per Superficie.

:: Le spietate di Claudia Cravens (NN editore 2024) a cura di Fabio Orrico

18 marzo 2024

Il western, come sappiamo, vive di mitologemi inesauribili, situazioni e codici capaci di rigenerarsi pur restando riconoscibili. Certo, quanto detto vale per tutti i generi ma forse le grandi narrazioni sulla conquista dell’ovest poggiano su un apparato iconico che non ha precedenti, capace di porsi trasversalmente a molte forme dell’immaginario collettivo (quanto western c’è, per dire, nella saga di Star wars?). D’altra parte, proprio coloro i quali hanno dettato le regole hanno anche saputo trasgredirle. Penso, sul piano cinematografico, al ribaltamento visivo operato da John Ford nel miliare L’uomo che uccise Liberty Valance, in cui agli esterni della wilderness si sostituivano le pareti di un ristorante, il tracciato urbano e infine le sale rumorose della politica.

Un’operazione non dissimile viene tentata da Claudia Cravens nel suo romanzo d’esordio Le spietate (in originale Lucky red ma l’edizione italiana cerca, non senza ragioni, l’aggancio col classico contemporaneo di Eastwood Gli spietati): questa volta osserviamo l’epopea dell’ovest dalle finestre di una casa di tolleranza, topos non solo del western: a questo proposito, se volessimo continuare con le analogie cinema- letteratura, non potremmo non citare Maupassant. Se Boule de suif era il sottotesto di La diligenza per Lordsburg di Ernest Haycox poi tradotto in cinema da Ford nel suo celeberrimo Ombre rosse, qui potremmo fare riferimento a La maison Tellier, racconto maupassantiano che aveva al centro proprio un gruppo di prostitute raccontate nella quotidianità della loro casa d’appuntamenti. Cravens sceglie un bordello di alto profilo, ben frequentato perché sponsorizzato dalle autorità della città di Dodge city (altro luogo canonico, teatro tra le altre cose delle gesta di Wyatt Earp) come scena primaria per l’apprendistato di Bridget Shaughnessy, sedicenne dai capelli rossi, orfana forte solo della propria bellezza e intraprendenza. Dopo un incipit nel quale Cravens ci racconta la vita randagia di Bridget, vittima di un padre avventuriero destinato a fare una brutta fine, ecco che l’autrice fa reagire chimicamente il suo personaggio al contesto cittadino che la accoglie con inesorabile indifferenza dopo il suo vagare per lande desolate. Cosa può fare una ragazza sola per sbarcare il lunario se non usare i pochi mezzi sopra elencati? Lila e Kate, l’una più materna l’altra più brusca, entrambe maitresse del Buffalo Queen, riconoscono il potenziale di Bridget e la avviano sulla strada della prostituzione. Cravens non indulge nemmeno per un momento a cliché melodrammatici; caratteristica principale della sua protagonista è, pur nell’inesperienza e nella paura, la ferrea volontà di autodeterminazione. Su queste basi è leggibile anche il suo rapporto con i maschi. Bridget ha successo, piace ai frequentatori della casa, siano essi semplici cowboy o uomini d’affari ma soprattutto stringe un legame con il vicesceriffo Jim Bonney, personaggio che riserverà qualche sorpresa.

In linea con certe linee guida della narrativa contemporanea, il coté action viene garantito da un altro personaggio femminile, forse il più dirompente del romanzo: la cacciatrice di taglie Spartan Lee, carismatica e letale, capace di far breccia nel cuore di Bridget. Anche da questi brevi cenni di trama è facile capire come Cravens ribalti i valori formali in campo, declinando al femminile un genere che il luogo comune vuole eminentemente maschile (anche se ci sarebbero ragioni per obiettare e in quantità).

Le spietate è prima di tutto un romanzo di formazione e lo è nei suoi assunti ed esiti più tipici poi anche un romanzo d’azione svolto principalmente su un set unico ma non per questo sprovvisto di varietà e movimento. Le istituzioni concentrazionarie si prestano felicemente alla metafora e sono perfette per raccontare l’intero mettendone in scena solo una parte. In più abbiamo a che fare con il sesso e il desiderio. Bridget dimostra un talento innato nella gestione di queste inclinazioni ed è brava a capitalizzare dipendenze e vizi. Sono tematiche particolarmente fertili che Cravens riesce a trattare senza morbosità, con uno sguardo lucido e capace di far fruttare gli spunti narrativi che incontra. Ancora una volta torna alla ribalta il randagismo della cultura statunitense, la difficoltà ma anche la necessità di mettere radici (o il rifiuto, come dimostra la parabola di Spartan Lee), torna il Grande Carnevale Americano ben sintetizzato dalla scena dell’esecuzione pubblica così come da quella della festa di paese, luogo di sintesi e analogie terribili perché date praticamente per scontate nel loro rituale di aggregazione sociale. Le spietate dimostra una volta di più come un genere fondativo e ultraclassico possa resistere a scossoni e deragliamenti, tanto da capovolgerne le strutture consolidate, come una foto stampata al negativo. Traduzione di Serena Daniele.

Claudia Cravens è una scrittrice americana laureata in Letteratura al Bard College, e vive a New York. Le spietate è il suo romanzo d’esordio.

:: Un’intervista con Luigi Bonanate a cura di Giulietta Iannone

12 marzo 2024

L’uomo ha messo piede sulla Luna, ha scoperto la penicillina, ha inserito microchip nel cervello, ha creato l’Intelligenza Artificiale ma non è ancora riuscito a scoprire un modo per evitare la guerra. C’è andato vicino dopo la Caduta del Muro di Berlino ma è stata si può dire un’illusione, la fine della storia, con i suoi vecchi strumenti di governance, auspicata da Fukuyama non c’è stata, tanto meno la pax democratica. Come si spiega che esseri civilizzati e progrediti utilizzino ancora la guerra, come nell’antichità, come strumento di risoluzione delle controversie internazionali? Lei a questa domanda, in modo sintetico, che risposta si è dato?

Le guerre ci sono perché sono l’unico sistema, riconosciuto nei secoli e accettato da moralisti e da giuristi, per risolvere ciò che appare irresolubile, e che soltanto un certo strumento – tale è la guerra– ha la capacità di sciogliere. Verosimilmente si tratta anche di una modalità che promette di arrivare a una conclusione in modo più rapido: è ingenuo crederlo, ma tutti gli stati che si accingono a una guerra sono convinti che, tanto, la vinceranno. A parte che le cose vadano sovente in modo diverso, il grande errore che si compie avvicinandosi al “mistero” della guerra è di considerarla in se stessa, in quanto tale, come se fosse racchiusa in una trappola infinita e inarrestabile nel tempo. Ma le guerre non soltanto non scoppiano per caso, ma non nascono mai in un limbo nel quale sono tutte uguali, ma in un quadro politico-internazionale che le sostanzia. Si tratterà di conquiste territoriali o di ricerca di risorse naturali o di beni preziosi, eccetera. A Roma i inventò persino una guerra per la conquista delle donne. Desideri e passioni, preferenze e antipatie appartengono a tutti, così come tutti siamo capaci di usare violenza nei confronti deli altri, ma anche di sviluppare forme di coesistenza, di comprensione o di sopportazione.

In altri termini, siamo tutti capaci di fare del bene come il male. A decidere da quale parte penderà la nostra azione ( e/o quella dei governanti di tutti gli stati del mondo) sarà la cultura che ci siamo fatta, che non è altro che la formazione che abbiamo avuto, non uno per uno, ma tutti insieme, a partire dai pochi ma irrinunciabili principi generali che guideranno tutti noi a prendere decisioni di ordine collettivo e di valore universale.

Nel suo ultimo libro La guerra e il mondo, Carocci editore, sostiene che la guerra è un atto politico, decisa dalla politica, anzi più drammaticamente un fallimento della lotta politica. Ho trovato questa intuizione il fulcro del suo libro davvero illuminante. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, finita non dimentichiamo con due bombe atomiche sganciate sul Giappone, il desiderio, anzi la necessità di inventare strumenti atti al mantenimento della pace si è fatto impellente. L’ONU nelle piè aspirazioni di statisti e governanti avrebbe dovuto incarnare questo strumento. Perchè invece non c’è ancora riuscito? Pensa che in futuro riuscirà a essere un “governo” super partes con l’obbiettivo reale di mantenere la sicurezza mondiale? Pensa che raggiungeremo mai a questo stato di civiltà, senza scadere nell’autoritarismo e nella dittatura planetaria? Cosa ci si oppone?

Figli di Cicerone come siamo, pensiamo che quando una guerra scoppia il diritto universale debba tacere («inter arma silent leges»); ma poi, nipotini di Clausewitz, abbiamo ritenuto che la guerra non sia altro che la continuazione della politica con altri mezzi. In entrambi i casi, la politica non compare in gioco. E’ di fronte a questa tradizione che il ragionamento va ribaltato: la guerra che fa politica non è altro che lo strumento per la sua affermazione. Le guerre distinguono e separano vincitori da vinti, e trovarsi dall’una o dall’altra parte è un dato politico ben più che strategico. Gli stessi – pochi – successi dello spirito di pace che nei secoli si sono affermati e che più recentemente sono riusciti a dare vita a grandi istituzioni giuridiche pacifiche, sono derivati da azioni di carattere politico – ricerca dell’eguaglianza, giustizia, democratizzazione dei rapporti, prevenzione dei conflitti internazionali – che hanno trovato la loro via in termini di dibattiti e compromessi – sempre politica è! Ovvero, la pace non è impossibile ma dipende da una politica di pace. Nulla è necessitato in questo ambito, tutto è possibile. Ogni svolta discende dalla nostra capacità di fare buona politica.

Un’altra intuizione contenuta nel suo libro è il fatto che la guerra non è mai un atto irrazionale, un atto di follia. Anzi al contrario chi la dichiara ha sempre degli obbiettivi concreti da raggiungere e l’uso spregiudicato delle armi, sempre più tecnologiche, è sempre funzionale a degli obbiettivi strategici da perseguire con l’ottenimento della vittoria e dell’imposizione allo sconfitto delle proprie condizioni. Il sacrificio di vite umane, la sofferenza dei civili inermi, non addestrati a uccidere come i militari, è posto come inevitabile e forse spietatamente giudicato irrilevante contrapposto al nuovo sistema di cose che si verrebbe poi a creare terminata la guerra. Ci sono scienze che studiano la guerra, le scienze strategiche, e la salute mentale dei militari e dei governanti è monitorata continuamente. Dunque la guerra è frutto solo di pragmatismo e calcolo?

Mettiamo da parte, innanzi tutto, il vecchio pregiudizio secondo cui la semplice esistenza di armi e lo sviluppo di nuovi armamenti (dalle mascelle dei bisonti nella preistoria alle bombe termonucleari) abbiano qualche influenza sulla guerra: sono strumenti di vittoria e – quando non usate – paradossalmente diventano ben più che strumenti di difesa perché svolgono funzioni fondamentali di minaccia e di dissuasione. Per essere chiari, non è detto che se non si producessero più armi non si farebbero più guerre. E poi: se la guerra è (anche) politica, ovviamente sarà anche razionale: nessuno ha mai intrapreso una guerra senza buone speranze di vincerla. La guerra è una forma di estremismo: per evitare la sconfitta qualsiasi governante butterà in campo tutte le risorse di cui dispone, anche a costo di sacrificare vite umane e di causare – come sempre succede, in tutte le guerre – danni collaterali: bombardamenti su edifici civili, stermini etnici, anziani donne bambini brutalizzati, villaggi o risorse date alle fiamme (i cosiddetti danni collaterali)… In tutte le guerre della storia, antiche o recenti, ci sono stati, stupri, maltrattamenti, violenze di ogni genere. Il sacrificio di vittime umane non combattenti e non belligeranti è uno degli aspetti oggettivi dell’azione bellica. Non si può continuare a nobilitare la guerra nei suoi eroismi, nelle grandi battaglie, eccetera, perché essa è invece – e lo sappiamo bene tutti – la macchina della distruzione e della devastazione. Che la si possa considerare giusta o ingiusta è poi tutt’un’altra questione.

Due anni fa è scoppiata in modo conclamato la guerra tra due stati la Russia di Putin e la Ucraina di Zelensky, guerra che si trascinava a bassa intensità da diversi anni. Senza volere analizzare nello specifico il conflitto e le sue cause, anche remote, possiamo dire che la Russia ha visto minacciati i suoi confini e gli interessi delle popolazioni di lingua e cultura russa presenti sul territorio ucraino e ha letteralmente invaso quel paese per annettersi con la forza quei territori. L’Occidente non è stato a guardare e pur se l’Ucraina non faceva parte della NATO è intervenuta sostenendo economicamente e militarmente il paese invaso, senza dichiarare mai guerra formale allo stato russo. Insomma è una guerra combattuta per interposta persona. Sintetizzo in modo molto grossolano naturalmente, ma per chiederle una cosa molto semplice: dopo questa guerra il baricentro degli equilibri internazionali si è spostato definitivamente sempre più a Est? Putin con il suo solito pragmatismo camaleontico, sarà la Storia a giudicarlo, ha deciso di porsi con l’Oriente e la Cina, dimenticando le radici occidentali del paese sconfinato che governa. E’ corretta questa analisi? E’ un errore strategico secondo lei, a prescindere dalla considerazioni morali ed etiche?

La crisi nella quale ci dibattiamo oggigiorno era iniziata all’inizio del 2014, senza che nessun grande stato del mondo se ne fosse preoccupato. Di lì è discesa la nuova guerra del 2022, i cui danni sono immensi, non solo per quel che sta succedendo sul piano militare ma anche per il potenziale di trasformazione della politica internazionale del futuro che sprigiona. E dire che, nel caso specifico, l’ascesa al potere di Putin fin dall’inizio del nuovo millennio era stata osservata nel mondo come un qualche cosa di marginale e privo di pericolosità: la grande politica internazionale si stava occupando di ben altro, lasciava fare a personaggi che vanno da Putin a Kim Jong-un… e tanti altri., ritenuti insignificanti. L’Occidente si era richiuso nella torre d’avorio che si erano costruita, dopo la vittoria contro il comunismo internazionale, e che doveva garantirgli pace e democrazia. Ma come tutti i fiori delicati, se non li concimi, non li bagni e li trascuri, la democrazia incominciò a invecchiare e invece di crescere impallidisce e si avvizzisce tanto da renderci tutti indifferenti. E se qualche stato non voleva la democrazia, beh, in fondo, l’importante era che i nostri affari (rectius, la finanza capitalistica internazionale) continuassero a svilupparsi.

Il mondo del dopo-guerra fredda si è addormentato, ma il suo risveglio è stato tutt’altro che sereno e compiaciuto. Una specie di ritorno al passato scorre davanti ai nostri occhi, come un film.

E la guerra di Gaza indebolirà Israele? In che posizione si pone nel contesto internazionale e nell’evoluzione del processo di pace in Medio Oriente?

Due grandi guerre, almeno, ci hanno fatto facendo sentire le le trombe di battaglia. Non che fossero sole, Ucraina e Gaza, ma sconvolsero le abitudini acquisite, e ora assurgono a funzioni simboliche. Si pensava che la Russia sarebbe crollata sotto la sua stessa arretratezza – ma così non è stato. Si poteva ritenere che – seppure con alcuni gravissimi difetti – lo Stato di Israele sarebbe riuscito a contenere le proteste palestinesi – ma così non è stato.

Queste due drammatiche storie sono in un certo senso “inutili”, nelle dimensioni assunte, e restano comunque come la dimostrazione che le illusioni devono cadere, e che il mondo – per dirla alla buona e sinteticamente – ha bisogno di una grande rinascita culturale, rivolta alla spiegazione di come funzioni il mondo e di come lo si potrebbe rimettere in sesto (ma questi sono problemi troppo ampi per essere discussi alla breve). Il mio ultimo libro, Guerra e mondo, avrebbe o ha lo scopo di riscoprire le fondamenta della nostra compresenza in un solo e stesso mondo che non richiede necessariamente morte e violenza. Suggerirei che un buon punto di partenza sarebbe la denuncia dell’ignavia del mondo ricco, democratico e pacifico che aveva considerato i due casi – Ucraina, Gaza – come largamente insignificanti, di quelli che finiscono per aggiustarsi d soli…

La morte di Aleksej Anatol’evič Naval’nyj ha creato molta sensazione in Occidente, incarnava l’ideale di una Russia nuova, democratica, giovane, tesa a mantenere rapporti pacifici con l’Occidente. A prescindere da un giudizio politico della figura, forse anche marginale, di Naval’nyj accusato dai suoi detrattori di essere xenofobo, militarista e con tendenze neonaziste, lei che idea si è fatto di questo giovane uomo sicuramente coraggioso e idealista che ha pagato con la vita, ricordiamolo aveva solo 47 anni, il suo impegno politico? Avrebbe potuto rappresentare davvero una figura carismatica incarnante il futuro delle nuove generazioni della Russia? La sua morte cosa porterà a livello di immagine nei confronti di Putin? Alimenterà in Russia il dissenso, in prospettiva delle elezioni di marzo?

A Naval’nyj è successa la stessa cosa che era già successa non soltanto nella storia universale ma anche più specificamente nella Federazione Russa: Putin ha operato allo stesso modo in molti altri casi, che non suscitarono più che le solite proteste dei benpensanti occidentali, che andarono poi a sgonfiarsi con il passar del tempo.

Ma la vicenda umana di Naval’nyj è stupefacente se non addirittura incomprensibile: il suo ritorno in Russia dopo che era stato perseguitato dalla polizia segreta russa ha dell’inspiegabile. Come poté non capirlo e prevederlo? Evidentemente, però, Naval’nyj era consapevole dei rischi che correva. Possiamo dire che il suo comportamento sia stato eroico e ammirabile; ma nello stesso tempo dovremo ammettere – e l’avrebbe dovuto fare anche Naval’nyj – che il suo gesto non poteva appoggiarsi su un movimento di ribellione capace di paralizzare Putin o addirittura di cacciarlo dal potere.

Che tutto ciò sia successo non fa che aggiungere un po’ di preoccupazione per il futuro delle vicende umane, strette come paiono essere tra indifferenza e crudeltà. Non una bella notizia…

Grazie della sua disponibilità e come ultima domanda le chiederei se sta lavorando a nuovi testi o La guerra e il mondo è il suo ultimo libro. Grazie.

Spero di riuscire ancora a lavorare, anche se alla mia età tutto diventa più incerto, insicuro e complicato. Di più non so dire, anche se conosco i miei desideri e le mie intenzioni.

Torino 12 marzo 2024

:: Un’intervista con Dott. Tiziano Ciocchetti, analista militare indipendente a cura Giulietta Iannone

11 marzo 2024

Dopo due dolorosi anni di guerra lo scontro tra Russia e Ucraina sta volgendo inevitabilmente al termine.
Anche al Pentagono sanno che le perdite ucraine, nonostante il grande impegno nella loro guerra di liberazione, sono ingenti e gli aiuti internazionali iniziano a declinare. Dove si è spostato il fronte?
In che tempi stima la risoluzione del conflitto?

Attualmente, i due contendenti, si fronteggiano lungo una linea che va da sud, Odessa, fino a nord, poco distante dalla città di Belgorod. Dopo l’esaurirsi della controffensiva ucraina dello scorso maggio, l’iniziativa è in mano ai russi che stanno utilizzando le riserve.

Errori tattici sono stati commessi da entrambi gli schieramenti, quali sono i più significativi dell’esercito ucraino e di quello russo? L’esercito russo comunque avendo i canali di approvvigionamento dietro al fronte partiva inevitabilmente avvantaggiato, sicuramente questo ha contribuito all’andamento della guerra, è corretto?

Possiamo dire che gli errori di Kiev sono stati strategici. L’Ucraina costituisce uno stato cuscinetto, era impensabile che si prestasse ad alleanze con gli Stati Uniti senza che il Cremlino intervenisse. I russi hanno commesso degli errori tattici, ma dispongono di capacità produttive (nel campo degli armamenti) sconosciute a noi europei. Poi i grossi problemi nella logistica, all’inizio della guerra, sono stati in parte sanati. Ricordiamo che è solo grazie al fondamentale sostegno Occidentale che gli ucraini possono continuare a combattere.

Che probabilità reali ci sono che l’Ucraina di Zelensky ribalti la situazione e vinca la guerra con Mosca recuperando i territori perduti e i confini territoriali ante 2022? La completa dissoluzione dello stato ucraino come l’abbiamo conosciuto fino adesso, dalla fine della seconda guerra mondiale perlomeno, è il reale obiettivo di Mosca?

Non ne ha! Per Kiev ormai la guerra è perduta, c’è solo la strada della trattativa.
Il reale obiettivo di Mosca, ovvero le possibilità che ha, collima con la creazione di una zona cuscinetto lungo la sponda orientale del fiume Dnipro, altro non potrebbe fare.

Parliamo ora delle intercettazioni dei militari dell’Aeronautica tedesca diffuse dai media russi. Ma il personale militare non ha canali di sicurezza per le comunicazioni? Questa intercettazione è stata secondo lei fatta trapelare in modo strategico o c’è stata una reale falla nella sicurezza? Insomma ora Mosca può presentare all’ONU prove concrete di un coinvolgimento diretto di Germania e Gran Bretagna, paesi NATO, nella guerra in Ucraina. Che peso stima abbia questo fatto sull’andamento della guerra in termini di escalation ed estensione del conflitto?

L’Europa è coinvolta da due anni ormai. Con la fornitura di armamenti, con l’addestramento delle forze ucraine, con le sanzioni economiche. La Russia non aveva bisogno d’altro.

Se cade l’Ucraina, veramente credo che la Nato dovrà combattere con la Russia“. E’ quanto ha detto il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin. Macron in un suo discorso mette nel conto l’invio di truppe in Ucraina, stessa cosa la Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, che in un suo discorso invita a prepararsi alla guerra con la Russia. Le intercettazioni poi degli alti militari tedeschi, che tanto hanno impensierito Mosca, parlano di piani specifici per colpire il territorio russo. Se l’Ucraina viene sconfitta, la Nato farà davvero guerra alla Russia, secondo lei? O sono solo minacce per spingere Mosca ad accettare piani di pace più vantaggiosi per l’Ucraina, nonostante si trovi militarmente in vantaggio?

Si tratta di una favoletta. Prima del 24 febbraio del ’22 l’Europa aveva ottime relazioni con la Russia, per fare un esempio l’Italia aveva uno scambio nel settore alimentare pari a un miliardo di euro all’anno. Mosca non ha né i mezzi né la volontà, né tanto meno l’interesse di attaccare l’Europa occidentale. Si tratta del solito espediente di Washington finalizzato ad avvicinare ancora di più gli stati europei alla causa atlantica.

Il Rappresentante Speciale del Governo Cinese per gli Affari Eurasiatici, Li Hui, è giunto in tutta fretta a Kiev il 7 marzo 2024 per la seconda fase della sua missione diplomatica di ricerca di una soluzione politica alla crisi in Ucraina. Cosa ne pensa? Ha possibilità di riuscire? E’ possibile che il diplomatico cinese abbia proposto una resa tattica e l’avvio di negoziati di pace prima che la situazione precipiti destabilizzando ancora di più l’Ucraina, magari con la mediazione cinese?

Solo Washington può indurre l’Ucraina ad avviare negoziati con i russi.

Putin non vuole sedere a un tavolo delle trattative di pace con Zelensky. Ha una posizione in campo tale da poter pretendere davvero questa condizione? Le dimissioni di Zelensky e del suo governo, eventualmente, potrebbero essere una condizione per l’avvio di negoziati prima di una completa capitolazione ucraina?


Sicuramente potrebbero rappresentare un primo passo verso quella direzione.

Questa guerra è un reale scontro tra Occidente libero e Est del mondo autoritario? In gioco ci sono davvero le libertà fondamentali di noi occidentali come sostiene da tempo Washington?


In gioco c’è la supremazia americana sull’Europa.

A livello militare e di intelligence che vantaggi ha tratto la Cina dalla guerra in Ucraina?
Sicuramente l’Occidente non ha spiegato militarmente tutto il suo potenziale ma un indebolimento militare della Russia e di conseguenza anche degli USA fa gioco alla Cina?

Il potenziale occidentale esiste solo nella misura in cui gli americani lo vogliono esprimere. Non parlerei di un indebolimento militare degli americani, piuttosto parlerei di ulteriore perdita di credibilità.


Per alcuni bisogna solo aspettare novembre e con la possibile rielezione di Trump si potrà siglare finalmente il tanto sospirato trattato di pace con la Russia. E’ un reale scenario politico e militare?
Sempre che Zelensky non accetti la mediazione vaticana e issi una simbolica “bandiera bianca” ovvero dichiari la resa con l’onore delle armi e il sostegno nelle trattative di pace dell’Occidente magari con la promessa di entrare se non nella NATO, almeno nella Comunità europea. Anche questo è uno scenario possibile a breve, secondo lei?

Non darei eccessivi poteri al presidente americano. Zelensky è alla mercè degli americani, accetterà solo una decisione di Washington.


Grazie

Roma, 11 marzo 2024

:: L’ultimo pinguino delle Langhe di Orso Tosco (Rizzoli 2024) di Patrizia Debicke

9 marzo 2024

Orso Tosco si presenta con il suo personaggio che mi piace e mi diverte anche se non riesco ancora a inquadrarlo completamente. Però mi stuzzica e mi intriga. Intanto incuriosisce la “non incombenza” della sua strana e lontana famiglia: tutti bellissimi salvo lui, non adottato ma che il capriccio della genetica si è divertito a fabbricare regalandogli solo infelici caratteristiche fisiche. Alto, corpulento, con un corpo a forma di pera : le spalle un po’ curve e le braccia corte, sproporzionate quanto gli occhi minuscoli che quasi si perdono nel suo faccione arricchito dai baffi e normalmente seminascosto dal fumo della sua eterna pipa accesa. Ragion per cui il commissario Gualtiero Bova è soprannominato : il Pinguino. Peculiarità: melanconico?
Oddio mi sta lo stesso simpatico e simpatico è davvero anche perché, tanto per cominciare percepisco in lui velati, e forse neppure tanto, riferimenti all’humour manziniano di Schiavone, suggerito dal suo ricorrere a proibite voluttà di strane sostanze e dalla dominante presenza di Gilda Gildina, una bionda e conturbante bassotta a pelo lungo. Per non parlare del suo trasferimento punitivo, o meglio esilio mascherato da promozione, da Genova nelle Langhe, con ufficio a Mondovì e la stravagante e imperdibile composizione della sua nuova squadra poliziesca in loco vedi : Dott.a Lubatti, della scientifica, piccola pedante ma professionale, Cristiano Raviola il vice del Pinguino, mandrillesca fotocopia di Travolta, l’arguta e pensante giocatrice di rugby mancata Carla Telesca e l’ohimè non pensante invece Listeddu, unica dote riconosciuta: saper guidare. Per il Pinguino però non ci sono amici d’infanzia lasciati a casa, a Latte, frazione di Ventimiglia a pochi chilometri dalla frontiera francese, solo il mare e le nuotate. E neppure l’onnipresente fantasma di una moglie morta ammazzata , e invece un grande vero amore che giace da sei anni in coma in una clinica ligure … Ah sì, certo “ammazzata anche lei” e da chi?
Personaggio, il commissario Bova, pieno di contraddizioni: scettico ma sensibile, rustico ma attento, duro ma gentile, triste e inconsapevolmente buffo, con una eccezionale intelligenza che lo porta dove vuole . Ah dimenticavo, ma la cosa non guasta, è pure un po’ dislessico.
“Anche i lunedì speciali, quelli capaci di cambiare il corso di un’intera esistenza, iniziano come un giorno qualsiasi.”
E sarà una spiacevolissima esperienza quella che dovrà affrontare il ricchissimo e potente broker svizzero abitante a Cigliè, tale Rufus Blom quando, durante la sua corsa all’alba tra le colline delle Langhe in direzione dello Sbaranzo per smaltire gli stravizi della sera prima, si troverà davanti al cadavere sanguinante e nudo di una ragazza. E, come se non bastasse, sulle natiche della vittima l’assassino ha scritto col sangue un nome e un cognome, il suo Blom, e accanto ha disegnato una svastica. Oibò!!! Da gelare il sangue!
Un gran brutto fattaccio che da quel momento costringerà il commissario Bova, ovverosia il Pinguino, a calarsi in un’indagine con ben poche tracce a sua disposizione e tanti forse troppi interrogativi. Eh già perché in un posto dove tutti dovrebbero sapere tutto di tutti intanto pare che nessuno conosca l’identità della ragazza, e perché sia stata usata come orrenda lavagna di morte per una minaccia tracciata come messaggio minatorio verso il ricchissimo ex orfano signor Blom. Signor Blom oggi proprietario di terre e di castella di famiglia, solo frequentate da bambino ed ereditate dal nonno, che ha scelto il Piemonte per sposarsi a giorni con la bellissima e disinibita fidanzata Rose Bellamy. Strano no?
Va bene, andiamo avanti e infatti il Pinguino non si tira indietro. Si rimbocca le maniche e affiancato dalla fedele, quasi inseparabile bassotta Gilda, Gildina e in compagnia della sua pipa dovrà scavare bene e a fondo per riuscire a trovare il nome della vittima e quale sia il complicato e misterioso legame che la collega a Rufus Blom e alla sua famiglia, sulla quale sembra gravare un qualche lontano e terribile segreto.
Ma il primo brutale omicidio verrà seguito da altri, esecuzioni ordinate per celare tracce e colpe, per punire? Ma chi e per cosa? Chi è poi il burattinaio, come pare ci sia, che comanda e conduce il complicato piano fatale ? Chi si nasconde dietro l’ inimmaginabile e perverso gioco di scatole cinesi e complessi rinvii? Dietro un crimine in cui si materializza ogni aspetto più cupo e lurido della natura umana.
Una storia dura che tuttavia una Orso Tosco riesce a stemperare con abilità servendosi delle contraddizioni, di sciocche debolezze dei personaggi e dei tanti semiesilaranti difetti che affliggono sia i protagonisti che i comprimari.
Riuscirà il nostro Pinguino a scoprire la verità? Per forza, non ci piove! Ma proprio tutta tutta?
Una trama complicata che pur circonfusa da un’atmosfera di grande bellezza e rallegrata da profumi e sapori (imperdibile la descrizione della Gemma padrona della Trattoria Nisurin e del tavolo delle cibarie destinato al commissario Bova) ricostruisce un godibilissimo scenario in cui tuttavia molto spesso l’atmosfera si rabbuia virando su toni e contorni classici del noir.
Secondo grande protagonista della storia diventa poi il territorio delle Langhe con le sue affascinanti ambientazioni descritte con dovizia di particolari che si fanno avanti di prepotenza.
Dalle tante cose rimaste inspiegate si desume che potrebbe diventare una serialità. Vero?

Orso Tosco è scrittore, poeta e sceneggiatore. Per minimum fax ha pubblicato il romanzo Aspettando i Naufraghi (2018) e, insieme a Cosimo Argentina, Dall’inferno. Due reportage letterari (2021). Per Interno Poesia è uscita la sua raccolta Figure amate (2019). Vive a Ospedaletti, nel far west ligure.

:: La guerra e il mondo di Luigi Bonanate (Carocci Editore 2023) a cura di Giulietta Iannone

1 marzo 2024

Esisterà mai un mondo nuovo senza più guerre? A questa domanda sembra non ci sia risposta certa sebbene tra il 1985 e il 2005, ovvero tra la caduta del Muro di Berlino e l’attacco alle Torri Gemelle e l’inizio della grande crisi finanziaria questa speranza c’è stata, concreta, la creazione di un mondo nuovo, l’era della pax democratica che avrebbe abolito per sempre le guerre e le risoluzione delle crisi internazionali con l’uso della forza e delle armi. Ma così non fu: di guerre nel mondo ce ne sono numerose e di nuove continuano a scoppiare quasi ininterrottamente dalla recente guerra in Ucraina, scoppiata due anni fa, alla ancora più recente guerra di Gaza in Medio Oriente, che tra guerra, fame e malattie potrebbe uccidere oltre 85 mila palestinesi. La guerra è morte, orrore, distruzione, uccisione indiscriminata di civili, e più contenutamente di militari, non ci sono altre definizioni per definirla ed è un atto barbaro ma razionale e ponderato, una continuazione della politica con altri mezzi, e in questo sta tutto il suo potere deflagrante e non onostante tutto razionale. Che la guerra sia un atto politico, decisa dalla politica, è il fulcro del saggio La guerra e il mondo di Luigi Bonanate, Carocci Editore 2023. Chi pondera un atto di guerra si pone degli obbiettivi da raggiungere, che siano conquiste territoriali o il mero indebolimento del nemico, e li persegue ostinatamente finchè non li ottiene e può dirsi soddisfatto proclamando la sua vittoria. Così era nel passato, così è oggi con armi sempre più tecnologiche fino all’ultima incognita di un conflitto nucleare globale che non porrebbe ne sopravvissuti nè vincitori ma la semplice e definitiva estinzione del genere umano. Dopo due guerre mondiali sanguinose con i suoi milioni di morti la guerra moderna ha raggiunto stadi di evoluzione impensati e sembra non passare mai di moda. Perchè le guerre scoppiano, perchè si combattono, quando si raggiunge lo stato di sospensione del conflitto chiamato proditoriamente pace? Su queste domande si interroga il professore emerito Luigi Bonanate con la saggezza raggiunta dopo una vita impegnata a studiare e analizzare le Relazioni Internazionali nel suo svolgersi e nel suo esplicitarsi. La guerra sembra illuminare il mondo, ovvero sembra delineare i suoi processi di sviluppo a un prezzo altissimo e apparentemente anti economico. La guerra non brucia solo vite umane ma infrastrutture, armi costosissime, impedisce l’accumulo e la produzione di ricchezze e di beni, è insomma fatta per essere breve e risolutiva e invece contrariamente quando una guerra scoppia non si sa mai quando la diplomazia riprenderà il sopravvento e si tornerà a un tavolo delle trattative per la stila del trattato di pace. Le guerre si trascinano per anni, e sia vinti che vincitori alla fine sono più poveri di prima. E allora perchè continua ad essere uno strumento politico utilizzato nel mondo moderno? Non dovremmo aver raggiunto uno stadio di evoluzione, come specie umana, in cui questo mezzo antieconomico e intrinsecatamente immorale fosse definitivamente bandito? Il professore Bonanate studia la guerra e i motivi che la determinano per comprendere se mai questo sarà possibile e pur con tutta la buona volontà e il buon senso conclude che la guerra è politica, anzi è il fallimento della lotta politica. Perchè una sola cosa non è cambiata mai: la morte. La guerra è prova di debolezza, se non addirittura di incapacità e inferiorità. Ultimo progresso del genere umano sarà abolire la guerra, ma finora non c’è ancora stato.

Luigi Bonanate è professore emerito di Relazioni internazionali all’Università di Torino e socio dell’Accademia delle Scienze di Torino. Tra i suoi scritti, Etica e politica internazionale (Einaudi, 1992); I doveri degli stati (Laterza, 1994); Il terrorismo come prospettiva simbolica (Aragno, 2006).

:: Luna park assassino di Cristina Biolcati (Delos Digital 2024) di Patrizia Debicke

29 febbraio 2024

Un luna park. Luci, colori, rumori, grandi e piccini allegria. Un luogo magico e incantato, beh troppo spesso ohimè la letteratura e gialla e horror, cito a caso Stephen King e Léo Malet e tanta filmografia ci hanno insegnato che può trasformarsi in un pericoloso scenario di spaventosi delitti. E con tanti spettacolari esempi a cui rifarsi, Cristina Biolcati coglie anche lei al volo l’occasione con il suo Luna Park Assassino.
Si parte con la protagonista della sua storia, Bianca Damiani, ispettrice di polizia che ha accompagnato a fare un giro alle giostre di una sagra paesana l’adorata nipote quattordicenne Rebecca. Ma mentre la zia, si gode una birra fresca al chiosco, dopo aver lasciata salire la ragazzina sulla ruota, quella all’improvviso si ferma e anche dal basso si vede bene che il corpo di un ragazza dai lunghi capelli rossi evidentemente priva di sensi è reclinato di lato su uno dei vagoncini. Uno svenimento per la paura?
Ma è davvero così? Nossignori, perché l’ispettrice invece dovrà rendersi conto, servendosi intanto di una scala, di non trovarsi davanti a un banale malore ma a un efferato omicidio appena consumato. Qualcuno ha strangolato la vittima e poi ha bloccato la leva che serve a controllare l’ingranaggio. E a conti fatti tutta la faccenda si rivelerà persino molto peggio perché quella ragazza, tale Lucrezia Angi ventiquattrenne, è in realtà ben la terza vittima di un assassino. Un serial killer dunque? Nella fattispecie il killer che uccide nel Luna Park. Bisogna assolutamente scoprire presto e a ogni costo la sua identità e arrestarlo.
Ma ora, a parte il dover tranquillizzare la nipote e riportarla subito a casa, affrontando la lavata di testa e le recriminazioni della sorella gemella Vanessa per l’incoscienza di averla coinvolta, sommata alla precisa accusa di averla addirittura usata come esca, per Bianca Damiani comincerà una affannosa corsa contro il tempo. Perché in effetti la sua presenza quella sera al luna park non era stata del tutto casuale… Era o sperava di essere sulle tracce dell’assassino, ma l’ha mancato.
Non aveva valutato appieno la sua spregiudicata perversione, determinata a portare avanti a ogni costo una contorta spirale di crudeltà innestata dal più antico dei moventi… E ora? Certo l’ispettrice non è persona da arrendersi. Anzi, ora sa che bisogna allargare il raggio d’indagine e magari scavare a fondo nella personalità delle tre vittime. Insomma deve esserci per forza un qualcosa in grado di collegare quegli omicidi.
Tanto per cominciare bisogna andare a ripescare il bandolo della matassa e scoprire come e quando tutto possa aver avuto inizio? Poco male se per farlo e capire diventa necessario risalire nel tempo magari fino all’origine e addirittura determinare il momento preciso in cui per la prima volta sia accaduto qualcosa. Bianca dovrà individuare ogni labile traccia, barcamenandosi faticosamente in un intreccio che la costringe a una affannosa gimkana tra complicati intrighi lavorativi ma anche personali e familiari. Potrebbe trattarsi di un lontano fatto di sangue? Come riconoscere gli indizi che contano e gridano vendetta? Perché è da là che tutto si sospetta sia cominciato… Certo è che soltanto la scoperta di alcuni particolari consentirà agli inquirenti di trovare la chiave per sbloccare il segreto e fermare l’omicida.
La storia c’è, tiene e incuriosisce il lettore ma la prosa dell’autrice avrebbe tratto indubbio vantaggio da un linguaggio narrativo più semplice e meno ricercato nei vocaboli.

Cristina Biolcati : Ferrarese, vive a Padova. con Doppia promessa ha trionfato al GialloLuna NeroNotte 2023, racconto pubblicato sul Giallo Mondadori.. Collabora con alcune riviste digitali, tra cui MilanoNera, dove scrive recensioni di libri e articoli letterari. Per Delos Digital ha pubblicato il romanzo Le congetture di Bonelli e i racconti lunghi Se Robin Hood sapesse, Ciclamini al re, L’uomo di marmellata, Dove dormono le fate, Il suono delle sue ferite (quest’ultimo vincitore del Garfagnana in Giallo 2022, sezione Nero Digitale), Talia, la figlia del fabbricante di bambole, Una mano negli abissi, Come zombie al madame Tussauds e Là qualcuno è morto.

:: Liberi di scrivere Award quattordicesima edizione: i vincitori

26 febbraio 2024

Vince la quattordicesima edizione del Liberi di scrivere Award:

Stella di mare, di Piergiorgio Pulixi (Nero Rizzoli 2023)

Certi luoghi sono maledetti. E le persone che ci abitano condannate a un destino che non meritano. Lo sa bene Stella, diciassette anni, l’estate negli occhi e addosso l’esuberanza di chi è giovane. Tutti a Sant’Elia, un quartiere popolare di Cagliari affacciato sul mare, la conoscono, la desiderano e la invidiano: perché lei è splendida, impunita. Speciale. Ma un giorno in cui il maestrale infuria rabbioso, viene trovata morta su una spiaggia, il volto sfregiato come a cancellare la sua bellezza leggendaria. Stella era pronta a lasciarsi alle spalle i palazzoni di Sant’Elia, ma il destino, o meglio, un assassino, ha scritto diversamente il suo futuro. È un’indagine difficile, questa, in cui si moltiplicano i sospettati e le piste: il vicequestore Vito Strega, insieme alla sua squadra di ispettrici, dovrà districarsi nei segreti di un quartiere impenetrabile per la polizia. E, fin da subito, dovrà fare i conti con i fantasmi della gente del posto e anche con i propri, che sperava di aver sepolto per sempre e invece tornano ad affiorare più forti che mai. In questo noir in cui i personaggi, attraverso i loro chiaroscuri, prendono vita come in un’antica tragedia, Piergiorgio Pulixi indaga il senso più controverso della giustizia, fa breccia negli indelebili legami di sangue e interroga le colpe dei padri.

Piergiorgio Pulixi Nato a Cagliari nel 1982, vive a Londra. Ha pubblicato Perdas de Fogu (Edizioni E/O 2008), L’albero dei Microchip (Edizioni Ambiente 2009), Donne a perdere (Edizioni E/O 2010) e la serie poliziesca iniziata con Una brutta storia (Edizioni E/O 2012) e La notte delle pantere (Edizioni E/O 2014).

:: Il sentiero dei papaveri di Remo Bassini (Golem Edizioni) a cura di Paola Rambaldi

26 febbraio 2024

Remo Bassini – giornalista e blogger, ha finora pubblicato 16 libri con Fanucci, Fernandel, Newton Compton, Perdisa e altri editori, vincendo numerosi concorsi letterari.

“La mamma dolce della mia infanzia era stata cancellata da quella parola odiosa, “fidanzato”.

«Vieni qua, ometto, abbracciami» mi disse dopo che avevo trascorso la prima notte nella nuova casa di papà.

«Abbraccia il tuo fidanzato. Stanotte hai dormito con lui?» le domandai, impietrendola. Odiavo il suo nuovo marito o fidanzato che fosse, odiavo i suoi figli.”

Il sentiero dei papaveri è un romanzo pensato ai tempi di Facebook da quando per parlarci non abbiamo più bisogno di togliere il pigiama e uscire, visto che ci troviamo sui social a qualsiasi ora del giorno e della notte. Se una volta ci davamo appuntamento in un’osteria davanti a un piatto di maccheroni, ora ci raccontiamo anche senza vederci fisicamente, soprattutto dalla pandemia in poi. E forse nasce da qui, come moto di rivolta, l’ultimo libro di Remo Bassini ambientato in un anonimo paese di periferia dove tutti si conoscono per soprannome e si ritrovano al Bar del Capitano.

Il nostro protagonista, dodicenne, ancora non lo conosce.

È carnevale. Le strade sono disseminate di coriandoli ma lui non ci fa caso. Gli è appena crollato il mondo addosso. Fino al giorno prima si sentiva amato e felice. Quando sua madre veniva a prenderlo da scuola era la più bella di tutte, sempre elegante e sorridente. Suo padre invece non sorrideva quando era sparito per tre giorni senza dare notizie, al quarto era tornato per dirgli che la mamma li avrebbe lasciati per andare a convivere con un vedovo padre di due figli.

Quella notizia per il bambino è una mazzata.

Di colpo vede crollare tutte le sue certezze e si ammala. Comincia a soffrire di attacchi di panico e diventa rancoroso al punto da cancellare la madre e tutti i ricordi di un’infanzia felice.

Da quel momento niente sarà più come prima.

Diventa taciturno e si limita a raccogliere i pensieri in un quaderno.

Se da piccolo la madre è stata la sua luce, ora si concentra solo su suo padre.

Maturando pubblica anche un libro. Perché è convinto che se una storia non finisce sulla carta, che storia è? E sua madre saprà mai di quel libro? Cercherà più sue notizie? Saprà mai del suo disagio?

Crescendo continua a coltivare il suo isolamento e il Capitano si prende cura di lui. È un uomo anziano e saggio che vede quel che altri non vedono.

Quel giorno di carnevale lo accoglie nel suo bar. Un locale pulito e accogliente dove approdano tante persone e tante storie. L’ha visto spiare sua madre da lontano e intuisce i suoi bisogni. Gli offre uno dei suoi panini con la frittata e lo invita a tornare per presentargli gli altri strani clienti del suo bar. Gli anni passano e il ragazzo intraprende lavori che puntualmente abbandona per problemi di salute finendo col farsi mantenere dal padre. Alla morte della madre vengono convocati entrambi da un notaio per ereditare una bella cifra, ma loro, pur faticando a tirare avanti, orgogliosamente rifiutano.

Nel tempo il Capitano e la ricerca del sentiero dei papaveri resteranno i suoi punti di riferimento.

Un Capitano allevato in un convento con una misteriosa storia alle spalle e col culto del cibo sano. Un bar d’altri tempi lontano dai cellulari dove non c’è nemmeno la televisione. Il ritrovato gusto di ascoltare storie attorno a un camino mangiando cose buone e scoprendo i segreti di un visionario.

Un romanzo, diviso in quattro stagioni, che parla dell’importanza di silenzio e meditazione.

Una storia intrisa di tante storie e il gusto di Remo Bassini per i bar di un tempo, per la gente e per le storie nascoste dietro i conventi.

Remo Bassini nato a Cortona (Arezzo). Vive a Vercelli. Scrittore e giornalista ma nella sua vita ha fatto di tutto: operaio, portiere di notte, insegnante in carcere per 9 anni ha diretto il giornale storico di Vercelli La Sesia. Oggi dirige Infovercelli24 e ha un blog su Il Fatto quotidiano. Ha pubblicato con Fernandel, Mursia, Newton Compton, Perdisa, Fanucci e altri editori. Con Golem ha pubblicato Forse non morirò di giovedì (primo al Premio Internazionale Città di Cattolica nel 2021) e il giallo La Suora, ambientato tra Orta e la Valsesia.

:: Taccuino d’appunti sulla teoria delle ombre di Roberto Centazzo (Altre Voci 2024) a cura di Patrizia Debicke

24 febbraio 2024

“Nella sua Teoria Generale delle Ombre, pubblicata postuma, lo scrittore Renoir Vananne sostiene che il romanzo sia come un’immersione in apnea negli abissi dell’animo umano: ogni romanziere ha il suo limite oltre il quale non può scendere”.
Principale protagonista di “Taccuino d’appunti sulla teoria delle ombre” è il famoso scrittore Renoir Vananne, un ultrasessantenne imprigionato in un istituto psichiatrico criminale con l’infamante accusa di omicidio plurimo. Al medico, lo psichiatra, che deve valutare il suo stato mentale, spetta il compito di decidere se il paziente a lui affidato è un pazzo o un diabolico mentitore. Insomma un lucido e freddo assassino o un povero pazzo incapace di controllare i suoi gesti.
Lo scrittore , che con lo pseudonimo di Henry Malbe , riscuotendo grande e unanime successo, ha saputo narrare nei suoi romanzi tradotti in tutto il mondo le profondità della mente umana, pare ridotto oggi solo a poco più di una larva, un essere abulico privo di volontà che spesso rifiuta persino il cibo . Una vita non vita la sua, indifferente, governata dal quotidiano scandire dei farmaci e rotta solo dalla pittura. Lo scrittore ha smesso di scrivere infatti e ha cominciato a dipingere. Strani dipinti che raffigurano vuoti paesaggi nei quali si distinguano appena sdraiate, abbandonate a terra, alcune indistinte sagome . Non sono, non possono essere persone … Tutt’ al più delle ombre. Ombre indefinite… Magari rappresentative di un indicibile orrore. Hanno un particolare significato? Qualcosa di brutto e peggio spaventoso volutamente celato dalla sua mente?
Potrebbe trattarsi di deliri da attribuire a un comportamento schizofrenico? Il mistero attorno alla sua figura sembra solo destinato a intensificarsi.
Ma ciò che il medico, lo psichiatra incaricato di giudicarlo e di ricostruire per quanto possibile le motivazioni del suo operato, della terribile accusa che pesa su di lui e di cosa l’abbia portato a uccidere e i reconditi perché che possono aver motivato le sue azioni. Cos’è veramente accaduto?
E soprattutto ascoltando il paziente nel corso delle sedute provare a ricostruire la realtà, le effettive condizioni mentali dell’uomo che ha davanti sé. Vananne, è un pazzo o la sua è un diabolica messinscena per evitare la prigione? Qual è la verità?
Da ciò che comincia a sentire, Vananne è una persona, da quanto traspare dalle prime e poche aperture e confidenze personali, che è stata sempre incerta, solitaria per scelta e apparentemente per una insita e reale anaffettività. L’inquietante personalità di un uomo in perenne fuga da ogni responsabilità, solo disposto talvolta a lasciarsi trasportare come una foglia al vento? Sposo fuggitivo sull’altare, padre mancato, amante, truffatore, vigliacco, un ladro traditore in fuga. Tre donne, Lyeta, Charlotte ed Esmeralda in qualche modo, nel bene o nel male e in tempi leggermente diversi, a distanza e in altri scenari, hanno attraversato la sua vita, Uno sordido ladro Vananne salvato solo dalla compiacente copertura di un vecchio amico che gli doveva una favore. Una lunga e soddisfacente esperienza omosessuale che porta ad aprirsi a nuovi orizzonti, diverse mete e paesi … Avrebbe forse sperimentato di persona decadenti situazioni e casi particolari poi ampiamente descritti nei suoi libri con minuziosi dettagli. E dai suoi libri scaturisce il successo, il denaro, la ricchezza ma anche la spasmodica necessità di nascondersi, di non rivelare mai la sua vero identità, di garantirsi sempre e comunque l’anonimato. Un comportamente da bipolare? O sono provocatori atteggiamenti che rimandano piuttosto a una conclamata schizofrenia?
Uno strano comportamento che è riuscito alla fine solo attirare sulla sua testa riprovazione e condanna e, sconvolgendo gli instabili equilibri da lui artamente costruiti, provocare il dito di un passante puntato contro di lui, con l’accusa, la terribile accusa di omicidio formulata da un uomo convinto di aver assistito a un delitto…
Ma Vananne è un abilissimo simulatore o un pazzo? E cosa cerca, sconvolgendo e forse tentando persino a plagiarlo, di ottenere dal suo giudice? La condanna? L’assoluzione? Qualcosa che possa aiutarlo a trovare la pace e a perdonare se stesso?
Con Taccuino d’appunti sulla teoria delle ombre, Roberto Centazzo tratteggia una storia dai contorni decisamente sfumati, sempre in bilico fra realtà e finzione, un romanzo caratterizzato da riflessione e interiorità, in grado di far percepire ai lettori le emozioni dei vari interpreti della storia, soprattutto per quanto concerne la personalità di Vananne e quella quasi paternalisticamente acquiescente del suo psichiatra . A ogni capitolo si aprono nuove possibilità in un subdolo e voluto gioco di specchi che con momenti e dettagli particolari consente di vedere e non, fino alla conclusione della storia
Un deciso cambio di passo per Roberto Centazzo che, dimenticata per una volta la voluta levità delle sue serie, ci costringe a seguirlo nel più intimo buio di un sofferto noir psicologico che addentrandosi nei tenebrosi meandri della mente umana, non risparmia ai lettori episodi intensi e crudeli.

Roberto Centazzo, a sette anni decide che da grande avrebbe fatto lo scrittore. Laureato in Giurisprudenza all’Università di Genova, insegna per un paio di anni prima di arruolarsi in Polizia. La lunga esperienza come ispettore, prima alla Sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica e infine come Comandante del Posto Polfer di Savona, fa di lui uno dei più preparati autori noir. Da qualche anno si è ritirato a vivere in campagna dove cura l’orto e ama definirsi un coltivatore di storie. Tra le sue pubblicazioni più note ricordiamo la serie della Squadra speciale Minestrina in brodo (TEA e Gruppo GEDI, dal 2016), composta – ad oggi – da sei romanzi, e quella di Cala Marina (TEA, dal 2019), con tre volumi. Nel 2018 escono la fiaba Togliete i lupi dalle favole (Grappolo di libri), illustrata da Valeria Corciolani, e l’album musicale Mendicante del musicista Enrico Santacatterina, di cui scrive tutti i testi. Insieme all’autore televisivo Felice Rossello, scrive a quattro mani due opere teatrali: L’amore è un attico e L’importanza di essere Felice.

:: Annabella Abbondante – Il passato è una curiosa creatura di Barbara Perna (Giunti 2024) a cura di Patrizia Debicke

24 febbraio 2024

Con attacco quasi natalizio da manuale, che precede di poco un delitto, anche quello da manuale,
Barbara Perna dà il via al suo terzo serial con le avventure della sua morbida giudice Annabella Abbondante (cognome parlante come un tempo gli stemmi gentilizi .)
Dunque siamo a Pianveggio, paese di fantasia della provincia lucchese ma grandino visto che è dotato di tribunale, è in arrivo il Natale e ormai è diventata una tradizione che l’amica giornalista Alice, e il commisario Nicola Carnelutti aiutino Annabella a fare l’albero. Risultato: un amalgama variopinto, luminoso e incasinato, che offre spazio alla presenza di ogni persona importante della vita della padrona di casa, rappresentata da una diversa pallina colorata. Ci sono quella dei genitori, della sorella, degli amici più cari tra cui naturalmente anche Tano, il suo primo amore forse mai dimenticato, che aveva promesso una visita, ma non si fa vivo. Oddio sparire è sempre stata la sua specialità ma con i giorni che passano e nessuno, manco la famiglia, madre e padre, ha più avuto sue notizie, la faccenda di fa seria e un tantino preoccupante. Insomma Annabella sta in pensiero, soprattutto dopo che una donna, tale Rosaria de Stefano che pare quasi la sua gemella, è passata in tribunale a cercarla e a lasciarle un cellulare con una scheda prepagata e un foglio con il suo numero di telefono, pregandola di consegnare tutto a Tano. Ma quel benedetto uomo continua a latitare, nonostante che anche dalla prefettura di Napoli lo stiano cercando. E la faccenda morde talmente Annabella da spingerla a impegnarsi immediatamente per rintracciare la sua sosia . Lei dovrebbe essere ancora a Pianveggio, non ha lasciato indirizzo ma basta dare incarico a Paolo “Dolly”, il suo fido cancelliere, di setacciare hotel e locande…
Ecco e.. voila! Perché è evidente che Annabella Abbondante curiosa come una scimmia e lanciata su una pista come un segugio andrà subito a cacciarsi in un pasticcio grosso come una casa. Un pasticcio che la costringerà a impetrare l’aiuto di Ferruccio il PM fiorentino con il quale Annabella ha già intrecciato una relazione ancora in fieri per l’inquieta nostalgia di Tano e, per suo tramite ohimè anche l’aiuto, che sa già più peloso, del procuratore e vecchio compagno di liceo Sergio Massi delle Case. La faccenda va di fretta e infatti zac, con un colpo da teatro Barbara Perna ci ha già proiettati, mani e piedi, nel vivo dell’azione. Un’azione che fin dall’inizio si focalizzerà sulla drammatica sparizione di Tano, diciamo un protagonista o meglio un coprotagonista ‘invisibile”.
Intanto ci sarà una sua telefonata con un messaggio senza testo né firma e invece solo una poesia di Emily Dickinson che parla di Verità . E Annabella sa che quel messaggio può venire solo da lui. Intanto quel messaggio vuole dire che almeno sta bene ed è vivo. Ma anche, visto che la poesia parla di verità, che le chiede di cercarlo…
Quel messaggio quindi darà il via ad altri tanti e successivi, una catena o meglio una vera e propria caccia al tesoro, un susseguirsi di piccoli oscuri indizi per inviduare l’obiettivo. E la necessità di sbrogliare i tanti indovinelli da lui seminati per lei come Pollicino costringerà Annabella prima a farsi dare le ferie arretrate, poi a lasciare Pianveggio per Natale con per meta Piano di Sorrento, parte centrale della penisola sorrentina sulla costiera amalfitana, un paradisiaco scenario arricchito da un trionfo di colori e sapori, sulle tracce di Tano con per principale filo conduttore il loro comune passato. Perché solo lei pare sia in grado di sbrogliare il mistero celato nella sua scomparsa ma anche perché solo ritornando sulle tracce del passato, sarà in grado di sentirsi padrona di scegliere il suo presente, e darsi nuove possibilità. Un viaggio il suo dunque per tornare al passato, ma che le consentirà di guardare al futuro.
E quindi via verso Piano di Sorrento dove, anche a Natale , non pare sia inverno, dove Annabella è nata, dove vive ancora parte della sua meravigliosa e caoticamente avvolgente famiglia e dove anche Tano è nato e cresciuto. E dove l’attende perfettamente restaurata la sua vespa rossa, fedele compagna dei tempi delle superiori. Non le resta che salire in sella per riscoprire la magica ambientazione esibita dalla costiera sorrentina, con il Vesuvio sullo sfondo e i tornanti del promontorio di San Pancrazio. Ma Annabella non sarà sola perché anche i suoi amici, pur a distanza, non le faranno mai mancare il loro sostegno, con telefonate, videochiamate e messaggi e soprattutto, ci sarà il costante, affettuoso avanti e indietro di Ferruccio Landi, il PM di Firenze.
E ci sarà la sua famiglia con le fastose tavolate natalizie ricche di pietanze, al Limoneto, con gli inimitabili sapori dei piatti tipici della tradizione (non si possono descrivere tutte le squisitezze ma impossibile tacere la famosa pastiera della zia Prudenza).
Non solo perché tanti altri personaggi calcano la scena in questa terza avventura e più in particolare tutta un ventaglio di figure femminili.
Alle prime pagine incontreremo Rosalia, quasi una sosia di Annabella; poco dopo Perla Argirò, giornalista di spessore nazionale che colpisce Annabella e la costringe ad accettare uno scambio di idee. Poi la bella PM Gea Imposimato, sostituto procuratore a Massa Campana, che con il suo lavoro a fianco di Landi la farà un tantino ingelosire. Senza dimenticare Dolly 2, cugina di Paolo, il suo cancelliere al tribunale di Pianveggio, come lui valida e molto in gamba.
Ma tra tutte primeggia, anzi svetta, nonna Angela, che sa e conosce sua nipote meglio degli altri.
Un romanzo questo, Annabella Abbondante, il passato è una curiosa creatura, ben costruito, divertente e che mantiene sempre un vivace ritmo narrativo non scevro di continua suspence. Ormai conosciamo la nostra giudice civile morbida, prosperosa in lotta con i suoi riccioli ribelli schiva di una dieta che la vede perennemente sconfitta, caffè dipendente e inguaribile per la sua incontrollabile curiosità. Ma una colonna portante per la capacità di ridersi addosso, di percepire la verità e quindi saper andare a fondo nelle cose e per la sua “capa tosta” che la porta a non conoscere ostacoli. Come ci dà gusto ritrovare gran parte dei personaggi, già ben inquadrati nei precedenti romanzi ma forse meglio delineati, meno macchiettistici, insomma cresciuti e migliorati in questa nuova storia.
Una storia sempre movimentata, stuzzicante e intrigante benché a conti fatti stavolta si tratti soprattutto di un’indagine personale, ingrata, che andando a incrociare confini legati alla segretezza del paese, diventa più seria e pericolosa del solito, ma neppure stavolta Annabella, si tirerà mai indietro. Ragion per cui un bell’applauso brava alla sua autrice perché con questo romanzo, il terzo dedicato alla sua giudice per me, ha realizzato il migliore della serie.

Barbara Perna vive e lavora a Roma. Ci tiene a precisare che però lei è partenopea, nata a Napoli il 6.9.69 (avete letto bene). Il superamento del Concorso in Magistratura nel 1998 le ha brutalmente stroncato una (forse) brillante carriera come attrice teatrale comica. Ha svolto il ruolo di giudice tuttofare un po’ in giro per l’Italia ma il suo cuore è rimasto in Toscana nel piccolo Tribunale di Montepulciano dove ha lavorato per cinque anni prima di trasferirsi a Roma. Scrive per passione, lavora per dedizione, legge per autodifesa. E viaggia molto, soprattutto con la mente. Per Giunti ha esordito con il romanzo Annabella Abbondante. La verità non è una chimera (2021) pubblicando poi Annabella Abbondante. L’essenziale è invisibile agli occhi (2022) – vincitore del Premio NebbiaGialla 2023 – e Annabella Abbondante. Il passato è una curiosa creatura (2024).