Posts Tagged ‘Feltrinelli’

:: Con parole precise. Manuale di autodidesa civile di Gianrico Carofiglio (Feltrinelli, 2025) a cura di Valerio Calzolaio

9 novembre 2025

Italia e mondo. Ultimi decenni soprattutto. Una comunità ha un primario contratto sociale, la fiducia in un linguaggio condiviso, un impegno reciproco di verità e di correttezza nei luoghi di comune cittadinanza, nel pronunciare o redigere parole, discorsi, metafore. Si pensi e poi si scriva una sentenza, il testo di una legge o un romanzo avremo dei destinatari, un “pubblico” che dovrebbe imporci di “acquisire” parole usate responsabilmente per dire, in forme e contesti diversi, una chiara verità, per quanto soggettiva e parziale. Scrivere e parlare bene, in ogni campo, ha un’attinenza diretta con la qualità del pensiero e del ragionamento. Implica chiarezza di idee da parte di chi elabora un messaggio e può provocare una percezione di onestà (o meno) in chi lo riceve. In particolare, nell’ultimo decennio abbiamo assistito, invece, all’avvento micidiale dei populismi, alla crisi dei linguaggi istituzionali, all’abuso consapevole della menzogna come tecnica politica. L’avventura politica di Donald Trump ha segnato un drammatico punto di svolta, imponendo al mondo intero una nuova grammatica della manipolazione. Una grammatica fatta di slogan ripetuti fino all’ipnosi, di frasi costruite non per dire qualcosa ma per scatenare reazioni emotive (pro o contro non importa) e disattivare intelligenza, senso critico, capacità di reagire con efficacia. Tutto ciò ha reso ancora più urgente il compito di difendere uno spazio pubblico fondato sull’onestà comunicativa e sulla responsabilità semantica. Ovvero su un insieme meditato di efficaci e democratiche parole precise (da cui il titolo) in grado anche di proporre (a noi lettori e ai partecipanti di qualsiasi dimensione collettiva) un manuale etico di lingua, scrittura e autodifesa civile (da cui il sottotitolo). Dare il nome giusto alle cose può essere un gesto rivoluzionario. Il grande intellettuale e karateka Gianrico Carofiglio (Bari, 1961), prima magistrato poi senatore infine esclusivo scrittore e divulgatore, da ormai venti anni è forse divenuto l’autore italiano più seguito e apprezzato (romanzi, racconti e saggi di vari generi). Qui fa tesoro di tutte le proprie autorevoli esperienze d’uso delle parole per insegnarci molto, con semplicità e acume, anche rispetto all’attualità. Il testo riprende un breviario pubblicato dieci anni fa: alcuni capitoli sono rimasti molto simili, altri sono stati riformulati in gran parte, altri ancora sono del tutto nuovi. I capitoli sono diventati tredici (erano undici); le parti sono rimaste due, ma la prima s’intitola adesso “politica e verità”; inizia ancora col potere delle metafore (il contemporaneo discorso politico “ricco di immagini e piuttosto povero di idee”) ma le esemplificazioni sono soprattutto riferite a dirigenti di governo e di partito degli ultimi anni, italiani e internazionali. Gli interi capitoli terzo e quarto sono dedicati agli “stati alterati di democrazia” e alla necessità di “smontare trappole”, ovvero a come valutare il presidente statunitense in carica. L’unico vero antidoto alla semplificazione violenta dei populismi è la complessità accessibile e strategica. La vera sfida è non imitare la comunicazione manipolatoria, non accettare i suoi ritmi e le sue movenze, non inseguire. Cambiare gioco. L’autore offre alcune regole teoriche e proprio diffusi consigli pratici, deliberatamente non sistematici: per un ascoltatore e un lettore, o comunque per un interlocutore consapevole, capire è un diritto e come tale va rivendicato. Lo verifichiamo esaminando testi, citazioni specifiche, esempi concreti e suggerimenti sapienti (una frase significativa in esergo a ogni capitolo), in modo di riuscire più spesso a dirci e a “dire la verità”, lasciando ovviamente all’epilogo gli spunti su cosa sia la verità, per concludere con aggiornate note e selettivi approfondimenti bibliografici (nel testo 2025 non vi è più l’indice dei nomi, presente nel 2015). L’obiettivo è diventare un buon comunicatore, non un’efficace manipolatore. L’interessantissimo testo si collega così ai precedenti recenti due volumi sulla gentilezza e il coraggio e sulla manomissione delle parole, come terzo momento di una riflessione dedicata alla politica e (più in generale) ai doveri civili intesi come metodo critico, come esercizio di rigore e immaginazione, come pratica. In copertina, una bella illustrazione di Francesco Carofiglio.

:: L’orologiaio di Brest di Maurizio de Giovanni (Feltrinelli 2025) a cura di Giulietta Iannone

22 ottobre 2025

Liberamente ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti, ma rielaborati in chiave narrativa, L’orologiaio di Brest di Maurizio de Giovanni, edito da Feltrinelli nella collana I Narratori di Noir, è un noir atipico nel panorama letterario italiano, che unisce impegno civile, senso della storia, attenzione ai legami familiari ed esistenziali, e un’analisi accurata, seppure filtrata dal genere, degli anni di Piombo. Periodo storico quasi epurato dal dibattito civile italiano, non solo letterario.

Ancora si fatica a fare pace con un periodo drammatico della storia italiana, in cui la strategia della tensione, le stragi, gli attentati, le verità sepolte, la lotta armata di gruppi terroristici paramilitari imperversavano contro le istituzioni. Motivazioni sociali, ideologiche, politiche erano alla base di questi movimenti, con derivazioni più o meno opache tra servizi deviati e organizzazioni segrete parallele se non antagoniste dello Stato.

Fu una guerra civile, con vittime e carnefici, in cui spesso si era entrambi, e i meri esecutori non erano altro che pedine di mandanti che operavano nell’ombra.

De Giovanni, non senza coraggio, abbandona i canoni classici della sua narrativa, i suoi personaggi seriali tanto amati dal pubblico dei suoi lettori, per attingere a questo materiale incandescente e scrivere un romanzo ibrido tra cronaca e realtà.

L’orologiaio di Brest è un romanzo nuovo, con altri personaggi e altre motivazioni che esulano dal solo intrattenimento. Ricollegandosi alla narrativa civile di autori come Moravia e Pasolini, naturalmente con un altro stile e altre peculiarità, vuole fare riflettere, dare consapevolezza ai suoi lettori e portare all’attenzione dell’opinione pubblica temi come dicevo prima quasi rimossi.

Certo resta un romanzo, non certo un saggio sugli anni di Piombo, ma alcune dinamiche sono analizzate da de Giovanni con grande attenzione e rispetto sia per le vittime, sia per i colpevoli a loro volta vittime. Facendo sì che il romanzo per forza e intento si avvicini ai grandi romanzi di denuncia.

Memoria, perdono, senso di colpa, coraggio si intrecciano evidenziando che ci furono anche colpe precise, responsabilità, personaggi oscuri sorretti solo dall’ambizione o dalla sete di denaro che poco aveva a che fare con le ideologie, e tema controverso, che susciterà anche qualche polemica, presenti anche nelle insospettabili alte sfere ecclesiastiche.

Sto cercando di parlarvi del libro senza spoilerare troppo della trama, perché resta un’indagine, semi ufficiale portata avanti da una giornalista coraggiosa, Vera Coen, il personaggio più riuscito del romanzo, a segnalare quanto de Giovanni dia risalto e importanza ai personaggi femminili, il commissario in pensione Bruno Terenzi, e il professore universitario e ricercatore Andrea Malchiodi. L’indagine verte su un attentato avvenuto negli anni ’80 in cui persero la vita un magistrato e un poliziotto, padre di Vera. Chi furono gli esecutori, chi furono i mandanti, perché nessun gruppo eversivo rivendicò l’attentato? Sono tanti gli interrogativi che si pongono sul loro cammino.

Lo stile è scarno, quasi giornalistico, quanto più c’è di antipoetico, che ben si adatta a una storia tesa, cupa, dolorosa in cui è centrale il tema della memoria privata correlata a quella storica del paese. De Giovanni osa, arriva a fare provare compassione e pietà per il colpevole, perlomeno l’esecutore, descrivendoci anche la sua dimensione intima, la sua capacità di amare o credere negli ideali. Non c’è redenzione invece per i mandanti, spietati, occulti, ombre della storia senza coscienza. Passato e presente si alternano in capitoli senza datazione quindi ci vuole un po’ di pazienza e attenzione per seguire le fila della storia.

Con L’orologiaio di Brest, Maurizio de Giovanni firma un noir civile, asciutto, profondamente contemporaneo, dove i contorni della finzione letteraria si sovrappongono alle ombre della nostra storia recente.

Chi ha amato de Giovanni per la sua sensibilità e la profondità dei suoi personaggi ritroverà anche qui quelle qualità, ma declinate in modo diverso, più ruvido, più politico, più urgente.

“Era l’epoca delle stragi, della lotta armata, della politica sommersa. Un pm e un poliziotto, due caduti tra i tanti. Vittime di guerra, in un certo senso.”

L’orologiaio di Brest non è dunque solo un noir. È un romanzo sulla verità, e su quanto costi cercarla. Un libro che ci interroga, ci mette di fronte alle rimozioni collettive, e ci chiede di ricordare. Anche quando fa male.

Il titolo, simbolico e pregnante, richiama la figura di un artigiano nascosto dietro le quinte della storia, che costruisce meccanismi di morte con la stessa cura con cui si compone un carillon.

Maurizio de Giovanni è uno scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano. È celebre soprattutto per il personaggio del Commissario Ricciardi, per i bastardi di Pizzofalcone, e per Mina Settembre, protagonisti di molte sue opere da cui sono state tratte serie televisive di successo.

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:: I selvatici di Sarah Savioli (Feltrinelli 2023) a cura di Patrizia Debicke

21 luglio 2023

Come vi sentireste se da un giorno all’altro vi trovaste di botto trasformata in una specie di essere paranormale?
Non faccio per dire, nossignori, perché questo è proprio ciò che è capitato alla povera Anna Melissari, sulla quarantina, moglie felice di Alessandro e madre appagata e fiera di Luca anni quattro, padrona di un gatto e di un ficus…
Vi sembra impossibile? E invece è successo. E ora ditemi voi si tratta di una miracolosa dote o di un incubo? Oddio all’inizio ha fatto fatica a digerirlo anche lei, anzi se l’è tenuto per sé, precipitandosi dal dottore e farfugliando solo di un leggero offuscamento della vista. Epperò dai controlli e dalla risonanza magnetica è saltato fuori che lei, Anna, per colpa o conseguenza di un minuscolo edema cerebrale (rotturina di una vena in una posto inutilizzato del cervello secondo la scienza) riesce a parlare con gli animali e sissignori persino con le piante. Ecco… Insomma comunica con disinvoltura con tutte le forme di vita del pianeta. Una gran confusione in testa, se ci si pensa bene, ma anche un’eccezionale capacità che, oltre a regalarle un’infinita gamma di diversi punti di vista sul mondo attorno a lei , le ha permesso fino ad allora, donna a casa e nullafacente , un nuovo e insolito lavoro: il detective . Eh già perché Anna Melissari, da quando si è ritrovata dotata di quelle particolari qualità, per cui può contare sull’aiuto legato ad occhi e orecchie di centinaia se non migliaia di imprevedibili testimoni, la sua vita, oltre a offrirle un nuovo sguardo sul mondo, le ha regalato un inaspettato impiego: quello di collaboratrice della squadra dell’Agenzia investigativa del burbero ma ingegnoso investigatore privato Cantoni, con cui discute in continuazione, con per vigoroso aiutante il padre di famiglia negato per il lavoro manuale Tonino e il timoroso vice detective , queelo a quattro zampe, l’alano arlecchino Otto, ghiotto di dolci e propenso alla flatulenza. Un lavoro di tutto rispetto ma una specie di part time e al quale anche il team famigliare di Anna si è tranquillamente adattato.
Stavolta però bisogna affrontare una novità perché la nostra “particolare” eroina verrà coinvolta in un’indagine in trasferta e, sia pur con mille dubbi ed esitazioni, dovrà partire in macchina con Cantoni e l’alano, lasciando per qualche giorno da soli (tre i giorni previsti) la sua famiglia.
Cecilia Randi, infatti, vecchia amica d’infanzia di Cantoni, è venuta a trovarlo e , dando incarico all’agenzia investigativa, ha sollecitato il loro aiuto per ritrovare un ragazzo scomparso.
Cecilia e il marito Tullio Matignoni, da vent’anni dirigono un rifugio sugli Appennini. Dove offrono generosamente lavoro e accoglienza a persone in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato o di un ricongiungimento familiare all’estero.
Fra loro, fino a pochi giorni prima, c’era Yasser, poco più che ventenne proveniente dalla Siria. Un ragazzo bene educato che si è fatto subito ben volere, sia lavorando al rifugio che nella falegnameria del paese dove imparava il mestiere. Ma una notte era scomparso. Senza lasciare spiegazioni e neppure un messaggio di addio. Era scomparso così, apparentemente senza un motivo. Yasser era maggiorenne e i carabinieri , pensando a una partenza volontaria, non avevano mai intrapreso delle vere ricerche.
Ma stavolta, arrivati in loco, le indagini di Cantoni, Otto, l’alano, e soprattutto di Anna stenteranno a decollare. In un ambiente pieno di tanti potenziali testimoni animali e vegetali, il caso sembrava ideale per essere affrontato e risolto con l’ausilio della sovrumane capacità di Anna, ma ci sarà un ma… Un grosso ma.
Per la prima volta infatti fuori città dal giorno del suo “incidente cerebrale”, trovandosi in mezzo alla natura e di fronte a miriadi di vegetali e presenze di animali selvatici, Anna si scoprirà completamente sopraffatta dalla smisurata forza e cacofonia delle voci che sembrano quasi esplodere provenienti dalla natura. Simili a incomprensibili grida che l’assordano, rendendola incapace di distinguere i suoni. Nell’attesa che riesca in qualche modo ad abituarsi a quella brutale novità e riacquistare le sue capacità comunicazione con quanto la circonda, deve restarsene al chiuso, mentre Cantoni è costretto a muoversi da solo e in maniera tradizionale. Il tutto sotto il malevolo sguardo dei mille occhi e orecchie che nei villaggi appenninici vedono tutto e non aiutano o graziano mai. Anna freme , si sente inutile e pronta a tornarsene a casa, rendendosi conto che la faccenda sta diventando molto più complicata e articolata del previsto.
Nel frattempo in mano a Cantoni l’indagine si biforca seguendo a tentoni tracce pronte a sviarsi in mille rivoli con possibili implicazioni domestiche che addirittura dal rifugio vanno a infilarsi in paese con la faccenda pronta ad arenarsi su mille piste prive di costrutto. Come se fossero tanti pezzi di un puzzle, appartenenti però a puzzle diversi fra loro…
Finché Anna, con la paziente comprensione di Cantoni e l’aiuto dell’alano Otto sempre al suo fianco, saprà stabilire un contatto con un vecchio cane pastore in grado di farle scoprire nuovi metodi per parlare con le vegetazione della foresta che circonda il rifugio e gli animali come un riccio, una cinghialessa, gli scoiattoli, i caprioli e, i lupi e piano piano riuscirà a ricomporre la drammatica logica dei fatti. Logica perversa e quasi incomprensibile per la sua mentalità ma a
farle comprendere anche che nel bene e nel male, in qualche modo esiste sempre un collegamento e una spiegazione.
Sarah Savioli, grazie alla sua collaudata conoscenza come perito tecnico-scientifico forense, con piglio arguto ed estrema naturalezza ha inventato forse l’investigatrice più singolare, spassosa e stravagante del cosy crime all’italiana.

Sarah Savioli nasce nel 1974 in Sardegna. Laureatasi a Parma in Scienze naturali, consegue un master in Scienze forensi e uno in Chimica analitica e svolge per più di dieci anni attività di perito tecnico- scientifico forense, prima in collaborazione con il dipartimento di Fisica dell’Università di Parma e con il Ris dei Carabinieri, poi in libera professione. Lasciato il lavoro per motivi personali, ha riscoperto la scrittura, arrivando per due volte finalista nel concorso “Romanzi in cerca d’autore” indetto da Kobo e Mondadori.

Source: libro del recensore.

Lungo petalo di mare di Isabel Allende (Feltrinelli, 2019) a cura di Elena Romanello

9 marzo 2020

41o-+qZpA4L._SX317_BO1,204,203,200_Le sorti della guerra civile spagnola stanno volgendo a favore del dittatore Francisco Franco, e molti spagnoli sono costretti a fine anni Trenta a scappare dal loro Paese, in particolare dalla Catalogna e Barcellona, due delle zone più ribelli, per riparare in Francia dove finiscono in campi di concentramento in attesa di un futuro incerto.
Tra di loro ci sono Victor Dalmau, giovane e entusiasta studente di medicina, che ha messo a frutto le sue competenze per aiutare l’esercito repubblicano, e Roser, ex pastorella diventata musicista e attivista della ribellione, nonché fidanzata del suo defunto fratello Guillaime, caduto al fronte, e con in grembo il loro bambino.
Dall’altra parte del mare, in Cile, il console Pablo Neruda, anche poeta, decide di allestire una nave, la Winnipeg, per recuperare una parte di quegli spagnoli fuggiaschi e portarli in salvo oltre mare, perché in Francia non hanno un futuro, sono mal visti e inoltre sull’Europa si sta addensando la minaccia della Seconda guerra mondiale. Per salire sulla nave Victor e Roser si sposano e con il bambino varcano l’oceano e arrivano in quello che è chiamato un lungo petalo di mare.
Ma le loro vicende non sono ancora finite, il loro matrimonio di facciata, impossibilitato a finire in Cile con un divorzio per le leggi locali, evolverà in qualcos’altro, mentre Victor vivrà una passione breve ma intensa per Ofelia, figlia viziata di una ricca famiglia, il cui ricordo tornerà da lui anni dopo.
In mezzo ci saranno il golpe di Pinochet, la prigionia per lui, la fuga per entrambi in Venezuela, un ritorno senza ricordi in Spagna, il ritorno in Cile, lutti, gioie, ritrovamenti e riscoperte, in quello che è l’ennesimo inno alla vita dell’autrice e ai mille casi che capitano in essa, in un mondo dove mille sconvolgimenti possono cambiare ogni cosa.
Isabel Allende torna a parlare del Cile e della sua Storia nel Novecento, rievocando il colpo di stato di Pinochet che fece anche di lei un’esule, mescolandolo con un’altra tragedia di decenni prima, la Guerra civile spagnola, che fece fuggire milioni di persone di fronte all’avanzare del più duraturo regime fascista, portando in Cile profughi che all’inizio ebbero difficoltà ma che poi costituirono uno dei nuclei più vivi e colti del Paese. Victor in Cile diventa un affermato chirurgo, mentre Roser una musicista di fama, finché l’avvento di un altro dittatore distrugge le loro vite, soprattutto quella di lui, che dovrà ricominciare ancora, varie volte, fino ad un finale dove tutto non è finito.
Victor, protagonista della vicenda, è basato su una figura reale della storia, amico personale dell’autrice, ed è capace di far affezionare lettrici e lettori dalla prima pagina, quando compie un quasi miracolo, salvando un ragazzino ferito sul fronte spagnolo massaggiandogli il cuore, un qualcosa che lo ispirerà tutta la vita. Interessanti anche le figure femminili, la ribelle Roser, compagna di una vita di Victor, suo malgrado prima e poi non, e la viziata Ofelia, che solo quando si sarà liberata del peso delle tradizioni potrà vivere una sua vita, dopo aver pagato a caro prezzo l’attaccamento alla famiglia e alla sua ricchezza.
Lo stile di Isabel Allende è appassionato, ironico, commovente, trascinante, racconta tragedie immani e gioie con lievità mai banale e partecipazione, facendo riflettere su come purtroppo gli eventi tendano a ripetersi e la fuga degli spagnoli dall’avanzata di Franco ricorda altre fughe che abbiamo visto in tempi più recenti, non ultima la tragedia che sta capitando in Siria e in Medio Oriente. Un libro su passati anche recenti (le dittature sudamericane sono ancora una ferita aperta, sul franchismo si sta cominciando a riflettere solo ora) per riflettere sul presente e su drammi che continuano a ripetersi, in altre forme ma uguali nella sostanza.

Isabel Allende è nata a Lima, in Perù, nel 1942, ma è vissuta in Cile fino al 1973 lavorando come giornalista. Dopo il golpe di Pinochet si è stabilita in Venezuela e, successivamente, negli Stati Uniti. Con il suo primo romanzo, La casa degli spiriti del 1982 (Feltrinelli, 1983), si è subito affermata come una delle voci più importanti della narrativa contemporanea in lingua spagnola. Con Feltrinelli ha pubblicato anche: D’amore e ombra (1985), Eva Luna (1988), Eva Luna racconta (1990), Il Piano infinito (1992), Paula (1995), Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci (1998), La figlia della fortuna (1999), Ritratto in seppia (2001), La città delle Bestie (2002), Il mio paese inventato (2003), Il Regno del Drago d’oro (2003), La Foresta dei pigmei (2004), Zorro. L’inizio di una leggenda (2005), Inés dell’anima mia (2006), La somma dei giorni (2008), L’isola sotto il mare (2009), Il quaderno di Maya (2011), Le avventure di Aquila e Giaguaro (2012), Amore (2013), Il gioco di Ripper (2013), L’amante giapponese (2015), Oltre l’inverno (2017), Lungo petalo di mare (2019). Negli Audiolibri Emons Feltrinelli: La casa degli spiriti (letto da Valentina Carnelutti, 2012) e L’isola sotto il mare (letto da Valentina Carnelutti, 2010). Inoltre Feltrinelli ha pubblicato Per Paula. Lettere dal mondo (1997), che raccoglie le lettere ricevute da Isabel Allende dopo la pubblicazione di PaulaLa vita secondo Isabel di Celia Correas Zapata (2001). Nel 2014 Obama l’ha premiata con la Medaglia presidenziale della libertà.

Provenienza: libro del recensore.

:: Lontano dagli occhi di Paolo Di Paolo (Feltrinelli, 2019) a cura di Eva Dei

14 gennaio 2020

Lontano dagli occhiUn uomo che sta per diventare padre non lo riconosci da niente.”

Con questa riflessione si apre la storia che ci racconta Paolo Di Paolo nel suo ultimo romanzo Lontano dagli occhi. In effetti non avrebbe senso cedere il posto a sedere sull’autobus a un futuro padre; inoltre lui può fumare, bere, mangiare qualunque cosa senza rischi e sensi di colpa. Può perfino flirtare con una bella ragazza e dimenticarsi, per un momento, di quella dolce attesa che non grava sul suo corpo. Ma qualcosa, se non certamente nel suo fisico, scatta nella sua mente: un cambiamento epocale che dal ruolo di figlio lo eleva a quello non più semplice di genitore.
L’autore prova a indagare questa trasformazione, a ricercare le emozioni e i turbamenti di questo passaggio attraverso le vite di sei personaggi.
A Roma nell’aprile del 1983 tre uomini, l’Irlandese, Ermes e Gaetano, si sentono dire la stessa frase: “sono incinta”. A pronunciarla tre donne: Luciana, Valentina, Cecilia. Coppie completamente diverse per età, lavoro, interessi e problematiche. Le conosciamo in maniera frammentata e alternata. Forse anche parlare di coppie non è esatto: individui che incrociano per un periodo più o meno breve la loro vita; provano qualcosa l’uno per l’altro, questo sì, ma alla voce narrante non interessa indagare il tipo di sentimento o la sua intensità, perché due sono le cose che li accomunano davvero. La prima, quella più ovvia, è che da quell’incontro si genera qualcosa, o meglio qualcuno, una sorta di piccolo alieno che non può essere ignorato, che reclama la loro totale attenzione.

Di indubitabile c’è che, a questo punto, l’Irlandese, Ermes e Gaetano, dispersi nella folla, potrebbero sottrarsi alla parte che a loro spetta nella venuta al mondo di un altro essere umano. Ciò che l’ha determinata è un evento già superato, in una sequenza di eventi che d’ora in avanti li esclude. Perché poi, da qualche parte – visibili, stupefatte, e sole, in quella devastante metamorfosi – ci solo le madri.

Nessuna delle tre donne pensa di mettere fine a quella gravidanza, ma nessuno tra loro sei sembra realmente consapevole di come affrontarla. Inevitabilmente però, e questo è il secondo denominatore comune, nel momento in cui stanno per diventare madre o padre, tutti i protagonisti ripensano al loro essere figli, al rapporto con i loro genitori.
L’autore ci trascina dentro le storie di questi personaggi quel tanto che basta per farci affezionare a loro, per incuriosirci, portandoci a chiedere cosa succederà una volta che gireremo pagina. Ma proprio in quel momento l’artificio letterario si svela in tutta la sua potenza: una pagina grigia ed entra in scena la “Vita”, che dà il titolo all’ultimo capitolo del libro.

“L’alieno ero io. Sono un personaggio di questa storia, un dettaglio nell’angolo in basso della tela. Sono il neonato avvolto nel fagotto di stoffa.”

Queste persone così “possibili”, con le loro storie così verosimili, sono soltanto sei carte in un mazzo infinito di possibilità. Siamo finiti in un gioco “di se e di ma” che potremmo giocare all’infinito, ottenendo realtà sempre diverse ma ugualmente possibili. L’io narrante entra in gioco e immagina di dialogare con i personaggi che ha creato, perché qualcosa delle loro storie potrebbe aver dato origine alla sua.
Con questo romanzo l’autore si interroga sulla genitorialità, fatta non solo di amore e affetto, ma anche di dubbi, incapacità e inadeguatezza. Imprescindibile sembra essere la relazione di un futuro genitore con la sua infanzia: la volontà e insieme la paura di non ripetere gli stessi errori, il vuoto provocato da una perdita, quello causato dalla mancanza di affetto. Scrivendo però Paolo Di Paolo cerca anche di colmare qualcosa, di trovare le risposte a un vuoto, non dato soltanto da un’assenza fisica, ma dalla totale incertezza sulle proprie radici, con le quali tutti arriviamo prima o poi a confrontarci.

Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. Ha pubblicato i romanzi Raccontami la notte in cui sono nato (2008), Dove eravate tutti (2011; Premio Mondello e Super Premio Vittorini), Mandami tanta vita (2013; finalista Premio Strega), Una storia quasi solo d’amore (2016), Lontano dagli occhi (2019), tutti nel catalogo Feltrinelli e tradotti in diverse lingue europee. Molti suoi libri sono nati da dialoghi: con Antonio Debenedetti, Dacia Maraini, Raffaele La Capria, Antonio Tabucchi, di cui ha curato Viaggi e altri viaggi (Feltrinelli, 2010), e Nanni Moretti. È autore di testi per bambini, fra cui La mucca volante (2014; finalista Premio Strega Ragazze e Ragazzi), e per il teatro. Scrive per “la Repubblica” e per “L’Espresso”.

Source: libro del recensore.

:: L’amante di Lady Chatterly di D.H. Lawrence (Universale Economica I Classici Feltrinelli 2013) a cura di Alexander Recchia

4 aprile 2019

LadyChatterleyL’amante di Lady Chatterly è la storia di un amore vero, autentico, fatto di spontaneità; opposto al sentimento contraffatto, fatto di auto imposizioni, che cela i veri desideri e passioni dell’uomo. L’Amore e soprattutto il sesso sono stati da sempre vittime di stigmatizzazioni e dogmi. Ciò ha fatto in modo che diventassero il surrogato mentale di quello che veramente sono e rappresentano per l’essere umano, come afferma D.H. Lawrence nella postfazione al suo romanzo. In tutte le epoche si è cercato di celare il vero eros nascondendolo attraverso convinzioni autoimposte, arrivando in alcuni casi a demonizzarlo. Queste hanno portato in maniera inevitabile ad una frattura tra quello che si deve, e, quello che si vuole essere. Scissione interna in cui si perde l’essenza del sentimento umano a scapito di una mera e inconsistente costruzione razionale.
Il romanzo ha come protagonista una giovane donna, Constance (detta Connie). Appartenente alla borghesia scozzese, Connie ha una mente brillante, idee progressiste ed un’infinita gioia di vivere. In Germania, dove studia, conosce per la prima volta i propri sentimenti. Successivamente torna in Inghilterra dove sposa Sir Clifford, divenendo così Lady Chatterly. La storia tra i due inizia già travagliata. Clifford tornato “mutilato” dalla guerra si rivela essere un egoista, cinico, interessato solo al proprio successo letterario. Il senso del dovere matrimoniale e delle norme sociali impone, inizialmente, a Connie di badare al marito ed alle sue necessità. Tutto ciò però non può portare alla vera realizzazione di sé. Il tormento e la catarsi giungono per la protagonista quando conosce Oliver Mellors, guardiacaccia del marito. Così diverso da lai per estrazione e cultura, ma così simile per passione. Insieme, i due, scoprono la loro vera essenza. I sentimenti quelli reali vengono così a galla nonostante le possibili opposizioni delle convenzioni sociali del tempo.
Lawrence, con L’amante di Lady Chatterly porta a ripensare se stessi e i propri surrogati esistenziali. Rivalutando il rapporto tra pensiero e sentimento conduce il lettore, di ogni tempo, a rivalutare la propria essenza di essere umano. Il messaggio dell’autore non va certo frainteso come un invito al libertinismo estremo, ma vuole piuttosto sottolineare come la vera sessualità sia legata profondamente e in maniera inscindibile all’amore. Solo dove questo ultimo ha trovato radici profonde garantirà una fedeltà delle carni e una reale fusione tra sentimento e ragione. Prima edizione italiana 1945. Traduzione di Silvia Rota Sperti.

David Herbert Lawrence (Eastwood, 11 settembre 1885 – Vence, 2 marzo 1930) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, saggista e pittore inglese, considerato tra le figure più emblematiche del XX secolo. Insieme a diversi scrittori dell’epoca, fu tra i più grandi innovatori della letteratura anglosassone, soprattutto per le tematiche affrontate.

Provenienza: acquisto del recensore.

:: Afrodita di Isabel Allende (Universale Economica Feltrinelli, 1998) a cura di Elisa Napoli

25 marzo 2019

afrodita imageAfrodita, un viaggio tra i sensi, tra le fantasie più perverse e goderecce della tavola e della vita, un mémoire di ricordi e racconti personali condito da ricette succulente e gustose. L’amore e la cucina si uniscono in un mélange perfetto nel quale erotismo e cibo sono per la Allende un binomio prelibato ed irrinunciabile, il cui confine è talmente labile da confondersi. Afrodita vuole essere un viaggio guidato dal piacere del palato e dalle tre guide che hanno accompagnato la stesura dello stesso: Isabel, straordinaria e divertente nella sua inclinazione ciceronica, Panchita, fantasiosa ed intuitiva cuoca nonché madre dell’autrice, e Robert, amico e abile disegnatore di ninfe e satiri baccanti protagonisti del libro. Non è un ricettario ma un qualcosa di unico, di atipico, un testo nel quale la lussuria e l’erotismo accompagnano questa interessante lettura, sapientemente indirizzata dalla sensualità e dall’autoironia di una scrittrice che, per la prima volta, si mostra per come è. Non solo una delle autrici latinoamericane di maggior successo ma la regina della cucina che, rifuggendo dall’archetipo domestico, spazia nelle perversioni e nei piaceri risvegliando nella nostra mente desideri voluttuosi sapientemente accostati a succulenti piatti. Ciliegie civettuole, pere ubriache, sospiro di carciofi, mele stregate, salse ed entrées sono dei veri e propri inviti al peccato che noi tutti aneliamo volendone cibarci. Ma il vero piatto forte è l’amore, vissuto senza paracadute, senza freni, regole, con una buona dose di romanticismo e, perché no, di simpatia. Isabel Allende è estremamente esilarante, cinicamente divertente, capace di risvegliare primitivi istinti, ridestando ad uno ad uno i nostri sensi conducendoci verso il peccato originale che, a ben pensarci, altro non è che la disobbedienza di cui possiamo servirci in piccole dosi, in amore ed in cucina.

Isabel Allende è nata a Lima nel 1942, vivendo poi in Cile fino al 1973. Dopo il golpe di Pinochet si è stabilita in Venezuela e, successivamente, negli Stati Uniti. È una delle voci più importanti della narrativa contemporanea in lingua spagnola.

Source Acquisto personale.

:: Il bambino nella neve di Wlodek Golkorn (Feltrinelli, 2016) a cura di Giulietta Iannone

6 marzo 2019

indexEcco, io penso che dopo la Shoah non è possibile il Tikkun: il mondo rimane e rimarrà senza riparazione.

Narrare l’indicibile è il pesante compito che spetta ai sopravvissuti della Shoa, e ora, che le generazioni sono passate, ai figli dei sopravvissuti, ai nipoti, ai bis nipoti in una catena di memoria che si fa memorie personali e preziose ognuna a suo modo, come tante sono le verità che compongono la verità.
Di questo compito si prende carico, anche dolorosamente, Wlodek Golkorn giornalista e scrittore abituato a narrare le storie degli altri, ora alle prese con la propria storia personale e familiare.
Figlio di ebrei comunisti sopravvissuti, ora testimone non diretto ma riflesso di avvenimenti così tragici, così assurdi, così impossibili da vedere in una luce costruttiva o catartica, o anche solo di senso. La cattiveria umana è un mistero insondabile, forse un mistero non solo umano, per chi ci crede. Quando agli uomini ne viene data facoltà compiono le barbarie più inaudite, non tutti, non sempre, e dopo quasi sempre si autoassolvono, si giustificano, “ho ubbidito agli ordini”, “tutti facevano così”, “se non avessi fatto così mi avrebbero ucciso”. Perché se ci sono i sopravvissuti tra le vittime, ci sono anche i sopravvissuti tra i carnefici, tra le persone per cui la banalità del male è così ovvia, consueta, rassicurante.
Non deve essere stato facile per Wlodek Golkorn tornare con la mente alla sua infanzia in Polonia, alla sua “fuga” in Israele, alla sua vita in Germania, per poi approdare in Italia, a Firenze, dove tuttora vive. Ma deve essersi detto che era suo dovere, un compito a cui non poteva sottrarsi, per cui chiese al suo giornale il permesso di fare questo viaggio, questo pellegrinaggio, in compagnia di una fotografa Neige De Benedetti.
E così è tornato in Polonia, a Cracovia, a Varsavia, per poi raggiungere Auschwitz, Belzec, Sobibor, fino a Treblinka che chiude il cerchio.
Con grande sincerità ci narra cosa ha provato andando in quei luoghi tra rabbia e compassione, tra memorie della sua famiglia e esperienze sue personali, consapevole che il vuoto di senso di tutto questo orrore ancora resta aggrappato a ogni granello di polvere che può contenere ancora tracce di cenere delle vittime passate per i camini dei forni crematori.
Si chiede cosa abbiano provato quelle donne, quegli uomini, quei vecchi, quei bambini in quei momenti. Quando percepivano, dopo le crudeli bugie dei carnefici, che sarebbero andati invece a morire, che non avrebbero avuto più scampo.
Wlodek Golkorn si interroga anche di cosa sia fatta la memoria, la volontà di tramandare quei ricordi ai propri nipoti, perché sappiano la storia della loro famiglia, da dove hanno tratto le radici.
Tra gli orrori del Novecento, e della Seconda Guerra Mondiale in particolare, la Shoa resta una cosa a sé, con peculiarità sue proprie, un’unicità indicibile appunto.
Senza retorica Wlodek Golkorn cerca di capire lui per primo, per poi spiegare a chi ha voglia di ascoltare, il tipo di atteggiamento con cui fare i conti con quelle memorie, con quel passato. Un passato comune, perché di tutto il genere umano non solo del popolo ebraico.
In questo periodo di derive antisemite ne consiglio la lettura, anche per il valore letterario del testo (ci sono punti di estrema bellezza), ma con un’avvertenza: non è una lettura asettica, bisogna giungervi preparati.

Wlodek Goldkorn è stato per molti anni il responsabile culturale de “L’Espresso”. Ha lasciato la Polonia, sua terra nativa, nel 1968. Vive a Firenze. Ha scritto numerosi saggi sull’ebraismo e sull’Europa centro-orientale. È co-autore con Rudi Assuntino di Il Guardiano. Marek Edelman racconta (1998) e con Massimo Livi Bacci e Mauro Martini di Civiltà dell’Europa Orientale e del Mediterraneo (2001) e autore di La scelta di Abramo. Identità ebraiche e postmodernità (2006). Per Feltrinelli ha pubblicato Il bambino nella neve (2016).

Source: acquisto personale.

:: Un atomo di verità – Aldo Moro e la fine della politica in Italia di Marco Damilano (Feltrinelli 2018) a cura di Nicola Vacca

12 aprile 2018

Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia

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Ha ragione Marco Damilano. Il 16 marzo 1978 in via Fani è avvenuta la fine della politica.
Questa è la tesi che il direttore de l’Espresso sostiene nel suo libro Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia.
Non un saggio storico, neppure un romanzo, ma un viaggio nella memoria.
Sì, proprio così Damilano ama definire il suo libro.
Un viaggio che inizia con un ricordo personale nitido che lo riguarda.
L’autore racconta che quella mattina, venti minuti prima della strage brigatista in Via Fani, lui bambino passò con il pulmino che lo portava a scuola da quel luogo che avrebbe completamente cambiato la storia politica d’Italia.
«Quel giorno sono diventato grande», scrive Marco Damilano all’inizio del suo viaggio nella memoria di un romanzo della Nazione che proprio il 16 marzo 1978 ha visto i suoi ideali soccombere nel sangue.
Via Fani è stato il luogo del nostro destino e il sequestro di Aldo Moro ha segnato la fine della Repubblica dei partiti.
Marco Damilano con una prosa ricca di suggestioni scrive un memoir, prestando attenzione alle carte personali di Aldo Moro finora rimaste inedite, non trascurando nulla di quel periodo drammatico.
Interessante nel libro l’approfondimento che Damilano dedica ai protagonisti della vita culturale che in quegli anni intervennero su Moro, primi fra tutti Pasolini e Sciascia.
Giorni tragici quelli del sequestro e del delitto di Aldo Moro. Uno dei periodi più bui della storia repubblicana che è stato fatale alla nostra Repubblica. Soprattutto ne ha decretato la morte attraverso la fine della politica e dei partiti.
Dopo la morte di Moro questo è molto altro è accaduto. Damilano lo scrive nel suo libro senza giri di parole:

« La fine della Repubblica dei partiti, rappresentativi della società in ogni sua piega, e l’emergere di leader, partiti e movimenti, forze che si proponevano di rappresentarsi da soli, seguendo “ il moto indipendente delle cose” che portava all’annullamento della politica».

La Repubblica ha cominciato la sua agonia il 16 marzo 1978 e poi il 9 maggio con l’assassinio da parte delle Brigate Rosse di Aldo Moro. E terminò il giorno del lancio delle monetine contro Bettino Craxi.
Ma l’agonia continua oggi che il narcisismo ha preso il sopravvento e quella che chiamano politica non coltiva più la speranza, ma la paura dei cittadini e la loro rabbia.
Marco Damilano è lucido nella sua analisi e fa bene a usare parole così dure.
È interessante leggere le motivazioni che hanno spinto il giornalista a scrivere questo libro, a intraprendere questo viaggio nella memoria individuale e collettiva.
Damilano, perso nelle lettere di Moro, nei ritagli stampa e nelle foto dell’epoca, vuole strappare Aldo Moro al caso Moro, restituirlo ai suoi pensieri di professore universitario, di uomo politico e soprattutto di persona, farlo uscire libero dalla prigione delle Brigate Rosse, dove lo hanno confinato i suoi nemici, ma anche chi nel suo nome ha giocato una partita di potere e chi lo ha dimenticato.
Il viaggio della memoria di Aldo Moro per capire anche dove la politica italiana si è bloccata definitivamente.
Ancora oggi Via Fani è uno scenario vuoto, ma è anche il luogo collettivo del nostro destino. A distanza di quaranta anni quello che manca è un atomo di verità.

«Muore ignominiosamente la Repubblica. / Ignominiosamente la spiano / i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti»

scrisse il grande poeta Mario Luzi nei versi tragici di Al fuoco della controversia nel 1978.
Il 16 marzo di quaranta anni fa è stato il giorno più lungo della Repubblica.
Marco Damilano nel suo (e nostro) viaggio nella memoria, oggi che la politica non è più orizzonte di senso ma narcisismo e nichilismo, invita noi tutti a non smettere di credere che la nostra Repubblica possa tornare a essere una democrazia adulta, ad avere fame di giustizia, sete di un atomo di verità, che come diceva Aldo Moro, è più resistente di milioni di voti.

Marco Damilano (Roma, 1968), giornalista, è il direttore del settimanale “l’Espresso”. Tra le sue ultime pubblicazioni: Eutanasia di un potere. Storia politica d’Italia da Tangentopoli alla Seconda Repubblica (Laterza, 2012); Chi ha sbagliato più forte. Le vittorie, le cadute, i duelli dall’Ulivo al Pd (Laterza, 2013); La Repubblica del selfie. Dalla meglio gioventù a Matteo Renzi (Rizzoli, 2015); Processo al nuovo (Laterza, 2017). Ha curato Missione incompiuta. Intervista su politica e democrazia di Romano Prodi (Laterza, 2015) e partecipa alla trasmissione “Propaganda Live” su La7. Per Feltrinelli ha pubblicato Un atomo di verità. Il caso Moro e la fine della politica in Italia (2018).

Source: libro del recensore.

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:: Le assaggiatrici di Rosella Postorino (Feltrinelli 2018) a cura di Marcello Caccialanza

29 marzo 2018

Le assaggiatrici di Rosella Postorino

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Le assaggiatrici, eccentrico ed alquanto curioso romanzo, edito dalla Casa Editrice Feltrinelli e scritto per mano dall’autrice Rosella Postorino, è senza ombra di dubbio un interessante viaggio nella Germania Nazista, vissuto e narrato in un’ottica nuova ed accattivante, capace, a mio avviso, di spiazzare lo stesso lettore che ne rimane ipnotizzato ed affascinato.
Non è dunque la solita narrazione stereotipata e racchiusa nei soliti clichè che a lungo andare ti lasciano indifferente e sterile d’innanzi ad eventi che dovrebbero essere sempre in grado di scuoterti e farti riflettere. Cosa che la scrittrice nella novità della sua narrazione ha fatto in modo esemplare!
Rosa Sauer è una giovane donna che risiede d’abitudine in una fredda caserma nazista. Suo compito ingrato è quello di assaggiare, alla moda dei grandi imperatori romani e dello stesso Bonaparte, i piatti destinati al palato di Hitler per accertarne la non alterazione.
Ma come in un buon romanzo che si rispetti, l’autrice inserisce anche un’appassionante liaison amorosa come pregevole cameo. Infatti tra Rosa e il crudele comandante della caserma nascerà un vero e proprio legame affettivo, tanto speciale quanto conturbante!

Rosella Postorino (Reggio Calabria, 1978) è cresciuta in provincia di Imperia, vive e lavora a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula, incluso nell’antologia Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2004). Ha pubblicato i romanzi La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007; Premio Rapallo Carige Opera Prima), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) e Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018). È fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015).

Source: libro del recensore.

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:: Cronaca di lei di Alessandro Mari (Feltrinelli 2017) a cura di Viviana Filippini

27 febbraio 2018

Cronaca di lei di Alessandro Mari

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Cronaca di lei” di Alessandro Mari è un libro che ti trascina nella sua trama dalla prima all’ultima pagina. I protagonisti sono una giovane donna che fa la modella e tanti altri lavoretti per guadagnare un po’ di soldi e Milo One way Montero, un pugile che è stato campione del mondo. Tra i due c’è un legame che dura da tempo, ed è fatto da un continuo tira e molla. Ad un certo punto però la coppia sembra ritrovarsi per dare forma a qualcosa di più stabile, solo che Milo è in crisi. Il romanzo di Mari ha un ritmo cinematografico dove gli eventi si inseguono uno dopo l’altro come se fossero i fotogrammi in rapida successione di un film. In questo scorrere di nomi, fatti cose ed eventi il personaggio più forte che emerge è, dal mio punto di vista, quello di Lei. La ragazza amata da Milo. La giovane ha un fisico esile, mingherlino, con segni incancellabili che fanno capire, senza troppo disvelare, le prove estenuati e stressanti alle quali la giovane donna è stata sottoposta nella vita. Lui – Milo- non solo ha perso lo smalto di campione mondiale, ma è pure stato sottoposto ad un intervento all’occhio e questi eventi non fanno niente altro che renderlo più fragile e simile alla lei che lo ama e lo accudisce. Tra la ragazza e Milo non ci sono molte parole, loro comunicano attraverso i loro copri, con l’olfatto, con il tatto e con gesti che servono al lettore a caprie quanta empatia ci sia tra questi due corpi e anime ferite dalla vita. La loro storia fatta di strappi esistenziali si potrebbe ricucire solo se riuscissero a vivere la loro relazione in santa pace e invece si innesta Irene, la sorella di Milo. La donna è ossessionata dai soldi e dal doverne fare sempre di più. Non a caso è lei che gestisce il patrimonio del fratello, ed è lei che farà tutto il possibile per far venire alla luce la biografia di Milo e farne soldi. Il compito di scrivere è affidato a Leo Ruffo, il giornalista scrittore che vive in una sorta di limbo perché lui, che è stato incaricato di scrivere la biografia di Montero, entra in contatto con tutta la famiglia del pugile e questa vicinanza farà sì scattare in lui il bisogno di raccontare, ma come farlo? Ruffo è in bilico tra l’essere obiettivo, distaccato e raccontare le cose come stanno davvero, e raccontarle come vorrebbero i suoi committenti. Un bel dilemma che metterà a dura prova il giornalista diventato per i Montero, ma soprattutto per Milo, una sorta di confidente e un testimone che conoscete tutto quello che accade al pugile, su e giù dal ring. Leggendo “Cronaca di lei” di Mari ci si trova davanti ad un’umanità messa a dura prova dalla vita, travolta dagli eventi contro i quali i protagonisti vorrebbero combattere come se fossero sul ring per vincere, ma non sempre le cose vanno come loro vorrebbero. Milo, Ruffo e Lei si trovano così segnati da marchi indelebili, da ammaccature esistenziali che mai andranno via e al lettore, che è lì con il libro in mano, viene come la voglia di saltare dentro alle pagine per stare a vicino a questi umani letterari. Le creature che animano “Cronaca di lei” di Alessandro Mari appassionano chi legge, perché dimostrano che in loro vive una fragilità che li rende umani e simili a noi lettori.

Alessandro Mari (1980) è narratore e traduttore. Con Troppo umana speranza (Feltrinelli, 2011), suo esordio narrativo, si è imposto all’attenzione di pubblico e critica vincendo il Premio Viareggio-Rèpaci. Ha poi pubblicato Gli alberi hanno il tuo nome (Feltrinelli, 2013), “L’anonima fine di Radice Quadrata” (Bompiani, 2015), “Cronaca di lei” (Feltrinelli, 2017) e la graphic novel “Randagi” (Rizzoli-Lizard, 2016). I suoi lavori sono tradotti in Europa e in Sudamerica. Ha inoltre firmato e condotto programmi di cultura per la televisione.

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:: Il pozzo di Doris Lessing (Zoom Feltrinelli 2013) a cura di Daniela Distefano

14 febbraio 2018

IL POZZO di Doris Lessing

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Un ultimo ramoscello di ciliegio tra i lillà candidi e le giunchiglie gialle, in una panciuta brocca bianca…ce lo infilò coscienziosamente, a completare un disegno che aveva bisogno giusto di quell’attenzione. Gridando “Primavera!”, la brocca appoggiava su un tavolino al centro della stanza.

E’ San Valentino, per molti ma non per tutti. La festa degli innamorati è spesso un giorno triste per coloro che sono vittime di passioni incontrollate, di tradimenti, di sotterfugi sentimentali, di distorsioni affettive, di annichilimento del cuore, di spolpamento dell’anima, insomma, di dolore perché l’Amore anche quando è vero ed autentico si nutre di questa erbaccia amara. In questo racconto brevissimo si parla di un triangolo amoroso e di una scelta obbligata. Sarah, cinquantacinque anni portati con fierezza, riceve la visita di James, l’uomo di 53 anni con cui era stata sposata per dieci anni. Non sapeva perché venisse a trovarla, era trascorso del tempo dal loro ultimo incontro ravvicinato, i figli Nancy e Martin erano oramai grandi e indipendenti. James disse che voleva andare a trovarla “solo per parlare”. Già, ma di cosa? Se lo chiede con ansia e premonizione. Lui l’aveva tradita, abbandonata per un’altra donna, la magnetica Rose, però adesso non sentiva più quella fitta che accompagna sempre certe sconfitte dello spirito. In fondo, ci si abitua a tutto prima o poi. Forse voleva rimproverarla per qualcosa?
In realtà non ricordava che James avesse mai criticato le sue scelte, ma andarsene con una donna i cui gusti erano in tutto e per tutto opposti ai suoi non doveva essere considerata una critica?
James arriva col fiatone delle colpe e bussa alla sua porta del perdono:Ora sentiva che lui le era stato restituito. Può ritornare Sarah sui propri passi, può cancellare anni di silenzio interiore, accettare la proposta bizzarra del suo ex marito e partire insieme a lui verso una meta lontana come un sogno? Quando è stata ferita, solo il tempo ha rimosso le cicatrici; per lei, segretaria di direzione in una compagnia petrolifera, si era aperto un mondo ignoto e pieno di opportunità esistenziali. Si era messa a viaggiare, Parigi, New York, varie città dell’Inghilterra, un tripudio di giornate colorate dopo il monocromo fallimento matrimoniale. E adesso che si era liberata di lui, James veniva a scombinare le carte nuovamente. Forse si potrebbe dargli un’ultima chance, Sarah lo ama ancora, dopo tutto, dopo l’inferno della separazione? Ma questa storia include una ulteriore parte in gioco affatto marginale:Rose, amante e seconda moglie di James. Con lei tutto diventa pericoloso. Rose ha messo al mondo i figli di James, Rose la bugiarda, Rose la donna instabile che cerca protezione, Rose l’indomita, la sanguisuga, Rose è una minaccia per la serenità ritrovata di Sarah. Che fare? Lo scoprirete leggendo l’ultima pagina di questo “Pozzo” che può essere benefico solo se porta acqua e non ci si cade dentro. Sarah è una donna saggia come una pianta, riesce a vedere oltre la cortina di un fumo nocivo per lei e per il suo futuro. Un racconto scritto da una Doris Lessing in gran forma. Non un semplice intrattenimento o un esercizio di stile, ma un osservatorio sulle più astruse combinazioni di amore, coppia, e trappole.

Doris Lessing (Doris May Taylor) è nata in Persia (Iran), figlia di genitori inglesi, nel 1919, e ha vissuto l’infanzia a Kermanshah dove il padre lavorava in una banca. Nel 1925 la famiglia si è trasferita nella colonia britannica della Rhodesia (oggi Zimbabwe) a gestire una fattoria.
Doris Lessing ha studiato in un convento e poi in una scuola femminile di Salisbury, che ha abbandonato a quattordici anni. Ha completato la sua formazione da autodidatta, leggendo i grandi classici della letteratura. Ha lasciato la casa paterna a quindici anni.
Nel 1937 si è trasferita a Salisbury ed è iniziato il suo impegno politico, nella sinistra non razzista. A diciannove anni si sposa con Frank Charles Wisdom e ha da lui due figli, John e Jean.
Divorzia dal marito e lascia la famiglia nel 1943.
Si iscrive al Partito comunista, che abbandonerà nel 1954.
Sposa in seconde nozze l’attivista politico ebreo-tedesco Gottfried Lessing. Ma anche dal secondo marito si separa, nel 1949, dopo aver avuto da lui un figlio. Dopodiché si trasferisce in Inghilterra col figlio minore, Peter, e lì pubblica il suo primo romanzo, L’erba canta, nel 1950. Da questo momento consacra la sua vita alla scrittura.
Tra gli altri premi ha vinto il Grinzane Cavour “Una vita per la letteratura” nel 2001.
Nel 2007 ha vinto il premio Nobel per la letteratura.
In Italia i suoi romanzi sono pubblicati da Feltrinelli. Il ciclo di fantascienza invece è edito da Fanucci.
La Lessing è morta il 17 novembre a Londra.

Source: libro acquistato dal recensore.

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