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:: Un’intervista con Roberto Saporito, autore di Polimeri, a cura di Giulietta Iannone

6 giugno 2025

Bentornato Roberto su Liberi di scrivere e grazie di averci concesso questa nuova intervista. È appena uscito, per Cose Note, il tuo ultimo romanzo Polimeri, un romanzo breve molto particolare ce ne vuoi parlare? Come è nata l’idea di scriverlo?

Grazie a te, questo è sempre un bel posto dove stare. L’idea è nata dalla mia ossessione, mentre scrivo, del rapporto sottile tra realtà e finzione, uno dei miei “temi” preferiti e quindi ricorrenti, ma in questo caso portata all’estremo parlando di cinema e quindi di fiction per definizione.

Partiamo dal titolo, Polimeri, mi ha ricordato un romanzo: Il giorno della locusta di Nathanael West anch’esso una satira molto feroce sulla discarica emozionale che è l’effimero mondo del cinema dove tutto è di plastica. Hai letto quel romanzo? Ti è stato di ispirazione?

No, non ho letto quel romanzo e nel mio caso dato che l’espressione “materie plastiche” viene spesso usata come sinonimo di polimeri, questo è un libro sulle paure di plastica (quelle finte, dei film, della fiction, ma anche del romanzo) e sulle paure di vetro (quelle reali, quelle vere, quelle che fanno anche sanguinare).

Che altri romanzi o racconti ti hanno ispirato?

In verità l’ispirazione non è mai diretta, non penso mai a un libro in particolare o un autore, mi sembra che tutto arrivi direttamente dalla mia mente, però poi in effetti quello che leggiamo o vediamo in un modo o nell’altro ci influenza, ma per me non è mai premeditato, forse rileggendo quello che scrivo a posteriori mi vengono in mente riferimenti, tipo, in questo caso, la Los Angeles di Bret Easton Ellis o alcune situazioni e atmosfere alla David Lynch.

Parlaci della trama, come hai scelto il protagonista, a chi ti sei ispirato?

Il romanzo ha per protagonista un attore italo-americano intorno ai cinquant’anni di medio successo con la carriera in ascesa che passa dal girare una serie televisiva americana importante alla pubblicità del tonno in Italia, fino all’ambizioso progetto del remake, di produzione americana, e girato a New York al posto di Roma, del film “La grande bellezza” di Sorrentino.

Ambientato all’inizio in una Los Angeles dove accadono cose al limite del lynchiano (nel senso che sembra di essere in un film di David Lynch, come ti dicevo), dove un misterioso personaggio perseguita il protagonista senza nome della storia, dove accadano cose, per il protagonista, enigmatiche, inspiegabili, inquietanti, spaventose, e anche macabre, la storia poi si snoda tra New York, dove il protagonista incontra la figlia che non vede praticamente mai e con la quale ha un rapporto molto freddo e distaccato (forse perché separato dalla moglie, forse perché non è mai stato un padre presente), e Roma dove vive quando non è in giro per il mondo e dove farà la pubblicità per una famosa marca di tonno, lamentandosi che in Italia lo cercano solo per la pubblicità del tonno, appunto, mentre in America lo cercano per film da presentare ai Golden Globe, e, magari, alla notte degli Oscar, o per serie televisive blasonate (le serie, il nuovo vero cinema di oggi? La nuova vera letteratura, come diceva un mio amico editor?), a sottolineare come un tempo a Roma si facessero i film d’autore, mentre ora l’unica cosa importante sono diventati (solo) i soldi, e la loro velocità di realizzazione, dove il cinema non è più un faro (un esempio) per il mondo cinematografico ma un provinciale recinto di cinepanettoni, e pubblicità del tonno, appunto.

Il limite tra realtà e finzione è molto sottile, tutti nella vita recitiamo un ruolo, sociale, famigliare, lavorativo, politico. Improvvisiamo, recitiamo a soggetto, ci costruiamo un’identità fittizia da esibire al mondo. Il tuo personaggio quando per esempio cerca di fare il padre, recita come ci si immagina un padre debba essere. Come hai analizzato questo limite?

Penso che tutti chi più chi meno, recitiamo nella vita, magari senza neanche rendercene conto, dai rapporti personali giù giù fino a quelli lavorativi, nel libro il protagonista si sente disarmato nei confronti degli accadimenti della vita, assolutamente inadeguato nel rapporto con la figlia, e si difende recitando praticamente sempre, tentando di trasformarsi da “persona” introversa a “personaggio” estroverso, in fondo è un uomo che ha perso la capacità di distinguere il vero dal falso, il passato dal presente, e, in particolare, il personaggio dall’essere umano.

Un romanzo noir se vogliamo, perché metti sempre sfumature nere nelle tue storie? La vita è noir?

In verità a me le etichette non piacciono, quando mi chiedono cosa scrivo io rispondo semplicemente “narrativa letteraria”, che è un contenitore dove ci puoi mettere qualunque cosa dal noir (appunto) al romanzo esistenziale, dall’educazione sentimentale al romanzo di formazione, i generi, tutti, sono a disposizione di chi scrive, è una questione di dosaggio, ma in effetti mi piace parlare della parte “oscura” della vita, perché ne è parte fondamentale, tutti, nessuno escluso, in determinate circostanze possiamo fare qualunque cosa, anche la più spregevole. Mi piace però l’idea post-postmoderna (e qui in questa etichetta forse un po’ mi riconosco) che, dal momento che tutto è già stato detto, in scrittura tutto è permesso, come in “Polimeri” dove la storia viene raccontata alla prima persona singolare (io), alla seconda persona singolare (tu) e perfino alla prima persona plurale (noi) in una serie di capitoli dedicati agli anni Ottanta a New York.

Il tuo personaggio sta invecchiando ha superato i cinquanta e non è facile per lui sopravvivere in un mondo dove l’apparenza e l’aspetto fisico sono preponderanti. Non si devono avere cedimenti, le rughe e i capelli grigi sono quasi una condanna. Tu come stai affrontando il tempo che passa, ti senti a tuo agio nel tuo corpo che cambia?

In verità sì, al contrario del personaggio del mio romanzo che è ossessionato dal tempo che è passato, in questo momento mi sembra di essermi liberato da una sorta di giovinezza fittizia: mi sembra di essere stato giovane per troppo tempo, era ora di finirla, ma mentre per il personaggio del romanzo è un trauma, al limite del pensiero fisso, per me è una liberazione, appunto.

Roberto Saporito e il romanzo breve, che legame vi lega, è la tua forma ideale di racconto?

In verità non mi sono mai posto il problema della lunghezza, inizio a scrivere una storia e smetto di scriverla quando questa finisce di ossessionarmi e di solito il risultato, quando metto la parola fine, è un romanzo breve, ma non c’è premeditazione, succede e basta.

Potresti pubblicare coi maggiori editori italiani, e scegli sempre piccoli editori di nicchia, ti danno maggiore libertà? Preferisci non essere stritolato dal mainstream?

Ultimamente pubblico per editori che mi cercano, con gli ultimi due ho avuto l’onore e l’onere di inaugurare le loro collane di narrativa, e sì ho maggiore libertà e forse potrei pubblicare con una major, con tutto quello che ne comporta, ma dovrebbero darmi davvero tanti, ma tanti, soldi, e/o, completa libertà.

Come ultima domanda, ringraziandoti della disponibilità, vorrei chiederti a che nuovo progetto stai lavorando?

“Polimeri”, il mio nuovo romanzo, lo si può considerare il mio “piccolo” romanzo italo/americano, che potrei mettere in contrapposizione al prossimo (in lento, lentissimo, cantiere) che pomposamente, arbitrariamente e anche arrogantemente si può definire il mio “grande” romanzo italiano (forse anche per lunghezza, chissà), ed è la storia di uno scrittore italiano che da quando ha vinto il premio Strega (sei anni prima) non ha più scritto nulla e per sbloccarsi il suo editore lo fa invitare in una prestigiosa residenza per scrittori situata in un sontuoso palazzo del XVII secolo e qui incredibilmente comincia a scrivere un nuovo romanzo che diventa un testo parallelo alternando un capitolo alla seconda persona singolare (tu) dello scrittore ospite della residenza e un capitolo che è il romanzo che sta scrivendo alla prima persona singolare (io), la storia di un ricco avvocato che un giorno si sveglia e decide di cambiare vita, in un doppio livello narrativo di stampo postmoderno.

In pratica un libro (la realtà, o quantomeno una forma di?) con all’interno un altro libro in divenire (la finzione?).

E poi ci sono altri sette illustri scrittori ospiti della residenza che diventano un microcosmo di storie che fanno da corollario (da coro) alla storia dello scrittore protagonista.

Ma è anche un micro spaccato del mondo editoriale (un altro dei miei temi ricorrenti e preferiti) e delle sue astruse dinamiche.

:: Islanda di Nicolò Cesa (Morellini Editore 2025) a cura di Giulietta Iannone

4 giugno 2025

Tra il Circolo Polare Artico e l’Oceano Atlantico sorge l’Islanda,”la terra del fuoco e del ghiaccio”, un’isola meravigliosa fatta di vulcani, geyser, e ghiacciai. Meta turistica sempre più ambita in cui si possono ammirare il sole a mezzanotte e l’aurora boreale. Morellini Editore dedica una guida di Nicolò Cesa a questa nazione relativamente giovane. L’Islanda è stata infatti uno degli ultimi angoli del nostro pianeta a essere abitati. La sua scoperta avvenne fra l’VIII e il IX secolo ad opera di alcuni monaci irlandesi. Tra l’Ottocento e il 1050 i Vichinghi partendo dalla Norvegia la colonizzarono. La conversione al cristianesimo avvenne nel 999. Oggi l’Islanda è un paese in cui il mercato turistico ha un posto di rilievo sia per le sue bellezze naturali e paesagistiche che per il suo fervore culturale. Bella l’intervista a Pietro Biancardi editore Iperborea, casa editrice milanese che porta il lontano Nord in Italia. Tra le attrattive turistiche un posto di rilievo l’ha la cucina islandese, in cui la qualità e la freschezza delle carni e del pescato attirano sempre più turisti. Piatti tipici sono lo skyr, un formaggio fresco a base di latte, l’agnello, imperdibile la Kjotsupa, la zuppa di carne d’agnello e verdure. E la birra artigianale islandese, una delle più rinomate. Reykjavik è la capitale ed è conosciuta per la sua vivace vita notturna assieme a Akureyri, la seconda metropoli di Islanda. Famosi i fiordi dell’Ovest, ospitano le migliori piscine termali di tutto il paese. Chi ama il trekking, troverà poi sentieri spettacolari sia brevi che lunghi. Si consiglia di arrivare in Islanda via mare, con il traghetto, che salpa dal nord della Danimarca. Ricca di notizie e curiosità la guida fornisece informazioni aggiornate, indirizzi e numeri di telefono, oltre ai numeri per le emergenze e l’indirizzo dell’Ambasciata e del Consolato d’Islanda in Italia. L’elenco degli hotel e dei ristoranti dove prenotare è aggiornato e puntuale, come quello dei musei con orari di visita. Insomma l’Islanda è una meta turistica di prim’ordine dove tutto è pensato a misura di viaggiatore. E una volta visitata non è raro essere colpiti dal mal d’Islanda che ci spingerà a ritornare per saziare la nostalgia e la malinconia che resta dopo il primo viaggio.

Nicolò Cesa, sociologo di formazione e cosmopolita per necessità, ha girato l’Europa come busker e raggiunto Islanda e Fær Øer per la prima volta nel 2011, a bordo di un camper del 1981. Ha ideato e cura la rubrica HoboSapiens, per QCode Magazine. Nel 2015 ha curato la traccia La guerra è solo vittime per l’ONG Emergency, in occasione del centenario dell’inizio della Prima guerra mondiale. Negli anni ha pubblicato reportage per diverse riviste culturali e di viaggi. Trascorre il suo tempo tra l’Italia, la Serbia e tutti quei luoghi a un passo dal Circolo Polare Artico, tra cui l’Islanda, dove lavora come guida turistica. Collabora con l’Ente Nazionale del Turismo della Serbia. Per Morellini ha pubblicato Serbia (2018).

:: Polimeri di Roberto Saporito (Cose Note 2025) a cura di Giulietta Iannone

1 giugno 2025

[…] mi sembra di perdere tempo, mi sembra che non sia questa la vita vera, come recitare, mi sembra che la vita vera sia da un’altra parte […].

Roberto Saporito predilige la narrativa breve e con il suo nuovo romanzo Polimeri, edito da Cose Note Edizioni di Alba, ci da un nuovo saggio del suo poliedrico talento. In apparenza omaggio postmodernista, con venature noir, al cinema, in realtà in questo romanzo l’autore analizza e scandaglia il limite tra realtà e finzione e chi meglio dell’attore protagonista, rigorosamente senza nome, può incarnare questo duplice ruolo in cui la finzione sembra sempre più prepotentemente sovrapporsi alla realtà. Il protagonista, un attore italo-americano che ha superato la boa dei cinquat’anni, e sta sperimentando cosa significhi invecchiare nel mondo fittizio dell’industria dell’intrattenimento, è un figlio dell’Actors Studio, che ha fatto suo il metodo Stanislavskij, metodo che fa provare all’attore realmente le emozioni che è tenuto a portare sullo schermo o a teatro. Ha un ex moglie, una figlia, e una carriera in cui deve reinventarsi lasciando il ruolo dell’attor giovane, e belloccio, per quello dell’uomo di mezza età, che lo portano dal recitare in una serie televisiva americana importante ad accettare di girare uno spot pubblicitario per un tonno in Italia, umiliante ma ben redditizio, anzi dal compenso astronomico. Poi la fortuna gli arride di nuovo e si trova coinvolto in un progetto ambizioso quello del remake, di produzione americana, ma girato a New York al posto di Roma, del film La Grande Bellezza di Sorrentino. Tra Los Angeles, New York e Roma, il protagonista avrà anche a che fare con un misterioso personaggio che lo perseguita, si sa l’America è un posto pericoloso pieno di serial killer, può succedere di tutto andando anche solo al supermercato, dando venature noir alla storia e arricchendo anche di sfumature macabre un racconto, narrato in prima persona, denso di riflessioni intimistiche e di lezioni di vita. Qui niente è quello che sembra. Qui tutto è finto. Qui tutto è di plastica.

Roberto Saporito, prima di dedicarsi completamente alla scrittura, ha studiato giornalismo e diretto per trent’anni una galleria d’arte. È autore di numerosi romanzi e raccolte di racconti, tra cui Harley-Davidson (1996), Il rumore della terra che gira (2010), Generazione di perplessi (2011), Il caso editoriale dell’anno (2013), Come un film francese (2015), Respira (2017), Jazz, Rock, Venezia (2018), Come una barca sul cemento (2019), In nessun luogo (2022) e Figlio, fratello, marito, amico (2024). Suoi racconti sono apparsi in antologie e su autorevoli riviste letterarie. Ha tenuto una rubrica sul magazine Satisfiction.

:: Un’intervista con Tom Hofland, Il cannibale (Carbonio 2024, traduzione di Laura Pignatti) a cura di Giulietta Iannone

31 Maggio 2025

Benvenuto Tom su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa intervista. Sei laureato in Scrittura per lo Spettacolo, sei uno scrittore e un podcaster. Parlaci di te, raccontati ai tuoi lettori italiani.

Certamente! Abito a Rotterdam con mia moglie e due bimbi piccoli. Il mio primo romanzo è stato pubblicato nel 2017 e ho scritto in totale tre romanzi, una raccolta di racconti e una novella. Il mio terzo romanzo, Il cannibale, è stato ora pubblicato in Italia. Fin ora sono molto soddisfatto dell’accoglienza italiana. Gli Italiani sono lettori molto attenti ed è molto piacevole dialogare con loro. Spero che prima o poi vengano pubblicati in Italia altri miei lavori.

Il cannibale, che hai presentato al Salone del Libro di Torino quest’anno, è il tuo terzo romanzo. Parlaci di questo libro, a che tipo di lettori lo consiglieresti?

Lettori che amano la weird fiction, l’umorismo nero e una punta di horror apprezzerebbero sicuramente questo libro. I lettori ai quali, per esempio, piacciono i film di Yorgos Lanthimos (The lobster) o le serie televisive come Fargo, troveranno sicuramente degli elementi comuni.

Parlaci del protagonista, Lute, si ispira a persone che hai realmente conosciuto?

Lute è un manager in una grande azienda farmaceutica. È molto gentile con i suoi colleghi e vuole instaurare relazioni personali con loro. Ma vuole anche fare in modo che il suo capo sia soddisfatto. In realtà è poco coraggioso, soprattutto perché non vuole ferire altre persone. Persino se le persone sono crudeli o approfittano di lui. In tali aspetti del suo carattere mi riconosco un po’. Ma il personaggio naturalmente è anche basato sulle persone, molto numerose, che seguono ciecamente i comandi, senza riflettere.

Raccontaci un po’ della trama.

Lute lavora come manager responsabile della qualità in una grossa azienda farmaceutica. L’azienda viene rilevata da un investitore svizzero, che dichiara che il dipartimento di Lute è superfluo. Una pillola amara per Lute: non solo deve fare in modo che decine di fedeli colleghi se ne vadano, ma riceve anche il compito di convincerli a dare le dimissioni (in modo tale che l’azienda risparmi sui costi del licenziamento). Quando Lombard, un cacciatore di teste freelance, offre a Lute i suoi servizi, questi li accetta di cuore. Lombard si prende cura di far sparire i dipendenti ad uno ad uno e Lute può lavarsene le mani e considerarsi innocente. Quando iniziano a esserci le prime morti, si rende conto di aver fatto entrare una volpe nel pollaio.

Cosa lega Lute a Lombard? Raccontaci come si dipanano le dinamiche aziendali.

Lute ha ricevuto il compito di liberarsi dei suoi dipendenti. È troppo buono per praticare il mobbing con loro per spingerli a dimettersi. Ma non possiede abbastanza coraggio per opporsi al suo capo e prendersi le sue responsabilità nei confronti dei suoi dipendenti. Trova una via d’uscita ingaggiando Lombard. Lombard rappresenta la personificazione del ‘capitalismo religioso’, del quale facciamo parte tutti noi. Il credo sacro del capitalismo predica che gli affari sono più importanti del resto. Lombard non ha alcuna coscienza e non capisce che cosa ciò implichi per le persone. Lute spera di preservare la sua innocenza rendendo Lombard responsabile. Ma non può sfuggire alle sue responsabilità.

La trama ha venature horror?

Certamente. Ma la storia contiene anche elementi umoristici in modo tale da non renderla troppo pesante o dark. Le venature horror sono spesso allo stesso tempo delle assurdità.

Il mondo del lavoro è un mondo competitivo e molto spesso disumanizzato. Hai voluto fare una satira di queste dinamiche?

Assolutamente. Sono convinto che abbiamo vissuto nel capitalismo talmente a lungo da non vedere più alternative. Pensiamo che questa sia la nostra natura umana, che dobbiamo lavorare molto e dobbiamo comportarci in modo brutale nel mondo degli affari. Crediamo che il ‘profit over people’ sia sacro. Ma è stato tutto ideato. Dobbiamo ritrovare la nostra umanità. Questo è il messaggio che voglio comunicare con il mio libro. Ma è più difficile del previsto se ci sei dentro. Anche io a volte vengo spinto da un desiderio di successo professionale e ricchezza. Questo perché anche io sono cresciuto, come tanti altri, nel sistema capitalistico. È molto difficile, allora, vederla in modo diverso.

Grazie della tua disponibilità e gentilezza. Come ultima domanda ti chiederei di dirci qualcosa sui tuoi progetti futuri.

Ti ringrazio molto! Spero di poter venire più spesso in Italia per poter parlare con i lettori, e che questi possano entrare in contatto con il mio lavoro. Il mio prossimo lavoro sarà un romanzo di fantascienza sulla perdita del corpo umano, e sulla corporeità che ci rende esseri umani.

Traduzione a cura di Simona Castagnoli, che ringraziamo assieme al marito Wil. 

:: L’enigma del Fante di Cuori di Patrizia Debicke e Alessandra Ruspoli (Ali Ribelli Edizioni, 2025) a cura di Giulietta Iannone

27 aprile 2025

Nuova veste, (meglio impaginato, rivisitato), per L’enigma del Fante di cuori della coppia letteraria (sono madre e figlia) Patrizia Debicke e Alessandra Ruspoli, già edito nel 2020 per Delos digital (solo in edizione digitale). Questa volta potrete leggere invece anche la bella edizione in brossura, oltre all’ebook, grazie all’editore di Gaeta, Ali Ribelli che lo pubblica nella collana Intrecci. Un giallo storico, tipico feuilleton settecentesco, ricco di colpi di scena, intrighi, misteri e congiure, con una sontuosa ricostruzione storica che ricrea ambienti, costumi, atmosfere, in cui entrambe le autrici mettono del proprio e donano all’opera un sapore composito e ricco di suggestioni e sfumature. Si sa le lotte di potere alla morte di un monarca sono acerrime e sanguinose, oggi come ieri, qui siamo alla corte inglese nel XVIII secolo, e morta Anna di Gran Bretagna, ultima sovrana del casato cattolico degli Stuart, a succederle giunge in Inghilterra il protestante George Louis von Hannover, asceso al trono col nome di Giorgio I. La cattolicissima Spagna non è tanto contenta di questa scelta e preme perchè al più presto Giorgio I venga deposto. Alla congiura partecipano i quattro Fanti: il duca di Oxford, è il Fante di quadri, il duca di Bolingbroke il Fante di fiori, ma i pilastri della congiura sono i due Fanti segreti: quello di picche e quello di cuori. Ma Giorgio I ha un asso nella manica: Lord Donagall, consigliere del nuovo sovrano, che grazie al suo acume e al suo coraggio darà del filo da torcere ai congiurati. Un romanzo dunque ricco di avventure, attento alla ricostruzione storica, e denso di quel pathos che fa ricco il thriller storico. Se amate i gialli storici, con un pizzico di romanticismo, un romanzo da non perdere.

Patrizia Debicke van der Noot: romanzi, gialli, thriller, gialli storici e d’avventura, racconti. Critica letteraria e collaborazioni editoriali con: Milanonera, The Blog Around The Corner, Contorni di Noir, Writers Magazine Italia e Libro Guerriero. Romanzi gialli e storici: L’oro dei Medici, La gemma del cardinale, L’uomo dagli occhi glauchi, La Sentinella del Papa, La congiura di San Domenico, L’eredità medicea, Il segreto del Calice Fiammingo, Figlia di Re: un matrimonio per l’Italia. Conferenze storiche per il FAI, per gli Istituti Italiani di Cultura di Francia e Lussemburgo, per l’Università del Lussemburgo, per circoli letterari. Workshop di scrittura per scuole medie e superiori. Coordinatore e conduttore per il 10° e 12° Festival del Giallo di Pistoia.

Alessandra Ruspoli ha scritto per Capital, Modaviva, Uomo Harper’s Bazaar, Aqua. Ha pubblicato Dieci Piccoli Sette Nani, insieme a Lucio Nocentini, e racconti per diverse antologie. Ha curato organizzazione e Ufficio Stampa delle mostre L’Arcadia di Arnold Boecklin e Rodolphe Toepffer: Invito al viaggio e Invenzione del fumetto. Arredamento e Interior Design in campo alberghiero. Sommelier.

:: Per vincere il male. La lotta contro i demoni nel monachesimo antico di Anselm Grun (San Paolo Edizioni 2025) a cura di Giulietta Iannone

31 marzo 2025

Ispirandosi alla sapienza degli antichi monaci, l’autore presenta gli otto vizi capitali – impudicizia, crapula, cupidigia, tristezza, ira, accidia, avidità di gloria, superbia – messi in moto da altrettanti demoni oggi come nell’antichità, ai tempi dei combattimenti memorabili tra Sant’Antonio del deserto e Satana. La natura e le tecniche dei demoni, i mezzi e i metodi per combatterli anche alla luce della psicologia moderna, si presentano al lettore di oggi come una strada per crescere nella conoscenza di sé e nella potenza del bene e della fede.

Il tema del male non cessa di tormentarci, poiché il male sembra farla da padrone nel mondo, oggi come ieri. La psicologia spiega il male a partire dalla storia personale: cerca le cause del male guardando indietro, osservando ed elaborando le ferite del passato. I monaci antichi, invece, descrivono il male come qualcosa di presente, opera dei demoni; cercano di comprenderne strutture e modi di agire, per poterlo poi affrontare con successo nel presente. Le loro esperienze e i loro insegnamenti possono costituire uno stimolo ad affrontare la sfida del male, a osare la lotta ora senza ripiegarsi sul passato.

Anselm Grun affronta in questo libro il tema del male, e delle sue origini e di come opera e tormenta l’uomo. In questa lotta spirituale comunque l’uomo non è solo, il bene ha i suoi strumenti di lotta, la preghiera, i canti sacri, la fede, l’autocoscienza che si acquista venendo a patti con il passato, l’uomo insomma può raggiungere uno stadio in cui il male non può più operare in lui coi ricordi, le pulsioni, i desideri. Anselm Grun espone tutto ciò con estrema chiarezza partendo dalle lotte dei monaci con il male nel monachesimo antico per estrapolare lezioni di vita che servono anche oggi all’uomo contemporaneo.

Anselm Grün (1945) è un monaco benedettino dell’abbazia di Münsterscharzach. Dopo aver compiuto studi filosofici, teologici e di economia aziendale, dal 1977 per trentasei anni è stato “cellerario”, ossia responsabile finanziario e capo del personale dell’abbazia di Münsterschwarzach. Con numerose pubblicazioni e conferenze raggiunge milioni di persone in tutto il mondo. Apprezzato consigliere e guida spirituale, è attualmente tra gli autori cristiani più letti al mondo. Tra le pubblicazioni per le Edizioni San Paolo ricordiamo: La gioia dell’armonia (2005); La gioia della gratitudine (2005); La gioia dell’attenzione (2006); La gioia dell’incontro (2006); La gioia della salute (2007); La gioia di chi si contenta (2007); La gioia dell’amore (2007); La fede dei cristiani (2012); Lottare e amare (20155); Felicità beata (20152); Autostima e accettazione dell’ombra (20187); Regina e selvaggia (2018); La vera felicità (2019); L’arte di vivere dei Benedettini (2019); 75 domande sulla vita e sulla fede (2020); La piccola farmacia della cose che consolano (2020); Dimmi, zio Willi (con Andrea J. Larson, 2021); Per vincere il male (2025).

:: BRICS. Scacco Matto. L’ultima scelta: vivere o morire di Margherita Furlan, a cura di Giulietta Iannone

29 marzo 2025

Sentii parlare per la prima volta dei BRICS qualche anno fa, in una conversazione informale in cui si discutevano i nuovi equilibri mondiali e come l’Occidente sottovalutasse questo organismo nato per riunire le economie di alcuni paesi emergenti (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ai quali pian piano si sono uniti nuovi stati e altri si aggiungeranno. Che l’Occidente troppo concentrato su se stesso, troppo viziato da secoli di predominio ed egemonia, sottovalutasse la questione è anche plasticamente evidenziato dal fatto che a Kazan lo scorso ottobre al XVI vertice BRICS ci fosse un unico giornalista occidentale, Margherita Furlan, che ha raccolto le sue riflessioni in un libro BRICS. Scacco Matto. L’ultima scelta: vivere o morire, che consiglio sicuramente di leggere perchè è uno dei primi lavori disponibili tesi a cercare realmente di capire cosa siano i BRICS e in che maniera stiano cambiando la storia di questo nostro martoriato pianeta. A Kazan, dal 22 al 24 Ottobre 2024, si sono dunque riuniti i vertici delle principali economie emergenti per decidere una strategia comune, comunitaria oserei dire, per affrontare le sfide che ci prospetta il futuro. Non in un’ottica smaccatamente antioccidentale c’è da dire, sempre che questa deriva non prenda piede nei prossimi anni, per la miopia e l’arretratezza di chi non si sta accorgendo che il mondo sta cambiando, che la maggior parte delle risorse naturali si trovano in quella fetta di mondo, e che quei paesi ne stanno prendendo coscienza e si stanno organizzando di conseguenza. Nel vertice di Kazan si sono gettate le basi per una concreta rivoluzione copernicana sul piano geopolitico che permetta l’emergere di un Nuovo Mondo orbitante intorno agli stati aderenti ai BRICS, superando secoli di egemonia anglosassone, questo in sintesi dice Roberto Quaglia nella prefazione. Dunque il mondo è multimopare. Jalta non esiste più. Questa volta è ufficiale e alla luce del sole, dice Margherita Furlan mettendo a disposizione nel suo libro, dati, statistiche, e prospettive. E si evince che da fuori, forse meglio di noi, questi paesi ci osservino e scorgano le nostre principali debolezze, scorgano un Occidente relativistico, individualistico, materialistico, borghese, che ha rifiutato le tre grandi forze che ne hanno fatto lievitare l’esistenza spirituale: la cultura antica, il cristianesimo, l’intreccio di arte, letteratura, scienza e tecnica, condannandosi a una lenta o veloce, non si sa, decadenza. Che questa lezione ci arrivi dai nostri maggiori competitor economici è assai curioso, ed evidenza un tratto saliente: la Cina non sarà il solo competitor con cui avranno a che fare gli Stati Uniti, e mentre loro si alleano, cercano politiche comuni, in un’ottica democratica, noi ci disgreghiamo, gli Stati Uniti sembrano volere abbandonare l’Europa, definita parassitaria, e l’Europa non trova di meglio per difendere i suoi privilegi che un’anacronistica corsa agli armamenti. Tutto assai curioso, finirà che i singoli stati chiederanno di aderire ai BRICS. E non dubito che alcuni analisti ci abbiano fatto un pensierino davvero. Ma tornando al libro in questione, interessanti le riflessioni sul neoliberismo, e mentre noi rimpiangiamo il passato, a Kazan hanno progettato il futuro, diventando a tutti gli effetti un “laboratorio del futuro”. Non si sottovalutano le criticità e gli ostacoli, ma si cerca una strada comune per una coesistenza pacifica per la creazione di un Nuovo Ordine Mondiale che succederà al vecchio ormai in fase di decadenza. Tutto con cautela e senza un’opposizione netta e diretta. Sebbene nel libro viene descritta la dedollarizzazione nella pratica, per farci capire che fanno sul serio. E noi Occidente in decadenza cosa facciamo? che prospettive abbiamo? quali sono le nostre speranze?, per popolazioni sempre più anziane, in cui la denatalità è solo in parte compensata dalle migrazioni, in cui la transizione ecologica e la ricerca di nuove vie energetiche si fa sempre più difficoltosa, in cui crisi, disoccupazione, abbattimento del welfare, erodono i privilegi che per anni hanno caraterizzato il nostro tenore di vita? Non resta che la strada della cooperazione tra Stati Uniti e BRICS, è dunque sempre più necessario prenderne coscienza, prima del passo nucleare che non prevederebbe ritorno.

Margherita Furlan è giornalista, scrittrice, direttore editoriale de La Casa Del Sole TV. Si occupa principalmente di Russia e Medio Oriente. Già vice direttrice e co-fondatrice di Pandora TV, prima web tv italiana diretta dal noto giornalista Giulietto Chiesa. Sceglie di fare informazione per essere al servizio del bene comune. Perché non sappiamo più cosa realmente sta succedendo nel mondo, così come a casa nostra, e se non sappiamo dove siamo, non sapremo orientarci. Dai padroni universali. O da chiunque. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

:: Un’intervista con il Professore Francesco Anghelone, curatore assieme ad Andrea Ungari dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo a cura di Giulietta Iannone

10 marzo 2025

Buongiorno professore, lei è stato docente di Storia delle Relazioni internazionali alla Sapienza di Roma e da diversi anni cura la pubblicazione dell’Atlante geopolitico del Mediterraneo, giunto all’edizione 2024. “Il Mediterraneo ha sempre occupato un ruolo centrale nelle dinamiche geo­politiche globali, un crogiolo di civiltà che ha plasmato la storia, la cultura e le economie di ben tre continenti. Questa regione assume oggi una rilevan­za ancora maggiore, rappresentando il cuore di cruciali questioni geopolitiche, economiche e ambientali che influenzano direttamente e indirettamente il fu­turo di molte nazioni al di là delle sue coste” cito Paolo de Nardis nella prefazione dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2024. Il Mediterraneo mai come in questi anni si può dire sia un sorvegliato speciale. Perlomeno gli stati che si affacciano sulle sue sponde. Sebbene le previsioni sembrino voler far ritenere lo spostamento del baricentro geostrategico globale verso l’indopacifico, il Mediterraneo riveste ancora il suo ruolo di ponte per una composizione pacifica delle frizioni e criticità di questi anni?

R: Il Mar Mediterraneo si conferma un’area di cruciale importanza nelle dinamiche geopolitiche ed economiche internazionali, e tale centralità è destinata a perdurare nei prossimi anni. Pur rappresentando soltanto l’1% della superficie marina globale, il Mediterraneo riveste un ruolo di primo piano nel commercio marittimo mondiale. Secondo il Rapporto Italian Maritime Economy 2022 del Centro Studi SRM, attraverso questo bacino transita circa il 20% del traffico marittimo globale. Inoltre, il Mediterraneo è attraversato da circa il 27% delle rotte commerciali containerizzate e gestisce il 30% dei flussi di petrolio e gas, inclusi quelli trasportati tramite oleodotti, lungo le principali direttrici nord-sud ed est-ovest. Tuttavia, negli ultimi quindici anni, la regione mediterranea è stata teatro di numerose crisi che ne hanno compromesso la stabilità, tra cui il conflitto libico, la guerra in Siria e, più recentemente, l’inasprimento delle tensioni nel contesto israelo-palestinese. Questi eventi non solo hanno avuto ripercussioni socio-economiche significative sui paesi della sponda sud, ma hanno altresì inciso profondamente sugli interessi strategici dell’Europa, esponendone le vulnerabilità in termini di sicurezza e approvvigionamento energetico. In questo contesto, si rende necessaria un’azione più incisiva da parte dell’Unione Europea, al fine di riaffermare il proprio ruolo storico nella regione e contrastare l’influenza crescente di attori esterni con rilevanti interessi economici e strategici, in primis Cina e Russia. Un rinnovato protagonismo dell’UE nel Mediterraneo appare essenziale non solo per la stabilità dell’area, ma anche per la tutela degli equilibri geopolitici globali.

Alcuni analisti addirittura azzardano di rifondare l’Unione Europea in favore di un’unione dei paesi del Mediterraneo. Come valuta questa ipotesi?

R: L’ipotesi in questione appare altamente improbabile. Le recenti dinamiche della politica internazionale evidenziano in maniera inequivocabile come l’Unione Europea necessiti di un significativo rafforzamento della propria capacità di azione politica. Tuttavia, tale evoluzione risulta spesso ostacolata dalla diversità degli interessi nazionali dei suoi Stati membri, che ne limitano la coesione e l’efficacia decisionale. In questo contesto, l’idea di un’unione tra i paesi del Mediterraneo, o addirittura di un’integrazione tra l’UE e gli Stati della regione, si configura come un’ipotesi ancor meno realistica in termini di concreta fattibilità politica. Ciò che appare invece imprescindibile è la necessità per l’Europa di ricostruire un dialogo strutturato con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, ridefinendo le basi su cui si fondano le relazioni tra le due rive del bacino. Risulta evidente, infatti, che l’Unione Europea non rappresenta più l’unico interlocutore possibile per i paesi della regione, i quali hanno progressivamente diversificato le proprie partnership economiche e strategiche, in particolare con la Cina, per quanto concerne gli investimenti e il sostegno finanziario, e con la Russia, in termini di cooperazione in materia di sicurezza. Alla luce di tale scenario, appare imprescindibile adottare un approccio innovativo nei rapporti tra l’Europa e i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, basato sulla creazione di progetti di sviluppo condivisi e sulla convergenza di interessi strategici, tenendo conto delle specificità e delle priorità di ciascun attore regionale. Solo attraverso una politica fondata su cooperazione paritaria e obiettivi comuni, l’UE potrà ambire a esercitare un ruolo realmente incisivo nel contesto mediterraneo, contrastando al contempo l’influenza crescente di attori esterni alla regione.

La recente guerra in Ucraina ha destabilizzato l’Europa e l’Occidente tutto, rendendo necessaria la riorganizzazione di strutture politiche e militari come la NATO e l’Unione Europea, che mai come in questi frangenti stanno testando i limiti della loro tenuta. C’è speranza di riprendere una strada di cooperazione e sviluppo, della cui necessità hanno capito l’importanza, per esempio, i paesi aderenti ai BRICS, o ci avviamo verso una crescente militarizzazione penalizzando welfare, e benessere dei cittadini comunitari?

R: Il piano recentemente proposto dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, volto a rafforzare la difesa comune europea, avrà inevitabili ripercussioni sulla spesa pubblica, incidendo in particolare sulle risorse destinate al welfare nei paesi che decideranno di aderirvi. Tuttavia, l’attuale scenario geopolitico internazionale e la recente postura assunta dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, impongono all’Unione Europea un incremento significativo delle proprie spese per la sicurezza e la difesa. In un contesto globale caratterizzato dall’emergere e dal rafforzarsi di nuove potenze internazionali, l’UE non può più permettersi di delegare la propria sicurezza a soggetti esterni, come è avvenuto negli ultimi ottant’anni. Gli Stati Uniti, del resto, sollecitano da tempo l’Europa affinché aumenti il proprio impegno finanziario in materia di difesa, una richiesta motivata anche dalla necessità di concentrare le proprie risorse sulla crescente competizione strategica con la Cina nella regione del Pacifico. Tali pressioni non sono un fenomeno recente, ma risalgono almeno alla presidenza di Barack Obama, segnalando un cambiamento strutturale nella politica di sicurezza statunitense. L’Unione Europea, pertanto, non può ambire a essere un attore globale credibile né a tutelare efficacemente i propri interessi senza dimostrare una reale capacità di gestire in autonomia la propria sicurezza e difesa. L’attuale fase storica, segnata da profondi mutamenti negli equilibri internazionali, impone una rivalutazione delle priorità politiche e finanziarie dell’Europa, con un necessario bilanciamento tra esigenze di sicurezza e sostenibilità economica.

Sarà il Mar Nero il possibile casus belli di un ipotetico, e si spera remoto, scontro diretto tra Europa e Russia, che alcuni analisti russi addirittura fissano per il 2027 se non si perviene a una risoluzione diplomatica? È in previsione di questa eventualità che l’Europa sta serrando i suoi ranghi chiedendo agli stati membri, anche a costo di un pesante indebitamento, di investire maggiormente nella difesa? Studiando l’area approfonditamente in questi anni con il suo Centro di ricerca quali sono le criticità che ha evidenziato? E c’è ancora margine di trattativa per evitare uno scontro armato tra Europa e Russia, tenendo anche conto del disimpegno statunitense?

R: Le potenziali aree di tensione tra l’Unione Europea e la Federazione Russa si configurano come nodi strategici in un contesto internazionale complesso e in continua evoluzione. Un esempio emblematico è rappresentato dalla regione della Transnistria (Repubblica Moldava di Pridniestrov, PMR), un territorio separatista situato nella parte orientale della Moldavia, lungo il confine con l’Ucraina. La Transnistria si autoproclamò indipendente nel 1990, in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, ma non ha mai ottenuto riconoscimento ufficiale da parte della comunità internazionale, rimanendo, di fatto, annessa alla Moldavia ai sensi del diritto internazionale. Nonostante ciò, la presenza di truppe russe e il sostegno economico e politico offerto dalla Federazione Russa consolidano il ruolo di questo territorio come possibile fonte di instabilità regionale, fungendo da potenziale punto di contesa nelle relazioni tra l’UE e la Russia. Parallelamente, un’altra area di particolare interesse e criticità è costituita dalle Repubbliche Baltiche, dove la presenza di una significativa comunità russofona ha alimentato, nel corso degli anni, dibattiti interni ed esterni in merito all’identità nazionale e alla sicurezza regionale. Le dinamiche in queste aree sono ulteriormente complicate dall’evoluzione del contesto geopolitico, in cui la recente aggressione russa nei confronti dell’Ucraina ha acuito le preoccupazioni dei paesi confinanti. In risposta a tale scenario, paesi come la Svezia e la Finlandia hanno intrapreso percorsi di integrazione nell’alleanza atlantica, sottolineando l’urgenza di un rafforzamento dei meccanismi difensivi e della cooperazione militare all’interno dell’UE. La questione della sicurezza e della difesa europea, pertanto, assume una rilevanza strategica non solo dal punto di vista militare, ma anche in termini diplomatici. Una capacità difensiva insufficiente incide direttamente sulla credibilità dell’Europa come attore globale, limitando le possibilità di negoziazione e di equilibrio nei confronti di una superpotenza come la Russia. In tale prospettiva, il rafforzamento delle capacità militari e la costruzione di un assetto difensivo più robusto appaiono indispensabili per consentire all’UE di esercitare una politica estera autonoma e credibile, capace di tutelare efficacemente i propri interessi e quelli dei paesi membri. In conclusione, il rischio di conflitti armati e di escalation delle tensioni nel bacino eurasiatico impone alla comunità europea di investire nella costruzione di un sistema di sicurezza integrato e multilaterale, che sappia coniugare gli interessi economici, politici e strategici. Solo attraverso un rafforzamento sia militare che diplomatico l’Europa potrà ambire a stabilire un equilibrio di potere che riduca le possibilità di crisi e garantisca la stabilità nell’area, in un’epoca in cui l’emergere di nuove potenze e il riposizionamento degli attori internazionali rendono il panorama globale sempre più incerto e competitivo.

State lavorando all’Atlante del 2025, può anticiparci qualche linea guida del prossimo testo e quando si prevede la pubblicazione?      

R: Speriamo di vedere l’Atlante 2025 nelle librerie già nel mese di aprile. Stiamo concludendo il lavoro che, come ogni anno, è reso complesso dalla rapida evoluzione degli eventi nella regione. In questa edizione analizzeremo, come sempre, gli undici paesi della sponda sud del Mediterraneo, e proporremmo un’analisi delle politiche di Cina e Stati Uniti nel bacino. Non mancherà poi un approfondimento sulla caduta del regime di Assad e sugli effetti che ciò ha prodotto su alcuni paesi molto coinvolti nel dossier siriano.

:: Un’intervista con il Prof. Gaetano Colonna, sulla questione Ucraina e il futuro dell’Europa a cura di Giulietta Iannone

28 febbraio 2025

Grazie professore di averci concesso questa intervista che si ricollega a quella che ci ha concesso nel marzo del 2023. Parleremo sempre di Ucraina, e più nello specifico delle conseguenze di questa guerra per l’Europa e più in generale sui cambiamenti, repentini e per un certo verso imprevisti, sull’Ordine Mondiale. Inizierei con il fare un bilancio su questi ultimi tre anni di guerra, a partire dall’ingresso delle truppe russe in Ucraina nella cosiddetta “operazione militare speciale”.

Dunque nell’ottica di Mosca l’Ucraina come ex repubblica sovietica rientrava a pieno titolo nelle sfere di influenza della Russia. Dal punto di vista russo era dunque più che legittimo intervenire per riportare all’ordine una “repubblica ribelle“, troppo protesa verso l’Occidente?

Non credo si debba parlare di repubblica ribelle. La preoccupazione della Russia è nata dalla ripetutamente minacciata adesione dell’Ucraina alla NATO. Poi dagli accordi economici tra Unione Europea e Ucraina sullo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Ucraina: infatti, nel luglio 2021, l’allora vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič incontrò a Kiev il primo ministro ucraino Denys Shmyhal, per sottoscrivere il partenariato strategico sulle materie prime ucraine. Nel novembre 2021, ad esempio, la European Lithium Ltd. di Vienna (società di esplorazione e sfruttamento minerario) creava una joint venture con la Petro Consulting Llc (azienda ucraina basata a Kiev), che dal governo locale aveva ottenuto i permessi per estrarre il litio da due depositi (Shevchenkivske nel Donetsk e Dobra, nella regione di Kirovograd), vincendo la concorrenza della cinese Chengxin.

Uniamo a questo la discriminazione politico-culturale e la durissima repressione poliziesca attuate dall’Ucraina dal 2014 nelle are russofone orientali, che avevano provocato una situazione di conflitto civile, con migliaia di caduti, civili compresi: la Federazione Russa non poteva accettare quest’azione da parte del governo ucraino.

Questi tre elementi, uniti alle avventate affermazioni di Zelensky, alla Munich Security Conference (MSC) nel febbraio 2022, sulla sua volontà di cancellare gli accordi internazionali sulla denuclearizzazione dell’Ucraina, hanno spinto la Federazione Russa ad un’azione di forza che, come ho scritto su clarissa.it, non mirava all’invasione dell’Ucraina ma al rovesciamento di Zelensky ed alla sua sostituzione con un governo favorevole a Mosca: operazione fallita grazie, a mio avviso, ad una contromossa di deception (inganno) secondo me pilotata dai servizi di intelligence britannici – cosa al momento ovviamente non dimostrabile.

Trump, scavalcando l’Europa, e per chiudere al più presto questa guerra ha iniziato un canale diretto con Mosca. Abbiamo visto i colloqui di Riad, il voto congiunto con la Russia all’ONU, la firma di Zelensky sul trattato per la cessione delle terre rare come indennizzo dell’aiuto ricevuto (n.d.r l’accordo non è stato firmato dopo scontri verbali nella Sala Ovale). Tutto sta evolvendo molto rapidamente verso un cessate il fuoco, una tregua e l’inizio dei trattati di pace. Una pace “imposta” dagli Stati Uniti con queste modalità, ha speranza di essere duratura? Che scenari si aprono per il futuro?

Lo scenario è quello che caratterizza la storia europea dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Stati Uniti e Russia hanno di fatto dominato la storia del continente. Il crollo dell’Unione Sovietica ha messo in momentanea crisi la Russia, crisi di cui l’Occidente atlantico ha creduto di poter approfittare, allargandosi fino ai confini della Russia. Trump non sta facendo altro che provare a ricostituire il condominio USA – Russia in Europa, con la speranza di staccare la Russia dalla Cina.

L’Unione Europea sta dimostrando di essere quello che è sempre stata: un’entità nata ad opera di un gruppo di tecnocrati e finanzieri, che hanno concepito un progetto di natura economica, privo di una forza ideale condivisa dai popoli. Per questo è ridicolo, ad esempio, parlare di una difesa europea: per difendere cosa? La BCE? L’euro? La Commissione europea mai eletta democraticamente?

La conferma viene dal fatto che il Paese che in questo momento sembra avere assunto la guida della “opposizione” a Trump è la Gran Bretagna, che difficilmente arriverà ad un scontro con gli Stati Uniti d’America… Né Francia né Germania, a mio parere, hanno al momento classi dirigenti in grado di smarcarsi dagli Usa. Non a caso, quando si parla di difesa europea, si finisce poi nella NATO: una realtà che senza gli Usa non avrebbe alcuna consistenza sul piano militare, anche perché fin dal 2003 l’Unione Europea le ha delegato la propria difesa.

Dunque verranno progressivamente tolte le sanzioni, riaperte regolari relazioni diplomatiche, riaperte relazioni economiche stabili, revocati i mandati d’arresto della Corte Penale Internazionale nei confronti di Vladimir Putin per crimini di guerra in Ucraina? Cioè con un colpo di spugna tutto verrà azzerato come se non fosse mai successo? Non le sembra piuttosto surreale? L’Europa è pronta ad accettare tutto questo? E soprattutto la popolazione ucraina?

Gli Stati Uniti non si sono mai fatti problemi del genere. Trump poi aveva mantenuto relazioni tanto strette con la Russia da rischiare un procedimento giudiziario a suo carico, nelle precedenti elezioni.

Gli Stati Uniti hanno spesso abbandonato alleati, che si erano spesi in termini di uomini e di sangue: Vietnam del Sud, Iraq, Afghanistan ce lo raccontano. Ho spesso detto ad interlocutori ucraini di stare attenti agli Usa, e loro ne hanno sempre convenuto con me. Ora, per Trump come per qualsiasi altro presidente statunitense, non sarà certo un problema imporre all’Ucraina condizioni giugulatorie per chiudere la partita.

Il problema semmai sarà per quei Paesi dell’Unione Europea, Italia in prima fila, che, forse ignorando la storia degli ultimi due secoli, si sono sbracciati in difesa dell’Ucraina: una difesa, non ci dimentichiamo, consistita in tante parole, tanti soldi e tante armi, ma nessuna seria iniziativa diplomatica per arrivare ad un accordo russo-ucraino – pur consapevoli che Donbass e Crimea sono storicamente e culturalmente russi.

Eppure gli Europei avrebbero dovuto pensare all’importanza di mantenere buoni rapporti con una Russia che, almeno dal mio punto di vista, è un Paese europeo prima che asiatico. Un corretto rapporto con la Russia non è quindi solo questione di risparmiare sui costi energetici, ma di realizzare una vera identità europea: una identità che storicamente accomuna genti neolatine, germaniche e slave. Perché allora dovremmo tenere fuori la Russia, considerarla il nemico, come si è predicato negli ultimi decenni?

La Germania, motore dell’Europa, è in recessione, alla luce delle ultime elezioni che scenari si aprono per la tenuta dell’Unione europea? Prevarranno gli interessi nazionali di ogni singolo stato con l’avvento di governi sempre più sovranisti? Il sogno europeo è definitivamente tramontato? Cooperazione, progresso comune, crescita condivisa sono concetti sempre meno popolari?

Il sogno europeo rimane tale fintantoché viene concepito non in relazione ai popoli ma viene evocato dalle classi dirigenti di obbedienza atlantista; quelle che hanno costruito una istituzione non democratica, verticistica e burocratica, che ha cercato di regolamentare tutto senza tuttavia essere mai riuscita nemmeno a varare una propria costituzione – un aspetto di cui ci si dimentica spesso.

Io mi auguro che, dalla scossa che l’elezione di Trump sta provocando, con la sua impostazione rozzamente mercantile, possa maturare una presa di coscienza dell’Europa: ma tale presa di coscienza presuppone la formazione di nuove classi dirigenti nei nostri Paesi, ispirate da ideali diversi da quelli del capitalismo finanziario occidentale, che ha impoverito famiglie e disseccato coscienze in tutto il mondo. Non vedo ancora all’orizzonte traccia di simili classi dirigenti di ricambio. Esse vanno costruite da zero.

Non può esistere infatti cooperazione fra i popoli e le nazioni dove solidarietà, equità e libertà di spirito sono soffocate.

L’Ordine Mondiale sta cambiando a una velocità vertiginosa, i conservatori stanno mietendo successi, l’ultradestra avanza, le sinistre sono in affanno. Come valuta questa congiuntura nell’ottica di una convivenza pacifica tra popoli e stati?

Francamente non credo che ci sia da preoccuparsi della politica, coi suoi schieramenti oramai intercambiabili. Abbiamo visto che le destre, i centri e le sinistre lasciano il tempo che trovano; i partiti non sono portatori né di idee né di ideali, ma al massimo di interessi.

Credo che si debba ripensare il cambiamento: questo non può venire dalla politica come oggi intesa, ma da una rivoluzione culturale, che presuppone la spinta di impulsi interiori nelle persone. È questa la sola speranza per avere una pace fondata sulla giustizia – non quella retoricamente predicata da decenni, mentre infuriavano i più brutali conflitti della storia: basti vedere cosa è successo in Palestina…

Da storico come valuta questo momento storico? Stiamo assistendo a un tramonto dell’Occidente, paventato da alcuni, in favore di economie e stati emergenti in un mondo multipolare sempre più frammentato?

L’Occidente del capitalismo finanziario è ancora egemone; domina il mondo, come se non più di prima. È riuscito a cancellare non solo il proletariato ma anche la borghesia (povero Marx!): lo sfruttamento oggi è talmente generalizzato e introiettato che vi partecipiamo attivamente, offrendoci spontaneamente al marketing globale che signoreggia incontrollato – basta pensare ai social, o allo spamming telefonico che ci bombarda quotidianamente.

Certo, emergono forze, per altro non nuove alla storia, come India e Cina, che, non lo dimentichiamo, ancora nel mondo del XVIII secolo erano le aree tecnologicamente ed economicamente all’avanguardia. Ma, per quanto siano in crescita, sono legate a doppio filo alle grandi forze finanziarie del capitalismo occidentale. Per cui andrei molto cauto nel parlare di multipolarità, in una globalizzazione economica controllata da una ristrettissima oligarchia di operatori mondiali, che non a caso chiamano se stessi master of the universe, cioè i padroni del mondo. Effettivamente lo sono.

La vera novità, mi sento di dire, è il livello di coscienza che tutti noi dovremmo conquistarci, per vivere ogni giorno consapevolmente nel mondo che ci circonda, ed agire per il cambiamento: un livello di coscienza che per esempio lo studio della storia potrebbe aiutare ad acquisire.

Invece tecnologia, sistemi educativi, media fanno sempre più solo puro intrattenimento: per farci dimenticare noi stessi, i problemi individuali e quelli collettivi. Posso ripetere anche qui allora quello che sono andato dicendo ai miei studenti: studiate la storia, siate consapevoli. Ma la consapevolezza raramente è divertente: e oggi sembra che l’unico diritto-dovere rimasto alle persone sia quello di divertirsi.

:: Un’intervista con Marta Ottaviani sull’epilogo della questione ucraina e il futuro dell’Europa, a cura di Giulietta Iannone

26 febbraio 2025

Benvenuta Marta su Liberi di scrivere e grazie di averci concesso questa intervista che verterà su argomenti che bene o male ci riguardano tutti. Inizierei con il chiederti una valutazione sul cambio di passo statunitense sulla questione ucraina. Trump tra le sue promesse elettorali aveva promesso ai suoi elettori che avrebbe chiuso la guerra ucraina in pochi giorni. In questi giorni ci sta provando, a modo suo, iniziando un canale di dialogo diretto con Mosca. Come valuti questa strategia, è in un certo modo concordata con il precedente governo Biden, un nuovo asse Washington – Mosca è fattibile?

Ne penso tutto il peggio possibile. Spero di potermi ricredere, ma la mia impressione è che l’Ucraina più che un Paese da aiutare stia diventando un bottino da spartire. In più, mi preoccupa fortemente lo smantellamento progressivo di un sistema multilaterale per gestire le relazioni internazionali, costruito in decenni, e al quale si sta sostituendo un modus operandi bilaterale, sostanzialmente basato sulla legge del più forte.

Diversi analisti, da più parti, ipotizzano che la mossa di Trump trascenda la questione ucraina e nasca per minare, o perlomeno creare crepe nell’asse Mosca-Pechino che davvero impensierisce Washington, avendo già dai tempi di Obama evidenziato nella Cina il maggior competitor a livello globale. Credi corretta l’analisi?

La Cina per Trump rappresenta sicuramente il nemico numero uno. Sicuramente l’avvicinamento alla Russia può essere in funzione anti Dragone, ma da qui a dire che ce la farà ce ne passa. La Cina si è da tempo impossessata indirettamente delle regioni del cosiddetto ‘Estremo est russo’. I legami fra i due Paesi sono fortissimi ed è sempre Pechino che sta acquistando, in parte, il gas che una volta la Russia mandava in Europa. Non dimentichiamo poi che Cina e Russia fanno parte dei BRICS, che da organizzazione di economie emergenti di sta trasformando in organizzazione politica, con una chiara impronta anti occidentale, almeno da parte di Mosca e Pechino.

La questione ucraina è a tutti gli effetti una tragedia, non si può non piangere per i morti, gli sfollati, i profughi, il paese devastato. Un paese fratello della Russia, i legami familiari tra russi e ucraini prima della guerra erano molto saldi, quasi in ogni famiglia c’erano ucraini e russi.  Le conquiste territoriali russe hanno violato i confini territoriali ucraini, e sebbene l’Ucraina non faccia ancora parte dell’Unione Europea, né tanto meno della NATO, i confini stessi dell’Europa sono stati violati. È un precedente che peserà come un macigno su un possibile processo di normalizzazione dei rapporti tra Europa e Russia. In che misura questa guerra ha minato le fondamenta della casa Europa?

Io credo che quello patito da Kiev dovrebbe rappresentare un punto di non ritorno fra l’Europa e la Russia. O almeno, questa Russia. Posto che non mi aspetto una virata democratica quando Putin deciderà di andare in pensione. Si tratta di un precedente pericoloso e personalmente ritengo che Mosca tornerà a minacciare i confini sia ucraini sia quelli europei, questa volta direttamente. Le fondamenta sono state scosse sicuramente in modo importante, ma è proprio dopo le scosse forti che si possono costruire fondamenta ancora più solide.

Un’ Europa unita, coesa, solidale è un’Europa che fa paura alle grandi potenze?

Sicuramente. Il problema è che l’Europa non ha alternative. Il baricentro del mondo si sta spostando nella regione indopacifica. Le proiezioni demografiche ci dicono che fra pochi decenni saremo un continente vecchio e molto meno attrattivo. Vorrei davvero capire dove speriamo di andare separati.

Trump sembra intenzionato a lasciare non solo l’Ucraina, ma anche l’Europa stessa al suo destino, per focalizzare i suoi sforzi sui problemi interni. L’Europa può continuare la sua esistenza anche senza l’alleanza e il sostegno degli Stati Uniti? È dal termine della Seconda Guerra Mondiale che questo sostegno era sempre stato garantito. Dal piano Marshall in poi, si può dire.

È venuto il momento delle scelte coraggiose. Mario Draghi, ma anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, hanno lanciato un messaggio molto chiaro. L’elezione di Merz in Germania mi fa ben sperare. Se la Germania torna a fare la Germania si potrebbero ricompattare le posizioni. Anche Macron è molto attivo. Non riesco a capire, invece, cosa stia facendo la nostra premier.

Alcuni analisti sostengono che sia più Putin ad avere bisogno degli Stati Uniti del contrario, per crearsi una sponda occidentale e non correre il rischio di vedere colonizzato il suo paese dalla Cina. Si sa la Russia è un paese continente con grandi risorse naturali, un sistema militare ipertecnologico, ma non possiede il potenziale cinese. La Cina rischierebbe di stritolarlo, o di utilizzarlo come mero braccio armato. Condividi questa analisi, e queste preoccupazioni? O sono infondate?

Avrei dei dubbi sul sistema militare ipertecnologico. La Russia, in questo momento, ha un serio problema demografico, aggravato anche dalle cospicue perdite al fronte. È un Paese che ha riconvertito tutta la sua economia in economia di guerra e che è rimasto parzialmente isolato per tre anni. Il suo PIL è quello di Belgio e Olanda. La Cina non è l’unica che potrebbe stritolarla.

Trump vuole chiudere la partita ucraina al più presto, Putin non è così propenso e vuole diciamo capitalizzare le vittorie che ha conseguito sul campo. Il processo di pace sembra comunque che sia stato avviato dai colloqui di Riad, in cui ricordiamo sono stati esclusi sia gli ucraini che gli europei. Ma essendo colloqui si può dire propedeutici, non ne intravedo ancora una criticità. C’è un incaricato europeo, delegato per l’Ucraina che possa partecipare alle trattative? È indubbio che spetterà a Zelensky di firmare il trattato di pace.

Il problema è proprio questo. Trump e Putin stanno risolvendo la questione fra di loro, tenendo Kiev e Bruxelles ai margini. E non è accettabile, sotto ogni punto di vista.    

:: Un’intervista con il Prof. Angelo d’Orsi sulla “crisi ucraina”, ultimo atto, i difficili negoziati di pace, a cura di Giulietta Iannone

24 febbraio 2025

Dopo l’elezione di Trump la posizione statunitense nei confronti dell’Ucraina di Volodymyr Zelens’kyj è nettamente cambiata, dal pieno appoggio del governo Biden siamo passati a varie manovre di disimpegno tra cui le trattative per la consegna di 500 miliardi (cifra sovrastimata) in terre rare di Kiev come indennizzo di guerra per il sostegno passato. Tutto si è svolto in pochi giorni lasciando le cancellerie europee sgomente. Dunque, la guerra è formalmente finita con la sconfitta dell’Ucraina e di riflesso dell’Europa a cui spetteranno tutti gli oneri? 

La sola certezza oggi, a mio parere, è la fine dell’Europa come unità di nazioni, come progetto politico, come ideale comune. E questo per me è un bene, perché nessun essere umano in buona fede e con capacità raziocinanti può essere fedele o peggio affezionato a questa Europa, a questa Unione. Il suo fallimento è assoluto, totale, e persino clamoroso. Se gli europei avessero voluto contare qualcosa avrebbero dovuto porsi subito come forza di interposizione, e come centro propulsore di pace, di accordi, di intese. Hanno fatto l’opposto, mossi da una russofobia che richiama l’antisovietismo dei decenni ante-1989. Ne hanno pagato il fio e la resa dei conti è appena iniziata.

Dunque Trump da sconfitto invece di raccogliere i cocci di una guerra che non avrebbe mai dovuto essere combattuta si sta improvvisando vincitore a cui spetteranno tutti i meriti di una prossima stipula dei trattati di pace? Secondo lei la Russia di Putin cosa vorrà in cambio? La spartizione dell’Ucraina per la ricchezza del suo sottosuolo sarà l’unico argomento sul tavolo delle trattive?

Trump è  un giocatore d’azzardo, persegue interessi propri e delle sue cricche multimiliardarie, ma ha promesso (ed è stato votato)  la fine del conflitto e la sta delineando a modo suo, dando uno schiaffo agli inetti europei. Ha il merito comunque di togliere di mezzo la retorica dell’ideologia democratica, e far cadere la politica dal cielo fasullo delle ideologie (mendaci) alla terra della concreta realtà. In fondo si tratta di un salutare bagno di Realpolitik. La Russia vuole soltanto non esser ostacolata nel suo tragitto verso il posto che le spetta e le compete nell’arengo internazionale, e non vuole un’Ucraina “spina nel fianco”. Putin non ha bisogno di conquistare l’Ucraina o di sfruttarne le ricchezze, ne ha ad abundantiam, piuttosto non vuole missili alle sue frontiere, né che la Nato abbai troppo vicina. Certo Putin considera ormai russe la terre de Donbass e la Crimea, e non escludo pensi di inserire nel “pacchetto” anche Odessa, città intrinseca alla storia e alla cultura russa. 

A Riad Stati Uniti e Russia si sono incontrati per un primo colloquio a cui seguiranno i previsti negoziati di pace. Né Zelens’kyj né inviati europei sono stati ammessi. Dunque, Trump vuole dare inizio ad accordi bilaterali per una possibile normalizzazione dei rapporti diplomatici, ed economici con Mosca. Come valuta nei fatti l’ininfluenza europea? Ci sono margini di manovra per un possibile riavvicinamento tra Russia ed Europa, a cui manca significativamente il gas russo per la propria crescita?

La UE si è auto-eliminata, e sono stati patetici i tentativi di rientrare in gioco di Macron e Starmer. Il gioco è completamente nelle mani del duopolio Trump/Putin. Agli europei, dentro e fuori la UE, è concesso soltanto il ruolo di spettatori. Credo saranno necessari anni, forse decenni per la normalizzazione Europa/Russia, ma nei prossimi anni e decenni l’Europa tutta e l’UE in specie saranno praticamente scomparse dallo scenario degli attori che contano a livello globale. Zelens’kyi è sul punto di essere buttato nel cestino dai suoi alleati/protettori e farà bene a dileguarsi prima di essere fatto fuori dai suoi stessi sodali (complici!) interni.

Il ritorno in Europa ai nazionalismi e ai governi sovranisti sta di fatto ponendo fine al sogno di un’Europa unita, solidale, e coesa. La guerra in Ucraina è stata per lei una leva, di riflesso, per interrompere questo percorso? O è un effetto collaterale non previsto?

Ripeto e ribadisco: la vicenda ucraina, dal 2014 in poi, ha segnato la fine del sogno europeo, e lo ha trasformato in un incubo. Ma ripeto ancora, questo non è di per sé un male, trattandosi di un inutile corpaccione burocratico, costoso, e politicamente irrilevante. Solo eliminandolo dalla scena si può pensare o di ricostituire un nuovo progetto unitario continentale, oppure sostituirlo con un progetto alternativo per esempio l’Unità euromediterranea o addirittura mediterranea tout court.

Secondo lei i tentativi di istaurare un dialogo diretto con Mosca da parte di Trump hanno lo scopo preciso di allontanare Pechino da Mosca rinsaldando alleanze economiche, politiche e militari che attualmente sono solo sulla carta? Secondo lei Mosca preferisce Washington a Pechino?

Sì tutti ripetono questa tesi, ma io sono assai in dubbio. Cina e Russia si sono assai rinsaldate in una unione che non è solo politica ma copre ogni ambito. Non vedo come Trump possa spezzare questo legame. Diciamo che anche se Trump avesse questo obiettivo, partirebbe troppo tardi, quando ormai il blocco russo-cinese è già di fatto costruito. E la Russia ha nella sua vocazione e nella sua storia un elemento ancipite: è europea e insieme asiatica. Se Putin riuscisse a conservare entrambe le relazioni (USA e RPC), farebbe un capolavoro: comunque vada, l’Europa è tagliata fuori, e non ha alcuna chance di rientrare in gioco e si sta prendendo ogni giorno giuste sberle dai russi.

Come valuta il futuro politico di Volodymyr Zelens’kyj? Anche lei ritiene che se anche solo non farà la fine di Saddam Hussein sarà fortunato? Non gli consiglierebbe di dimettersi per potere indire nuove elezioni politiche anche se difficilmente ne uscirebbe vincitore?

L’ex attore è ormai politicamente finito, non serve a nessuno e farebbe un favore a tutti (a cominciare dai suoi amici occidentali) a scomparire, e come ho accennato, personalmente non scommetterei un euro sulla sua stessa sopravvivenza fisica. Altro che elezioni. Ne uscirebbe travolto, se si svolgessero liberamente, cosa di cui c’è da dubitare, visto come si è comportato, mettendo fuori legge tutti i partiti eccetto il suo e tutti i giornali tranne quelli a lui fedelissimi.

Ricollegandoci alle nostre precedenti interviste sulla guerra ucraina, è triste dover dire che erano prevedibili gli esiti a cui stiamo assistendo in questi giorni. Come abbiano potuto far credere all’opinione pubblica che la Russia avrebbe potuto essere sconfitta militarmente (senza neanche la possibilità di un intervento diretto della NATO che avrebbe comportato il rischio di un reale scoppio della Terza Guerra Mondiale) è ancora un mistero, ci sono colpe e responsabilità precise per tutti questi anni di sofferenza. Che scenari ipotizza per il futuro? Sorgeranno in Europa politici illuminati capaci di ribaltare la situazione? O andremo incontro a derive antidemocratiche? Grazie.  

Mesta consolazione “l’avevo detto io!”, ma è proprio così. Mezzo milione di cadaveri, un Paese devastato, e pressocché oramai disabitato, un’abitudine alla violenza diffusa a livello continentale, la cancellazione di un tessuto di relazioni Est/Ovest in Europa faticosamente costruito lungo gli anni. E ancora oggi ci sono politici e opinionisti che continuano ad affermare che si può sconfiggere la Russia. Sono mossi, come l’intero Occidente (lo ha rilevato Emanuel Todd nel suo ultimo libro; La sconfitta dell’Occidente, Fazi editore) da una terrificante, insopprimibile spinta nichilistica. Quanto alle nostre classi politiche il panorama è deprimente. Bisogna immaginare un percorso di lunga lena, volto a formarne di nuove competenti, serie, e che abbiano a cuore soltanto gli interessi generali non quelli personali, di clientele, di famiglie, di partiti. Una prospettiva davvero lontanissima.

:: Un’intervista con Fabrizio Borgio a cura di Giulietta Iannone

26 dicembre 2024

Benvenuto Fabrizio su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa nuova intervista. Ho riletto le vecchie interviste che ti ho fatto per non rifarti sempre le stesse domande, che invito i nostri lettori a rileggere per approfondire la tua conoscenza. E inizierei con il chiederti un bilancio della tua pubblicazione con Segretissimo Green Stone. La vendetta di Alia andata in edicola lo scorso novembre e ancora disponibile in digitale negli store online.

Ti ringrazio ancora per l’ospitalità Giulietta, grazie. L’esperienza si sta rivelando molto positiva, la spy story è un genere molto vario e divertente, mi affranca dall’ossessiva schematicità del giallo ed è diventato anche un pretesto per approfondire le dinamiche internazionali della geopolitica. Certo, rapportarsi con un prodotto da edicola è leggermente diverso rispetto al mercato librario convenzionale; la vita del volume cartaceo è limitata al mese di uscita, non si può godere dell’appoggio delle librerie amiche ma si lavora comunque per un marchio storico della narrativa d’intrattenimento nazionale. La versione elettronica è sempre disponibile mentre per gli amanti della carta esiste il servizio arretrati di Segretissimo Mondadori. La percezione complessiva è quella di scrivere in maniera più professionale senza perdere il piacere e il divertimento di raccontare una, si spera, buona storia.

Ce ne vuoi parlare? E’ una spystory militare ambientata in Bosnia, di stretta attualità, con come sottotesto un’analisi geopolitica molto accurata.

Lo scacchiere balcanico è un’area di frizione storica e anche se l’attualità è fagocitata da una parte dal conflitto in Ucraina e dall’altra con l’ecatombe palestinese, questo non toglie che rimanga il cortile orientale, dietro casa, del quale, specie l’Europa e nello specifico l’italia devono tenere grande conto; a parte i sentimenti pan slavisti tipici della Serbia, un grande attore si sta muovendo sfruttando una grande capacità di mediazione e empatia in particolar modo con i musulmani bosniaci, ovvero la Turchia. Il quadro è talmente variegato che in poche righe è difficoltoso renderne un’immagine esaustiva, possiamo dire che, se da una parte abbiamo le mai sopite ambizioni di una Grande Serbia che non vuole rinunciare al ruolo di nazione egemone nell’area, dall’altra abbiamo le tensioni contrastanti che la Bosnia vive dalla fine della Jugoslavia: voglia di apertura a occidente ma senza rinnegare il polo orientale, ci sono poi le ferite mai cicatrizzate del conflitto negli anni ‘90 e l’ombra della Russia alla quale i serbi guardano come a un grande padre protettore. Le correnti sono tante e una forte scossa è sempre dietro l’angolo. Uno scenario sul quale è stato molto stimolante costruire questa storia di memorie, vendette e intrighi.

Scriverai altre storie con protagonista Greene Stone per Segretissimo?

Sì, le fonti d’ispirazione non mancano e ogni nuova storia che sto progettando è una scusa per approfondire gli studi della realtà che viviamo. Mi sto documentando sulla situazione del Niger dove, tra l’altro, il contingente italiano è l’unica presenza occidentale in quella nazione, un’occasione ghiotta per far muovere il mio maresciallo alpino attraverso una nuova avventura.

Questa è una domanda che ti avevo già fatto, ma forse sono cambiate le circostanze: Nuove proposte di traduzioni per l’estero?

Magari! No, attualmente non ho avuto modo di proporre ancora alcuni dei racconti tradotti che ho nel cassetto. Devo dire però che con grande cortesia istituzionale e correttezza, ogni rifiuto è sempre stato spiegato e circostanziato. Una cura alla quale, da autore italiano, non sono affatto abituato. Non demordo comunque.

La serie Martinengo con Frilli, continua? Ci sono nuovi episodi all’orizzonte?

Per il momento non prevedo altre storie di Martinengo; magari dispiacerà a qualche lettore ma per onestà intellettuale e correttezza proprio nei confronti di chi mi ha letto e supportato finora devo confessare che ritengo che tutto quello che Martinengo aveva da dire l’abbia detto poi, magari un giorno cambio idea e sentirò l’esigenza di far esplorare qualche aspetto inedito dell’investigatore delle Langhe ma attualmente sono consapevole che un’altra indagine sarebbe qualcosa di trito. I sei romanzi del ciclo sono sei storie completamente diverse, con struttura e schemi mai ripetuti proprio perché mi ero ripromesso di non presentare ai lettori lo stesso libro con qualche variazione sul tema. Voglio continuare così.

La tua carriera letteraria e partita in sordina ma piano piano, anche grazie al sostegno dei lettori, ti stai facendo strada anche nel mondo delle major letterarie italiane. Nuove proposte dai grandi editori per nuove serie?

No, continuo a essere un “pesce piccolo” e, in special modo per il mondo della major, un nome come il mio è davvero difficile che possa smuovere interesse. O sei un esordiente con l’agente giusto alle spalle o un vip con un seguito che possa far prevedere vendite forti a prescindere da cosa si scrive. Un mestierante come me si ritrova in una sorta di limbo dove riesce a stare sopra un basso livello di produzioni minori ma bloccato dal soffitto di vetro della grande editoria.

Hai mai pensato di scrivere un romanzo storico, anche avventuroso ma appunto ambientato nel passato?

Sì, l’idea di muovermi attraverso generi e ambientazioni lontane dall’ordinario delle mie storie é sempre attraente. Da tempo accarezzo alcuni progetti finora presenti, in stato di gestazione, come appunti e stralci sui miei taccuini. Ho davvero tante idee di questi tempi ma l’intento è ben vivo, in particolare l’idea di una storia di brigantaggio nel mezzogiorno raccontata utilizzando la struttura dei romanzi western e un drammone violento ambientato nel profondo Piemonte del dopoguerra.

E’ da poco mancato Davide Mana, scrittore, traduttore, studioso, erano davvero tante le sue qualifiche, a soli 57 anni, un outsider nel mondo letterario italiano. Era bilingue e pubblicava più che altro su riviste e con case editrici statunitensi e britanniche. Molti si dicevano suoi amici ma forse tu sei stato uno degli scrittori che gli è stato più vicino, che lo conosceva meglio. Sognavi di scrivere un romanzo d’avventura a quattro mani con lui. Com’era Davide Mana smessa la penna dello scrittore. Un ricordo.

Mi sembra che fosse stato Platone a definire un amico qualcuno col quale parlo come a me stesso. Ecco, con Davide era così. Avevamo il vantaggio della vicinanza geografica, ci separavano una trentina di chilometri da casa mia a Castelnuovo Belbo e ogni volta che era possibile era un lieto evento organizzare una pizzata a Nizza Monferrato e passare la sera tra una diavola e un kebab e litri di Coca cola a parlare delle cose che più ci premevano: le nostre visioni e letture in comune, il mondo della scrittura, dei nerd, le nostre delusioni. Con Davide si condivideva una certa amarezza nei confronti di un mondo che nonostante tutto amavamo alla follia. Per me era una persona cara, speciale, un intelletto raro al quale io mi abbeveravo. Come tutte le persone di straordinaria intelligenza e enorme competenza, in Italia aveva più detrattori che ammiratori; come diceva Ferrari: gli italiani ti perdonano tutto tranne il successo, nel caso di Davide non gli hanno mai perdonato la bravura, il sintomo di un ambiente soffocato dalla mediocrità. Al di là di queste considerazioni, delle quali mi assumo tutta la responsabilità, Davide era a un altro livello e l’essergli amico è sempre stato per me uno sprone a migliorare, a non badare agli altri ma scrivere. Al di là di tutto questo era una persona squisita, un torinese elegante e raffinato dai gusti altrettanto eleganti e raffinati, un torinese in ostaggio dell’astigianistan, ovvero uno dei lati più selvatici del Piemonte. Un uomo che trasformava ogni sua curiosità in un vero interesse, spesso in una passione. Un eclettico conoscitore dalle profondità enciclopediche e capacità di divulgazione degne di un Alessandro Barbero; un uomo capace di incantarti parlando di come si prepara una zuppa di cipolle, delle radici dello zen, delle bizzarrie di Harlan Ellison. Un uomo retto, di una onestà ferrea che ha saputo affrontare le bassezze della vita con puro spirito avventuroso. Un uomo che ogni volta che potevo stare con lui mi arricchiva. Nel suo bellissimo blog Strategie Evolutive, in un suo post si chiedeva cosa avrebbe fatto sapendo che la sua morte fosse stata imminente, la sua conclusione era stata “scrivere ancora di più”.

Puoi dirci a cosa stai lavorando in questo momento?

Ho tanta carne al fuoco, ho firmato il contratto per la stesura di un folk horror, mi sto documentando per il terzo episodio di Green Stone, sto scrivendo un nuovo libro di Stefano Drago e un noir di ambientazione piemontese inoltre ho il progetto di un romanzo mainstream per allargarmi, o almeno tentare, verso un’altra narrativa. Per inizio 2025 dovrebbe uscire un nuovo romanzo, riadattamento di un vecchio progetto. Per ora direi che basta.

Grazie per il tuo tempo e la tua pazienza, e auguri per il futuro.

Grazie a te per l’interesse, ne sono sempre lusingato. Buone feste!