Posts Tagged ‘letteratura italiana’

:: Polimeri di Roberto Saporito (Cose Note 2025) a cura di Giulietta Iannone

1 giugno 2025

[…] mi sembra di perdere tempo, mi sembra che non sia questa la vita vera, come recitare, mi sembra che la vita vera sia da un’altra parte […].

Roberto Saporito predilige la narrativa breve e con il suo nuovo romanzo Polimeri, edito da Cose Note Edizioni di Alba, ci da un nuovo saggio del suo poliedrico talento. In apparenza omaggio postmodernista, con venature noir, al cinema, in realtà in questo romanzo l’autore analizza e scandaglia il limite tra realtà e finzione e chi meglio dell’attore protagonista, rigorosamente senza nome, può incarnare questo duplice ruolo in cui la finzione sembra sempre più prepotentemente sovrapporsi alla realtà. Il protagonista, un attore italo-americano che ha superato la boa dei cinquat’anni, e sta sperimentando cosa significhi invecchiare nel mondo fittizio dell’industria dell’intrattenimento, è un figlio dell’Actors Studio, che ha fatto suo il metodo Stanislavskij, metodo che fa provare all’attore realmente le emozioni che è tenuto a portare sullo schermo o a teatro. Ha un ex moglie, una figlia, e una carriera in cui deve reinventarsi lasciando il ruolo dell’attor giovane, e belloccio, per quello dell’uomo di mezza età, che lo portano dal recitare in una serie televisiva americana importante ad accettare di girare uno spot pubblicitario per un tonno in Italia, umiliante ma ben redditizio, anzi dal compenso astronomico. Poi la fortuna gli arride di nuovo e si trova coinvolto in un progetto ambizioso quello del remake, di produzione americana, ma girato a New York al posto di Roma, del film La Grande Bellezza di Sorrentino. Tra Los Angeles, New York e Roma, il protagonista avrà anche a che fare con un misterioso personaggio che lo perseguita, si sa l’America è un posto pericoloso pieno di serial killer, può succedere di tutto andando anche solo al supermercato, dando venature noir alla storia e arricchendo anche di sfumature macabre un racconto, narrato in prima persona, denso di riflessioni intimistiche e di lezioni di vita. Qui niente è quello che sembra. Qui tutto è finto. Qui tutto è di plastica.

Roberto Saporito, prima di dedicarsi completamente alla scrittura, ha studiato giornalismo e diretto per trent’anni una galleria d’arte. È autore di numerosi romanzi e raccolte di racconti, tra cui Harley-Davidson (1996), Il rumore della terra che gira (2010), Generazione di perplessi (2011), Il caso editoriale dell’anno (2013), Come un film francese (2015), Respira (2017), Jazz, Rock, Venezia (2018), Come una barca sul cemento (2019), In nessun luogo (2022) e Figlio, fratello, marito, amico (2024). Suoi racconti sono apparsi in antologie e su autorevoli riviste letterarie. Ha tenuto una rubrica sul magazine Satisfiction.

“Mistici e Purgatorio. Storie, visioni, rivelazioni” (Edizioni  Segno) di Giulio Giacometti e Piero Sessa, a cura di Daniela Distefano

14 marzo 2025

Questo volume occupa un posto  notevole nella classifica dei libri dell’anno da leggere, meditare,  riprendere a distanza di tempo; consultandolo a caso si trovano miniere di scoperte conoscitive: su noi stessi, sulle nostre anime, sulla vita che faremo quando non ci saremo più.

E’ composto di varie voci sante. Brani tratti dalle opere di Santi e Sante che hanno vissuto in Terra le pene del Purgatorio, in espiazione dei peccati loro e altrui. Riportiamo pagine ricche di nozioni per chi é digiuno in materia.

Suor Maria Della Croce (1840-1917) nel suo Manoscritto del Purgatorio (1874-1890) parla di vari gradi del Purgatorio: nel secondo si trovano le anime di coloro che muoiono colpevoli di peccati veniali non espiati prima della morte, ovvero di peccati mortali rimessi, ma di cui non hanno pienamente soddisfatto la giustizia divina. Vi sono anche in detto Purgatorio diversi gradi secondo i meriti delle persone. Così il Purgatorio delle persone consacrate o che hanno ricevuto più grazie è più lungo e penoso di quello della più comune delle anime. Infine il Purgatorio di desiderio, che viene chiamato Vestibolo. Ben poche persone lo evitano; per evitarlo bisogna aver desiderato ardentemente il Cielo e la visione del buon Dio, e questo è raro, più raro che non si creda, poiché molte persone, anche se pie, hanno paura del buon Dio e non desiderano con abbastanza ardore il Cielo. Detto Purgatorio ha il suo martirio ben doloroso al par degli altri; essere privi della visione del buon Gesù, quale sofferenza!

Dove si trova il Purgatorio? Si trova nel  centro della Terra vicino all’inferno. Le anime vi stanno come in un luogo ristretto, la maggior parte vi rimane da 30 a 40 anni, altre molto più a lungo, ed altre meno.

Anticipo del Purgatorio

Quando il buon Dio vuole un’anima tutta sua , comincia con lo stritolarla, press’a poco come i pomi sotto le macine d’uno strettoio per spremerne il succo, nelle sue passioni, nella ricerca di se stessa, in una parola, in tutti i suoi difetti; di poi, quando tale anima è stata così stritolata, Egli le dà la forma che vuole.

E’ difficile trovare in S. Veronica uno sviluppo dei suoi insegnamenti vissuti sul Purgatorio, ma piuttosto un crescendo continuo, come di motivo musicale, delle sue sofferenze offerte per amore di Gesù crocifisso e delle anime dei purganti. Nelle sue opere (specialmente nel diario) troviamo una miniera di pensieri e di esperienze vissute relative al Purgatorio.

I difetti alla luce del Purgatorio, dice santa Veronica Giuliani:

“So bene che, se mente umana potesse comprendere cosa è il Purgatorio, si starebbe molto attenti a non commettere difetti”.

Maria Valtorta (1897-1961)

Visione della mamma nel Purgatorio

4 ottobre 1949, ore 15:30

“Dopo tanto vedo mia mamma. E’ fra le fiamme del purgatorio. Non l’ho mai vista nelle fiamme. Grido. Non riesco a reprimere il grido che poi giustifico a Marta con una scusa, per non impressionarla. La mia mamma non è più così fumosa, grigiastra, dall’espressione dura, ostile al Tutto e a tutti, come la vedevo nei primi tre anni dopo la morte quando, benché la supplicassi, non voleva volgersi a Dio… né è annebbiata e mesta, quasi spaventata, come la vidi per gli anni successivi. E’ bella, ringiovanita, serena. Sembra una sposa nella sua veste non grigia ma bianca, candidissima. Emerge dalle fiamme dall’inguine in su.

Le parlo. Le dico:”Sei ancora lì mamma? Eppure ho tanto pregato per abbreviarti la pena e ho fatto pregare. Stamane per il sesto anniversario ti ho fatto la S. Comunione. E sei ancora lì!”. Ilare, festosa, mi risponde:”Sono qui, ma per poco ancora. So che hai pregato e fatto pregare. Questa mattina ho fatto un gran passo verso la pace. Ringrazio te e la suora che ha pregato per me. Ricompenserò poi.. Presto. Fra poco ho finito di purgarmi. Ho già purgato le colpe della mente…la mia testa orgogliosa… poi quelle del cuore… i miei egoismi… Erano le più gravi. Ora espio quelle della parte inferiore. Ma sono un’inezia rispetto alle prime”. “Ma quando ti vedevo così fumosa e ostile…non volevi volgerti al Cielo…”. “Eh! Ero ancora superba …Umiliarmi? Non volevo. Poi è caduto l’orgoglio”. “E quando eri così triste?”.

“Ero attaccata agli affetti terreni”.  “Non ci pensare più, mamma. Ora è passato”. “Sì, è passato. E se sono così ti ringrazio. E’ per te che sono così. Il tuo sacrificio… Mi ha ottenuto il Purgatorio e fra poco la pace”.

“E papà? Dov’è papà?”.

“In Purgatorio”.

“Ancora? Eppure era buono: Morì da cristiano con rassegnazione”. Più di me. Ma è qui. Dio giudica diverso da noi. Un modo tutto suo”.

Ho voluto segnare questo. Contiene insegnamenti. Dio punisce prima le colpe della mente, poi del cuore, ultime le debolezze della carne. Bisogna pregare, come fossero nostri parenti, per i purganti abbandonati; il giudizio di Dio è ben diverso dal nostro; i purganti capiscono ciò che non capivano in vita perché pieni di se stessi. A parte il dispiacere per papà…sono contenta di averla vista così serena, lieta anzi, povera mamma!”.

Santa Margherita Maria Alacocque (1647-1690)

“Intendo parlare della nostra povera suora J.F.. (…) Questa buona sorella mi fece vedere il pietoso stato in cui si trovava dicendomi: “Oh! Mia povera sorella, quanto atroci tormenti soffro! E, benché io soffra per diverse ragioni, ce ne sono tre che mi fanno soffrire più di tutto il resto. La prima è il voto di ubbidienza che ho osservato molto male, poiché ubbidivo solo quando mi piaceva; e tali ubbidienze sono una condanna davanti a Dio. La seconda è il voto di povertà, volendo che nulla mi  mancasse, dando al mio corpo molti conforti superflui. La terza cosa, è la mancanza di carità, e per aver causato disunione e non essere andata d’accordo con le altre. Per ciò, le preghiere che qui si fanno non mi sono applicate, e il sacro Cuore di Gesù Cristo mi vede soffrire senza compassione, perché io non ne avevo per chi vedevo soffrire”.

Concludo questo mio articolo con Santa Teresa  che diceva: “meglio soffrire e non morire”. Meglio purificarci da vivi che desiderare Dio e non poterlo vedere da morti.

:: La notte ha il suo profumo di Marco Azzalini, (Editore Laurana, 2025) a cura di Massimo Ricciuti

23 febbraio 2025

Il 12 dicembre del 1974, nel quinto anniversario della strage di Piazza Fontana, una bomba esplode nell’Aula Tre dell’Università di Padova, provocando parecchie vittime, fra cui l’attentatore stesso. Quasi 50 anni dopo, una runner trova, lungo l’argine di un canale, il cadavere di quello che sembra essere un clochard. L’uomo, in realtà, si chiama Piergiuseppe Gallini e ha lasciato un testamento che lo ricollega all’attentato del 1974. Del caso viene incaricata la squadra diretta dal vicequestore Carlo Oriani, professionista serio e tenace, abituato a non mollare di un centimetro. L’inchiesta si rivela subito complicata, perché sono tanti a non voler riesumare il passato, in particolare un gruppo di ex studenti del prestigioso collegio universitario Patavium, di stampo cattolico. Oriani si trova davanti a un vero e proprio muro di gomma e, inoltre, riceve pressioni da parte di un ambiguo funzionario del Ministero dell’Interno. Neppure un viaggio lampo in Sardegna, dove Gallini aveva aperto un ristorante, serve a qualcosa. Il vicequestore si focalizza allora sul Patavium e sugli ex frequentanti, coadiuvato da Sara, giovane e ambiziosa giornalista.

Fra passato e presente si snoda questo bel romanzo di Marco Azzalini, vincitore del Premio NebbiaGialla 2024 nella categoria degli inediti. La morte ha il suo profumo non è un giallo politico, come precisa in una nota l’autore stesso. Contiene sì elementi del genere crime, ma è incentrato soprattutto sulle esistenze dei personaggi e su come un avvenimento possa cambiare i destini di tante figure. Padova è ben più di un semplice sfondo: una città di provincia che non riesce a scendere a patti con il passato, in particolare con i cosiddetti anni di piombo. L’Università locale è stata un laboratorio, una fucina d’idee, alcune non proprio meritorie, anzi spesso dannose. Quella in cui si trova a indagare Oriani è una Padova svuotata dall’esodo estivo, ma non per questo meno oscura e pericolosa. Si verificano strani “incidenti” e vengono a galla tradimenti, di cui è vittima lo stesso vicequestore. La verità, o meglio le verità non possono non lasciare di stucco il lettore e ciò grazie alla bravura dell’autore. Quanto al titolo del romanzo, non dovrebbe essere difficile riconoscere un verso del meraviglioso brano Cara del compianto Lucio Dalla.

Marco Azzalini vive a Treviso con la sua famiglia. Professore all’Università di Bergamo, è autore di numerose pubblicazioni e di racconti gialli e noir. Ha vinto i premi I sapori del Giallo 2023 e Spoleto Noir 2023, ha ottenuto il secondo posto al premio Scerbanenco Lignano 2023, il secondo posto al premio Spoleto Noir 2024, ed è stato finalista al premio Gran giallo città di Cattolica. La notte ha il suo profumo ha vinto il premio NebbiaGialla 2024, sezione romanzi inediti.

:: Nella spirale di Fermat di Gianfranco Tondini (Fernandel 2025) a cura di Massimo Ricciuti

17 febbraio 2025

L’improvvisa morte del notissimo artista Reinhard Bohrst mette in moto una serie di avvenimenti che riguardano anche Wainer e Sara, i protagonisti di questo romanzo. Il primo è un piccolo gallerista che ha investito tutti i suoi averi in un’installazione del defunto Bohrst e ora si trova nei guai. Sara, invece, è una funzionaria dell’ICOM, un organismo dell’Unesco che si occupa, fra l’altro, della restituzione di opere d’arte sottratte e rubate, specialmente quelle depredate dai nazisti durante il secondo conflitto mondiale. I due hanno intrattenuto una lunga relazione, ma poi si sono lasciati a causa di una malattia che ha colpito la donna; nonostante ciò, il legame fra loro è ancora forte. Adesso vivono entrambi un momento difficile in ambito lavorativo. Wainer, in particolare, è sull’orlo del fallimento e si affida a personaggi equivoci che gravitano intorno al mondo dell’arte contemporanea. Dal canto suo, Sara è alle prese con il furto di un quadro di Rembrandt: questa vicenda la destabilizza al punto che decide d’intraprendere un lungo viaggio per tornare nella casa in cui ha vissuto con Wainer. Si ritroveranno oppure no?

Nella spirale di Fermat è il primo romanzo di Gianfranco Tondini. Al centro dell’opera c’è l’arte contemporanea, argomento che l’autore dimostra di padroneggiare. Attraverso le vicissitudini lavorative dei protagonisti, entriamo in contatto con un ambiente pieno di sfumature, non sempre piacevoli. Falsificazioni e contraffazioni sono quasi all’ordine del giorno, così come la presenza di figure alquanto discutibili. Anche le esistenze di Wainer e Sara sono tratteggiate in profondità, con tutte le debolezze, fisiche e non solo, che li contraddistinguono. Nel romanzo si avverte chiaramente il legame che li unisce, attraverso i loro pensieri e alcune loro azioni. Quello che appare soffrire di più è Wainer, anche se poi tocca a Sara compiere qualcosa di concreto che, forse, li aiuterà a ricongiungersi. Per concludere, una curiosità: il titolo del romanzo prende il nome da una scoperta del matematico francese Pierre de Fermat, vissuto nel XVII secolo.

Gianfranco Tondini, pigro per vocazione, ha lavorato per trent’anni come attore, regista e autore. Negli ultimi anni è entrato in confidenza col mondo dell’arte contemporanea. Vive a Ravenna. Nella spirale di Fermat è il suo primo romanzo.

:: La Bibbia raccontata da Eva, Giuditta, Maddalena di Marilù Oliva (Solferino 2024) a cura di Patrizia Debicke

22 gennaio 2025

Dal fratricidio di Caino alla violenza dell’Apocalisse, le pagine della Bibbia sono bagnate di sangue: omicidi, sacrifici umani, torture, martirii, stupri, vendette…
Singoli uomini e interi popoli sono gli interpreti di orrendi racconti, vittime di efferate e sanguinarie atrocità, senza voler citare l’inaudita barbarie del diluvio universale… oppure gli Egizi sterminati dalle crudeli piaghe divine, atterriti dalla morte dei primogeniti, con l’acqua del Nilo trasformata in sangue, con la piaga di “ulcere che si trasformarono in pustole sulle persone e sugli animali” e infine con l’ennesima epidemia, che sterminò tutto il bestiame d’Egitto “ma del bestiame dei figli d’Israele non morì neppure un capo. “E come dimenticare per esempio il divino ordine a Gosué: “Ma delle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perché essi non v’insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dèi e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio. Quindi Giosuè (successore di Mosè) conquistò tutto il paese: le montagne, il Negheb, il bassopiano, le pendici e tutti i loro re. E come gli aveva comandato il signore, Dio di Israele: non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni essere che respira. Eccetera , eccetera …
E che dire poi di Salomè che danzando offre su un vassoio d’argento la testa mozzata di Giovanni Battista…
Una rassegna insomma di storie cruente, di episodi terrificanti legati all’Antico e al Nuovo Testamento, che propongono al lettore le contraddizioni di una religione teoricamente votata al bene del prossimo. La Bibbia spiegandoci con dovizia di particolari la mano violenta di un Dio, che punisce chi non rispetta le sue leggi e ci mostra tutta la crudeltà insita nel primo libro stampato (Bibbia di Gurtenberg) quello forse più noto se non letto al mondo, che nei secoli ha ispirato artisti e scrittori. Un’immensa opera letteraria che sembra anticipare i moderni generi legati all’universo del male, come il thriller e l’horror. Un inquietante viaggio nelle mitiche origini della cronaca nera.
E Marilù Oliva con la sua consueta intelligenza e arguzia sceglie di raccontarcela anche al femminile, e benché il compito appaia arduo lei ci riesce alla grande.
Dunque sappiamo che le antiche popolazioni del Vicino Oriente, avevano tutte una storia patriarcale. Insomma esiste qualcosa di più “patriarcale” della Bibbia, vedi Vecchio Testamento? Un mondo di vecchiacci assolutisti e prepotenti che vivevano troppi non anni ma secoli. Fin dalla più antica narrazione biblica poi le donne spesso vengono tenute da parte. La Bibbia ci insegna che le donne valgono meno. A partire dalla creazione con Eva realizzata da una costola di Adamo scopriamo immediatamente quale era il primo dovere delle donne: fare figli… Maschi e femmine è evidente, anche se la faccenda all’inizio appare un po’ nebulosa, per poi potersi riprodurre tra loro. Ma ora passiamo al cupo e intrattabile Noè. Chi era sua moglie? E quali femmine aveva caricato sull’Arca oltre ai figli? O pensiamo al peggio… o forse alla partenogenesi? Nooo. Mah. Tanto quello, Il Signore, può fare e disfare tutto.
Ma spieghiamo meglio di Eva creata egoisticamente solo per far compagnia ad Adamo, ma lei no. Lei voleva vivere, essere lieta, libera. Non le bastava tutto quel ben di Dio del giardino dell’Eden. No lei ha accettato il suggerimento del serpente e ha mangiato, per sua volontà, un frutto dall’unico albero proibito. E l’ha fatto mangiare anche ad Adamo… Ma mal gliene incoglierà perché patatrac! Tuoni e fulmini. Adamo, vigliacco e meschino le appiopperà persino la colpa. Ma sono scuse farlocche, non bastano perché a quel punto cala come una falce l’implacabile condanna divina: tutti e due via! Puniti, scacciati dal Paradiso Terrestre . E dopo, mamma mia, sarà peggio molto peggio per la povera Eva costretta a lavorare, partorire con dolore, patire disperata per la morte del figlio più amato, ucciso da suo fratello, dall’altro suo figlio, Caino. Ma Eva dovrà andare avanti per forza e per tutto il tempo che le resterà da vivere ( centinaia d’anni sapete, mica noccioline) avrà altri figli e figlie alle quali magari insegnerà qualcosina su come destreggiarsi con i maschi. Ma la faccenda è dura, ne sapranno qualcosa Lia e Rachele impotenti, costrette a gareggiare per i favori di uno sposo, Giacobbe che quel potere ce l’ha e per l’inusitato favore di dargli dei figli. Donne che vivevano per anni, secoli, nell’angosciosa attesa di un concepimento, convinte che il loro unico scopo fosse fare bambini. Cosa pensavano queste donne? Donne troppo spesso condannate a fare solo da spettatrici, a un inerte mutismo, solo e sempre in attesa.
Conscenza, potere, libertà: parole che nella Bibbia, come in tutta la grande storia scritta, sono troppo spesso attribuite solo agli uomini, ai maschi. Ma le donne della Bibbia di Marilù Oliva che ne ha scelte nove, tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, Eva, Agar e Lia dalla Genesi, Miriam dall’Esodo, Micol dal Libro di Samuele, Susanna dal Libro di Daniele, Ester dal Libro di Ester (l’unica con un libro dedicato) , Maria Maddalena dai Vangeli non accettano di stare solo ferme a guardare e staccandosi da una narrazione essenzialmente patriarcale cominciano ad alzare la testa, a bussare forte e a uscire con prepotenza fuori dalle pagine. Un’esemplare raccolta di esempi femminili, che vanno dalle più sottomesse alle più battagliere , dalle sante alle seduttrici, che siano sovrane o donne del popolo.
Miriam per esempio sorella maggiore di Mosè spesso ignorata da Dio, che preferisce lasciarla in ombra rispetto al fratello, anche lei avrebbe voluto nascere libera e non prigioniera, schiava in Egitto. Miriam che come Mosè si spenderà strenuamente per il suo popolo. Miriam che danza, intona inni e poi sceglie il nubilato. Lei non si piega e come lei altre coglieranno ogni occasione per andare avanti, sia adattandosi, sia sfruttando ogni opportunità: cambiamenti, dissenso e complicità femminile. Succede ogni tanto. Parliamo anche dunque della profetessa Anna per arrivare a Zipporah, moglie di Mosè, senza dimenticare Dalila che incantò Sansone, la casta Susanna pronta ad affrontare la morte per affermare la verità, la ferrea determinazione di Giuditta che liberò il suo popolo dall’assedio di Nabucodonosor prima incantando e poi decapitando Oloferne. E cosa dire di Raab, meretrice di Gerico, che aiutò gli Israeliti a conquistarla e poi con la ricompensa ottenuto cambiò vita e fu persino un’antenata di Gesù. Senza dimenticare Salomé, che incanterà Erode a prezzo della testa di Giovanni Battista, arriveremo alla sofferta passione alla croce di Maria Maddalena, Maria di Magdala. Tante altre insomma e tutte disposte a battersi con una forza che affronta e supera ogni emarginazione.
Marilù Oliva ha dedicato questo suo libro alla memoria di suo padre. A lui, alle sue accurate analisi e dettagliate annotazioni sul sacro testo che temeva di avere perso negli anni e nei traslochi. Ai preziosi ricordi di un padre amatissimo, mancato purtroppo quando lei aveva appena sei anni. Ai ricordi di un dotto e fervente cattolico temperati oggi dalla serena ma intelligente interpretazione di una miscredente che le ha consentito di riportare in scena declinate al femminile alcune grandi protagoniste del libro più letto o per lo meno più famoso del mondo.

Marilù Oliva, nata a Bologna, è scrittrice, saggista e docente di lettere. Ha co-curato per Zanichelli un’antologia sui Promessi Sposi e realizzato due antologie patrocinate da Telefono Rosa, nell’ambito del suo lavoro sulle questioni di genere. Collabora con diverse riviste ed è caporedattrice del blog letterario Libroguerriero.
Per Solferino ha pubblicato i bestseller mitologici L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (2020), L’Eneide di Didone (2022), L’Iliade cantata dalle dee (2024), il romanzo Biancaneve nel Novecento (2021), il saggio I Divini dell’Olimpo (2022)e le riedizioni di due dei suoi noir di successo Le Sultane (2021) e Repetita (2023).

:: Buonvino e il circo insanguinato di Walter Veltroni (Marsilio 2024) a cura di Patrizia Debicke

7 gennaio 2025

Buonvino e il circo insanguinato è il quinto romanzo che Walter Veltroni dedica affettuosamente al suo commissario romano comparso la prima volta nel 2019 in “Assassinio a Villa Borghese”.
Roma, 24 dicembre, vigilia di Natale . Il commissario Giovanni Buonvino, responsabile del commissariato di Villa Borghese, sta brindando nel suo ufficio praticamente invaso da panettoni, piatti e bicchieri di plastica con i colleghi nel giorno che impone la più scontata allegria prefestiva.
Nel frattempo nel giardino del Parco dei Daini si sta installando il Circo Colaiacono che si è faticosamente guadagnato quel posto ambito e di forte richiamo cittadino, in grado di garantire buone e affollate rappresentazioni festive. E toccherà proprio a lui a, Buonvino scortato ufficialmente da Cecconi e Robotti, andare sul posto per controllare l’esistenza dei permessi e di una corretta scelta degli orari onde evitare possibili lagnanze dei vicini (quali hotel stellati).
Solo su insistenza di Veronica, sua moglie, il commissario ha già acquistato i biglietti per loro due e per una coppia di amici, perché in realtà Buonvino non ama il circo. Anche quando era un bambino gli faceva tristezza benché i suoi continuassero a portarcelo. Allora lui rideva e batteva le mani per forza ma solo per non deluderli. Infatti oltre a odiare i pagliacci che addirittura lo terrorizzavano, non aveva mai capito perché qualcuno dovesse partecipare a uno spettacolo magari rischiando la vita per intrattenere un pubblico pagante.
I tre poliziotti arrivati al circo quando tutti i componenti della troupe sono intenti a dare gli ultimi tocchi verranno accolti dal proprietario e direttore di scena Ercole Colaiacono. Un incredibile e gigantesco personaggio che ricorda un po’ Anthony Quinn del film La strada di Fellini e che insisterà per presentargli personalmente tutta la sua troupe.
Tanto che la sera stessa prima della spettacolo Buonvino, Veronica e il loro due ospiti troveranno il personale , ormai quasi pronto ad entrare in scena. schierato quasi si trattasse di una parata ufficiale per un Capo di Stato. E in quell’occasione Colaiacono presenterà loro per prima la figlia Manuelita, punta di diamante dello spettacolo, già pronta a esibirsi come trapezista col marito Alberto. Spiega anche che per la coppia sarebbe il decimo anniversario di matrimonio, motivo di festa benché in realtà le espressioni denotino una certa tensione e anche quelle degli altri componenti della truppe appaiano un po’ tirate. Il Circo è piccolo, a conduzione familiare, molti dei membri dell’equipe sono legati tra loro. Quello che Buonvino nota è solo normale inquietudine ante spettacolo o la palese dimostrazione come la forzata lunga convivenza provochi, in tutti i gruppi familiari o in quelli di coloro che lavorano troppo insieme, inevitabili rivalità e risentimenti.
Ma lo spettacolo promesso è di alta qualità, garantito soprattutto dall’esibizione dei trapezisti, Alberto e Manuelita, pronti a eseguire i loro difficili numeri cinque metri da terra solo protetti in caso di cadute da una rete rettangolare.
I posti di Buonvino & company sono rigorosamente in prima fila. Prima del numero dei trapezisti ne passano altri diversi e quando loro si presentano Buonvino nota che stranamente Manuelita, la figlia del direttore, esibisce un sorriso forzato, un po’ triste forse.
E ben presto ohimé dopo i primi felici passaggi, il bello spettacolo vira alla tragedia quando, mancando la presa nel difficile numero di un salto mortale e mezzo, Manuelita precipiterà nel vuoto e, finendo su una parte rigida della rete di contenzione, atterrerà male, spezzandosi il collo.
Una morte in diretta con il pubblico che grida atterrito. L’immediato arrivo di un’ambulanza che trasporterà la giovane in ospedale accompagnata dal marito non consentirà purtroppo che dover constatare la sua morte. Tutti hanno visto che si è trattato un incidente … All’apparenza una tragica fatalità, ma il fatto che sia capitata solo dopo due mesi dopo l’incidente stradale che aveva provocato la morte della madre di Manuelina, a Buonvino sembra troppo una coincidenza. Qualcosa che merita almeno un approfondimento.
Per far completa luce sulla faccenda pertanto decide di sentire uno a uno tutti i componenti del circo. Alberto è disperato, ma non tutti gli altri forse appaiono così dispiaciuti. Girano voci e un pagliaccio sostiene addirittura d’aver sentito pochi giorni prima la voce di qualcuno minacciare Manuelita anche se ohimè non è riuscito a capire chi fosse.
Pian piano Buonvino arriverà a individuare un’intricata serie di relazioni e contrasti tra i componenti della troupe. Si tratta anche di mancati sogni di gloria che hanno provocato rivalità, invidie. La vicenda breve ma coinvolgente si carica di ombre sempre più scure. Ma a conti fatti il giallo ovverosia l’indagine vera e propria e gli inevitabili plot narrativi finiscono con il collocarsi in secondo piano annacquandosi un po’ rispetto alla brillante personalità del principale protagonista e alle sue sensazioni. Un protagonista Buonvino molto simpatico, intelligente e pieno di umorismo.
Walter Veltroni parla con affetto del circo che considera una vera e propria istituzione culturale. Optando per una scelta coraggiosa che volutamente par voler ignorare certe negative polemiche animaliste sulla condizione degli animali in cattività che vorrebbero decretarne la fine. Ma forse tutto quel mondo, orientandosi sempre di più sulle scelte fatte ormai dagli spettacoli portati in scena dal famosissimo Cirque du Soleil monegasco non ci costringerà a confrontarci con la fine in una colorata e sfavillante magia che ha incantato generazioni di bambini e influenzato grandi registi internazionali, senza mai dimenticare il grandissimo Fellini.

Walter Veltroni  è nato a Roma il 3 luglio 1955. È stato direttore dell’Unità, vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni e le attività culturali, sindaco di Roma, fondatore e primo segretario del Partito democratico. Oltre al primo capitolo delle indagini del commissario Buonvino, Assassinio a Villa Borghese, pubblicato sempre da Marsilio nel 2019, ha scritto vari romanzi, tra i quali La scoperta dell’alba (2006), Noi (2009), L’isola e le rose (2012), Ciao (2015), Quando (2017), tutti editi da Rizzoli. Ha realizzato diversi documentari tra i quali Quando c’era Berlinguer (2014), I bambini sanno (2015), Indizi di felicità (2017), Tutto davanti a questi occhi (2018) e la serie sulla storia dei programmi televisivi Gli occhi cambiano (2016). Nel 2019 è uscito il suo primo film, C’è tempo. Collabora con il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport.

:: Qof di Alessandro Bastasi (Arkadia Editore 2024) a cura di Federica Belleri

6 dicembre 2024

Torna in libreria Alessandro Bastasi e lo fa alla grande. Con un romanzo intimo, introspettivo, devastante.

Qof è una lettera ebraica, che significato ha?

Qof è un viaggio, distorto. Allucinante, che sconvolge. È un percorso dentro e fuori da sé, con o senza “l’altro”. È una salita faticosa per riemergere dal buio, per il protagonista che sta cercando disperatamente una sorta di equilibrio. Ma è consapevole di ciò che gli sta accadendo? Perché attorno a lui succede di tutto. Dall’episodio irrazionale a quello più  logico possibile. Al punto da farlo dubitare di ogni evento, insieme al lettore, che si pone mille e più domande. Accanto a lui compaiono personaggi che mi hanno ricordato Federico Fellini e le sue opere migliori, fatte di originalità e di ricchezze mimiche ai margini della società. Personaggi in grado di incutere timore e accogliere sguardi malevoli.

Dentro di lui, invece, convivono due anime che lottano in eterno, come Caino e Abele. Sulla sua fronte, una cicatrice apparsa improvvisamente, che ha proprio la forma “Qof”.

Alessandro Bastasi propone ai lettori una trama particolare, intensa. Che avvolge e respinge allo stesso tempo. Capace di fare dubitare e cadere nella trappola del destino, di ciascuno.

Assolutamente consigliato.

Buona lettura.

Alessandro Bastasi Nato a Treviso nel 1949. Laureato in Fisica si è trasferito a Milano dove attualmente vive. Nel passato è stato attore e autore di numerosi articoli di argomento teatrale per riviste del settore e quotidiani. Dal 1990 al 1995 ha trascorso lunghi periodi all’estero, in particolare a Mosca tra il 1990 e il 1994, e in India, Cina, Vietnam e Medio Oriente tra il 1994 e il 1995. Ha pubblicato i romanzi La gabbia criminale (2010) e Città contro (2011) con Eclissi; per Frilli ha dato alle stampe Era la Milano da bere (2016), Morte a San Siro (2017), Notturno metropolitano (2018), Milano rovente (2019), Milano e i pensieri oscuri (2020), Omicidi a Milano (2022). Per Divergenze ha pubblicato La scelta di Lazzaro (2020) e La seconda volta (2023). Suoi racconti sono presenti in varie antologie e siti letterari. Per Arkadia Editore ha pubblicato Qof (2024).

Fonte: omaggio dell’autore.

:: La badante e il professore di Bruno Morchio (Mondadori, 2024) a cura di Valerio Calzolaio

5 dicembre 2024

Genova e dintorni (ça va sans dire). Un dicembre del 2002 (e molti anni dopo, addirittura nel 2036). Ormai è trascorso tantissimo tempo, Filippo Fil Sarzetto Sarzana decide di raccontare precisamente la storia, appuntata prima in un diario e poi in un dattiloscritto (quando frequentava con profitto l’istituto tecnico informatico): quel dì aveva appena dodici anni, magro come un chiodo, timido e sveglio, la mamma donna delle pulizie vedova già da dieci (padre muratore caduto da un ponteggio) e la cara sorella Teresa con dieci anni di più (se ne era sempre occupata lei di lui nel piccolo comunello dove vivevano). Il mitico professor Canepa (stimato extraparlamentare di sinistra in gioventù), ormai prossimo agli ottant’anni, gli faceva gratuitamente ripetizioni dopo aver insegnato per decenni Letteratura italiana nel più prestigioso liceo classico della vicina Genova, due volte alla settimana, il martedì e il giovedì pomeriggio. Fu ucciso. Aveva in casa da nemmeno un anno la governante ucraina Natalia Kovalenko, alta e slanciata, una bellezza triste e timorosa, capelli quasi biondo cenere, tagliati corti con frangetta, nasino minuscolo all’insù e occhi magnetici d’un azzurro stinto, della quale tanti erano invaghiti in paese, forse lo stesso professore e certo pure lui bambino. Il crimine avvenne martedì 5 dicembre, Filippo e Natalia erano usciti poco dopo le diciotto per andare al bar a prendere una cioccolata calda, lo trovò lui tornando a recuperare lo zaino: nello studio qualcuno aveva spaccato in testa a Canepa il busto di marmo di Leopardi. La vittima era parsimoniosa e benestante: la casa, un cospicuo patrimonio e una preziosa collezione di quadri. La badante fu la prima sospettata, ovviamente, ma potevano essere stati altri (parenti e non solo). Districandosi fra i sentimenti, accanto alle infastidite forze di polizia, anche Filippo indagò, con l’interessato aiuto di un giovane giornalista locale innamorato della sorella (peraltro lesbica), fra pettegolezzi altarini segreti.

Un giallo “classico” per il grande scrittore Bruno Morchio (Genova, 1954), psicologo pubblico in pensione e psicoterapeuta. Il volume è significativamente dedicato al vero “professor Canepa, che mi ha insegnato l’amore per i libri e la verità”, oltre che a un amico scrittore. La narrazione è in prima persona al passato, il bambino in piena pubertà si conquista con parole e fatti il ruolo di protagonista, giovane acuto testimone dei rapporti fra adulti, innanzitutto quello legato al caso criminale e al titolo letterario (in copertina, invece, l’illustrazione che allude al busto del poeta recanatese). Per seguire gli incontri misteriosi dell’amata, Filippo andrà pure a scoprire il “pudore” della bellissima città vecchia, secondo Teresa “piena di bellezze, che però non si lasciano vedere. Dietro portoni che ricordano quelli di una stalla si aprono scale di marmo e pareti decorate con meraviglioso azulejos”, affascinanti ceramiche artistiche. Poco alcool a quell’età, pur se il maggiorenne amico di successo Serafino Costa Costamagna scola durante il pranzo familiare di Natale con gusto e speranza sia la bottiglia di Rossese che quella di Spumante Asti, dopo aver portato un libro di cucina per l’affettuosa padrona di casa e un sontuoso mazzo di rosse per la smaliziata sorella, a quel punto la mamma prova ad aprirgli gli occhi, senza troppi peli sulla lingua.

:: Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile di Nicola Vacca (Edizioni Qed, 2024) a cura di Giulietta Iannone

25 novembre 2024

Ci vuole una grande ostinazione
per essere liberi
nella prigione del mondo.
Perché libertà è amore
nonostante le catene dell’ordine costituito.

Chi ha amato la poesia dolente e sofferta di Fabrizio De Andrè troverà ristoro nella lettura della silloge Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile di Nicola Vacca, Edizioni Qed, omaggio al poeta genovese a venticinque anni dalla scomparsa. Nicola Vacca è un poeta fuori dal coro, usa un linguaggio graffiante e incisivo per protestare contro un mondo, una società, in lento avanzato decadimento. Non ha paura di sporcarsi le mani, di usare parole forti, anarchiche, piene di rabbia e di giusto sgomento. Ci vuole coraggio a immergersi nel magma del suo “fare poesia” senza filtri, compiacimento, rassicuranti illusioni. Vacca scoperchia il calderone dell’ipocrisia con tagli netti, chirurgici, che a volte fanno male, e lo fa per guarire, per scuotere le coscienze, per risvegliare le anime di chi da troppo tempo è assonnato o inerte. Leggere le poesie di Nicola Vacca è sempre un’esperienza catartica, rivoluzionaria, che può turbare anche nel profondo. Scrivo queste righe a fatica con la morte nel cuore, è appena morto un amico, e sto cercando di reagire, di andare avanti, di superare l’angoscia che provo, Nicola Vacca mi perdonerà se questo commento sarà breve, ha sempre tanto rispetto e stima da mandarmi ogni suo nuovo libro per sapere il mio parere e non voglio deluderlo neanche questa volta. Oltre alle poesie da leggere in conclusione la postfazione vibrante dedicata a Fabrizio De André Il nostro Faber – La vibrante protesta di Faber il poeta. Da segnalare i disegni di Mauro Trotta.

Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle, nel 1963, laureato in giurisprudenza. È  scrittore, opinionista, critico letterario,  collabora alle pagine culturali  di quotidiani e riviste. Svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale, organizzando presentazioni ed eventi legati al mondo della poesia contemporanea. Dirige la riviata blog Zona di disagio. Ha  pubblicato: Nel bene e nel male (Schena,1994), Frutto della passione (Manni 2000), La grazia di un pensiero (prefazione di Paolo Ruffilli, Pellicani, 2002), Serena musica segreta (Manni, 2003), Civiltà delle anime (Book editore, 2004),  Incursioni nell’apparenza (prefazione di Sergio Zavoli Manni 2006), Ti ho dato tutte le stagioni (prefazione di Antonio Debenedetti, Manni 2007Frecce e pugnali (prefazione di Giordano Bruno Guerri, Edizioni Il Foglio 2008) Esperienza  degli affanni (Edizioni il Foglio 2009), con Carlo Gambescia il pamphlet A destra per caso (Edizioni Il Foglio 2010), Serena felicità nell’istante (prefazione di Paolo Ruffilli, Edizioni Il Foglio 2010),  Almeno un grammo di salvezza (Edizioni Il Foglio, 2011), Mattanza dell’incanto  ( prefazione di Gian Ruggero Manzoni Marco Saya edizioni 2013), Sguardi dal Novecento (Galaad edizioni 2014) Luce nera (Marco Saya edizioni 2015, Premio Camaiore 2016), Vite colme di versi (Galaad edizioni 2016), Commedia Ubriaca (Marco Saya 2017), Lettere a Cioran (Galaad edizioni 2017), Tutti i nomi di un padre (L’ArgoLibro editore 2019), Non dare la corda ai giocattoli (Marco Saya edizioni 2019), Arrivano parole dal jazz (Oltre edizioni 2020).

Source: libro inviato dall’editore.

:: Aurora di Marina Visentin (Laurana Editore 2024) a cura di Giulietta Iannone

12 ottobre 2024

Ma le ombre poi tornano. Tornano sempre. E diventa sempre più difficile far finta di non vederle.
Roberto continuava a dirle che l’amava, Gemma continuava a pensare che erano una coppia, nonostante tutto. Cercavano di passare del tempo insieme, ogni tanto a Milano, qualche volta in Val Cannobina, a turno, perché entrambi non volevano essere giudicati ingiusti.
Da un po’ avevano cominciato a essere infelici. Ma non avevano voglia di dirselo. Non ancora.

Sogni, incubi, ossessioni, fobie, di questo magma caotico e composito è fatto il noir Aurora di Marina Visentin edito da Laurana Editore nella collana Calibro 9, dedicata al giallo e al noir. Gemma ha un legame con Ofelia, il tragico personaggio shakespeariano morto annegato, a cui è dedicata una mostra nell’elegante galleria d’arte dove la protagonista lavora. Gemma ha un segreto, su cui ha costruito una vita perfetta, casa elegante nel cuore di Milano, lavoro prestigioso, fidanzato artista, ma di notte quando le difese si abbassano e il mondo onirico fa emergere il passato, ritornano ricordi, traumi insoluti.

Che cosa succede? Che diavolo sta succedendo? Qualcuno mi segue? Chi? Perché?
Qualcuno sa? Ha visto? Mi ha scoperto?
Davvero qualcuno può aver scoperto tutto?
No.
Non ha senso. Non ha alcun senso.

Tutto è in bilico, tutto scorre apparentemente in modo placido finchè un uomo entra nella vita di Gemma, prima chiede informazioni su di lei ai vicini e conoscenti, la pedina, la spia, la terrorizza, un uomo che si rivela essere un ex poliziotto, vittima anch’egli delle sue ossessioni. Gemma e Vittorio così si incontrano, per uno scambio di persona, si conoscono forse non così casualmente, e iniziano una relazione in un crescendo di angoscia e segreti taciuti che vogliono emergere.

La notte è una culla abitata dal vento, un incubo fatto di acqua scura. È la vita che si spegne, coscienza che sprofonda nell’incoscienza. Oblio e paura. Una bambina che affonda nell’oscurità. Piangendo.
Apro gli occhi. Vedo buio. Chiudo gli occhi. Non cambia nulla, vedo solo nero. Riapro gli occhi. C’è luce ora, un chiarore indistinto che avvolge ogni cosa come un bianco sudario.
È il bianco il colore della morte.

Riuscirà a salvarsi Gemma dalla spirale che sembra avvolgerla e trascinarla dove non vuole andare? Cosa nasconde il passato e soprattutto il minaccioso presente? Chi è Aurora, la piccola dolce Aurora che si chiamava come la principessa della Bella Addormentata? Queste sono le domande che scorrono nella mente del lettore mentre legge questo libro oscuro e inquietante, sorretto da una scrittura evocativa e onirica. Sarebbe piaciuto a Hitchcock per l’importanza dell’inconscio nella vita di una donna apparentemente forte e realizzata che nasconde le sue mille fragilità sotto una spessa scorza di razionalità e durezza e gravata da una minaccia esterna e interna. Una donna in pericolo che ci ricorda le tante donne in pericolo nella vita reale, dominate da meccanismi psicologici sempre uguali, la paura, il senso di colpa, l’incapacità di conquistarsi una reale autonomia, l’incapacità di costruirsi relazioni sentimentali sane, meccanismi che l’autrice indaga con sensibilità e acutezza.

Marina Visentin è nata a Novara, da oltre trent’anni vive e lavora a Milano. Giornalista e traduttrice, una laurea in filosofia e un passato da copy-writer, ha collaborato con varie testate scrivendo di cinema. Ha pubblicato saggi sulla storia del cinema, libri di filosofia (Filosofia – Finalmente ho capito!, Vallardi, 2007), romanzi gialli e noir (Biancaneve, Todaro Editore, 2010; La donna nella pioggia, Piemme, 2017; Cuore di rabbia, Sem, 2021, Gli occhi della notte, Sem, 2023), il divertissement filosofico Raffasofia (Libreria Pienogiorno, 2021).

:: La gentile di Roberta Lepri (Voland 2024) a cura di Giulietta Iannone

15 settembre 2024

Alice Hallgarten, personaggio realmente esistito di cui a giugno si è festeggiato il 150° anniversario dalla nascita, è al centro del nuovo romanzo storico di Roberta Lepri, dal titolo La gentile, edito da Voland. Alice Hallgarten nacque a New York il 23 giugno del 1874 da una ricca coppia di ebrei askenaziti d’origine tedesca, dediti a opere filantropiche e di assistenza che giudicavano giusto usare i loro soldi anche per fare del bene al prossimo. E sopprattutto che pensavano che anche le donne possono lavorare, guadagnare ed essere indipendenti. Anche Alice erediterà questa caratteristica di famiglia e quando arriva in Italia incontra e sposa il barone Leopoldo Franchetti, anche lui ebreo ma di origine sefardita, grande latifondista e deputato del Regno molto più anziano di lei, proprietario di centinaia di ettari di terre nell’alta valle del Tevere ed esperto della questione meridionale italiana, e lo convincerà a sovvenzionare una scuola gratuita per i figli dei contadini, certa che dall’istruzione e dal lavoro nasce l’emancipazione e il miglioramento sociale, sollievo dal degrado e lo sfruttamento. Da qui la storia della Lepri ci fa conoscere Ester, povera figlia di ebrei convertiti, giudea per metà, ma la cosa doveva restare segreta, la “gentile” del titolo che prova dolore per la compassione che la baronessa le tributa. Ester sogna di diventare insegnante e abbandonare così la dura e faticosa vita della servitù e dei campi, ma nulla andrà come previsto: Ester lascia la scuola, ormai sa leggere, scrivere, fare di conto e ha un lavoro, l’ombrellaia, l’ombrellaia più brava dell’Umbria come diceva suo padre e si sposa. Alice e cagionevole di salute ma non si arrende alla malattia e per combatterla si occupa del lavoro femminile, le donne hanno il loro libretto di lavoro, e vengono pagate. Hanno un libretto di risparmio alla Cassa di Risparmio di Perugia e sono autonome e indipendenti dai mariti. Poi il progetto della Tela Umbra l’appassiona, tessuti pregiati che faranno dell’Umbria un centro di sviluppo. Ma la salute di Alice peggiora e ben presto muore lasciando Ester in balia di forze più grandi di lei. Amore e odio, speranza e tragedia, sono le forze telluriche che muovono le sorti dei personaggi, oltre all’uneluttabilità del destino e i limiti della filantropia, che ben poco può contro strutture sociali antiquate e che premiano solo il più economicamente forte. Un romanzo colto, appassionato, scritto con una lingua felice, dalla sicura struttura narrativa. Femminista nello spirito e combattivo. Roberta Lepri è brava ed è riuscita a scrivere un romanzo che non è un’agiografia dell’Hallgarten, ma nello stesso tempo aiuta a capire tematiche sociali e politiche importanti, moderne ancora oggi. Alice Hallgarten morì nel 1911 a soli 37 anni. Il marito non le sopravvisse e si uccise lasciando tutte le sue ingenti ricchezze, con annesse la scuola e il laboratorio tessile, ai contadini che lavoravano le sue terre.

ROBERTA LEPRI nata a Città di Castello nel 1965, vive in Maremma. Dal 2003, ha scritto dieci romanzi e una raccolta di racconti. Con Voland ha pubblicato Hai presente Liam Neeson? (2021) e Dna chef (2023), vincitore del Premio Letterario Chianti 2024.

:: L’alba di Cesare di Franco Forte (Mondadori, 2024) a cura di Giulietta Iannone

12 settembre 2024

Conosciamo il De bello gallico, unica fonte su cui si è basato Franco Forte per la stesura del romanzo L’alba di Cesare, edito da Mondadori, dai banchi di scuola, forse gioivamo nei compiti in classe quando c’era una sua traduzione perchè era semplice, non come l’aborrito Seneca, pieno di metafore filosofiche involute e oscure e soprattutto di non limpida interpretazione. Gaio Giulio Cesare, o chi per lui trascriveva le sue cronache dalla Gallia, usava una lingua schietta, semplice, facilmente comprensibile, immediata, fatta per essere tramandata ai posteri. E non raccontava solo di battaglie, assedi, massacri, ma anche di popoli, usi e costumi, anticipando quella ricerca e attenzione antropologica comune a noi moderni. Perchè Cesare, uso a comandare, perse, si fa per dire, tempo a scrivere nelle pause dei combattimenti, che furono sanguinosi e spietati? perchè aveva capito, con la sua grande intelligenza da fine stratega, che il potere si ammanta di leggenda, di gesti eclatanti e simbolici, che buoni biografi tramanderanno nei secoli le gesta, forse anche in realtà anche poco nobili, di chi dietro intrallazzi e cospirazioni, e la sua leggendaria rete di spie, si costruiva la fama di eroe. Fece un uso strumentale del De bello gallico? Forse sì serviva ai suoi scopi, ammantare di leggenda imprese guerresche che causarono la morte di tanti innocenti, che portarono alla schiavitù genti indomite e coraggiose, che in realtà premevano da nord e se non domate avrebbero potuto giungere fino a Roma. Cesare voleva il potere, nel triunvirato composto anche da Marco Licinio Crasso e Gneo Pompeo Magno era il solo con una visione futura, sebbene fosse il Senato l’apparente detentore del potere in una Roma repubblicana, checchè ne dicesse Cicerone dal suo esilio. O Roma tramite le sue legioni si difendeva dai popoli barbari in fermento che la circondavo o sarebbe perita, con il suo sogno di grandezza e di civiltà. Cesare combattè i Galli appellandosi alle richieste di aiuto provenienti dagli alleati di Roma, per conquistare terre e popoli da assoggettare all’Urbe, per accrescere venalmente le sue ricchezze, la sua potenza militare, il suo prestigio, essendo il punto debole del triunvirato: non aveva il denaro di Crasso, né i successi militari di Pompeo. Sebbene non si fidasse né dell’uno nè dell’altro era troppo scaltro per non intessere con loro legami di interessi e parentele ma erano di fatto i suoi nemici più prossimi. Perchè mentre lui combatteva nelle Gallie il vero scontro era all’Urbe. Cesare incarnò coi suoi pregi e i suoi difetti, coi suoi sogni, questo ideale di grandezza e fu molto amato sia dai suoi uomini, si circondò sempre da fedelissimi pronti a morire per lui, che dal popolo minuto e forse anche per allontanarlo da Roma, e da questa venerazione, fu mandato a combattere nelle Gallie, lontano dal centro del potere che speravano di spartirsi Crasso e Pompeo. Ma Cesare fece di questa guerra, otto anni di polvere, sudore, ferro e sangue, pianificata in ogni minimo dettaglio, il suo trampolino di lancio, il suo asso nella manica, e gli andò bene. Il suo azzardo gli consentì di conquistarsi la gloria di cui aveva bisogno per tornare a Roma in trionfo, portando Vercingetorige in catene. Dopo tanti anni trascorsi nelle tende pretorie e sui campi di battaglia, temprato dalla dura vita militare. Trionfò infatti e si sa la storia ama i vincitori, e per vincere fu anche necessaria una dose di coraggio e di spregiudicatezza che lo contraddistinse. Franco Forte, da fine storico e profondo conoscitore della storia romana, dei suoi usi, dei suoi costumi, dei suoi vizi, delle sue virtù, dipinge un affresco realistico e appassionante di un mondo scomparso ma ancora attuale con il suo lusso, i suoi privilegi, la sua saggezza, la sua crudeltà. La metafora del potere perseguito con ogni mezzo è un qualcosa che ci coinvolge ancora oggi, sebbene oggi forse non esiste più un condottiero della tempra di Cesare, e forse non è mai esistito. Franco Forte lo studia, in ogni piega del suoi essere, scrutandone anche i pensieri, i sentimenti, e fa vivere un personaggio di carne, di ossa e di sangue, non immune da qualche fragilità (gli attacchi del male oscuro, o crisi epilettiche lo rendono vulnerabile) che teneva ben celata ma che forse era la sua vera forza, la potenza dei sogni e delle aspirazioni più segrete e intime. Franco forte è uno scrittore di ampio respiro, ama gli affreschi grandiosi, le gesta eroiche, i chiaroscuri che ammantarno le grandi personalità della storia e cerca di carpire a Cesare il suo segreto. Ci sarà riuscito? A voi lettori la risposta.

Franco Forte è direttore delle collane Giallo Mondadori, Segretissimo e Urania. Per Mondadori ha pubblicato, tra gli altri, Karolus, L’uranio di Mussolini, La bambina e il nazista, Carthago, Roma in fiamme, Cesare l’immortale e Cesare il conquistatore e la serie dedicata ai sette re di Roma.