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:: In lode della guerra fredda di Sergio Romano (Longanesi 2015) a cura di Giulietta Iannone

2 Maggio 2022

A dispetto del nome, la Guerra fredda fu un lungo periodo di pace e stabilità per l’Europa. Pur se costellati da momenti di grande tensione, i decenni che seguirono la Seconda guerra mondiale furono caratterizzati dalla fermezza con cui le due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, seppero frenare le forze che al loro interno premevano per lo scontro, ben consapevoli che lo scoppio di una guerra nucleare avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutti. Con la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell’Urss, i confini dell’ex Impero sovietico divennero nuovamente contesi, rinacquero antichi nazionalismi, scoppiarono numerose guerre: in Cecenia, nel Caucaso e nella ex Jugoslavia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, pensarono di avere vinto la Guerra fredda, ma oggi emergono chiari i limiti della superpotenza americana e le conseguenze del suo avventurismo: rivoluzioni sfuggite di mano, guerriglie fomentate dal fanatismo religioso, contrasti sempre più accesi con la Russia. Ma la fine della Guerra fredda, e i conflitti del dopoguerra, hanno avuto come effetto soprattutto il sorgere dei «non Stati» – Isis, Ghaza, Kurdistan iracheno, Bosnia, Kosovo, Siria, Libia – con le grandi incognite che ne derivano: come si combatte contro un «non Stato»? Come lo si governa? E come si può ricostruire l’ordine perduto?

In questi giorni confusi e convulsi ho ripreso un libro di Sergio Romano, autorevole commentatore di quasi tutti i fatti salienti accaduti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, uscito ormai nel 2015 dal titolo emblematico di In lode della guerra fredda. Con la sua mente lucida e analitica Romano ripercorre gli avvenimenti storici occorsi dalla Rivoluzione Ungherese alle rivolte arabe in Egitto, Libia e Siria, senza tralasciare gli antefatti della cosidetta “questione ucraina” e lo fa focalizzando importanti correlazioni e riflessioni che spiegano l’evolversi di un processo lento e difficoltoso che ha il suo punto di svolta nel crollo del regime comunista dell’Unione Sovietica. La fine dell’URSS ha posto di fatto fine alla Guerra Fredda, cosa di per sè positiva, ma ha anche in realtà spezzato quell’equlibrio di forze, a prescindere dalle valutazioni etiche e morali dei vari regimi, che mantenevano la pace seppur sotto la minaccia di un conflitto atomico. Possiamo definirla vera pace? Questa è un’interessante domanda etica che mi sono posta durante la lettura considerando il fatto che sebbene in Occidente si visse un periodo di relativa assenza di conflitti armati (senza dimenticare le guerre jugoslave, comunque post caduta Muro) non si rinuncio a coflitti armati per procura in altre parti del mondo. In lode della guerra fredda dunque è un compendio, molto illuminante, di più di cinquant’anni di storia politica, caratterizzato da capitoli brevi ed essenziali che sintetizzano i principali avvenimenti occorsi e aiutano grazie a un linguaggio semplice ed efficace, a fare chiarezza su avvenimenti per i più giovani, che non hanno vissuto quegli annni, ancora oscuri. I meno giovani, che hanno avuto un’esprienza diretta delle conseguenze di quei fatti, potranno comunque, grazie a questo testo, avere una visione di insieme utile a far luce su quelle dinamiche sotterranee che hanno portato agli avvenimenti contemporanei. Naturalmente sono interpretazioni, teorie politiche, giudizi forse in alcuni casi anche troppo severi, specialmente nei riguardi degli Stati Uniti con cui Romano non ci va leggero imputandogli colpe e responsabilità, determinati però dal punto di vista privilegiato da cui l’autore li ha osservati. Consiglio di leggere soprattutto attentamente i capitoli riguardanti la crisi ucraina, e l’irresistibile avanzata della Nato, oltre al capitolo intitolato: Chi ha vinto la Guerra Fredda? E poi naturalmente c’è il dopo e tutti gli strascichi che sono occorsi. Ci si domanda perchè tante guerre “calde” si sono sviluppate nel post Guerra Fredda, e soprattutto si analizzano le difficoltà nell’intraprendere un percorso di convivenza pacifica e governance globale democratica diretta, sempre considerato che i paesi democratici al mondo sono una minoranza ristretta e privilegiata. E soprattutto sempre che i popoli del mondo la vogliano e non preferiscano rinunciare a parte della loro libertà e dei loro diritti fondamentali in cambio di un maggiore benessere economico o financo della mera sopravvivenza. Doloroso dilemma che ci fa riflettere sui costi (reali) della democrazia, e sui sacrifici che siamo disposti ad affrontare per il mantenimento della pace, sempre considerato che una guerra globale (atomica) a tali condizioni non prevede nessun vincitore (e tutti lo sanno). La debolezza dell’Unione europea, pur mantenenedo un giudizio relativamente positivo sull’operato dei vari attori politici dalla Merkel a Hollande, è il punto critico che Romano ha focalizzato nel 2015 che ha ripercussioni fino ad oggi e questo giudizio è condiviso anche da altri osservatori politici e mi sento di condividerlo anche io sebbene mi interroghi su come ricostruire l’ordine perduto, impossibile se dimentichiamo che senza una diffusa e condivisa giustizia sociale ed un’equa distrubuzione delle risorse non ci può essere vera pace, la sola condizione possibile per la sopravvivenza della nostra specie.

Sergio Romano (Vicenza, 1929) è stato ambasciatore alla NATO e, dal settembre 1985 al marzo 1989, a Mosca. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Pavia, Berkeley, Harvard e, per alcuni anni, all’Università Bocconi di Milano. È editorialista del Corriere della Sera. tra i suoi ultimi libri pubblicati da Longanesi: La Chiesa contro (2012), Morire di democrazia (2013), Il declino dell’impero americano (2014), In lode della Guerra fredda. Una controstoria (2015), Putin (2016), Trump (2017), L’epidemia sovranista (2019), Processo alla Russia (2020).

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo l’Ufficio stampa Longanesi.

:: Putin e la ricostruzione della Grande Russia di Sergio Romano (Longanesi e Co., 2016) a cura di Daniela Distefano

6 settembre 2019

PUTIN e... di Sergio RomanoLa Guerra fredda aveva un senso. Fu una guerra ideologica in cui il vincitore, verosimilmente, avrebbe imposto al nemico sconfitto, per usare parole ormai screditate dal troppo uso, la propria filosofia e i propri valori. Può sembrare retorico, ma vi era in quello scontro fra giganti una certa nobiltà. Due grandi idee – la dittatura del proletariato e il capitalismo democratico – offrivano al mondo due strade diverse verso un futuro migliore. Le due diverse prospettive hanno creato speranze, attese, impegno e sacrifici che non sarebbe giusto ignorare. Oggi ogni traccia di nobiltà è scomparsa. Il comunismo è fallito e, come accade sempre in queste circostanze, la memoria collettiva ricorda soltanto le sue pagine peggiori: i massacri della fase rivoluzionaria, la fame ucraina, la persecuzione del clero, le purghe, i gulag, il lavoro coatto, i popoli trasferiti con la forza da una regione all’altra. La democrazia capitalista non è in migliori condizioni. Il trasferimento del potere economico dai produttori di beni ai produttori di denaro ha enormemente allargato il divario fra gli immensamente ricchi e i drammaticamente poveri. Il denaro governa le campagne elettorali. (..) Possiamo deplorare molti aspetti del suo carattere (di Putin, ndr)e della sua politica. Ma vedo sempre meno persone in Occidente che abbiano il diritto di impartirgli lezioni di democrazia”.

Chi è veramente Vladimir Vladimirovič Putin, il padrone della Russia odierna, l’uomo non proprio “qualunque” che si nasconde dietro una maschera impassibile e ieratica? Sergio Romano, in questo libretto agile e ben ritmato, ce lo presenta sotto una luce più penetrante raccontandoci la Russia dalla caduta del muro di Berlino fino agli ultimi scontri con gli Usa per la crisi dell’Ucraina e la questione della Siria. Il testo è stato pubblicato prima delle elezioni americane che hanno visto la vittoria di Trump (nel 2016) e le polemiche successive sull’ingerenza dei russi nella campagna elettorale. L’autore scandaglia la disgregazione dell’Unione Sovietica e il potere assoluto di Boris Eltsin che ha traghettato la Russia dall’era comunista ad un capitalismo senza regole. Gli oligarchi che hanno preso velocemente il potere economico e hanno in parte influenzato le decisioni dei governi di Eltsin sono lo specchio di una Russia che ha riconvertito le sue risorse pubbliche in un business privato. Dunque prima di analizzare il “regno” di Putin, occorre fare un passo indietro. Eltsin, nell’ultima parte della sua vita e della sua carriera politica, è stato debole e permissivo. Di fatto, le sue scelte hanno permesso ad alcuni uomini di impadronirsi delle risorse minerarie e petrolifere del paese, di controllare giornali e tv e di accaparrarsi il controllo dei principali istituti bancari. L’avvento di Putin ha pirandellianamente cambiato tutto perché nulla venisse cambiato. Uno sconosciuto ufficiale del KGB in cerca di lavoro è diventato, in poco tempo, un uomo molto influente, a capo persino di un dipartimento del governo. La sua biografia è sconosciuta a tutti e anche lo storico Romano fatica a trovare informazioni sul suo passato. Quello che è certo è che Putin ha prestato servizio nel KGB durante la Guerra Fredda operando nella Germania dell’Est. E’ stato l’assistente del sindaco di San Pietroburgo. Poi il vuoto fino alla sua nomina ad alto servitore dello Stato e infine a capo del governo. Putin ha fatto una carriera folgorante. Ha solidificato in poco tempo il suo potere ed è riuscito ad imporre una visione vincente della Russia, senza rinnegare il periodo comunista, cercando di utilizzare tutti i valori a cui i russi sono legati, perfino una devozione alle icone religiose, per cercare di rilanciare l’orgoglio del suo paese. La sua strategia ha avuto effetti miracolosi, tanto che venne eletto come presidente della Repubblica (carica che, a parte fasi alterne come Primo ministro, continua a mantenere tutt’oggi). Eppure qua e là emergono crepe a questo ritratto che lo stesso Putin incoraggia a tramandare. Ci sono vicende non solo interne alla Russia che minano l’immagine inappuntabile dello Statista provvidenziale. Il libro lascia porte aperte alle varie interpretazioni disseminate nelle pagine, sarà il lettore che trarrà le conclusioni più avvedute circa un uomo dalla faccia immacolata e e dalle mani nascoste dietro un rovo segreto e ancora ardente.

Sergio Romano (Vicenza, 1929) è stato ambasciatore alla NATO e, dal settembre 1985 al marzo 1989, a Mosca. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Pavia, Berkeley, Harvard e, per alcuni anni, all’Università Bocconi di Milano. È editorialista del Corriere della Sera. tra i suoi libri pubblicati da Longanesi: La quarta sponda (2005, nuova edizione 2015), Con gli occhi del l’Islam(2007), Storia di Francia, dalla Comune a Sarkozy (2009), L’Italia disunita, con Marc Lazar e Michele Canonica (2011), La Chiesa contro, con Beda Romano (2012), Morire di democrazia (2013), Il declino dell’impero americano (2014) e In lode della Guerra fredda (2015).

Source: Libro inviato dall’editore. Ringraziamo l’Ufficio Stampa “Longanesi e Co”.