Posts Tagged ‘Politica e società’

:: Un’intervista con Dott. Tiziano Ciocchetti, analista militare indipendente a cura Giulietta Iannone

11 marzo 2024

Dopo due dolorosi anni di guerra lo scontro tra Russia e Ucraina sta volgendo inevitabilmente al termine.
Anche al Pentagono sanno che le perdite ucraine, nonostante il grande impegno nella loro guerra di liberazione, sono ingenti e gli aiuti internazionali iniziano a declinare. Dove si è spostato il fronte?
In che tempi stima la risoluzione del conflitto?

Attualmente, i due contendenti, si fronteggiano lungo una linea che va da sud, Odessa, fino a nord, poco distante dalla città di Belgorod. Dopo l’esaurirsi della controffensiva ucraina dello scorso maggio, l’iniziativa è in mano ai russi che stanno utilizzando le riserve.

Errori tattici sono stati commessi da entrambi gli schieramenti, quali sono i più significativi dell’esercito ucraino e di quello russo? L’esercito russo comunque avendo i canali di approvvigionamento dietro al fronte partiva inevitabilmente avvantaggiato, sicuramente questo ha contribuito all’andamento della guerra, è corretto?

Possiamo dire che gli errori di Kiev sono stati strategici. L’Ucraina costituisce uno stato cuscinetto, era impensabile che si prestasse ad alleanze con gli Stati Uniti senza che il Cremlino intervenisse. I russi hanno commesso degli errori tattici, ma dispongono di capacità produttive (nel campo degli armamenti) sconosciute a noi europei. Poi i grossi problemi nella logistica, all’inizio della guerra, sono stati in parte sanati. Ricordiamo che è solo grazie al fondamentale sostegno Occidentale che gli ucraini possono continuare a combattere.

Che probabilità reali ci sono che l’Ucraina di Zelensky ribalti la situazione e vinca la guerra con Mosca recuperando i territori perduti e i confini territoriali ante 2022? La completa dissoluzione dello stato ucraino come l’abbiamo conosciuto fino adesso, dalla fine della seconda guerra mondiale perlomeno, è il reale obiettivo di Mosca?

Non ne ha! Per Kiev ormai la guerra è perduta, c’è solo la strada della trattativa.
Il reale obiettivo di Mosca, ovvero le possibilità che ha, collima con la creazione di una zona cuscinetto lungo la sponda orientale del fiume Dnipro, altro non potrebbe fare.

Parliamo ora delle intercettazioni dei militari dell’Aeronautica tedesca diffuse dai media russi. Ma il personale militare non ha canali di sicurezza per le comunicazioni? Questa intercettazione è stata secondo lei fatta trapelare in modo strategico o c’è stata una reale falla nella sicurezza? Insomma ora Mosca può presentare all’ONU prove concrete di un coinvolgimento diretto di Germania e Gran Bretagna, paesi NATO, nella guerra in Ucraina. Che peso stima abbia questo fatto sull’andamento della guerra in termini di escalation ed estensione del conflitto?

L’Europa è coinvolta da due anni ormai. Con la fornitura di armamenti, con l’addestramento delle forze ucraine, con le sanzioni economiche. La Russia non aveva bisogno d’altro.

Se cade l’Ucraina, veramente credo che la Nato dovrà combattere con la Russia“. E’ quanto ha detto il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin. Macron in un suo discorso mette nel conto l’invio di truppe in Ucraina, stessa cosa la Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, che in un suo discorso invita a prepararsi alla guerra con la Russia. Le intercettazioni poi degli alti militari tedeschi, che tanto hanno impensierito Mosca, parlano di piani specifici per colpire il territorio russo. Se l’Ucraina viene sconfitta, la Nato farà davvero guerra alla Russia, secondo lei? O sono solo minacce per spingere Mosca ad accettare piani di pace più vantaggiosi per l’Ucraina, nonostante si trovi militarmente in vantaggio?

Si tratta di una favoletta. Prima del 24 febbraio del ’22 l’Europa aveva ottime relazioni con la Russia, per fare un esempio l’Italia aveva uno scambio nel settore alimentare pari a un miliardo di euro all’anno. Mosca non ha né i mezzi né la volontà, né tanto meno l’interesse di attaccare l’Europa occidentale. Si tratta del solito espediente di Washington finalizzato ad avvicinare ancora di più gli stati europei alla causa atlantica.

Il Rappresentante Speciale del Governo Cinese per gli Affari Eurasiatici, Li Hui, è giunto in tutta fretta a Kiev il 7 marzo 2024 per la seconda fase della sua missione diplomatica di ricerca di una soluzione politica alla crisi in Ucraina. Cosa ne pensa? Ha possibilità di riuscire? E’ possibile che il diplomatico cinese abbia proposto una resa tattica e l’avvio di negoziati di pace prima che la situazione precipiti destabilizzando ancora di più l’Ucraina, magari con la mediazione cinese?

Solo Washington può indurre l’Ucraina ad avviare negoziati con i russi.

Putin non vuole sedere a un tavolo delle trattative di pace con Zelensky. Ha una posizione in campo tale da poter pretendere davvero questa condizione? Le dimissioni di Zelensky e del suo governo, eventualmente, potrebbero essere una condizione per l’avvio di negoziati prima di una completa capitolazione ucraina?


Sicuramente potrebbero rappresentare un primo passo verso quella direzione.

Questa guerra è un reale scontro tra Occidente libero e Est del mondo autoritario? In gioco ci sono davvero le libertà fondamentali di noi occidentali come sostiene da tempo Washington?


In gioco c’è la supremazia americana sull’Europa.

A livello militare e di intelligence che vantaggi ha tratto la Cina dalla guerra in Ucraina?
Sicuramente l’Occidente non ha spiegato militarmente tutto il suo potenziale ma un indebolimento militare della Russia e di conseguenza anche degli USA fa gioco alla Cina?

Il potenziale occidentale esiste solo nella misura in cui gli americani lo vogliono esprimere. Non parlerei di un indebolimento militare degli americani, piuttosto parlerei di ulteriore perdita di credibilità.


Per alcuni bisogna solo aspettare novembre e con la possibile rielezione di Trump si potrà siglare finalmente il tanto sospirato trattato di pace con la Russia. E’ un reale scenario politico e militare?
Sempre che Zelensky non accetti la mediazione vaticana e issi una simbolica “bandiera bianca” ovvero dichiari la resa con l’onore delle armi e il sostegno nelle trattative di pace dell’Occidente magari con la promessa di entrare se non nella NATO, almeno nella Comunità europea. Anche questo è uno scenario possibile a breve, secondo lei?

Non darei eccessivi poteri al presidente americano. Zelensky è alla mercè degli americani, accetterà solo una decisione di Washington.


Grazie

Roma, 11 marzo 2024

:: La guerra e il mondo di Luigi Bonanate (Carocci Editore 2023) a cura di Giulietta Iannone

1 marzo 2024

Esisterà mai un mondo nuovo senza più guerre? A questa domanda sembra non ci sia risposta certa sebbene tra il 1985 e il 2005, ovvero tra la caduta del Muro di Berlino e l’attacco alle Torri Gemelle e l’inizio della grande crisi finanziaria questa speranza c’è stata, concreta, la creazione di un mondo nuovo, l’era della pax democratica che avrebbe abolito per sempre le guerre e le risoluzione delle crisi internazionali con l’uso della forza e delle armi. Ma così non fu: di guerre nel mondo ce ne sono numerose e di nuove continuano a scoppiare quasi ininterrottamente dalla recente guerra in Ucraina, scoppiata due anni fa, alla ancora più recente guerra di Gaza in Medio Oriente, che tra guerra, fame e malattie potrebbe uccidere oltre 85 mila palestinesi. La guerra è morte, orrore, distruzione, uccisione indiscriminata di civili, e più contenutamente di militari, non ci sono altre definizioni per definirla ed è un atto barbaro ma razionale e ponderato, una continuazione della politica con altri mezzi, e in questo sta tutto il suo potere deflagrante e non onostante tutto razionale. Che la guerra sia un atto politico, decisa dalla politica, è il fulcro del saggio La guerra e il mondo di Luigi Bonanate, Carocci Editore 2023. Chi pondera un atto di guerra si pone degli obbiettivi da raggiungere, che siano conquiste territoriali o il mero indebolimento del nemico, e li persegue ostinatamente finchè non li ottiene e può dirsi soddisfatto proclamando la sua vittoria. Così era nel passato, così è oggi con armi sempre più tecnologiche fino all’ultima incognita di un conflitto nucleare globale che non porrebbe ne sopravvissuti nè vincitori ma la semplice e definitiva estinzione del genere umano. Dopo due guerre mondiali sanguinose con i suoi milioni di morti la guerra moderna ha raggiunto stadi di evoluzione impensati e sembra non passare mai di moda. Perchè le guerre scoppiano, perchè si combattono, quando si raggiunge lo stato di sospensione del conflitto chiamato proditoriamente pace? Su queste domande si interroga il professore emerito Luigi Bonanate con la saggezza raggiunta dopo una vita impegnata a studiare e analizzare le Relazioni Internazionali nel suo svolgersi e nel suo esplicitarsi. La guerra sembra illuminare il mondo, ovvero sembra delineare i suoi processi di sviluppo a un prezzo altissimo e apparentemente anti economico. La guerra non brucia solo vite umane ma infrastrutture, armi costosissime, impedisce l’accumulo e la produzione di ricchezze e di beni, è insomma fatta per essere breve e risolutiva e invece contrariamente quando una guerra scoppia non si sa mai quando la diplomazia riprenderà il sopravvento e si tornerà a un tavolo delle trattative per la stila del trattato di pace. Le guerre si trascinano per anni, e sia vinti che vincitori alla fine sono più poveri di prima. E allora perchè continua ad essere uno strumento politico utilizzato nel mondo moderno? Non dovremmo aver raggiunto uno stadio di evoluzione, come specie umana, in cui questo mezzo antieconomico e intrinsecatamente immorale fosse definitivamente bandito? Il professore Bonanate studia la guerra e i motivi che la determinano per comprendere se mai questo sarà possibile e pur con tutta la buona volontà e il buon senso conclude che la guerra è politica, anzi è il fallimento della lotta politica. Perchè una sola cosa non è cambiata mai: la morte. La guerra è prova di debolezza, se non addirittura di incapacità e inferiorità. Ultimo progresso del genere umano sarà abolire la guerra, ma finora non c’è ancora stato.

Luigi Bonanate è professore emerito di Relazioni internazionali all’Università di Torino e socio dell’Accademia delle Scienze di Torino. Tra i suoi scritti, Etica e politica internazionale (Einaudi, 1992); I doveri degli stati (Laterza, 1994); Il terrorismo come prospettiva simbolica (Aragno, 2006).

:: Istruzioni per il buon governo – Antologia in 360 massime sui principi per il retto governare della Cina antica – introduzione di Tiziana Lippiello, a cura di Ludovica Gallinaro (Marsilio 2022) a cura di Giulietta Iannone

12 dicembre 2022

All’inizio dell’era imperiale Zhenguan, l’imperatore Taizong della dinastia Tang (618-907) decretò che fosse redatta l’opera Qunshu Zhiyao (Istruzioni per il buon governo). Affidò a due ministri della corte il compito di catalogare il materiale storico e storiografico attinente all’arte di governo, scegliendo tra i classici, le compilazioni storiche e le opere di pensatori ogni contenuto che potesse illustrare i principi della coltivazione di sé, della cura della famiglia e del governo dello Stato. Durante la dinastia Song (960-1279) l’opera andò perduta, ma fortunatamente una copia manoscritta a cura dei monaci giapponesi dell’epoca Kamakura (1192-1330) fu conservata in una delle collezioni del Museo Kanazawa. Nel sessantesimo anno (1795) del regno dell’imperatore Qianlong della dinastia Qing (1644-1911) l’opera fu restituita alla Cina.
La raccolta consta di sessantacinque volumi divisi in cinquanta libri e racchiude, attraverso un’esperienza politica plurisecolare, l’essenza della cultura cinese. La versione qui pubblicata è una selezione di 360 aforismi divisi in sei capitoli: Il dao del governante, L’arte del ministro, Valorizzare le virtù, Sull’atto del governare, Avere ligia premura e Comprendere e giudicare.

Metti in pratica la virtù, e il tuo cuore sarà leggero, gratificato giorno dopo giorno. Segui la falsità, e il tuo cuore sarà affaticato, logorato giorno dopo giorno.

(Classico dei documenti, libro II)

Se alcuni monaci giapponesi dell’epoca Kamakura (1192-1330) non avessero copiato questo importante documento e non fosse stato conservato nel Museo Kanazawa, per poi nel 1795 restituirlo alla Cina, i sessanta volumi de “Istruzioni per il buon governo” (Qunshu Zhiyao) sarebbero andati perduti e noi non potremmo fare tesoro di questa sapienza secolare mai tanto utile quanto oggi. La saggezza cinese è in un certo senso un patrimonio dell’intera umanità, e in questa selezione di 360 aforismi troviamo un fulgido esempio di questo sapere antico. L’arte del governo è un’arte difficile, complessa, strettamente legata alla moralità e l’abilità dei governanti. Non si può essere un saggio e capace governanate senza essere un uomo retto, onesto, e lungimirante. Questo volume è splendido e curato, con testo cinese a fronte, e ci porta a conoscere l’essenza del retto governare, forse ancora più importante de L’arte della guerra del già famoso Tzu Sun, l’antico generale cinese, stratega e filosofo che può essere considerato il Machiavelli cinese, a cui è attribuito questo testo. L’arte del buon governo è un’arte pacifica, etica, morale, e tesa al benessere e alla felicità di tutti. Perchè il cuore sarà leggero se si pratica la virtù.

Ludovica Gallinaro ha conseguito le lauree in Filosofia e in Lingua cinese all’Università degli Studi di Padova e all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e ha ottenuto un dottorato in Filosofia cinese all’Università Tsinghua di Pechino con una tesi sul pensiero morale di Zhou Dunyi. Ha pubblicato articoli sul pensiero confuciano e neoconfuciano di epoca Song e svolge attività di traduzione di opere della filosofia cinese moderna e contemporanea.

Tiziana Lippiello, è rettrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. È autrice di numerosi saggi sul pensiero e le religioni della Cina antica, fra cui Auspicious Omens and Miracles in Ancient China: Han, Three Kingdoms and Six Dynasties (2001) e Il confucianesimo (2009). Ha tradotto e curato i Dialoghi di Confucio (20062). Per Marsilio ha curato La costante pratica del giusto mezzo (2010) ed è nel comitato scientifico della Letteratura universale Marsilio.

:: Lo spettro del Dio mortale, Hobbes, Schmitt e la sovranità di Etienne Balibar, raccolta a cura di Giada Scotto (Rogas Edizioni 2022) a cura di Giulietta Iannone

16 settembre 2022

L’idea di sovranità è al giorno d’oggi in crisi? Oppure la messa in discussione della sua tradizionale configurazione statale e nazionale offre l’occasione di un suo differente rilancio? Questi gli interrogativi al centro dei saggi di Balibar, proposti per la prima volta in Italia. Lavorando sulla teoria della sovranità di Hobbes e sul pensiero di uno dei suoi massimi interpreti novecenteschi, Carl Schmitt, il filosofo francese porta alla luce le contraddizioni e le aporie interne alla dottrina dello Stato e al contempo l’irrinunciabilità dell’idea eccedente di sovranità per sostenere e alimentare le istanze democratiche.

Lo spettro del Dio mortale, Hobbes, Schmitt e la sovranità è una raccolta di quattro saggi del filosofo francese Etienne Balibar, curata dalla ricercatrice Giada Scotto, tre dei quali qui tradotti per la prima volta in lingua italiana. Il testo contiene: Prolegomeni alla sovranità: la frontiera, lo Stato, il popolo apparso nel 2000 sulla rivista “Le Temps Modernes”; Lo Hobbes di Schmitt, lo Schmitt di Hobbes, nato prima come prefazione poi pubblicato autonomamente nel 2010 all’interno della raccolta di saggi Violence et civiltè; Schmitt una lettura conservatrice di Hobbes? apparso nel 2003 sulla rivista “Droit” e infine Il Dio mortale e i suoi fedeli soggetti: Hobbes, Schmitt e le antonomie della laicità pubblicato nel 2012 sulla rivista “Ethique, politique, religions”. Testi scritti in tempi differenti che concorrono a formare un’unica complessa e articolata discussione sul concetto di sovranità che Balibar ha sviluppato dal confronto con Carl Schmitt, teorico novecentesco della sovranità, e soprattutto dalla interpretazione schmittiana della dottrina della sovranità di Thomas Hobbes.

Partendo dal concetto di crisi della sovranità, estesa e mutuata da una più estesa incertezza delle istituzioni sovranazionali che formano la costruzione europea, Balibar si interroga su quali sono i limiti e le contraddizioni di queste categorie di pensiero in un contesto problematico e in sempre costante evoluzione come quello in cui ci troviamo a vivere per pervenire a interessanti soluzioni non solo filosofiche astratte ma anche applicabili al contesto politico e sociale contemporaneo.

Forse è meglio prima di addentrarci nello studio delle analisi qui contenute fare un passo indietro e gettare un po’ di luce sul pensiero e la formazione di Balibar. Allievo di Louis Althusser, formatosi in un confronto dialettico con Marx e Lenin, Balibar è tra gli intellettuali di sinistra più attivi del secondo Novecento francese. Una militanza politica problematica quella con il Partito comunista francese, in cui militò dal 1961, per poi uscirne drammaticamente nel 1981 in seguito a severe critiche sull’operato del partito di cui denunciò severamente il suo nazionalismo in materia di immigrazione a fronte di episodi violenti verificatesi nelle banlieu parigine. Il crescente emergere in Francia di sentimenti nazionalisti e xenofobi, non solo tra aderenti della destra del Front National di Jean Marie Le Pen, portò Balibar a sentire la necessità e l’urgenza di un ripensamento della questione della sovranità e di una decostruzione della configurazione statale. La democratizzazione della democrazia sembra una delle sue più recenti proposte al vaglio. Tra cittadinanza, cosmopolitismo e lotta contro la clandestinità come fonte di esclusione e ingiustizia, il tema dell’immigrazione ha un ruolo fondamentale nella rielaborazione di concetti come sovranità, nazione, e stato.

Étienne Balibar (1942) è professore emerito di Filosofia politica e morale all’università Paris X-Nanterre e distinguished professor of Humanities alla University of California di Irvine. Allievo e collaboratore di Louis Althusser, è tra i più autorevoli filosofi politici contemporanei. Tra le sue pubblicazioni tradotte più recentemente Cittadinanza (2012), Crisi e fine dell’Europa? (2016), Gli universali. Equivoci, derive e strategie dell’universalismo (2018), Al cuore della crisi (2020).

Giada Scotto (1991) è dottoressa di ricerca in Storia dell’Europa presso l’Università Sapienza di Roma con uno studio sulla teologia politica di Carl Schmitt. La sua ricerca è parte di un più ampio interesse per la filosofia politica e per il dibattito contemporaneo sulla genesi e il funzionamento degli Stati democratici.

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Simone Ufficio Stampa Rogas Edizioni.

:: Twenty – Il nuovo secolo americano: venti anni di guerra e pace nelle cronache di un giornalista italiano di Francesco Semprini (Signs Books 2021) a cura di Giulietta Iannone

12 settembre 2022

Federico Rampini scrive, nella prefazione di “Twenty”, che «mettere insieme i fatti, gli eventi, allineandoli uno dopo l’altro, ricostruire il dettaglio di ciò che accadde, è un tipo di lavoro che, alla lunga, invecchia meno delle dotte e presuntuose analisi, degli editoriali in prima pagina, molti dei quali, se riletti oggi, provocano imbarazzo. Francesco Semprini ha messo insieme, in quest’opera, il suo lavoro di cronista in prima linea, materiale tuttora utile e interessante». “Twenty” è la narrazione dell’America del XXI secolo attraverso scatti e dispacci che lasciano lo spazio di giudicare, conferendo opportuni strumenti di critica… con la consapevolezza di una narrazione prevalentemente in presa diretta, senza filtri e senza alcun privilegio, se non quello dell’autore di essere rimasto sempre il più vicino possibile ai fatti.

Per capire l’America, o meglio gli Stati Uniti d’America, errore di termini in cui incorriamo spesso quando nominiamo i territori d’oltre Oceano, l’America naturalmente è un continente che comprende Nord e Sud America per cui anche Messico, Argentina, Perù, etc.., ho trovato di estremo interesse la lettura di Twenty – Il nuovo secolo americano: venti anni di guerra e pace nelle cronache di un giornalista italiano di Francesco Semprini, edito nel 2021 da Signs Books. Gli Stati Uniti d’America con tutte le loro criticità, le loro recessioni, la disoccupazione, le crisi istituzionali sono un macrocosmo variegato e complesso la cui analisi, anche svolta da importanti analisti è sempre difficile e sfugge a molte sottigliezze, per cui è interessante raccoggliere i fatti, filtrati dall’esperienza di un giornalista che vive negli Stati Uniti dal 2001, e seppure di sensibilità prettamente europea conosce dinamiche e problematiche di un paese a volte molto diverso da come l’immaginiamo. Fenomeni di massa e mediatici come Trump non sono spiegabili senza conoscere il vero cuore degli Stati Uniti, la sua gente, quello scontento, quella delusione non solo in termini di crisi economica, che hanno fatto recedere il paese da faro della libertà, con un preciso ruolo anche a livello mondiale e una sorta di orgoglio nazionale, in un secondo piano rispetto a nuove realtà emergenti. Ho trovato di estremo interesse i capitoli riservati a Trump, dal decimo con il titolo più che emblematico Uragano Trump, che consiglio di leggere soprattutto in prospettiva delle nuove elezioni del 2024 che probabilmente riproporranno un confronto (ancora più agguerrito e senza regole) tra Hillary Clinton e Trump, con un paese molto cambiato dopo una pandemia devastante, e una crisi militare nel cuore slavo dell’Europa. Le incognite sono tante ma per comprendere questo paese è bene capire l’importanza e il ruolo che caratterizzano le relazioni specialmente con la Cina, vero punto in cui convergono tutte le tensioni esterne e interne. A quel punto la Casa Bianca dovrà decidere se ritenere Pechino responsabile della devastazione umana ed economica causata dal Covid-19. E questo sarà davvero il punto di svolta delle nuove amministrazioni. Io in tutta sincerità mi auguro che non si arrivi mai a uno scontro diretto, in favore di una sempre maggiore cooperazione e conoscenza reciproca. Politicizzare il virus forse sarà proprio l’errore più grave che i candidati sia repubblicani che democratici potranno fare, perchè sì addensa il consenso nel breve termine contro un nemico comune, ma è foriero di incognite ancora maggiori nel lungo periodo. Tutte riflessioni che ho maturato durante la lettura di questo libro che consiglio sia a chi è a digiuno di faccende statunitensi, sia a chi pur conoscendo il paese si pone degli interrogativi. Semprini è molto abile nel rendere la materia interessante. Edizione arricchita da illustrazioni e contenuti multimediali fruibili con smartphone o tablet (QR Code). Il volume è anche audiolibro con i brani letti da Francesco Semprini. Prefazione di Federico Rampini. Postfazione di Alberto Simoni.

Francesco Semprini, giornalista professionista, vive negli Stati Uniti dal 2001. Ha seguito per La Stampa le più importanti vicende politiche ed economiche americane del nuovo secolo, ed è stato inviato di guerra nei principali teatri di crisi del pianeta. Per il quotidiano torinese ha aperto un ufficio di corrispondenza alle Nazioni Unite. Ha curato ed è co-autore del volume Emergenza Libia (Rubbettino Editore) e ha prodotto Siete Mil, documentario breve sulla crisi del Venezuela.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Anna dell’Ufficio stampa dedicato.

:: In lode della guerra fredda di Sergio Romano (Longanesi 2015) a cura di Giulietta Iannone

2 Maggio 2022

A dispetto del nome, la Guerra fredda fu un lungo periodo di pace e stabilità per l’Europa. Pur se costellati da momenti di grande tensione, i decenni che seguirono la Seconda guerra mondiale furono caratterizzati dalla fermezza con cui le due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, seppero frenare le forze che al loro interno premevano per lo scontro, ben consapevoli che lo scoppio di una guerra nucleare avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutti. Con la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell’Urss, i confini dell’ex Impero sovietico divennero nuovamente contesi, rinacquero antichi nazionalismi, scoppiarono numerose guerre: in Cecenia, nel Caucaso e nella ex Jugoslavia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, pensarono di avere vinto la Guerra fredda, ma oggi emergono chiari i limiti della superpotenza americana e le conseguenze del suo avventurismo: rivoluzioni sfuggite di mano, guerriglie fomentate dal fanatismo religioso, contrasti sempre più accesi con la Russia. Ma la fine della Guerra fredda, e i conflitti del dopoguerra, hanno avuto come effetto soprattutto il sorgere dei «non Stati» – Isis, Ghaza, Kurdistan iracheno, Bosnia, Kosovo, Siria, Libia – con le grandi incognite che ne derivano: come si combatte contro un «non Stato»? Come lo si governa? E come si può ricostruire l’ordine perduto?

In questi giorni confusi e convulsi ho ripreso un libro di Sergio Romano, autorevole commentatore di quasi tutti i fatti salienti accaduti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, uscito ormai nel 2015 dal titolo emblematico di In lode della guerra fredda. Con la sua mente lucida e analitica Romano ripercorre gli avvenimenti storici occorsi dalla Rivoluzione Ungherese alle rivolte arabe in Egitto, Libia e Siria, senza tralasciare gli antefatti della cosidetta “questione ucraina” e lo fa focalizzando importanti correlazioni e riflessioni che spiegano l’evolversi di un processo lento e difficoltoso che ha il suo punto di svolta nel crollo del regime comunista dell’Unione Sovietica. La fine dell’URSS ha posto di fatto fine alla Guerra Fredda, cosa di per sè positiva, ma ha anche in realtà spezzato quell’equlibrio di forze, a prescindere dalle valutazioni etiche e morali dei vari regimi, che mantenevano la pace seppur sotto la minaccia di un conflitto atomico. Possiamo definirla vera pace? Questa è un’interessante domanda etica che mi sono posta durante la lettura considerando il fatto che sebbene in Occidente si visse un periodo di relativa assenza di conflitti armati (senza dimenticare le guerre jugoslave, comunque post caduta Muro) non si rinuncio a coflitti armati per procura in altre parti del mondo. In lode della guerra fredda dunque è un compendio, molto illuminante, di più di cinquant’anni di storia politica, caratterizzato da capitoli brevi ed essenziali che sintetizzano i principali avvenimenti occorsi e aiutano grazie a un linguaggio semplice ed efficace, a fare chiarezza su avvenimenti per i più giovani, che non hanno vissuto quegli annni, ancora oscuri. I meno giovani, che hanno avuto un’esprienza diretta delle conseguenze di quei fatti, potranno comunque, grazie a questo testo, avere una visione di insieme utile a far luce su quelle dinamiche sotterranee che hanno portato agli avvenimenti contemporanei. Naturalmente sono interpretazioni, teorie politiche, giudizi forse in alcuni casi anche troppo severi, specialmente nei riguardi degli Stati Uniti con cui Romano non ci va leggero imputandogli colpe e responsabilità, determinati però dal punto di vista privilegiato da cui l’autore li ha osservati. Consiglio di leggere soprattutto attentamente i capitoli riguardanti la crisi ucraina, e l’irresistibile avanzata della Nato, oltre al capitolo intitolato: Chi ha vinto la Guerra Fredda? E poi naturalmente c’è il dopo e tutti gli strascichi che sono occorsi. Ci si domanda perchè tante guerre “calde” si sono sviluppate nel post Guerra Fredda, e soprattutto si analizzano le difficoltà nell’intraprendere un percorso di convivenza pacifica e governance globale democratica diretta, sempre considerato che i paesi democratici al mondo sono una minoranza ristretta e privilegiata. E soprattutto sempre che i popoli del mondo la vogliano e non preferiscano rinunciare a parte della loro libertà e dei loro diritti fondamentali in cambio di un maggiore benessere economico o financo della mera sopravvivenza. Doloroso dilemma che ci fa riflettere sui costi (reali) della democrazia, e sui sacrifici che siamo disposti ad affrontare per il mantenimento della pace, sempre considerato che una guerra globale (atomica) a tali condizioni non prevede nessun vincitore (e tutti lo sanno). La debolezza dell’Unione europea, pur mantenenedo un giudizio relativamente positivo sull’operato dei vari attori politici dalla Merkel a Hollande, è il punto critico che Romano ha focalizzato nel 2015 che ha ripercussioni fino ad oggi e questo giudizio è condiviso anche da altri osservatori politici e mi sento di condividerlo anche io sebbene mi interroghi su come ricostruire l’ordine perduto, impossibile se dimentichiamo che senza una diffusa e condivisa giustizia sociale ed un’equa distrubuzione delle risorse non ci può essere vera pace, la sola condizione possibile per la sopravvivenza della nostra specie.

Sergio Romano (Vicenza, 1929) è stato ambasciatore alla NATO e, dal settembre 1985 al marzo 1989, a Mosca. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Pavia, Berkeley, Harvard e, per alcuni anni, all’Università Bocconi di Milano. È editorialista del Corriere della Sera. tra i suoi ultimi libri pubblicati da Longanesi: La Chiesa contro (2012), Morire di democrazia (2013), Il declino dell’impero americano (2014), In lode della Guerra fredda. Una controstoria (2015), Putin (2016), Trump (2017), L’epidemia sovranista (2019), Processo alla Russia (2020).

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo l’Ufficio stampa Longanesi.

:: GIANNI VIOLA: “IL PROFUMO SOAVE DELL’IMPERIALISMO” a cura di Antonio Catalfamo

3 ottobre 2021

Gianni Viola è un giornalista free lance che ha fatto della libera informazione una missione, ormai da lungo tempo, occupandosi di argomenti scottanti, affrontati con profondità d’analisi e spirito critico. In questo suo corposo volume, Il soave profumo dell’imperialismo (Kimerik Edizioni, Patti, 2010, euro 14,00), concentra l’attenzione sulla distruzione della Jugoslavia, in seguito a tutta una serie di vicende storiche tragiche che necessitano di essere finalmente chiarite.

Attraverso una grande mole di dati, notizie, informazioni, ricercate con competenza e con pazienza attingendo a varie fonti, non accessibili al grande pubblico, egli spiega come è stato abbattuto il regime comunista jugoslavo non solo con l’uso delle armi, ma anche per mezzo di un apparato propagandistico enorme e dispendioso, che, però, ha prodotto i frutti programmati e che ha cominciato ad operare quando ancora il sistema dei Paesi socialisti era in piedi, quindi non solo in Jugoslavia, ma in tutto l’Est europeo, avendo come vertice d’irradiazione e punto di partenza i governi delle grandi potenze capitalistiche occidentali, e, soprattutto, quello degli Stati Uniti d’America.

Si è trattato e si tratta di un sistema organizzativo e informativo molto sofisticato, molto radicato, capillare, che opera a vari livelli e che è in grado di condizionare e manipolare l’opinione pubblica mondiale, in maniera subdola e penetrante. Esso ha costruito l’immagine di Slobodan Milosevic come uno spietato criminale, sanguinario, cinico, responsabile di migliaia e migliaia di morti, ed è riuscito a farla arrivare anche nel più sperduto angolo del pianeta, cosicché una menzogna, sapientemente ripetuta un’infinità di volte, è divenuta verità consolidata ed incontrovertibile. Ha adottato lo stesso metodo già sperimentato per infangare l’immagine di Mao Tse-Tung, presentato come autore di genocidi che hanno riguardato addirittura milioni di persone, di Fidel Castro e di molti altri dirigenti del movimento comunista internazionale, oggetto di “libri neri”, dossier, documentari, informazioni tutte da verificare nella loro fondatezza, diffuse ora capillarmente via Internet, per accreditare, infine, l’idea che il comunismo è un sistema di per sé criminale, che va equiparato al nazismo.

L’imperialismo, però, come suggerisce il titolo di questo libro di Gianni Viola, non si è limitato a diffondere il proprio “soave profumo” propagandistico. Ha fatto sentire anche l’odore della polvere da sparo, in quanto l’azione di propaganda è stata accompagnata da quella delle armi. La Serbia, nella fattispecie, è stata bombardata per giorni e giorni, seminando la morte e il terrore in mezzo alla popolazione civile, fino a quando ogni resistenza umanamente possibile è stata spezzata. Tutto un popolo è stato messo in ginocchio, umiliato, distrutto fisicamente e psicologicamente. Ma questo non è stato considerato un crimine dai tribunali internazionali. Anzi, pure queste morti innocenti e queste devastazioni sono state addebitate a Milosevic, come responsabile di tutta la guerra del Kosovo.

Da un po’ di tempo si parla degli effetti che l’uranio impoverito, presente in alcune armi, ha avuto sulla salute delle popolazioni colpite dall’ondata bellica, nonché su quella degli stessi militari che hanno utilizzato armamenti letali. Ma neanche questi ulteriori effetti nefasti sono stati posti a carico di chi ha dato ordine di utilizzare il materiale bellico pericolosissimo che li ha prodotti. Persino il rapporto causale tra l’uso di tali armi e i tumori riscontrati in diversi militari impegnati nel conflitto è stato messo in discussione da alcuni giudici chiamati in causa da soggetti che si ritenevano vittime dell’uranio impoverito maneggiato a scopi bellici. Noi non siamo degli esperti del settore e non possiamo pronunciarci in materia. Gli sviluppi della situazione, le nuove conoscenze scientifiche, ci diranno forse nei prossimi anni la verità, se mai si perverrà ad essa. Comunque, è indubbio che morte e distruzione sono state seminate dalle truppe che hanno attaccato la Serbia e che porre queste conseguenze sul conto del “criminale” Milosevic è un’operazione tutta da dimostrare sul piano della logica giuridica, ma anche della logica comune.

Gianni Viola, sin dalle prime pagine, evidenzia che l’attacco a quel che restava della Jugoslavia progressivamente smembrata non sarebbe stato neanche lontanamente pensabile ai tempi dell’Unione Sovietica. Il presupposto di tutto questa operazione distruttiva era, dunque, il crollo dell’Urss. A nostro avviso, tutti gli effetti contro la convivenza civile e la democrazia vera che sono derivati e che deriveranno da questo avvenimento storico disastroso per l’intera umanità non sono ancora ben chiari e definiti. Nei prossimi anni, forse nei prossimi decenni, se continuerà a lungo la fase restauratrice della storia aperta dal crollo dei regimi comunisti dell’Est europei, avremo le idee più chiare, naturalmente a nostre spese, perché dovremo constatare che le condizioni di vita, in termini materiali e ideali, dell’umanità peggioreranno sempre più e che non c’è una forza in grado di contrastare la deriva autoritaria che investe tutto il mondo. Grandi sacrifici si imporranno ai diseredati del pianeta prima di poterne mettere in piedi una di egual potenza di quella sovietica, in grado di contrastare il dominio sempre più esasperante del più forte, ammesso che si riesca a costruirla, visto che l’avversario non resterà a guardare, ma contrasterà con tutti i mezzi, sempre più accresciuti, l’azione costruttiva. Il comunismo ha avuto indubbiamente molti limiti, ma è stato l’unico sistema nella storia dell’umanità a togliere il potere alle classi più forti e prepotenti e ad attribuirlo a quelle meno abbienti.

Il sistema dei Paesi socialisti è stato attaccato dalle potenze imperialiste sin dalla sua nascita. Ma esso ha resistito bene per decenni. Con riferimento specifico alla Jugoslavia, possiamo dire che Tito era riuscito a creare un Paese che, per la prima volta, metteva insieme, su un piano paritario, le diverse nazionalità in esso presenti, assicurando a tutti un tenore di vita dignitoso e una sostanziale uguaglianza economico-sociale. Ma, probabilmente, il male covava sotto la cenere e ad un certo punto è emerso, quando la figura carismatica di Tito è venuta meno. La Jugoslavia, nonostante le sue peculiarità e la sua autonomia dal blocco dell’Est, di cui andava orgogliosa, ha seguito il destino di tutti i Paesi dell’Europa orientale, con il crollo del regime comunista, lo smembramento dello Stato multietnico e la sua sostituzione con staterelli fondati su basi etnico-religiose che pretendevano e pretendono di assicurare omogeneità, fra i quali sono state scatenate guerre disastrose che hanno seminato morte e miseria.

Un’analisi relativa al male sotterraneo che ha corroso alle fondamenta la società socialista è stata avviata da Milovan Gjlas. nonostante i limiti e le ambiguità, per certi aspetti, della stessa e il carattere controverso del personaggio, che, però, è riuscito a cogliere e a denunciare un fenomeno che sicuramente ha influito in maniera decisiva sul crollo di tutti i regimi comunisti dell’Est europeo: il processo di burocratizzazione al quale essi sono andati incontro, in conseguenza del quale la classe dirigente, ai vari livelli, si è impadronita progressivamente del potere, utilizzandolo non a favore del popolo, ma contro di esso e a proprio vantaggio esclusivo, fino ad espropriare i beni collettivi, privatizzandoli ed impadronendosene, dando vita a nuove lobby che hanno assunto connotati marcatamente capitalistici. In Jugoslavia i capi delle varie Repubbliche, che, contemporaneamente, erano alla guida della Lega dei comunisti, in una direzione collegiale dopo la morte di Tito, hanno abbandonato la strada del socialismo e hanno fondato degli staterelli su basi etnico-religiose, sull’autoritarismo e sulla repressione di ogni opposizione, su sistemi economico-sociali a carattere privatistico e capitalistico.

E’ necessario uno sforzo teorico per capire le ragioni di questo processo involutivo, quali sono state le sue matrici causali, in che misura esse sono legate all’ideologia marxista o, quantomeno, alle sue applicazioni concrete. Solo portando sino in fondo questa analisi sarà possibile trovare la via per uscire dall’impasse in cui si trova attualmente il movimento operaio e comunista a livello mondiale e nelle sue articolazioni nazionali. Sinora, purtroppo, questo sforzo non è riuscito a produrre risultati rilevanti o, comunque, sufficienti ad assicurare un rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria.

Lo studio di Gianni Viola, grazie ai numerosi dati che fornisce, alla chiave interpretativa degli stessi, rappresenta un passo significativo in avanti, un mattone che serve senz’altro alla grande costruzione teorica di cui sentiamo il bisogno e, perciò, va letto e meditato da un gran numero di persone.

Gianni Viola, Il soave profumo dell’imperialismo, con una nota introduttiva di Ivan Pavicevac, Casa editrice Kimerik, Patti (Messina), 2010, euro 14.

:: 30 aprile 1993 Bettino Craxi. L’ultimo giorno di una Repubblica e la fine della politica di Filippo Facci (Marsilio 2021) a cura di Nicola Vacca

19 Maggio 2021

È una giornata di aprile del 1993. Una folla inferocita, istigata dal tintinnare delle manette scatenata dal circo mediatico – giudiziario di Mani Pulite, aspetta Bettino Craxi davanti all’ Hotel Raphaël, per scagliarli contro insulti e monetine. La Seconda Repubblica inizia con un altro Piazzale Loreto quel momento di barbarie decretò per sempre la fine della politica e l’avvento dell’antipolitica con cui oggi stiamo facendo i conti.
Filippo Facci, scrittore e giornalista, con 30 aprile 1993. Bettino Craxi. L’ultimo giorno di una Repubblica e la fine della politica ricostruisce nei minimi dettagli quei giorni infelici del nostro Paese in cui i lanciatori rossi e neri di monetine, rappresentanti dell’italico popolo bue, inferociti dalla gogna giustizialista disonorarono la democrazia.
Le inchieste giudiziarie del Pool milanese, iniziate ufficialmente nel 1992, che dovevano riguardare la corruzione nel mondo politico italiano sono infine servite a criminalizzare e a cancellare dalla scena parlamentare alcuni partiti, quelli di ispirazione moderata , e garantire un salvacondotto per la sinistra comunista e postcomunista, che ha ricambiato il favore dando sempre e comunque il suo appoggio ai pubblici ministeri politicizzati, fautori del teorema di Tangentopoli che si sono specializzati nell’amministrazione della giustizia dei due pesi e delle due misure.
La giustizia politica e il giustizialismo hanno sempre caratterizzato, fino ai nostri giorni, attraverso il meccanismo del circo mediatico giudiziario, il pericoloso intreccio tra una parte della magistratura e la politica (quella del Pci-Pds-Ds).
Una vera e propria strategia del ragno che ha visto alcuni “magistrati di partito” costituirsi, nel vuoto politico causato dalla loro azione, in “partito di magistrati” è al centro dell’inchiesta di Mani Pulite. Quella stagione, violando le regole sacrosante dello Stato di Diritto ha imposto per un decennio il protagonismo di alcuni Pm che si erano messi in testa, abusando della carcerazione preventiva con il facile tintinnio delle manette, di “rivoltare l’Italia come un calzino”
Facci fotogramma per fotogramma da eccellente cronista torna sui luoghi terribili di quel misfatto e rilegge attraverso la scena del lancio delle monetine tutte le scene di quella falsa rivoluzione che ha cambiato in peggio l’Italia, assassinando lo Stato di diritto.
L’autore ricostruisce il clima del Paese degli inizi degli anni ’90 che annaspava sotto le grinfie della giustizia politica e il clima infernale di Mani Pulite, dove una cultura del sospetto prevaleva sul buon senso della legge: il circo mediatico- giudiziario che calpestava le regole più elementari di vita civile: le sentenze continuavano ad essere comminate, prima che nelle aule di un tribunale, da giornalisti senza scrupoli armati da alcune procure.
Giustizia sommaria e giustizia spettacolo, questi i capisaldi del cosiddetto rito ambrosiano in un tempo in cui il pregiudizio morale assunse valenza politica e il disprezzo morale diventò elemento costitutivo del giudizio sui politici, come dimostra la folla inferocita che si riunì davanti all’Hotel Raphaël per linciare Bettino Craxi.
Il Pool aveva le idee chiare: abbattere la democrazia dei partiti con lo strumento antidemocratico del giustizialismo. Napoleone Colajanni in un libro dedicato a quella stagione (Mani Pulite? Giustizia e politica in Italia, Mondadori, 1996) affermò che tra le cause dell’attuale stato d’incertezza, non solo politica, in cui versa il nostro Paese si debba annoverare anche il modo in cui ha operato la magistratura. È illuminante quanto scrive a proposito dei giudici di Tangentopoli.

Questi uomini avevano però alcune caratteristiche comuni: l’avversione per il sistema dei partiti, che di fatto diveniva avversione per la democrazia così come esiste in Italia; la consapevolezza di disporre di uno strumento formidabile, qualora lo si fosse potuto usare, per operare il cambiamento; un orientamento, che si potrebbe definire fondamentalista, per cui la giustizia è una sorta di macchina inesorabile al cui centro è l’obbligo dell’azione penale, da portare avanti in ogni circostanza, qualunque essa sia”.

Filippo Facci ricostruendo quella stagione maledetta e la grande illusione rivoluzionaria delle toghe rosse di Mani pulite non ha dubbi: in quei giorni era morto il meglio e avanzava il peggio.
Il linciaggio di Bettino Craxi all’Hotel Raphaël resterà per sempre l’emblema del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.
Un passaggio crudele e violento che ha aperto la strada al baratro istituzionale e alla morte definitiva del primato della politica.

Filippo Facci (Milano, 1967), giornalista e scrittore, inizia la sua attività professionale da giovanissimo, collaborando con «L’Unità» e «La Repubblica», e poi approdando all’«Avanti!». Editorialista del «Giornale», collabora con «Il Foglio» e tiene per anni una rubrica su «Grazia». Lavora a «Libero» e, dal 1999 al 2009, a Mediaset. È autore di numerosi libri, tra cui Di Pietro. La storia vera (2009) e Uomini che amano troppo (2015).

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo l’Ufficio Stampa Marsilio.

First Lady, Dario Salvatori, (Oltre edizioni 2021) A cura di Viviana Filippini

18 Maggio 2021

Sono 46 i Presidenti che si sono alternati alla giuda degli Stati Uniti d’America dal 1789 ad oggi.  46 uomini che hanno portato avanti il Paese a stelle e strisce nel corso del tempo, attraversando guerre interne (come non ricordare quella di Secessione dal 1861 al 1865) e mondiali. Questi uomini, in realtà non erano soli e a narrare le esistenze delle loro compagne di vita ci ha pensato Dario Salvatori con “First Lady”, edito da Oltre edizioni. Il volume è un interessante saggio biografico che racconta il vissuto delle mogli di tutti i capi di stato americani, da Martha Washington fino a Jill Biden, moglie dell’ultimo presidente eletto.  Sì, ma nel mezzo ci sono anche Eleanor Roosevelt, Bess Truman, Jackie Kennedy, Nancy Reagan, Michelle Obama e Hillary Rodham Clinton, in quello che, leggendo, è un vero e proprio viaggio nelle vite di donne che forse hanno incarnato e incarnano il lato meno noto del potere americano, ma che sono state e sono ancora le co-protagoniste dello sviluppo della vita degli U.S.A. Per esempio c’è la storia di Florence Harding, first lady dal 1921 al 1923, che venne definita “Nuova donna dell’era progressista” e fu la prima a introdurre la musica Jazz nella Casa Bianca e alla radio, riaprendo poi le porte della “Casa della gente” chiuse con lo scoppio della Prima guerra mondiale. Bird Johnson, first lady dal 1963 al 1969, fu molto attenta all’ambito ambientalistico e alimentare e nonostante le infedeltà del marito, acquistò una stazione radiofonica e divenne una geniale imprenditrice e “la prima donna miliardaria ad aver fatto tutto da sola” e tante altre figure femminili nei panni di first lady che con il loro agire portarono qualcosa di più o meno rivoluzionario per il popolo americano. Un esempio Betty Ford (first lady dal 1974 al 1977) raccontò pubblicamente la sua malattia (cancro al senso) e la tossicodipendenza, portando tutti gli americani a rivalutare le modalità in cui queste due tematiche venivano affrontate. Il libro di Dario Salvatori non si limita a racconta le vite di queste donne che hanno vissuto accanto ai mariti presidenti, ma riesce a far conoscere dettagli, particolarità, interessi e qualità intellettive che evidenziano come queste figure femminili, in passato magari più in disparte rispetto ai mariti, ebbero un ruolo importante nella vita politica americana. Certo è che in “First Lady”, Salvatori dimostra come ognuna di queste donne, in modo maggiore o minore, furono davvero presenti e lasciarono un segno nella vita politica americana nazionale e mondiale.

Dario Salvatori, giornalista, scrittore, conduttore radio-tv. Nel cast di molti programmi di Renzo Arbore (“L’Altra Domenica”, 1976; “Quelli della notte”, 1985; “Meno siamo, meglio stiamo”, 2005). Fra i suoi programmi: “Famosi per 15 minuti”, “Swing!” (con Maurizio Costanzo), “Diario TV”. Ha pubblicato oltre quaranta libri. È al suo terzo libro a carattere americanistico.

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa 1A Comunicazione.

:: Controvento di Fabio Martini (Rubettino, 2020) a cura di Nicola Vacca

30 aprile 2020

cop libro Martini

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Bettino Craxi rivive a vent’anni dalla sua scomparsa. Quest’anno sono usciti diversi libri sull’ultimo statista della Prima Repubblica.
Negli ultimi decenni la sua figura controversa è stata analizzata e presa di mira da letture e interpretazioni manichee che non hanno reso giustizia alla verità storica sul personaggio politico Craxi.
Controvento. La vera storia di Bettino Craxi, scritto da Fabio Martini, inviato di politica del quotidiano La Stampa, è il libro più importante, il saggio più argomentato e imparziale su uno dei protagonisti della vita politica italiana.
Martini ripercorre la biografia di Craxi dall’ascesa nella Milano del dopoguerra fino al tragico epilogo da cui è scaturita la fine miserabile di questo Paese.
Dai primi passi di consigliere comunale, assessore, fino a arrivare in Parlamento e poi a Palazzo Chigi.
L’autore passa in rassegna tutte le stagioni politiche e esistenziali di Bettino Craxi, gettando nuova luce su pagine oscurate o inedite della sua vicenda politica e umana.
Mette in risalto il suo carattere duro, il decisionismo, punto di forza e di debolezza che gli ha fatto fare anche scelte impopolari per il bene del Paese, che lo ha reso “antipatico”, uomo politico che non cadde mai nel populismo e non fui mai capace di dire bugie.
Il socialista di minoranza che fin da giovane si ribella ai comunisti che non ha mai tradito la scommessa del primato della politica.
«La politica prima di tutto». Sarà il suo grande amore per la politica che gli farà vincere tutte le battaglie più importanti della sua vita, sarà un eccesso di politica che lo farà capitolare nelle battagli finali.
Il Bettino Craxi che Fabio Martini ci presenta è un uomo dal forte carisma che non ha fatto nulla per mostrarsi simpatico, è stato un vero antipatico che politicamente sapeva il fatto suo.

«A venti anni dalla sua scomparsa – ha affermato Fabio Martini in una recente intervista – e dopo decenni di contrapposizioni frontali tra detrattori e adulatori, è più facile rispondere a questa domanda. Craxi è destinato a passare alla storia come il leader socialista, che dando il suo decisivo assenso all’installazione degli euromissili assieme al cancelliere tedesco Schmidt, favorì indirettamente la dissoluzione dell’impero sovietico; fu il primo capo di governo italiano che osò platealmente ribellarsi ad un gesto illegale dell’alleato americano; fu l’unico leader socialista europeo che, senza accettare la realpolitik verso i regimi comunisti, diede un appoggio materiale e ideale a tanti dissidenti che invece il Pci guardava con distacco e sospetto. Fu il primo socialista che sdoganò la categoria dell’anticomunismo democratico. Il primo che, dopo una lunga trattativa, assunse una decisione dirimente come il decreto sulla scala mobile, contro il parere della Cgil. E d’altra parte dopo di lui non è più esistita una forza socialista organizzata e il fatto che siano scomparsi anche Dc e Pci, non diminuisce il significato di questa défaillance».

Nelle pagine di Fabio Martini non c’è nessuna apologia. La storia di Bettino Craxi la racconta basandosi sui fatti, non omettendo anche i suoi errori (l’intuizione del rinnovamento istituzionale e l’incapacità di realizzare la Grande Riforma).
Martini racconta la vera storia di Bettino Craxi, un decisionista che non fu mai populista, che ebbe il coraggio di tagliare i baffi a Marx.
Dal Midas fino alla conclusione tragica della sua carriera politica, avvenuta per mano di un manipolo di toghe agli ordini di Botteghe Oscure, Craxi ha lavorato alla costruzione di una sinistra democratica e riformista.
Essere da sinistra anticomunista in quegli anni non era una cosa facile. Il “duro e puro” Enrico Berlinguer arrivò a definire Bettino Craxi un “pericolo per la democrazia”.
Ma Craxi non prendeva ordini dai comunisti. Non si lasciava intimorire dagli emissari in Occidente dell’Unione Sovietica.
Amava il suo Paese e lo voleva moderno e competitivo. Era fermamente convinto che soltanto una sinistra democratica, liberale e riformista fosse la via giusta per dare una speranza alla nostra democrazia.
I comunisti vedevano in Craxi, e nella sua certa idea della sinistra, un pericolo e un nemico da abbattere.
Così è stato. Il “pericoloso anticomunista” Bettino Craxi è stato epurato dai magistrati del Pool milanese, con la regia occulta e la complicità morale dei comunisti, di alcuni giornali, e forse anche degli Stati Uniti.
Tutti i partiti della sinistra defunta si ispirano al riformismo. Nel corso degli anni riformisti e socialisti sono diventati anche Veltroni, D’Alema, Fassino e Violante. Sulla loro disfatta politica pesa come un macigno la figura di Bettino Craxi. In certo modo lo hanno ambiguamente riabilitato, dopo aver contribuito pesantemente alla sua eliminazione.

«Sono certo che la storia condannerà i miei assassini, solo una cosa mi ripugnerebbe essere riabilitato da coloro che mi uccidono».

È accaduto proprio questo. Fassino nella sua autobiografia – pubblicata qualche anno fa da Rizzoli – scrive che Craxi aveva ragione e Berlinguer torto, Veltroni d’incanto scopre che il suo comunismo è incompatibile con la libertà. Loro hanno avuto paura di fare seriamente i conti con il postcomunismo e il fantasma politico di Bettino Craxi, la cui eliminazione per via giudiziaria ha lasciato irrisolti tutti i problemi di quella guerra civile a Sinistra che il leader socialista aveva già vinto. Renzo De Felice nel 1995 ha scritto

«I socialisti nel bene e nel male hanno avuto una funzione culturale solo con Craxi. Prima non esistevano.
La verità oggi è una sola. Le idee riformiste di Bettino Craxi – nel bene e nel male – sono sopravvissute al suo massacro giudiziario».

Nel suo racconto tutto politico Fabio Martini parla a trecentosessanta gradi dell’ultimo leader della Prima Repubblica, con i suoi limiti e con i suoi errori che gli costarono cari, e con le sue luci che contribuirono all’ultima stagione di crescita dell’Italia.
Un libro onesto che si conclude con l’invito a andare oltre i pregiudizi e capire quale sia stato “tra luci e inevitabili ombre” il contributo di Craxi nel consolidamento della democrazia in Italia e nella conquista della libertà in tanti Paesi oppressi dalla dittatura.
È arrivato il tempo per capire meglio. Questo libro ci aiuterà molto.

Fabio Martini è inviato di politica del quotidiano “La Stampa”. Ha collaborato a “Mondoperaio” ed è autore de L’opposizione al governo Berlusconi, Laterza, Il piccolo principe, con Marco Damilano, Sperling; La fabbrica delle verità, Marsilio. Insegna Giornalismo politico all’Università Tor Vergata.

Source: libro inviato al recensore dall’editore.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Un’ intervista con il Dott. Tiziano Ciocchetti redattore di Difesa Online a cura di Giulietta Iannone

24 marzo 2020

PandemiaBenvenuto Tiziano e grazie di aver accettato questa nuova intervista. Data la gravità del momento, e la difficoltà di tracciare scenari possibili una volta finita la pandemia, inizierei col chiederti una valutazione prettamente personale della situazione. In che misura secondo te cambieranno gli equilibri geopolitici e strategici una volta che l’allarme sanitario sarò rientrato? C’è un rischio reale per la tenuta democratica degli stati?

Sicuramente andremo incontro ad un peggioramento delle nostre, già precarie, condizioni economiche. Con il risultato di far aumentare il malcontento nei confronti di una classe politica che si è dimostrata inadeguata (una situazione che ricorda l’8 settembre). L’Unione ha mostrato il suo vero volto, ovvero quello di un gruppo di inutili burocrati incapaci di fronteggiare la crisi. Gli altri Stati hanno fatto affidamento ai propri leader costituzionalmente riconosciuti, mentre da noi assistiamo alle apparizioni facebook della coppia social Casalino-Conte, con un Parlamento, de facto, sospeso.

Il ridimensionamento dell’esercitazione Defender Europe che ripercussioni avrà secondo te? Un’unificazione delle forze armate europee sotto un’unica autorità è ancora sul piatto delle consultazioni e trattative o la pandemia in corso ha incidentalmente provocato un ritorno più spiccato ai vari nazionalismi? 

La Defender Europe è una esercitazione finalizzata a mostrare ai russi chi comanda in Europa (ne ho descritto il senso geopolitico in un articolo per Difesa online), cioè gli americani. Il dispiegamento di 25.000 uomini, o meno, è solo un atto dimostrativo.
Unificazione di forze europee? Fantasia! La NATO non verrà mai soppiantata, almeno per i prossimi vent’anni.
I nazionalismi sono sempre esistiti, solo noi italiani facciamo finta di non vederli. Prendiamo il surplus di Bilancio con l’Estero della Germania, da anni Bruxelles sostiene che è troppo alto e che Berlino deve diminuirlo. Ma la Germania lo reinveste nel suo welfare (il migliore in Europa) perché altrimenti non esisterebbe una Germania unita.

Stiamo assistendo a un utilizzo delle forze armate non più per meri scopi bellici, ma forse per la sua accezione più nobile di difesa della popolazione e mantenimento dell’ordine. È un’evoluzione prevista o si è fatta come si suol dire di necessità virtù? 

Le Forze Armate di una nazione esistono per difendere la stessa da nemici esterni, quindi già difendono la popolazione. Quando i militari vengono utilizzati per l’ordine pubblico vuol dire che la situazione interna è critica.

Per quanto riguarda la tenuta dell’Unione europea, esiste un piano comune, una qualche forma di coordinamento in caso di minacce pandemiche? Prevede che comunque venga messo in atto nei prossimi mesi?

Piani comuni per simili eventi non ne esistono, perché ogni paese dell’Unione agisce secondo i propri scopi e, come ci hanno dimostrato, ignorando le difficoltà degli altri.

In che misura la disinformazione e le fake news stanno influenzando l’opinione pubblica?

Io avrei più paura delle fake dei governi. Per quanto riguarda la disinformazione il nostro esecutivo non è stato secondo a nessuno.

Nel caso di un’ipotetica guerra batteriologica diciamo tradizionale, esiste una strategia e un piano comune europeo per fronteggiare la questione?

Esiste solo in ambito NATO. Ovvero secondo quanto stabiliscono gli USA.

E in che modo si potrebbe fronteggiare un eventuale attacco terroristico che utilizzasse armi batteriologiche?

Non si potrebbe.

La NATO non ha attivato alcun protocollo in caso di pandemia? Come si collocano in questo quadro di instabilità l’invio di medici militari e non, derrate e aiuti all’Italia da parte di paesi esterni alla NATO come la Russia, la Cina e Cuba? Non dovrebbe essere per prima Bruxelles, e poi Washington a coordinare gli aiuti nei paesi europei più colpiti? 

Dovrebbe essere così. Ma questa pandemia sta evidenziando la finzione di certe alleanze.

Finita l’emergenza come si ovvierà all’inevitabile disturbo post traumatico sofferto dalla popolazione? Servono dunque non solo virologi, e immunologi ma anche medici militari esperti di queste problematiche?

Serviranno sostanziosi investimenti pubblici, unico rimedio efficace.

Grazie della disponibilità, speriamo di aver fatto chiarezza con informazioni chiare e attendibili e sensibilizzato i nostri lettori su queste tematiche.

:: Il destino americano di Luigi Bonanate (Nino Aragno Editore 2019) a cura di Giulietta Iannone

25 gennaio 2020

Il destino americano - BonanateIl ruolo statunitense nel mondo è al centro dell’ultimo saggio di Luigi Bonanate dal titolo quanto mai evocativo Il destino americano (Nino Aragno Editore). Un testo singolare nella sfera delle Relazioni Internazionali che focalizza la sua attenzione nell’ambito circoscritto dell’analisi della politica estera in quanto tale di un unico soggetto, per quanto eccezionale come possono essere gli Stati Uniti d’America.
Innanzitutto c’è da chiarire un concetto necessario per la comprensione del testo e delle motivazioni che hanno spinto l’autore a scriverlo: non è un libro sulla storia della politica estera nord americana. Si parte infatti dall’assunto che chi lo legge già la conosca, anche solo a grandi linee ricavando le proprie nozioni dalla lettura dei giornali, dei saggi di approfondimento, dei manuali storiografici. Insomma questo è un testo specialistico in cui non troverete un mero elenco di avvenimenti, date significative, punti di svolta, ma più analiticamente una storia di idee, di concetti tratta da lettere, discorsi, pagine di diario, delle persone che come si suol dire hanno fatto la storia americana.
È un saggio a tesi, infatti tutto concorre a dimostrare che il mito dell’alternanza tra impegno internazionale e isolazionismo americano non ha ragione di esistere.
Da sempre gli Stati Uniti d’America hanno avuto una visione, se non proprio una cosciente missione autoimposta, di governance mondiale. Questo espansionismo prima territoriale, ricordiamo tutti lo spirito di frontiera tanto decantato dal cinema hollywoodiano, poi quando ogni granello del territorio nord americano era stato raggiunto, planetario, non è mai venuto meno in nessuna fase di questi oltre due secoli di storia.
Questa posizione predominante non è certo solo dovuta ad una cosiddetta superiorità intellettuale o culturale, ma è suffragata da contingenti realtà più materiali: l’atomica fa degli USA la più grande potenza militare mai vista nella storia.
Finita poi la minaccia comunista, eccezionale strumento di controllo politico, con il crollo nell’ 89 del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’impero sovietico, e la conseguente fine del sistema politico internazionale bipolare, gli Stati Uniti si sono trovati esattamente dove volevano essere: al centro del sistema liberal democratico internazionale.
Certo con la fine dell’Unione sovietica gli USA hanno celebrato il loro trionfo, ma altre sfide, altre minacce si sono profilate subito dopo all’orizzonte. Punto di svolta sicuramente è stato l’11 settembre del 2001, in cui diciamo i festeggiamenti post ’89 ebbero definitivamente fine e le sfide del terrorismo internazionale cambiarono equilibri, alleanze e strategie.
Che poi il successivo declino USA, quasi che la spinta propulsiva verso un eterno progresso si fosse interrotta, ha portato il paese verso la perdita dello status di massima potenza mondiale, altri stati si stanno attivamente dando da fare per subentrare, è un’altra questione non approfondita nel testo, ma che sicuramente resta sullo sfondo e apre nuove ipotesi di studio e di analisi.
Dunque questo libro ripercorre i quasi 250 anni della storia “esterna” degli Stati Uniti fino alle apparenti manovre pubbliche di disimpegno dell’attuale presidente americano, che tuttavia neanche lui limita i suoi interventi all’estero, la questione iraniana è sicuramente un esempio recente e molto significativo.
Infine l’autore termina il libro analizzando le prospettive future e augurandosi che questo suo lavoro sia d’invito alla riflessione sul vero senso della politica estera, e pur dichiarandosi poco propenso all’ottimismo, rilevando il crollo di ogni tensione morale, e l’abbandono di progetti di progresso comuni, traccia tuttavia una direttiva virtuosa da seguire: ovvero abbandonare la volontà di potenza, i sogni di gloria, di vittoria e di sopraffazione.

Luigi Bonanate è professore emerito nell’Università di Torino, socio dell’Accademia delle Scienze di Torino e Medaglia d’oro dei benemeriti della cultura e dell’arte. Ha insegnato Relazioni internazionali per più di 40 anni, e tiene corsi alla Scuola di studi superiori Ferdinando Rossi dell’Università di Torino, alla Facoltà di Scienze strategiche e a quella teologica dell’Italia settentrionale. Il suo primo libro era stato La politica della dissuasione (1972); i più recenti Anarchia o democrazia (2015) e Dipinger guerre (2016). Per i tipi di Aragno ha curato l’edizione di scritti di H. de Balzac, R. Rolland, R. Serra, D. Galimberti e L. Rèpaci, N. Revelli.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Nino Aragno.