Posts Tagged ‘donne’

:: La ribelle di Marineda, Emilia Pardo Bazán (Bonfirraro editore, 2025) A cura di Viviana Filippini

17 giugno 2025

“La ribelle di Marineda” di Emilia Pardo Bazán è un esempio di letteratura naturalista spagnola del XIX secolo e la trama narrativa si ambienta durante la rivoluzione del 1868 con la conseguente nascita di un nuovo governo dove non ha spazio la monarchia di Isabella II (i Borbone torneranno al potere nel 1874). Protagonista la giovane Amparo che cresce e lavora nel negozio di famiglia, poi però la voglia di costruirsi da sé e di essere indipendente la spingono ad andare a cercare lavoro altrove, trovandolo in una fabbrica dove si lavorano le foglie di tabacco per fare sigari e sigarette. Questo permette alla ragazza non solo di apprendere una nuova manualità lavorativa, ma la aiuta a conoscere in modo più profondo il mondo della fabbrica, le dinamiche di lavoro in essa presenti, quali sono le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici e quanto si dovrebbe fare per migliorarle. In questo ambiente nuovo, la giovane Amparo vive una maturazione, poichè comincia a comprendere cosa si intende per lotta sociale, cosa vuole dire il rispetto dei diritti dei lavoratori per andare oltre le ingiustizie e cosa si dovrebbe fare per renderlo concreto. Le vita per Amparo però comincia a prendere una piega diversa quando la sua strada si incrocia con quella di Baltasar. Lui, aitante giovanotto, arriva da  una famiglia benestante, mentre  Amparo è di umili origini, ma questo non impedisce (almeno così appare all’inizio) alla passione d’amore di nascere tra i due. Ogni cosa sembra andare per il meglio, ma quando la ragazza rimarrà incinta, il giovanotto la lascerà da sola ad affrontare il nuovo percorso della vita. “La ribelle di Marineda” della Pardo Bazán, tradotto da Fabiana Chillemi, è un romanzo che affonda le radici nella storia della Spagna proletaria e in una ribellione ad un governo che non si vuole più, immergendo il lettore nel mondo della fabbrica dove gli operai non solo lavorano per portare a casa il pane, ma lottano nel tentivo di vedere migliorare le loro vite e le condizion di lavoro. Allo stesso tempo, attraverso la figura della protagonista Amparo conosciamo anche il valore dell’amore che lega due giovani nonostante le differenze sociali. In realtà, con grande attenzione e lucidità, l’autrice dimostrerà come la differenza di posizione sociale, unito al legame ad essa graveranno sulla relazione tra i due giovani con l’annuncio dell’arrivo di un figlio. L’abbandono del giovanotto verso la futura madre è la dimostrazione non solo del fatto che la differenza sociale pesa sulla loro relazione, ma è anche il segno che forse l’amore vero è solo quello provato da Amparo, mentre per Baltasar la relazione è solo un passatempo e un po’ anche una mancata volontà di assumersi le proprie responsabilità. Certo è che indipendentemente dall’allontanamento di Baltasar, Amparo de “La ribelle di Marineda” continuerà con le sue forze il suo cammino esisitenziale con maggiore maturità e consapevolezza per affrontare il nuovo domani e i cambiamenti della propria vita con l’arrivo del figlio e con i cambiamenti della società in fermento che la circonda.

Emilia Pardo Bazán (1851-1921) è stata una scrittrice spagnola di grande influenza nel XIX e XX secolo, particolarmente nota per il suo ruolo nel movimento naturalista spagnolo. Nata a La Coruña, ha prodotto una vasta opera letteraria che include romanzi, racconti e saggi critici, affrontando tematiche sociali e politiche con uno sguardo acuto e innovativo. Fu anche una fervente sostenitrice dei diritti delle donne e dell’istruzione femminile, considerata una precorritrice del femminismo spagnolo. Autrice prolifica, la sua eredità è ancora oggi celebrata in tutto il mondo, ritenuta una delle autrici più importanti della letteratura spagnola. (fonte biografia Bonfirraro)

Source: editore Bonfirraro.

:: La fabbricante di Barcellona, Dolors Monserdà i Vidal, (Bonfirraro editore, 2025) A cura di Viviana Filippini

3 giugno 2025

Arrivato nelle librerie “La fabbricante di Barcellona” della scrittrice spagnola Dolors Monserdà i Vidal, nata a Bercellona nel 1845  e autrice attenta ai movimenti sociali attivi dell’ epoca e proprio per la sua attenzione alla condizione femminile del suo tempo è stata considerata una delle prime femministe catalane. In questo romanzo, edito da Bonfirraro e tradotto da Carlo Ludovico Bruni, la trama  si sviluppa nella Barcellona del passato dove si sta manifestando il cambiamento e la trasformazione della società scatenata dall’arrivo dell’era industriale. Qui appare Antonieta Corominas, figlia di artigiani tessitori, che vive in modo umile prendendosi cura del fratello e in attesa che le cose cambino per entrambi, perché deve esserci la possibilità di migliorare per avere un domani migliore. Soprattutto la giovane vorrebbe una vita più autonoma e indipendente e questa sua aspirazione è qualcosa di innovativo e anche un po’ controcorrente per la società spagnola del XIX secolo. Il fratello di Antonieta seguirà le tappe consuete della vita sposando Florentina,  donna che ama la bella vita,  il benessere,  viaggiare,  leggere libri.  Questo atteggiamento,  unito ad alcuni intoppi economici, porteranno l’uomo a vedere andare in frantumi in modo completo il proprio sogno ideale di famiglia perfetta. Tanto è vero che la cognata di Antonieta ad un certo punto, non solo se ne andrà lasciando in solitudine il marito che secondo lei non l’ha mai capita. La donna porterà con  sé  i due figli, lasciando l’uomo senza più nessuno e con gravi problemi economici  causati da investimenti sbagliati in borsa.  A cercare di metterci le pezze ci proverà Antonieta che  nel corso della trama  subirà una vera e propria trasformazione che si potrebbe vedere come una maturazione e una rinascita. Mi spiego meglio ora.  All’inizio la giovane donna vive quasi nascondendosi e sembra avere un approccio timoroso alla vita, ma pagina dopo pagina, inizia il cambiamento di Antonieta che con il matrimonio con Pere Joan Grau e gli antichi telai di famiglia provano a tessere nuovo futuro. I due cominciano come filatori nella speranza di diventare fabbricanti, cosa che accadrà passo dopo passo, con tanta fatica attenzione e impegno per il proprio lavoro. Antonieta  è quindi una donna, un esempio di umiltà, di tenacia, costanza,  dedizione, tutte qualità che le permetteranno di trovare il suo giusto equilibrio tra lavoro e casa e il proprio posto nel mondo. Questa evoluzione permetterà alla protagonista, in quanto donna di avere una nuova posizione sociale ed economica autonoma, che nella Barcellona di inizio XX secolo è qualcosa del tutto nuovo,  perché da piccola  produttrice la Corominas diventerà imprenditrice,  portando la sua produzione da artigianale a industriale, seguendo quello che è il cambiamento sociale in atto. “La fabbricante di Barcellona” è un affresco narrativo della società spagnola ai tempi del nascente sviluppo industriale grazie al quale Dolors Monserdà i Vidal racconta il cambiamento relativo alla società, che ha ricadute anche sul singolo,  in questo caso Antonieta, donna intraprendente che vuol essere autonoma e indipendente. Inoltre il libro Il testo fa parte della collana le Sibille che comprende le voci femminili più potenti e ispiratrici della letteratura mondiale, celebrando la forza, la saggezza e la bellezza dell’esperienza femminile.

Dolors Monserdà i Vidal (1845-1919) nata a Barcellona. Scrittrice, si avvicina ai movimenti sociali in fermento all’epoca; per il suo interesse per la condizione femminile del suo tempo è considerata una delle prime femministe catalane. Si dimostra un’autrice di successo fin dal suo ingresso nel panorama letterario, grazie a poesie a tema politico, religioso e patriottico. Tuttavia, il campo in cui eccelle è il romanzo, nel quale rivela la sua modernità non tanto per lo stile, che poco si conforma alle teorie estetiche, bensì per i contenuti, ossia la prospettiva femminile che rivela, e analizza, la condizione socioculturale della donna dell’epoca. La produzione della Monserdà si rivolge alle donne, ma non come prodotto di svago ed evasione dalla quotidianità, bensì come vero e proprio insegnamento di carattere pedagogico, e questo è evidente più che mai nella sua opera più riuscita, “La fabricanta” (La fabbricante di Barcellona). (fonte editore Bonfirraro)

Source: editore Bonfirraro

Fiori Picco ci racconta la storia delle ultime donne di Bhaktu

13 aprile 2023

La scrittrice e sinologa bresciana Fiori Picco è in libreria con “Il Circolo delle Donne Farfalla- Mugao e Bhaktu” (Fiori d’Asia editrice) una storia di donne ambientata nella Cina meridionale, Yunnan Nord-occidentale, Gorgia del Nujiang, tra Tibet e Birmania nel 2016, anche se non mancano salti temporali indietro nel tempo fino al 1700 e agli inizi del Novecento. In una terra inospitale e selvaggia prende forma la storia di quattro donne anziane con i visi tatuati che vivono sole e ai margini. Loro sono le ultime testimoni di Bhaktu, un rituale barbaro che per secoli sfigurò molte adolescenti trasformando per sempre le loro vite. A salvaguardare queste donne arriverà una giovane assistente sociale. Ne abbiamo parlato con l’autrice.

Come è nata l’idea del romanzo? Sei anni fa la mia amica cinese Mila, protagonista e voce narrante del romanzo, mi contattò dopo un’esperienza di volontariato presso il popolo Dulong. Mi raccontò la storia delle quattro Donne Farfalla e l’atmosfera della Gorgia. Ne rimasi affascinata e sentii il desiderio di riportare in un libro le vicende degli indigeni. Nel 2004 mi ero già avvicinata al Nujiang, ma non ero riuscita ad arrivare al villaggio perché solo nel 2016 fu aperto il tunnel di collegamento con la parte orientale dello Yunnan. L’esperienza di Mila mi diede l’input per iniziare a scrivere un nuovo romanzo sulla “Tribù del Sole”, sul suo stile di vita attuale e passato e su fatti storici poco noti all’Occidente.  

Perché la scelta di concentrarsi sul popolo Dulong? In vent’anni i protagonisti dei miei libri sono stati gli Yao, gli Wa, gli Yi, i Miao e molte altre etnie cinesi. Avendo una ricca esperienza di docente e di ricercatrice di antropologia, ed essendo venuta a contatto per otto anni con le minoranze etniche dello Yunnan, nei miei libri ho sempre scritto di questi popoli, delle loro tradizioni e di eventi storici che li riguardano. I Dulong, rispetto ad altre etnie, sono poco conosciuti e hanno avuto una storia travagliata e drammatica. Fino alla prima metà del Novecento sono rimasti chiusi e isolati nella Gorgia vivendo in condizioni indigenti. Solo nel 2016 la loro vita è migliorata grazie all’apertura del tunnel e a vari piani di modernizzazione attuati dal Governo. Oggi sono sotto l’egida dell’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità. 

Mila è una giovane assistente sociale, cosa rappresenterà per lei questa esperienza e quanto di te c’è in lei? Mila è una mia amica e abbiamo molti punti in comune tra cui il contatto con gli indigeni dei villaggi tribali più sperduti, l’interesse nei confronti del loro folclore e degli usi e costumi, l’amore per la natura e per i paesaggi incontaminati.  Anche lei, come me, da giovanissima è partita all’avventura verso una meta lontana lasciando la famiglia e la sua vita quotidiana. L’esperienza nella Gorgia e il suo impegno nel sociale l’hanno cambiata e, da giovane ribelle metropolitana, è diventata una donna matura, inclusiva e incline al perdono.

Cosa ti affascina della Cina e di queste popolazioni non molto note a tutti? La Cina mi ha sempre affascinata e, dopo averla visitata e conosciuta, ho scoperto le sue molteplici culture, la storia millenaria e, nell’immediato, la disponibilità nei confronti dello straniero, infatti mi sono subito sentita accolta e ben integrata. Di queste etnie ho sempre amato la gioia di vivere, il rapporto simbiotico con la natura, i culti totemici e i riti, le musiche e le danze, i costumi ricamati, coloratissimi e ricchi di dettagli simbolici, la mitologia e le leggende millenarie, le religioni sincretiche che sono una fusione di animismo, sciamanesimo e culti popolari locali. 

Protagoniste sono 4 donne. Perchè la scelta di 4 protagoniste femminili? Nei miei libri parlo spesso di donne raccontando esperienze di vita e vicissitudini che riporto come storie-verità di denuncia sociale. Nei secoli le Donne Farfalla sono state vittime di un sistema patriarcale e maschilista che le ha assoggettate e piegate alla volontà di padri e mariti padroni. Nel libro ho ricostruito il passato delle protagoniste note come “Puma la sciamana, Cina la tatuatrice, Grisa l’erborista e Duna la tessitrice”: quattro nonnine anziane e bisognose di aiuto, che non sono mai state capaci di protestare e che hanno accettato il destino con fatalismo. Con vari flash back e salti temporali ho narrato le loro vicende, familiari e personali, all’interno di un clan tribale e restrittivo che negava libertà e diritti.   

Mugao e Bhaktu: che ruolo hanno nella vita delle protagoniste? Le quattro protagoniste anziane sono chiamate dagli indigeni “i fossili viventi della Gorgia”, in quanto sono le ultime e rare testimoni di Bhaktu, un rituale barbaro che per secoli e fino al 1949 deturpò le adolescenti Dulong. Si trattava di un tatuaggio facciale che ritraeva il motivo di Mugao, un totem antico che, nella forma, ricordava una farfalla. L’immagine della farfalla era soave e racchiudeva un significato mistico, infatti era legata al concetto d’immortalità dell’anima. Bhaktu era una vera e propria cerimonia sacrificale, un rituale di passaggio che rendeva libere e “immuni” le ragazzine, anche se poi trascorrevano la vita intera con la diversità, l’imbarazzo e la vergogna. Bhaktu rientrava nelle cosiddette pratiche di modificazione corporea ma, a differenza di altri rituali più noti, come ad esempio la fasciatura dei piedi, è rimasto nell’ombra e, ancora oggi, sui motori di ricerca occidentali, non si trovano notizie al riguardo.   

Questo romanzo può essere visto come un romanzo di formazione?  È un romanzo di formazione come tutte le mie storie. Il viaggio di Mila non è solo fisico ma anche interiore, infatti, grazie all’anno sabbatico trascorso nella Gorgia, la ragazza scoprirà nuovi lati di sé, imparerà a essere più empatica e più attenta al prossimo e consapevole di quanto l’essere umano abbia bisogno degli altri. Il suo aiuto alle nonnine e al Governo locale è commovente. Ma Mila non è l’unico personaggio del libro a scoprire la sua nuova identità. Anche sua madre, che vive nella lontana metropoli Kunming, uscirà da una profonda crisi esistenziale e rivelerà la sua vera identità con cognizione e grande forza d’animo. 

Quanto è importante fare memoria?  La memoria è fondamentale perché riguarda le nostre origini e l’evoluzione dell’essere umano attraverso la storia. Il passato dovrebbe insegnare a non ripetere gli stessi errori; in realtà l’uomo è recidivo e la sua memoria è breve. A mio avviso, il compito dello scrittore è portare a conoscenza il lettore di determinate situazioni del passato e del presente, nel caso specifico di un popolo della Cina che per secoli fu oggetto di soprusi e violenze da parte di un’altra etnia di cui l’Occidente crede di sapere tutto. In realtà le poche notizie attuali e ripetitive riportate dai media non rivelano tutto il tessuto socio-politico e relazionale che da sempre riguarda le etnie e le culture presenti nel territorio cinese, comprese quelle delle regioni autonome. 

:: Magnificat, Sonia Aggio(Fazi 2022) A cura di Viviana Filippini

12 dicembre 2022

N e N. Nilde e Norma sono le protagoniste di “Magnificat”, il primo romanzo della giovane autrice Sonia Aggio, edito da Fazi. La storia d’esordio della Aggio si sviluppa in un Italia di altri tempi, in Polesine, negli anni Cinquanta del secolo scorso. Le due ragazze protagoniste sono molto legate tra loro, si potrebbe vederle come sorelle, ma in realtà sono cugine rimaste sole al mondo, perché le guerra ha portato via loro i genitori.  Da subito trapela un legame forte tra Nilde e Norma, così vicine, ma anche profondamente lontane per i loro caratteri diversi. Nilde è timida, riservata, mentre Norma è più impulsiva, misteriosa e quel suo comparire e scomparire, senza mai lasciar trapelare dove è andata, non solo fa arrabbiare Nilde, ma le mette ansia e crea suspense. Già, tutta la storia di “Magnificat” è permeata da un’atmosfera di qualcosa di incombente che deve accadere da un momento all’altro. Si percepisce suspense per quella paura che Nilde ha di rimanere sola e di perdere l’unica parte della famiglia che le è rimasta: Norma. Suspense, perché per Nilde la cugina Norma è un enigma difficile da risolvere, un vero e proprio rompicapo, poiché Norma torna spesso con ferite ed ematomi per i quali non c’è mail il nome di un possibile colpevole, o se c’è, lei non lo confessa apertamente.  Suspense, perché lì attorno al piccolo casolare del Polesine ci sono la vita di paese, i pettegolezzi, le chiacchiere, le dicerie che insinuano il male e il dubbio in ogni dove. Suspense, perché in paese c’è un dipinto che incute timore reverenziale e paura delle grandi piogge. In questo mondo quasi atavico vivono Nilde e Norma, in una dimensione lontana da noi, ma nemmeno così tanto se ci pensiamo bene, dove il grande nemico che incute terrore e paura non sono le bombe della guerra o virus arrivati da chissà dove. A fare paura- e tanta- è il fiume Po. Quello che scorre impetuoso e che con le grandi piogge è sempre lì lì pronto a rompere gli argini, ad allagare e portare via tutto. In questo mondo, da una parte troviamo una Nilde preoccupata per tutto e soprattutto per la cugina. Tanto è vero che la ragazza vive emozioni contrastanti, poiché spesso non capisce Norma, non comprende quegli scatti improvvisi che la fanno diventare violenta a tal punto da non farla sembrare lei. Nonostante questo, Nilde però non prova rabbia o rancore per la cugina, perché per lei Norma è tutto, è la vita che le dona la vita. Nilde ci appare come una giovane dall’animo molto sensibile, a tratti potrebbe anche sembrare timoroso ma, allo stesso tempo, è deciso, quando fa il possibile per portare con sé Norma. Dall’altra parte invece troviamo Norma, che nel suo approccio istintivo alla vita, sembra una ragazza della personalità contorta e complessa, mossa da momenti d’azione selvaggia, irruenta, che la portano a compiere gesti per i quali poi prova un senso di colpa profondo, perché Norma, come Nilde, ha un animo buono, solo che ha un destino molto più complesso da gestire rispetto alla cugina. Quando ad un certo punto è Norma a raccontare la sua versione della storia, quel suo sentire emozioni che la fa apparire poco stabile scompare del tutto e si percepisce una donna consapevole delle proprie fragilità e forze, che non teme il fiume, non ne ha paura, anzi è come se avesse con esso un legame profondo e un missione precisa da compiere. Quello che si trova nella lettura di “Magnificat” di Sonia Aggio è una scrittura fresca, coinvolgente che riesce a trascinare chi legge dentro alla trama, nel senso che si sente come il bisogno, la necessità di entrare dentro al libro per stare accanto a Nilde e Norma, di fare qualcosa per loro e con loro, perché è davvero travolgente quel rapporto umano tra il detto e il non detto tra le due protagoniste sempre pronto a scoppiare. Nel libro ci sono personaggi secondari (molte donne del paese) che non comprendono Norma, la etichettano, la giudicano senza conoscerla davvero e mettono il male. Un male errato, che è figlio del pregiudizio. Poi, ci sono altri personaggi comprimari delle protagoniste, come Gigliola, che sanno- anche più di Nilde- perché Norma agisce in quel modo ancestrale. Altro aspetto interessante del romanzo della giovane bibliotecaria è la sua composizione narrativa fatta di paragrafi brevi che danno alla storia un ritmo crescente e cinematografico, composta da pagine scritte che diventano immagini chiare e definite mentre si legge. Un romanzo appassionante con le radici ancorate nel passato, nelle tradizioni popolari che rendono “Magnificat” di Sonia Aggio un viaggio nei sentimenti dell’animo e nei legami profondi –e a volte dimenticati- che legano l’essere umano alla natura.

Sonia Aggio è nata a Rovigo nel 1995, è laureata in Storia e lavora come bibliotecaria. I suoi scritti sono stati segnalati più volte dalle giurie di premi importanti come il Premio Calvino e il Premio Campiello Giovani. Tra il 2018 e il 2020 ha collaborato con il lit-blog «Il Rifugio dell’Ircocervo» e, nel tempo, ha pubblicato diversi racconti su «Lahar Magazine», «L’Irrequieto», «Narrandom» e «Altri Animali». “Magnificat” è il suo primo romanzo.

Source: del recensore.

“Abbandono” Elisabeth Åsbrink, (Iperborea 2022) A cura di Viviana Filippini

11 novembre 2022

“Abbandono” è il nuovo libro di Elisabeth Åsbrink, una storia potente che porta il lettore dentro alla vicenda umana di una famiglia della quale scopriamo le caratteristiche grazie all’autrice. La Åsbrink, nata a Stoccolma, mescola, pagina dopo pagina, elementi della sua storia personale (infatti è lei che si cela dietro Katherine o K.) uniti a pezzi di storia che hanno a che fare con il mondo ebraico al quel l’autrice è legata. Questo libro è l’espressione di una necessità di conoscere il proprio passato, di scovare le proprie radici e di comprenderle per capire il proprio posto nel mondo. La giornalista scrittrice ha come un bisogno di scoprire il perché sente in lei un’identità multiprospettica e sfaccettata, tanto è vero che è nata a Stoccolma, ma osservando chi la circonda, ha la netta sensazione di non essere di quel mondo, e non solo perché non è bionda come gli svedesi, ma perché percepisce nel proprio animo qualcosa di diverso. K., capìta la sua diversità rispetto agli altri, decide di fare un lungo viaggio nel passato per ricostruire l’esistenza della mamma Sally e della nonna Rita/Rida, due donne fondamentali per lei, che hanno avuto un vissuto non facile. Per K. è importante capire chi sono, poiché solo riscoprendole riuscirà a dare un senso, e forse, anche a colmare quella sensazione di abbandono e di solitudine che da troppo tempo la attanagliano dandole il tormento. La storia di “Abbandono” si sviluppa in più luoghi e in diversi periodi storici. Il lettore si trova quindi a Londra, Stoccolma, Salonicco dato che è in questi posti che gli avi di K. hanno mosso i loro passi e vissuto i conflitti che ne hanno determinato il corso esistenziale e storico. Il libro è caratterizzato da un profondo viaggio introspettivo e fisico nei diversi ambienti e nei vissuti dei componenti della famiglia della protagonista, perché è in essi che si celano quegli avvenimenti che li hanno sconvolti emotivamente, portati a prendere scelte inaspettate le cui conseguenze hanno cambiato la loro vita. Un esempio? Ad un certo punto Sally, la mamma di K., quando vive a Londra scopre le sue origini ebraiche e comprende le ragioni per le quali i diversi fenomeni di antisemitismo che le accadono attorno la fanno stare male. Una situazione che crea un profondo disagio nella ragazza, la quale decide di partire per la Svezia con la speranza di una vita migliore. Non solo, perché seguendo K. nella ricerca, si scopre che la madre aveva origini inglesi, mentre il padre era un ebreo ungherese salvatosi dalla Shoah arrivato bambino in Svezia nel 1956. Che dire poi della nonna nata da genitori tedeschi cristiani giunti in Inghilterra a fine del XIX secolo, mentre il nonno era un ebreo di Salonicco molto legato ai principi della famiglia (che gli complicheranno non poco la relazione con la madre dei suoi figli) e all’ebraismo sefardita, quello stesso movimento religioso che venne cacciato dalla Spagna nel 1492. “Abbandono” della Åsbrink è un romanzo nel quale la protagonista, alter ego dell’autrice stessa, svolge una vera e propria indagine e ricerca sul suo passato, un percorso lungo, doloroso e profondo che le permetterà di ricostruire la vita della sua famiglia e il destino di un popolo in un libro che è una storia famigliare e di tre generazioni di donne narrate con emozione tra la dimensione personale e il grande affresco storico. Traduzione Alessandra Scali.

Elisabeth Åsbrink è una nota scrittrice e giornalista svedese, si è affermata in patria e all’estero con reportage letterari di argomento storico e sociale che fondono fascino narrativo, una ricerca minuziosa e una profonda sensibilità, ottenendo premi prestigiosi come l’August e il Kapuściński. Con 1947 (Iperborea 2018), il suo primo libro tradotto in Italia, Elisabeth Åsbrink scava nei retroscena degli eventi e compone un racconto poetico e documentatissimo di un anno emblematico per la sua identità personale e per quella collettiva. Nel 2021 Iperborea ha pubblicato Made in Sweden, dove l’autrice ci accompagna in un viaggio tra cinquanta parole, eventi, persone e personaggi che hanno fatto la Svezia.

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa Iperborea.

Faten, Fatima Sharafeddine (Gallucci-Kalimat, 2021) A cura di Viviana Filippini

1 aprile 2021

Faten, è il nome e il titolo del romanzo di Fatima Sharafeddine, edito da Gallucci. La storia si svolge nel Libano del 1985 dove Faten, 15 anni, è una giovane ragazzina obbligata a lasciare la scuola per andare a Beirut per lavorare come domestica in una famiglia molto benestante. La vita con i datori di lavoro non è facile come sembra, perché sono molto esigenti e Faten passa le giornate a far le pulizie di casa. La famiglia dove si trova ha due figlie, la maggiore ha pressappoco l’età della protagonista, l’altra invece è più piccola. Faten le osserva e si rende conto di quanto siano fortunate perché hanno tutto. Le sorelle possono studiare, divertirsi, mentre lei fa le faccende domestiche e ritiene di non avere possibilità alcune di riscatto. O almeno così le sembra. Faten e Dalia piano piano si conoscono meglio e si capisce che sono due giovani donne poste davanti a destini differenti. Dalia, la figlia dei datori di lavoro di Faten, è un po’ ribelle, lei vorrebbe fare la pittrice, ma tutto cambia quando i genitori cominciano a presentarle i possibili mariti. La ragazza comprende che non ha via di scelta e decide di sposarsi, non tanto per amore, ma perché obbligata dalla famiglia. Questo dimostra quanto i legami con la tradizione siano forti nella società libanese del 1985 e di come non sempre sia facile, e possibile, contrastarli per fare ciò che si vuole. Faten, la protagonista, invece non demorde, perché sì è vero lei lavora ma, allo stesso tempo, riprende a studiare. Lo fa la sera, in gran segreto, nella sua cameretta dopo aver lavorato tutto il giorno e lo fa per poter realizzare il suo sogno: prendere il diploma, iscriversi all’università e diventare infermiera. Certo è un fare davvero faticoso, anche perché Faten deve tenere nascosto tutto alla sua famiglia al villaggio, soprattutto al padre, che mai accetterebbe il fatto che la figlia voglia studiare. Unica consolazione per Faten è il ragazzo con l’auto blu della casa di fronte e la musica che lui suona. Marwan, questo è il suo nome, diventerà amico e forse anche qualcosa di più per la protagonista. In realtà quando il giovanotto è con Faten si ha come la sensazione che, come Dalia, sia un po’ imprigionato in quello che i suoi genitori vogliono per lui. Il libro della Sharafeddine è un romanzo di formazione nel quale la giovane protagonista, anche se deve lavorare per dare un contributo alla famiglia, è pronta a lottare per ottenere quello che vuole e cambiare il suo destino ed è una cosa del tutto impensabile per il Libano della metà degli anni ‘80. A differenza di Dalia e Marwan che in un certo senso si rassegnano alle volontà altrui, Faten no. Lei è più combattiva, lei vuole migliorare la sua vita, ed è davvero pronta a tutto per di cambiare e diventare una giovane donna autonoma, che ha un proprio lavoro e che è in grado di mantenersi da sola. “Faten” di Fatima Sharafeddine è un libro che mostra uno spaccato storico sociale e culturale libanese e, allo stesso tempo, narra la tenacia, l’impegno e il coraggio della giovane protagonista nel voler costruire il proprio futuro in un mondo dove l’andare oltre le tradizioni, il volere essere liberi di creare un domani migliore per sé e vivere fuori dagli schemi convenzionali è difficile da accettare. Traduzione di Barbara Teresi.

Fatima Sharafeddine, scrittrice, traduttrice e curatrice di libri per ragazzi, vive tra Beirut e Bruxelles. Ha pubblicato più di 120 libri, molti dei quali sono stati tradotti in varie lingue, dall’inglese all’hindi. Tra i numerosi premi che ha ricevuto figurano il Bologna Ragazzi Award 2016 (New Horizons) e la candidatura per ben tre volte al prestigioso Astrid Lindgren Memorial Award. Fatima conduce anche workshop di scrittura creativa e assiste i giovani scrittori nella realizzazione dei loro progetti. “Faten” rientra tra i Libri pensati per favorire un dialogo tra i bambini del Mediterraneo e le diverse culture ed è stato realizzato in collaborazione con Kalimat, partner di Galluccimpremiato come Miglior Editore dell’Anno dalla Fiera del libro per ragazzi di Bologna.

Source inviato dall’editore. Grazie all’ufficio stampa Gallucci.

Il canto di Calliope, Natalie Haynes (Sonzogno 2021)A cura di Viviana Filippini

8 marzo 2021

Tutti, come lettori o studenti, ci siamo imbattuti nell’inizio dell’ “Iliade” di Omero, in quel «Cantami, o Diva, del pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco generose travolse alme d’eroi». La diva alla quale l’autore greco si riferiva era proprio Calliope, perché tra le Muse era quella che donava l’arte dialettica ai poeti, ai principi o ai re che la invocavano nei momenti in cui avevano bisogno di ispirazione. Calliope è la protagonista de “Il canto di Calliope” di Natalie Haynes pubblicato da Sonzogno. O meglio, Calliope e tutte le donne dell’ “Iliade”, perché l’autrice racconta la storia della guerra di Troia dal punto di vista femminile. Quelle che si presentano nelle pagine sono le voci delle donne che, da secoli, sono presenti nel poema omerico, ma che non hanno mai avuto la possibilità di parlare e di narrare le vicende vissute dalla loro ottica di visione. La Haynes attua un vero e proprio ribaltamento dei piani narrativi che porta le donne ad essere le protagoniste principali, mentre gli uomini finiscono in secondo piano. Sono delle vere e proprie comparse che lasciano il “palco” narrativo alla dimensione femminile. Appena ci si immerge nella lettura, da subito Calliope, la musa, chiede di essere ascoltata perché ha qualcosa da dire e raccontare. Il lettore lasciandosi trasportare dalla musa, inizierà un viaggio alla scoperta di un nuovo mondo. In principio si incontra una donna che corre nella notte, allontanandosi dalla città di Troia in fiamme. È Creusa la moglie di Enea, è sola, il marito e il figlio non ci sono e lei assiste al rogo della città rendendosi conto che morte, desolazione e distruzione stanno dilagando ovunque. Poi, si affaccia sulla scena narrativa Andromaca, la moglie di Ettore, che colpisce per la sua complessità emotiva e caratteriale. Accanto a lei arriva Pentesilea, la regina delle Amazzoni. La sua è l’immagine di una donna coraggiosa, forte e decisa e lo dimostrerà anche in guerra, quando sul campo di battaglia, trovandosi davanti Achille, non farà un passo indietro, anzi dimostrerà un’intraprendenza che farà parecchio pensare il “piè veloce”. Accanto a loro ci sono anche Penelope, che attende il ritorno di Ulisse; Clitennestra, moglie di Agamennone. Nomi noti, ai quali la Haynes unisce figure poco conosciute come Enone e Teano. Enone, madre di quel Corito nato dalla relazione tra la ninfa e Paride che poi l’ha abbandonata per andarsene lotano. Teano, altra figura femminile tutta da scoprire, prima sposò un re troiano e rimasta vedova si unì ad un altro troiano (Antenore) dal quale ebbe diversi figli. Accanto a loro anche le troiane, sconfitte e rese schiave, e le voci delle donne greche che aspettano il ritorno dei loro mariti. Il libro della Haynes ha per protagoniste le donne, quelle che Omero ha lasciato in secondo piano e grazie alla visione insolita della Haynes, il lettore conosce meglio queste figure femminili che nel corso della storia sono sempre state un passo indietro rispetto ai loro corrispettivi maschili, mentre qui le protagoniste femminili si prendono una piccola rivincita. Certo è che “Il canto di Calliope” è un versione nuova dei classici della letteratura antica, alternativa, ma davvero travolgente e appassionante. Affermo questo perché la Haynes in “iIl canto di Calliope” ci presenta delle creature letterarie che sono donne nei cui animi ci sono dolori, sofferenze, soprusi uniti all’amore, al coraggio e alla forza per andare avanti. Quella forza che rende queste figure mitologiche profondamente umane tutte da conoscere come se le si incontrasse per la prima volta. Traduzione Monica Capuani.

Natalie Haynes è scrittrice e giornalista. Classicista di formazione, ha pubblicato romanzi tra cui The Amber Fury e The Children of Jocasta, oltre al saggio The Ancient Guide To Modern Life. È autrice e conduttrice della trasmissione Natalie Haynes Stands Up for the Classics per Bbc Radio 4. Nel 2015 ha ottenuto il Classical Association Prize come riconoscimento per il suo lavoro di divulgazione dei classici. Il canto di Calliope (A Thousand Ships) è stato finalista al prestigioso Women’s Prize for Fiction 2020 ed è stato segnalato tra i migliori libri del 2019 da The Times e The Guardian.

Source richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa.

Un’intervista a Anita Pulvirenti, autrice de “La trasparenza del camaleonte” a cura di Elena Romanello

21 aprile 2020

anita-pulvirenti-e1576756211200_e6725e9603f12a533dc4e156c55a62b8Qualche tempo fa su Liberi di scrivere ho recensito l’interessante romanzo La trasparenza del camaleonte edito da DeA Planeta Libri e scritto da Anita Pulvirenti, tra i più originali da me letti negli ultimi mesi per l’argomento che tratta, la sindrome di Asperger vista dal punto di vista di una persona adulta.
Ecco allora alcune domande che ho fatto alla gentilissima autrice!

Come è arrivata a scrivere un libro?

Ho iniziato a scrivere cinque anni fa perché avevo messo da parte questa passione per lo studio prima e per il lavoro poi. Ho studiato e letto e scritto molto prima di arrivare a essere notata dalla DeA Planeta in un concorso per romanzi inediti. Oggi so che quello che li ha colpiti è stata senz’altro l’originalità della protagonista, Carminia.

Come mai ha scelto un argomento come la sindrome di Asperger tra gli adulti?

L’argomento mi tocca da vicino e quando l’ho approfondito durante le lezioni di un corso universitario è stato naturale per me raccontarlo in un romanzo. Sebbene le caratteristiche di Carminia siano spesso e volutamente esasperate, l’intento è di diffondere il più possibile le informazioni su questa sindrome perché sempre più persone possano sentirsi comprese e a proprio agio.

Quanto c’è di suo in questo libro?

Molto. Sebbene non sia io Carminia, condivido la sua visione del mondo e conosco le difficoltà quotidiane con cui si trova ogni giorno a fare i conti. Anche altri aspetti più concreti ci uniscono: l’età, per esempio, e il suo lavoro. Quello che più mi rende felice è che in tanti mi scrivono perché sentono che ormai Carminia è come un’amica.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Ho un romanzo già pronto che racconta la solitudine di due donne costrette a convivere e una storia per ragazzi che spero troverà casa a breve. In lavorazione ho invece una biografia romanzata di un’autrice italiana troppo spesso dimenticata, che mi sta appassionando, quindi al momento leggo, studio e scrivo…

Si può rimanere in contatto con Anita Pulvirenti tramite il suo sito ufficiale e il suo blog letterario Chili di libri.

Self-made Woman di Valeria Arnaldi (Ultra edizioni, 2019) a cura di Elena Romanello

27 luglio 2019

Self-Made-Woman_Ultra-325x475Dopo aver raccontato icone e miti dell’immaginario contemporaneo, stavolta Valeria Arnaldi si confronta con la storia delle donne, nel volume Self-made Woman, sottotitolo Perché dietro una grande donna non c’è nessuno.
Il libro racconta quaranta donne degli ultimi due secoli, che hanno segnato in qualche modo le loro esistenze e quelle altrui, con scelte controcorrente, lotte, idee, tendenze, stili di vita.
L’autrice vuole rovesciare la frase trita e ritrita dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, che identifica le donne solo come spalle e non come protagoniste, e parla di chi ce l’ha fatta da sola, cambiando il mondo intorno a sé, raccontando le vicende di scienziate, imprenditrici, giornaliste, artiste.
Nella galleria di donne presenti emerge un universo poliedrico: alcune donne si distinsero nel settore della moda e della bellezza, come Helena Rubinstein e Elizabeth Arden, le cui marche di cosmetici vengono usate ancora oggi, ma anche Mary Phelps Jacobs, l’inventrice del reggiseno, Coco Chanel, icona di stile e Mary Quant,  che liberò le donne con la minigonna.
Altre furono imprenditrici, come Josephine Cochrane, inventrice della lavastoviglie, Luisa Spagnoli, ideatrice di prodotti dolciari e di abbigliamento, Ruth Handler, la progettista della bambola Barbie, da lei ideata come simbolo non di sottomissione ma di indipendenza.
Non possono mancare le donne in lotta per i diritti civili, come le due ex schiave afroamericane Sojourner Truth e Harriet Tubman, la suffragetta Emmeline Pankhurst, Rosa Parks, il cui gesto simbolico di non alzarsi sull’autobus innescò le lotte per i diritti civili e la giovanissima Malala Yousafzai, che ha quasi pagato con la vita la sua lotta per dare un futuro alle bambine tramite la scuola.
Le donne si sono anche distinte nella scienza e Valeria Arnaldi ricorda Marie Curie, ma anche la dimenticata Lise Meitner, studiosa dell’atomo profondamente pacifista, Hedy Lamarr, non solo bellissima diva ma grande scienziata pronta ad intuire la tecnologia che oggi usiamo per gli smarthone, e ovviamente due grandissime di casa nostra come Rita Levi Montalcini e Margherita Hack.
Molte donne hanno anche voluto andare oltre i limiti che venivano imposti, e a questo proposito nel libro si ritrovano Nellie Bly,  prima giornalista investigativa della Storia che si fece rinchiudere in un manicomio per raccontare gli orrori di quei posti, Isabelle Eberhardt, viaggiatrice in Medio Oriente, Amelia Earhart, la prima aviatrice in solitaria, Gerda Taro, fotografa della Guerra civile spagnola morta sul campo, Valentina Tereskova, prima donna ad andare nello spazio aprendo la strada ad un’avventura che dura fino ad oggi e oltre.
Le donne hanno anche dato un contributo alle arti, e nelle pagine del libro rivivono i destini delle pittrici Suzanne Valadon e Tamara de Lempicka, di Mae West, diva trasgressiva contro la censura e il bigottismo di Hollywood, della ballerina Martha Graham, di Josephine Baker, danzatrice e partigiana, delle cantanti Billie Holiday e Madonna, icona da decenni e delle fumettiste sorelle Giussani inventrici di Diabolik, fumetto che all’epoca scandalizzò e che ancora oggi fa parlare di sé.
Un libro interessante, con progetti di vita in cui ciascuna donna di qualsiasi età può trovare qualche spunto o idea per il suo progetto di vita magari un po’ fuori dagli schemi.

Valeria Arnaldi, laureata in Scienze Politiche, è giornalista professionista. Scrive su quotidiani e mensili italiani e stranieri. Tra i suoi libri più recenti ricordiamo Gli amori di Frida KahloTina Modotti hermanaChi è Banksy? E perché ha tanto successo?Chi è Obey? E perché fa tanto discutere?Che cos’è la street art? E come sta cambiando il mondo dell’arte. Cura mostre di arte contemporanea in Italia e all’estero: ha collaborato con Commissione Europea, Unar-Presidenza del Consiglio, Regione Lazio, Provincia di Roma, Roma Capitale. Per Ultra ha pubblicato, tra gli altri, Manga Art-Viaggio nell’iperpop contemporaneoBomba Sexy – Storia e mito della femminilità a cavallo del millennioHayao Miyazaki – Un mondo incantatoSelf-made WomanBarbie, la Venere di plasticaMadonna, l’icona del popLady Oscar.

Provenienza: omaggio al recensore dell’Ufficio stampa Ultra che ringraziamo.

A cosa servono le ragazze di David Blixt (La Corte editore, 2018) a cura di Elena Romanello

8 gennaio 2019

cover_nelliebly-307x4291885, Stati Uniti: un mattino sul quotidiano The Dispatch compare un articolo del direttore in cui ci si chiede a cosa servano le donne e le ragazze, se non a fare le mogli e le madri: Elizabeth Cochrane, diciott’anni, una vita passata lottando contro una difficile situazione familiare causata da uomini che hanno rovinato la vita sua, di sua madre e delle sue sorelle, scrive al giornale le sue ragioni e il suo disaccordo per un articolo sciovinista e maschilista anche a quei tempi, che non tiene conto della realtà della condizione femminile.
Il suo intervento colpisce il direttore che chiede di incontrarla e le offre un posto nel suo giornale: Elizabeth, che sceglie lo pseudonimo di Nellie Bly, rifiuta di scrivere di pettegolezzi e robetta leggera, e preferisce occuparsi di attualità e della condizione femminile, tra sfruttamento e sottomissione. Inizia pertanto a scrivere delle condizioni di lavoro delle operaie, della necessità per le donne di avere autonomia e indipendenza, della condizione delle bambine, costrette a lavorare per pochi soldi in condizioni malsane. Mali della società di allora ma non certo distanti da certe realtà oggi.
La prima giornalista investigativa della storia farà poi un lungo soggiorno in Messico, dove svelerà una società maschilista e corrotta, ma otterrà il suo risultato più importante con il suo reportage più pericoloso, fingendosi pazza e finendo internata nel manicomio femminile di Blackwell’s Island, al largo di New York, di cui racconterà abusi, violenze e disumanità.
Dimentichiamo principesse e favorite da romanzi storici di maniera: Nellie Bly è un personaggio realmente esistito, che esce dalle pagine di un romanzo appassionante ma rigoroso a raccontare una pagina di Storia e una società tutte da scoprire, oltre che problemi ancora attuali, visto che le forze reazionarie ancora oggi cercano sempre di minare l’autonomia economica delle donne.
Una biografia sotto forma di romanzo su una figura oggi ingiustamente non abbastanza conosciuta e tutta da scoprire, un’icona femminista, antesignana di tutte le reporter che sono venute dopo di lei e non si sono fermate di fronte a niente per raccontare e scoprire la verità, e soprattutto per denunciare ingiustizie e soprusi, a cominciare da quelli che subiscono le donne.
A cosa servono le ragazze è un libro appassionante, ma anche capace di far riflettere su mondi simili, ieri e oggi, per tutte le età, da regalare a donne e ragazze, ma anche da comprarsi e leggere, e non dimenticare.

Provenienza: libro del recensore.

David Blixt vive a Chicago, negli Stati Uniti, con la sua famiglia, ed è un celebre attore shakesperiano oltre a essere un autore che ha venduto decine di migliaia di copie pubblicando svariati romanzi in tutto il mondo.
Con La Corte Editore ha già pubblicato Il Cavaliere della profezia di Dante, con cui ha ottenuto un ottimo successo.

Il sogno della macchina da cucire di Bianca Pitzorno (Bompiani, 2018) a cura di Maria Anna Cingolo

29 ottobre 2018

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Cara Bianca, ci sei tanto mancata.

Bianca Pitzorno è tornata in libreria con il suo ultimo titolo edito da Bompiani, Il sogno della macchina da cucire, ambientato nella piccola città di L. tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento.

La protagonista del libro è una sartina della quale il lettore non conosce il nome e che narra tutte le vicende in prima persona. Nelle pagine iniziali racconta la sua infanzia in compagnia della sola nonna, in quanto il resto della famiglia è rimasto ucciso durante l’epidemia di colera. La nonna di mestiere fa la sartina, è una donna forte, risoluta e indipendente. Consapevole della differenza sociale che separa i ricchi dai poveri, desidera per sua nipote il meglio che la sua condizione possa garantirle nonostante la povertà. Per questo da quando la piccola ha sette anni le insegna a cucire: stoffe, ricami, asole e merletti le avrebbero garantito un’indipendenza che altri lavori, come quello di domestica, non le avrebbero concesso. La nipote sarebbe rimasta padrona di sé stessa. Le famiglie più importanti della città commissionano alla nonna lavori semplici, soprattutto di biancheria. 

Di solito in quelle case ricche ed eleganti c’era come ho detto una stanza apposta per il cucito, ben illuminata, con un grande tavolo da stiro dove stendere la stoffa da tagliare, e spesso c’era anche, meraviglia delle meraviglie, una macchina da cucire. Mia nonna sapeva usarla, non so dove l’avesse imparato, e io la guardavo affascinata mentre faceva andare su e giù il pedale con ritmo costante e la stoffa avanzava velocissima sotto l’ago. “Se potessimo averne una in casa”, sospirava lei “quanto lavoro in più potrei accettare!” Ma sapevamo entrambe che non ce la saremmo mai potuta permettere, e oltretutto non c’era posto dove sistemarla.

Quando anche la nonna muore, la protagonista rimane davvero sola al mondo ma è forte di tutti gli insegnamenti ricevuti dall’anziana parente, non solo perché è padrona di un mestiere ma anche perché dalla nonna ha assimilato valori importanti, quali l’onestà, la generosità e il rispetto. La giovane sartina prende il posto della nonna nelle stanze da cucito delle famiglie altolocate ed entra in contatto con la strana vita dei ricchi e con i loro segreti più nascosti, ricordandosi sempre di restare al suo posto.

Gli episodi narrati dalla sartina offrono uno spaccato di vita del tempo e descrivono tante personalità, la maggior parte femminili. Fuori dagli schemi della società ci sono la signorina Ester e Miss Lily Rose. Ester, figlia del ricco signor Artonesi rimasto vedovo dopo il colera, ha tre anni più della protagonista e viene accontentata dal padre in quelli che le compaesane chiamano “capricci”, ovvero nel suo desiderio di studiare le lingue straniere e le lingue morte, le scienze, la chimica, la geografia, di andare a cavallo e di suonare il pianoforte, disinteressandosi di ogni “dovere di femmina” concernente il governo della casa. Ester è ribelle e indipendente, vuole sinceramente bene alla giovane protagonista e le due diventano amiche, nonostante il divario sociale. La miss americana, Lily Rose Briscoe è giornalista, pittrice e critica d’arte, una personalità molto generosa ed eclettica che si tira dietro tutte le maldicenze di L. solo perché non è sposata, è ricca e osa andare in bicicletta. In questo romanzo altre donne sono forti e determinate e, pur rimanendo entro le regole imposte dalla società, le combattono dall’interno: la signorina Gemma, cugina lontana dell’avarissimo avvocato Provera, abilissima sarta e dall’animo imprenditoriale, non si sottomette davvero alla tirannia del suo parente; Zita, la stiratrice, poverissima e malata che anche in fin di vita non smette mai di lavorare con dignità e di sacrificarsi per sua figlia Assuntina, una bambina magrissima con un bel caratterino e quella forza d’animo che solo i bambini sanno avere nelle situazioni in cui la vita si dimostra crudele; la centenaria Donna Licinia Delsorbo, che fiera del suo status sociale farebbe di tutto pur di preservarlo dallo scandalo; la ex maestra che, dopo essere stata illusa dal direttore della sua scuola, sceglie di prostituirsi per mantenere suo figlio. Sono tutte donne che tengono alla propria autonomia e che, nonostante le fragilità, le umiliazioni, il dolore e le delusioni, continuano a lottare ogni giorno per sé stesse e per coloro a cui vogliono bene.

Ovviamente una di queste donne è sicuramente la giovane sartina protagonista che, nutrita degli insegnamenti di sua nonna, rimane sempre fedele ai suoi valori, onesta, generosa e laboriosa, senza mai cedere a facili maldicenze. La sartina è diversa dalle altre ragazze del suo rango non solo perché ha in mano un mestiere che non la rende di proprietà dei ricchi ma anche perché sa leggere. Da ragazzina, infatti, dimostra subito sete di conoscenza.

Quando a casa aprii il pacco e ne sparsi il contenuto sul letto, mi mancò il respiro. Non avevo mai visto niente di così bello in vita mia. Alcuni disegni erano colorati, altri in bianco e nero, ma tutti mi affascinavano. Cosa avrei dato per potere anche leggere quello che c’era scritto sotto! La notte, col lenzuolo tirato sulla testa, piansi un poco, cercando di non farmi sentire dalla nonna. Ma lei mi sentì.

La nonna analfabeta sente sua nipote piangere e si mette d’accordo con una maestra perché possa imparare a leggere dalle basi. La giovane sartina continua da autodidatta leggendo i libretti dell’Opera e poi romanzi su romanzi e altri libri delle materie più disparate. La cultura, che rende più indipendenti e più liberi,  rappresenta un punto di forza anche delle altre donne intraprendenti e moderne del libro, come Ester e Miss Lily Rose.

Nei romanzi la sartina conosce un amore idilliaco che non combacia con le vicende di cuore delle donne che frequenta e con i loro mariti ubriaconi o interessati solo ad avere un erede. Finché non incontra lei stessa l’amore nelle “guance di rosa e negli occhi di gazzella” di Guido,  la sartina rimane scettica e si concentra solo sul suo lavoro. L’amore ha tante facce e in questo libro vengono mostrate quasi tutte: tra nonna e nipote, tra uomo e donna, tra padre e figlia, tra madre e figlia, tra sorelle e tra amiche; per ognuna di esse vale la pena sacrificarsi.

Il sogno della macchina da cucire racconta la vita e il punti di vista di una sartina ma fa molto di più, spingendo il lettore ad uscire dagli stereotipi, dalle categorie pre-costruite, dalle regole sociali scritte da altri. È un inno alla libertà e all’unicità di ogni persona perché ognuno possa cucire per sé un abito su misura, fatto della stoffa che preferisce, lungo quanto vuole e del colore che più gli piace, un abito che gli appartenga e che gli calzi a pennello, invece di indossare vestiti taglia unica, fatti per tutti e quindi per nessuno.

Per i tanti adulti cresciuti con i libri di Bianca Pitzorno, leggere questo romanzo sarà come tornare indietro nel tempo perché lo stile è sempre lo stesso, cambiano solo le vicende narrate. Rimane la stessa anche l’insoddisfazione del lettore perché il libro è già finito, è troppo corto, doveva raccontarci di più e ancora altro.

Cara Bianca, ci sei tanto mancata e ci mancherai di nuovo fino al tuo prossimo romanzo.

Bianca Pitzorno è nata a Sassari nel 1942. Ha pubblicato dal 1970 a oggi circa cinquanta tra saggi e romanzi, per bambini e per adulti, che in Italia hanno superato i due milioni di copie vendute e sono stati tradotti in moltissimi Paesi.

Source:  libro comprato dal recensore.

Le visionarie, antologia a cura di Ann e Jeff Vandermeer (Nero, 2018) a cura di Elena Romanello

4 settembre 2018

Visionarie-copertina-alta-700x1100Quest’anno ricorre il duecentesimo anniversario dell’uscita del primo romanzo di fantascienza della Storia della letteratura, Frankenstein, scritto da una donna, Mary Shelley, e nonostante stereotipi e luoghi comuni, le donne hanno sempre frequentato da allora la narrativa di genere fantastico, con un’intensificazione della loro presenza negli ultimi anni, ma già un grosso apporto a partire dalla metà del Novecento, con storie spesso pubblicate con pseudonimo maschile.
La Nero edizioni presenta Le visionarie, con l’esplicativo sottotitolo Fantascienza, fantasy e femminismo: un’antologia, che raccoglie ventinove articoli di altrettante autrici degli ultimi decenni, curati e raccolti da Ann e Jeff Vandermeer, due delle voci più interessanti del panorama del genere degli ultimi anni, esponenti della corrente New Weird del terzo millennio: il risultato è un viaggio tra mondi spesso inquietanti, con metafore dei ruoli di genere, della maternità e dell’emancipazione, tra distopia, rilettura di fiabe classiche e di fatti di cronaca nera, viaggi in cerca di se stesse, fughe, antiche leggende, dove spesso in poche pagine emerge un mondo complesso che entra dentro a chi legge per non uscirne più.
Tra i nomi presenti ne Le visionarie ci sono autrici ormai di ieri, scomparse in tempi più o meno recenti, come Angela Carter, Tanith Lee e Ursula K. Le Guin, ormai classiche come le loro opere, accanto a voci più recenti e tutte da scoprire, come Octavia E. Butler, Hiromi Goto e soprattutto Nnedi Okorafor, una delle scrittrici di fantascienza più originali degli ultimi anni, capace di dar voce all’Africa e al suo patrimonio di leggende e riletture di archetipi classici dei generi del fantastico.
L’adattamento televisivo di The Handmaid’s Tale ha riportato l’interesse ancora una volta su come si può raccontare una storia di genere fantastico facendola diventare metafora della realtà: ne Le visionarie non ci sono racconti di Margaret Atwood, ma di molte sue colleghe che per molti versi l’hanno anticipata o seguita, raccontando i mondi del possibile in un’ottica femminile e femminista, vista attraverso le tematiche di vari decenni.
Le visionarie è un libro da leggere per tutti i cultori e le cultrici del fantastico, ma anche per chi pensa che le donne sappiano scrivere solo romanzetti rosa e per chi vuole conoscere voci non sempre tradotte nel nostro Paese e tutte da scoprire o riscoprire, perché magari sono assenti da anni dalle librerie o perché sono state trascurate finora, come l’argentina Angelica Gorodischer, la finlandese Leena Krohn e l’indiana Vandana Singh. C’è da sperare che a questa antologia ne seguano altre sulla stessa linea, oltre che escano anche i romanzi delle scrittrici, spesso molto prolifiche e ancora attive.
Da segnalare anche la cura data all’edizione italiana del libro, coordinata da Claudia Durastanti e Veronica Raimo, che per tradurre i diversi racconti hanno chiamato a raccolta un gruppo di autrici, giornaliste e accademiche provenienti sia dal mondo della narrativa di genere che non, come Emmanuela Carbé, Marta Maria Casetti, Gaja Cenciarelli, Silvia Costantino, Livia Franchini, Tiziana Mancinelli, Sara Marzullo, Francesca Matteoni, Oriana Palusci, Lorenza Pieri, Chiara Reali, Clara Miranda Scherffig, Nicoletta Vallorani, Cristina Verrienti.

Provenienza: libro del recensore.

Ann VanderMeer ha fondato la casa editrice Buzzcity Press ed è stata direttrice di Weird Tales, la storica rivista americana dedicata all’horror e al fantastico. Per la sua attività di curatrice editoriale, è stata insignita del premio Hugo e del British Fantasy Award.

Jeff VanderMeer è autore della saga fantasy di Amebergris e della trilogia composta dai romanzi Annientamento (premio Nebula 2014), Autorità e Accettazione, pubblicati in Italia da Einaudi, oltre che della storia autoconclusiva Borne. Assieme a sua moglie Ann, ha curato antologie dedicate allo steampunk e al new weird, corrente di cui è si esponente che teorico principale.