
Italia e mondo. Ultimi decenni soprattutto. Una comunità ha un primario contratto sociale, la fiducia in un linguaggio condiviso, un impegno reciproco di verità e di correttezza nei luoghi di comune cittadinanza, nel pronunciare o redigere parole, discorsi, metafore. Si pensi e poi si scriva una sentenza, il testo di una legge o un romanzo avremo dei destinatari, un “pubblico” che dovrebbe imporci di “acquisire” parole usate responsabilmente per dire, in forme e contesti diversi, una chiara verità, per quanto soggettiva e parziale. Scrivere e parlare bene, in ogni campo, ha un’attinenza diretta con la qualità del pensiero e del ragionamento. Implica chiarezza di idee da parte di chi elabora un messaggio e può provocare una percezione di onestà (o meno) in chi lo riceve. In particolare, nell’ultimo decennio abbiamo assistito, invece, all’avvento micidiale dei populismi, alla crisi dei linguaggi istituzionali, all’abuso consapevole della menzogna come tecnica politica. L’avventura politica di Donald Trump ha segnato un drammatico punto di svolta, imponendo al mondo intero una nuova grammatica della manipolazione. Una grammatica fatta di slogan ripetuti fino all’ipnosi, di frasi costruite non per dire qualcosa ma per scatenare reazioni emotive (pro o contro non importa) e disattivare intelligenza, senso critico, capacità di reagire con efficacia. Tutto ciò ha reso ancora più urgente il compito di difendere uno spazio pubblico fondato sull’onestà comunicativa e sulla responsabilità semantica. Ovvero su un insieme meditato di efficaci e democratiche parole precise (da cui il titolo) in grado anche di proporre (a noi lettori e ai partecipanti di qualsiasi dimensione collettiva) un manuale etico di lingua, scrittura e autodifesa civile (da cui il sottotitolo). Dare il nome giusto alle cose può essere un gesto rivoluzionario. Il grande intellettuale e karateka Gianrico Carofiglio (Bari, 1961), prima magistrato poi senatore infine esclusivo scrittore e divulgatore, da ormai venti anni è forse divenuto l’autore italiano più seguito e apprezzato (romanzi, racconti e saggi di vari generi). Qui fa tesoro di tutte le proprie autorevoli esperienze d’uso delle parole per insegnarci molto, con semplicità e acume, anche rispetto all’attualità. Il testo riprende un breviario pubblicato dieci anni fa: alcuni capitoli sono rimasti molto simili, altri sono stati riformulati in gran parte, altri ancora sono del tutto nuovi. I capitoli sono diventati tredici (erano undici); le parti sono rimaste due, ma la prima s’intitola adesso “politica e verità”; inizia ancora col potere delle metafore (il contemporaneo discorso politico “ricco di immagini e piuttosto povero di idee”) ma le esemplificazioni sono soprattutto riferite a dirigenti di governo e di partito degli ultimi anni, italiani e internazionali. Gli interi capitoli terzo e quarto sono dedicati agli “stati alterati di democrazia” e alla necessità di “smontare trappole”, ovvero a come valutare il presidente statunitense in carica. L’unico vero antidoto alla semplificazione violenta dei populismi è la complessità accessibile e strategica. La vera sfida è non imitare la comunicazione manipolatoria, non accettare i suoi ritmi e le sue movenze, non inseguire. Cambiare gioco. L’autore offre alcune regole teoriche e proprio diffusi consigli pratici, deliberatamente non sistematici: per un ascoltatore e un lettore, o comunque per un interlocutore consapevole, capire è un diritto e come tale va rivendicato. Lo verifichiamo esaminando testi, citazioni specifiche, esempi concreti e suggerimenti sapienti (una frase significativa in esergo a ogni capitolo), in modo di riuscire più spesso a dirci e a “dire la verità”, lasciando ovviamente all’epilogo gli spunti su cosa sia la verità, per concludere con aggiornate note e selettivi approfondimenti bibliografici (nel testo 2025 non vi è più l’indice dei nomi, presente nel 2015). L’obiettivo è diventare un buon comunicatore, non un’efficace manipolatore. L’interessantissimo testo si collega così ai precedenti recenti due volumi sulla gentilezza e il coraggio e sulla manomissione delle parole, come terzo momento di una riflessione dedicata alla politica e (più in generale) ai doveri civili intesi come metodo critico, come esercizio di rigore e immaginazione, come pratica. In copertina, una bella illustrazione di Francesco Carofiglio.


Le sorti della guerra civile spagnola stanno volgendo a favore del dittatore Francisco Franco, e molti spagnoli sono costretti a fine anni Trenta a scappare dal loro Paese, in particolare dalla Catalogna e Barcellona, due delle zone più ribelli, per riparare in Francia dove finiscono in campi di concentramento in attesa di un futuro incerto.
“Un uomo che sta per diventare padre non lo riconosci da niente.”
L’amante di Lady Chatterly è la storia di un amore vero, autentico, fatto di spontaneità; opposto al sentimento contraffatto, fatto di auto imposizioni, che cela i veri desideri e passioni dell’uomo. L’Amore e soprattutto il sesso sono stati da sempre vittime di stigmatizzazioni e dogmi. Ciò ha fatto in modo che diventassero il surrogato mentale di quello che veramente sono e rappresentano per l’essere umano, come afferma D.H. Lawrence nella postfazione al suo romanzo. In tutte le epoche si è cercato di celare il vero eros nascondendolo attraverso convinzioni autoimposte, arrivando in alcuni casi a demonizzarlo. Queste hanno portato in maniera inevitabile ad una frattura tra quello che si deve, e, quello che si vuole essere. Scissione interna in cui si perde l’essenza del sentimento umano a scapito di una mera e inconsistente costruzione razionale.
Afrodita, un viaggio tra i sensi, tra le fantasie più perverse e goderecce della tavola e della vita, un mémoire di ricordi e racconti personali condito da ricette succulente e gustose. L’amore e la cucina si uniscono in un mélange perfetto nel quale erotismo e cibo sono per la Allende un binomio prelibato ed irrinunciabile, il cui confine è talmente labile da confondersi. Afrodita vuole essere un viaggio guidato dal piacere del palato e dalle tre guide che hanno accompagnato la stesura dello stesso: Isabel, straordinaria e divertente nella sua inclinazione ciceronica, Panchita, fantasiosa ed intuitiva cuoca nonché madre dell’autrice, e Robert, amico e abile disegnatore di ninfe e satiri baccanti protagonisti del libro. Non è un ricettario ma un qualcosa di unico, di atipico, un testo nel quale la lussuria e l’erotismo accompagnano questa interessante lettura, sapientemente indirizzata dalla sensualità e dall’autoironia di una scrittrice che, per la prima volta, si mostra per come è. Non solo una delle autrici latinoamericane di maggior successo ma la regina della cucina che, rifuggendo dall’archetipo domestico, spazia nelle perversioni e nei piaceri risvegliando nella nostra mente desideri voluttuosi sapientemente accostati a succulenti piatti. Ciliegie civettuole, pere ubriache, sospiro di carciofi, mele stregate, salse ed entrées sono dei veri e propri inviti al peccato che noi tutti aneliamo volendone cibarci. Ma il vero piatto forte è l’amore, vissuto senza paracadute, senza freni, regole, con una buona dose di romanticismo e, perché no, di simpatia. Isabel Allende è estremamente esilarante, cinicamente divertente, capace di risvegliare primitivi istinti, ridestando ad uno ad uno i nostri sensi conducendoci verso il peccato originale che, a ben pensarci, altro non è che la disobbedienza di cui possiamo servirci in piccole dosi, in amore ed in cucina.
Ecco, io penso che dopo la Shoah non è possibile il Tikkun: il mondo rimane e rimarrà senza riparazione.



























