Posts Tagged ‘Rubettino’

:: Controvento di Fabio Martini (Rubettino, 2020) a cura di Nicola Vacca

30 aprile 2020
cop libro Martini

Clicca sulla cover per l’acquisto

Bettino Craxi rivive a vent’anni dalla sua scomparsa. Quest’anno sono usciti diversi libri sull’ultimo statista della Prima Repubblica.
Negli ultimi decenni la sua figura controversa è stata analizzata e presa di mira da letture e interpretazioni manichee che non hanno reso giustizia alla verità storica sul personaggio politico Craxi.
Controvento. La vera storia di Bettino Craxi, scritto da Fabio Martini, inviato di politica del quotidiano La Stampa, è il libro più importante, il saggio più argomentato e imparziale su uno dei protagonisti della vita politica italiana.
Martini ripercorre la biografia di Craxi dall’ascesa nella Milano del dopoguerra fino al tragico epilogo da cui è scaturita la fine miserabile di questo Paese.
Dai primi passi di consigliere comunale, assessore, fino a arrivare in Parlamento e poi a Palazzo Chigi.
L’autore passa in rassegna tutte le stagioni politiche e esistenziali di Bettino Craxi, gettando nuova luce su pagine oscurate o inedite della sua vicenda politica e umana.
Mette in risalto il suo carattere duro, il decisionismo, punto di forza e di debolezza che gli ha fatto fare anche scelte impopolari per il bene del Paese, che lo ha reso “antipatico”, uomo politico che non cadde mai nel populismo e non fui mai capace di dire bugie.
Il socialista di minoranza che fin da giovane si ribella ai comunisti che non ha mai tradito la scommessa del primato della politica.
«La politica prima di tutto». Sarà il suo grande amore per la politica che gli farà vincere tutte le battaglie più importanti della sua vita, sarà un eccesso di politica che lo farà capitolare nelle battagli finali.
Il Bettino Craxi che Fabio Martini ci presenta è un uomo dal forte carisma che non ha fatto nulla per mostrarsi simpatico, è stato un vero antipatico che politicamente sapeva il fatto suo.

«A venti anni dalla sua scomparsa – ha affermato Fabio Martini in una recente intervista – e dopo decenni di contrapposizioni frontali tra detrattori e adulatori, è più facile rispondere a questa domanda. Craxi è destinato a passare alla storia come il leader socialista, che dando il suo decisivo assenso all’installazione degli euromissili assieme al cancelliere tedesco Schmidt, favorì indirettamente la dissoluzione dell’impero sovietico; fu il primo capo di governo italiano che osò platealmente ribellarsi ad un gesto illegale dell’alleato americano; fu l’unico leader socialista europeo che, senza accettare la realpolitik verso i regimi comunisti, diede un appoggio materiale e ideale a tanti dissidenti che invece il Pci guardava con distacco e sospetto. Fu il primo socialista che sdoganò la categoria dell’anticomunismo democratico. Il primo che, dopo una lunga trattativa, assunse una decisione dirimente come il decreto sulla scala mobile, contro il parere della Cgil. E d’altra parte dopo di lui non è più esistita una forza socialista organizzata e il fatto che siano scomparsi anche Dc e Pci, non diminuisce il significato di questa défaillance».

Nelle pagine di Fabio Martini non c’è nessuna apologia. La storia di Bettino Craxi la racconta basandosi sui fatti, non omettendo anche i suoi errori (l’intuizione del rinnovamento istituzionale e l’incapacità di realizzare la Grande Riforma).
Martini racconta la vera storia di Bettino Craxi, un decisionista che non fu mai populista, che ebbe il coraggio di tagliare i baffi a Marx.
Dal Midas fino alla conclusione tragica della sua carriera politica, avvenuta per mano di un manipolo di toghe agli ordini di Botteghe Oscure, Craxi ha lavorato alla costruzione di una sinistra democratica e riformista.
Essere da sinistra anticomunista in quegli anni non era una cosa facile. Il “duro e puro” Enrico Berlinguer arrivò a definire Bettino Craxi un “pericolo per la democrazia”.
Ma Craxi non prendeva ordini dai comunisti. Non si lasciava intimorire dagli emissari in Occidente dell’Unione Sovietica.
Amava il suo Paese e lo voleva moderno e competitivo. Era fermamente convinto che soltanto una sinistra democratica, liberale e riformista fosse la via giusta per dare una speranza alla nostra democrazia.
I comunisti vedevano in Craxi, e nella sua certa idea della sinistra, un pericolo e un nemico da abbattere.
Così è stato. Il “pericoloso anticomunista” Bettino Craxi è stato epurato dai magistrati del Pool milanese, con la regia occulta e la complicità morale dei comunisti, di alcuni giornali, e forse anche degli Stati Uniti.
Tutti i partiti della sinistra defunta si ispirano al riformismo. Nel corso degli anni riformisti e socialisti sono diventati anche Veltroni, D’Alema, Fassino e Violante. Sulla loro disfatta politica pesa come un macigno la figura di Bettino Craxi. In certo modo lo hanno ambiguamente riabilitato, dopo aver contribuito pesantemente alla sua eliminazione.

«Sono certo che la storia condannerà i miei assassini, solo una cosa mi ripugnerebbe essere riabilitato da coloro che mi uccidono».

È accaduto proprio questo. Fassino nella sua autobiografia – pubblicata qualche anno fa da Rizzoli – scrive che Craxi aveva ragione e Berlinguer torto, Veltroni d’incanto scopre che il suo comunismo è incompatibile con la libertà. Loro hanno avuto paura di fare seriamente i conti con il postcomunismo e il fantasma politico di Bettino Craxi, la cui eliminazione per via giudiziaria ha lasciato irrisolti tutti i problemi di quella guerra civile a Sinistra che il leader socialista aveva già vinto. Renzo De Felice nel 1995 ha scritto

«I socialisti nel bene e nel male hanno avuto una funzione culturale solo con Craxi. Prima non esistevano.
La verità oggi è una sola. Le idee riformiste di Bettino Craxi – nel bene e nel male – sono sopravvissute al suo massacro giudiziario».

Nel suo racconto tutto politico Fabio Martini parla a trecentosessanta gradi dell’ultimo leader della Prima Repubblica, con i suoi limiti e con i suoi errori che gli costarono cari, e con le sue luci che contribuirono all’ultima stagione di crescita dell’Italia.
Un libro onesto che si conclude con l’invito a andare oltre i pregiudizi e capire quale sia stato “tra luci e inevitabili ombre” il contributo di Craxi nel consolidamento della democrazia in Italia e nella conquista della libertà in tanti Paesi oppressi dalla dittatura.
È arrivato il tempo per capire meglio. Questo libro ci aiuterà molto.

Fabio Martini è inviato di politica del quotidiano “La Stampa”. Ha collaborato a “Mondoperaio” ed è autore de L’opposizione al governo Berlusconi, Laterza, Il piccolo principe, con Marco Damilano, Sperling; La fabbrica delle verità, Marsilio. Insegna Giornalismo politico all’Università Tor Vergata.

Source: libro inviato al recensore dall’editore.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: La via della schiavitù di Friedrich A. von Hayek (Rubbettino, 2011) a cura di Daniela Distefano

15 gennaio 2019

hayek - la via della schiavitùLa lezione di questo libro è che non vi può essere alcun compromesso tra la libertà e i diritti “sociali” degli individui. La libertà è un a priori etico e antropologico, un valore non negoziabile. E’ il fondamento stesso della “Grande Società”, che equivale alla “società aperta” di Popper, in quanto sostenuta dal mercato e dalla competizione. L’alternativa alla “pianificazione” è la “sovranità della legge” (rule of law). Come perviene a questa conclusione Friedrich A. von Hayek? Lo studioso – che è stato per definizione l’antagonista più illustre di Keynes – non era devoto del laissez faire; egli credeva in uno schema o impalcatura per un sistema di libera impresa. Schema che è compatibile con standard di salario minimo, standard di assistenza sanitaria, un minimo di assicurazione sociale. Ed anche compatibile con certi tipi di investimenti statali. Ma il punto è che l’individuo deve conoscere in anticipo esattamente come le regole funzioneranno. Egli non può pianificare i suoi affari, il suo futuro, persino le sue vicende familiari, se il “dinamismo” di una autorità pianificatrice centrale sta sospeso sopra la sua testa.

“Socialismo” – in definitiva – per Hayek significa schiavitù: “la democrazia cerca l’eguaglianza nella libertà, il socialismo cerca l’eguaglianza nella restrizione e nella servitù”.

Le virtù che i popoli anglosassoni possedevano erano l’indipendenza e la fiducia in se stessi, l’iniziativa individuale e la responsabilità locale, l’affidamento del successo all’azione volontaria, la non interferenza verso il prossimo e la tolleranza verso ciò che è diverso e stravagante, il rispetto per gli usi e la tradizione, e una sana diffidenza verso il potere e l’autorità. Tutto questo è divenuto nel tempo oggetto di distruzione ad opera dell’avanzata del collettivismo. Quale sistema politico era per lui auspicabile allora?

Uno dei maggiori vantaggi della federazione sta nel fatto che essa può essere organizzata in modo da rendere difficili la maggior parte delle pianificazioni dannose, pur lasciando via libera a ogni forma di pianificazione desiderabile. Essa impedisce, o può servire ad evitare, la maggior parte delle forme di restrizione”.

E rimanendo in tema di sovranità, per lo studioso austriaco:

La sovranità della legge internazionale deve diventare una salvaguardia tanto contro la tirannia dello Stato sull’individuo, quanto contro la tirannia di un nuovo super-Stato sulle comunità nazionali”.

Un volume intenso, masticato e rimasticato con cura, un manuale per affrontare le maree collettivistiche. Forse non tutto può essere risolto col concetto di “competizione”, suo pilastro fondamentale di pensiero, però Hayek è convincente nel proporci la libera concorrenza e la limitazione di ogni intervento pubblico come fattori decisivi per lo sviluppo di una società più equa e più libera. E non è poco.

Friedrich von Hayek è un economista e filosofo austriaco. Nasce a Vienna nel 1899. Svolge gli studi all’Università di Vienna in giurisprudenza e scienze politiche, dove apprende il pensiero economico neoclassico della Scuola austriaca. I suoi docenti sono Ludwig von Mises e Friedrich von Wieser. Nel corso degli anni ’20 organizza diversi seminari universitari e collabora con il governo austriaco. Nel 1931 ottiene una cattedra alla London School of Economics, su invito di Lionel Robbins, dove insegna fino al 1950. Negli anni ’50 si trasferisce negli Stati Uniti dedicandosi allo studio della politica e della società. Dal 1962 al 1968 insegna alle università di Friburgo e di Salisburgo. Abbandonato l’insegnamento, si dedica alle pubblicazioni. Negli ultimi anni della sua vita riceve diverse onorificenze, tra cui il premio Nobel per l’economia nel 1974. Muore in Germania nel 1992.

Source: Libro inviato dall’Editore. Ringraziamo Antonio e Maria dell’Ufficio Stampa “Rubbettino”.