:: Racconto di Natale – Shanmei

12 dicembre 2025 by

È la Vigilia di Natale e il Generale Luigi Bianchi scende in cantina per prendere una bottiglia di vino, di quello buono da accompagnare all’arrosto della Vigilia, un giramento di testa e sviene, e si trova catapultato nel passato, in un altro Natale lontano, in Cina con la sua Mei e i suoi figli. Quando rinviene, turbato e infreddolito torna su e si cambia per il pranzo… inizia così un racconto nostalgico e lontano che cercherà di catturare la magia del Natale.

Ben tornato Luigi Bianchi, anche se questo forse ormai è un addio.

In prenotazione, esce il 24 dicembre.

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:: Ragazzo di Sacha Naspini (e/o, 2025) a cura di Patrizia Debicke

18 dicembre 2025 by

In Ragazzo, Sacha Naspini affonda la sua penna nell’età più fragile e incendiaria dei giovanissimi, e ci racconta di un’adolescenza spinta ai margini, osservata dalla provincia come da una muta e indifferente platea. Descrive Follonica e il quartiere operaio di Senzuno non come semplici sfondi, ma come  corpi vivi, fatti di scabri caseggiati e strade senza promesse immerse in silenzi talvolta  più pesanti delle parole. La provincia immobile, asetticamente avulsa, si trasforma  in  una gabbia emotiva dalla quale i protagonisti tentano invano di evadere senza poter fruire di indicazioni.
Giacomo e Matteo incarnano due opposte modalità di stare al mondo, unite da un vecchio legame ormai logoro. Il primo vive la crescita come un’urgenza fisica, una brutale necessità: diventare forte, scrollarsi di dosso l’etichetta dello sfigato, spezzare l’immobilità che gli pesa  addosso come una colpa ereditaria. Matteo, invece, è fatto di sbandamento e di  paura, di gesti e parole mai  trattenuti, di una sensibilità che diventerà  solo un bersaglio in un contesto inapace di accoglierla. Il loro rapporto, esclusivo e totalizzante, si svilupperà  su un ambiguo filo tracciato tra amicizia, dipendenza e bisogno d’amore, fino ad arrivare a incrinarsi sotto la spinta  del cambiamento.
Naspini osserva i suoi personaggi con uno sguardo freddo, asettico, privo di indulgenza, offrendoci autentiche voci adolescenziali, ruvide e  talvolta disturbanti.
L’ingresso dei ragazzi al liceo scientifico segnerà tra loro una frattura irreversibile: il confronto con i compagni più forti, più ricchi, più visibili accentuerà il senso di esclusione, mentre il bullismo diventa una pratica quotidiana, quasi un rituale.
A casa, le famiglie appaiono assenti, inadeguate, incapaci di fornire strumenti o protezione, lasciando i ragazzi soli a confrontarsi con  prove forse sproporzionate rispetto alla loro età.
Dentro questo  immenso vuoto educativo e affettivo si inseriscono le grandi questioni dell’oggi adolescenziale: l’identità sociale, il corpo considerato come un  campo di battaglia, il desiderio di essere visti, l’amore vissuto come scossa violenta e destabilizzante.
Corinna Gentileschi rappresenta una possibilità di riscatto, un miraggio capace di spingere Giacomo oltre ogni limite, mentre per Matteo diventa la vera minaccia di poter perdere l’unico legame  per lui sicuro. Tutto si muove in bilico tra sogni a occhi aperti e una realtà che sta per presentare il conto senza fare sconti.
La pistola, contemporaneamente oggetto simbolico e concreto, introdurrà nella trama una deriva noir dolorosamente attuale. Non rappresenta solo un’arma, ma un concentrato di potere, paura e desiderio di controllo, un modo distorto per affermare la propria esistenza in un mondo percepito come ostile. E il gesto esasperato,  estremo, scaturito da quella quotidianità fatta di umiliazioni, rabbia repressa e assenza di alternative, ricorda quanto la recente cronaca  renda questo racconto tragicamente plausibile.
Ragazzo è un romanzo breve emotivamente impegnato, costruito su capitoli alternati che, dando spazio e voce a entrambi i protagonisti, creano un montaggio visivo serrato, quasi cinematografico.
Il linguaggio narrativo è secco, ben coordinato, tagliente, e accompagna una scrittura priva di filtri, in grado di colpire sempre senza scrupoli.
Naspini racconta l’adolescenza come un ponte in malfermo equilibrio  tra ciò che si è stati e ciò che si teme di diventare, un momento morale popolato da sentimenti incondizionati e da scelte irreversibili. Dalla sua analisi emerge un libro duro, capace di ricostruire  tutta la difficoltà  di crescere in certa  provincia al giorno d’oggi, dove e quando la mancanza di prospettive rischia di amplificare ogni desiderio ma anche ogni errore.
Giacomo e Matteo sono personaggi indelebili  indimenticabili come due facce della stessa ferita, a immagine di un’età selvaggia e pericolosa, vissuta  senza protezioni, solo tenendo il piede premuto sull’acceleratore e lo sguardo fisso su un futuro che preoccupa e spaventa più di una promessa di libertà.
In conclusione, un romanzo corposo nonostante la sua brevità, pieno di spunti, a tratti violento e  in cui domina con crudele insolenza l’amicizia tra ragazzi, tra maschi.

Sacha Naspini è nato a Grosseto nel 1976. È autore di numerosi racconti e romanzi, tra i quali ricordiamo I sassi (2007), Cento per cento (2009), Il gran diavolo (2014) e, per le nostre edizioni, Le Case del malcontento (2018 – Premio Città di Lugnano, Premio Città di Cave, finalista del Premio Città di Rieti; da questo romanzo è in fase di sviluppo una serie tv), Ossigeno (2019 – Premio Pinocchio Sherlock, Città di Collodi), I Cariolanti (2020), Nives (2020), La voce di Robert Wright (2021), Le nostre assenze (2022), Villa del seminario (2023), Errore 404 (2024), Bocca di strega (2024), L’ingrato. Novella di Maremma (2025). È tradotto o in corso di traduzione in quasi 50 Paesi: Stati Uniti, Canada, UK, Australia, Francia, Cina, Corea del Sud, Grecia, Croazia, Russia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Egitto (con distribuzione in tutti gli Stati arabi), Germania, Olanda, Austria, Svizzera, Catalogna, Spagna (con distribuzione in Argentina, Messico, Cile, Perù, Colombia, Repubblica Dominicana, Costa Rica, Uruguay). Scrive per il cinema.

:: Indagine su Cézanne, Charles-Ferdinand Ramuz (Oligo editore 2025) A cura di Viviana Filippini

15 dicembre 2025 by

Charles-Ferdinand Ramuz poeta e scrittore svizzero, è stato tra i più significativi intellettuali svizzeri della prima metà del Novecento. Qui lo conosciamo attraverso le sue parole nel libro “Indagine su Cézanne” edito, da Oligo editore. Il testo, a cura di Marino Magliani e tradotto da Sandro Ricaldone e Marino Magliani, comprende due brevi saggi editi per la prima volta in Italia: “L’esempio di Cezanne”, risalente al 1914 e comparso sulla rivista “Cahiers vaudois” da Ramuz fondata,  e l’altro “Cézanne il precursore”, frutto di una conferenza del 1915/16, ma uscito postumo nel 1948. Al centro degli scritti l’interesse da parte dell’autore  per l’arte e per la figura del pittore francese Paul Cézanne. Ricordiamo che Ramuz ebbe modo di conoscere la società e la cultura francesi, perché visse a Parigi tra il 1902 e il 1914. Il libro è composto da due saggi, ma leggendoli si ha come la netta sensazione di essere al fianco dello scrittore nato in Svizzera e di muoversi con lui sulle tracce del pittore francese. Quello che emerge è una profonda attenzione e cura rivolta al paesaggio il quale non solo viene presentato come luoghi dove muoversi, ma viene preposto in ogni suo elemento che va dalle forme, ai colori, alle geometrie che si nascondono sotto la superficie, per arrivare anche ad immaginare i profumi e gli odori. I due testi sono un vero e proprio pellegrinaggio sulle orme del pittore Post-impressionista nato ad Aix-en-Provence. Certo è che Ramuz porta chi legge dentro al mondo di Cézanne, a quel suo lavorare solitario che gli ha permesso di cogliere con il colore e la sua pittura l’essenza e le forme pure che stanno alla base di ogni cosa della quotidianità. Un percezione frutto di una ricerca artistica personale che comunque, se si riflette bene, ha rivoluzionato in modo completo la percezione  umana e dell’arte del Novecento. Il testo comprende anche delle tavole con opere a pastello, acquerello e disegni di Cézanne.

Charles-Ferdinand Ramuz (Losana 1878 – Pully 1947) è stato uno scrittore svizzero di lingua francese. Figlio di un modesto commerciante, si laureò in lettere classiche a Losanna e nel 1902 si trasferì a Parigi, dove rimase fino al 1914. Esordì con i versi d’ispirazione simbolista del “Piccolo villaggio” (Petit village, 1903) e con il romanzo realista “Aline” (1904). Rientrato in Svizzera all’inizio della guerra, insieme con altri fondò i «Cahiers Vaudois». Amico di Stravinskij compose il libretto “Storia del soldato” (Histoire du soldat, 1918). (Biografia fonte web).

Source: inviato da ufficio stampa 1A comunicazione.

:: Barbara, il lapillo di Dio di Daniela Distefano

14 dicembre 2025 by

Hai le braccia così sottili, mio Amato. Una riga di sangue si raggruma in un lago di detriti di pelle e terra. Ti tengo stretto il tronco, non arrivo su in cima, fino al capo che sembra un cesto di vimini da cui fuoriescono dense lave di plasma.  Le orecchie non odono più le dolci nenie materne, non parla più la tua bocca impastata d’oro candìto e profumata di nardo. I tuo occhi, che hanno trasmesso al Creato la dolcezza di Dio, sono serrati, gonfi, come conchiglie che nascondono una bellezza per me, per noi, ancora inaccessibile. I tuoi piedi, uno sull’altro, fissati con un chiodo che li trapassa e li contorce. Le tue guance, che non sono più, mio Amato. Le tue chiome, sbrindellate.. Perché mi sorridi allora? Perché? Come fai a vedermi, così ridotto? Piango di dolore dolce, di gioia di fuoco, di gratitudine.  Sono mesi che vivo in questo palazzo solitario, le giornate erano terribili all’inizio. Tremavo tutta, non passava mai il tempo, volevo compagnia, la mia mamma, i miei fratelli in Cristo, le mie sorelle in Cristo, la cara balia che mia ha nutrita da piccola.. Mio padre. Già, papà… Quanto scoraggiamento ho visto nelle sue pupille mano a mano che crescevo…Quanta esaltazione intorno alla bellezza di sua figlia, quanti guai potevo dargli….Meglio isolarmi dal mondo, meglio farmi perdere il contatto con gli essere fatui, scoraggiare i miei cari precettori cristiani…. Eccomi qui. Quanto lo ringrazio il mio babbo oggi che sono felice della sua scelta scellerata. Ci sei Tu con me, mio Amato. C’è la Tua Mamma. Ci sono tutti i vostri Amici, gli Angeli, Gli Arcangeli, e ogni giorno ringrazio Dio Padre di questo dono.                               

Al mattino mi sveglio prima della campana della chiesa, è lontana dalla Torre ma si ode distinta nei suoi rintocchi. Quanta pace assieme al cip di un uccellino che attende l’apertura della mia finestruola. Passeranno ore prima che venga qualcuno a portarmi il desco, qualche indumento, e i molti libri di scoraggiamento che attendo senza  trepidazione. Le ore della giornata sono scandite dalla preghiera incessante, continua, laboriosa. Da anni. Non ho mai pianto per me, questo carcere di lusso mi è stato foriero di grandi delizie. O Gesù Amato, mi hai rincorso, come rincorrevi sant’Agostino, e mi hai catturata come una farfalla. E adesso sono Tua, Tua e della Mamma del Cielo, Maria Santissima.

Amato mio Gesù, io perdono tutte le mattine e tutte le sere, perdono questo padre che mi ha tolto l’euforia della giovinezza per poi pentirsene. Non la rimpiango, la gaiezza spensierata non è  vera felicità. La vera felicità Signore siete Voi, Voi nella solitudine, Voi nel focolare, Voi in Cielo, Voi in Terra.                                         

Ed è un vero peccato per me non essere umile ancora come Te e la Mamma. Sono maldestra anche nelle mortificazioni, vado imparando da quello che mi arriva in briciole del Tuo immenso Amore. Non sono pronta per il Pane intero della Vita. Non credo al destino, perché il destino lo fai Tu. Allora dimmi, mio Re, unica sorgente di letizia sconfinata, come potrò oppormi ad un matrimonio che non voglio?                                                                                             

Perché questo corteo di scribi, filosofi, dotti di ogni risma invitati a distogliermi dalla mia Fede, Dono di Dio? Avverto concitazione, voci, sussurri, e poi urla. E’ pazza!!! Io sono il suo padrone e farà quello che le dico! O mio Amato Gesù, è appena iniziato il mio calvario. Ero già fuggita in un bosco per sottrarmi alla sua volontà, fu allora che feci la mia consacrazione.

Non farà che avvicinarmi ancora di più a Te, adesso sono davvero in catene. Condotta come <<pecora al macello>>.

Gli angeli mi districano i boccoli, pronti per fare spazio alla lama, quando avverrà il mio giorno. Adesso supplizi, minacce, torture, adesso la Mamma del Cielo spalanca la Porta del Paradiso al mio futuro.

Conto le ore, nessuno mi tiene più legata a questo mondo, i compagni di preghiera piangono lacrime di dolore, sanno che non mi rivedranno più. Mi rende triste la sofferenza del prossimo, eppure mai sono stata così riconciliata con la vita mia.

Ho dovuto lottare contro le tentazioni della carne, quanta pazienza hai avuto di me Signore. Non hanno vinto, erano nani del mio intelletto venuti a mettere in subbuglio l’anima già rivolta al suo Padrone come cosa interamente Sua. Poi è giunta la tentazione contro la fede, più forte. Il prefetto mi ha interrogata a lungo, fino allo sfinimento, ero esausta nel vederlo snervato. La sentenza brutale alla fine del mancato comprendonio: devo essere eliminata. Così il Calice è colmo, e l’Angelo è qui con me mentre lo bevo.

Amato mio Gesù, un ultimo sforzo e non sono più. Mi hanno tagliato le mammelle, sono una capra senza latte.

Non ho più i vestiti, mi fanno camminare nuda per le vie cittadine, e non sono ancora sazi.

Così è arrivata la spada sul mio collo, fredda, asettica, un attimo di circostanza ed un fulmine per lui che stava a guardare. Padre e figlia, lui giù, io su beata tra nuvole, canti, inni e meraviglie. Il perdono ma anche la giustizia. Poi la memoria e tutto il male in un oblìo eterno.

“In un lago di baci,

Ti ho incontrato mio Gesù;

Li raccolgo col secchio della Tua infinita pazienza.

Mi sono dissetata del Candore di Maria,

oggi sono pronta per volare via nell’Eterno.

Non solo fuoco stavolta, ma rugiada d’Amore

nel vederVi, adorarVi, benedirVi, lodarVi, ringraziarVi

di tutto cuore”.

:: Profumi di Daniela Barone

14 dicembre 2025 by

Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l’aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente. Non c’è modo di opporvisi.’

Patrick Süskind

Il primo ricordo olfattivo è quello dei salumi e delle grosse provole di una botteghina di San Giovanni Rotondo vicino al Santuario di Padre Pio. Non avevo ancora compiuto tre anni ma l’urgenza del lungo viaggio fu dettata dalla malattia della mamma che vedeva nel frate la soluzione ai suoi problemi. In realtà le  fobie di mia madre avrebbero necessitato piuttosto di uno psichiatra ma papà aveva voluto accontentarla.  Quel viaggio si rivelò un fiasco: il fraticello con le stigmate fu duro con lei al punto di cacciarla dal confessionale, apprendendo che lei non partecipava mai alla messa domenicale per la sua salute cagionevole.

   Un altro odore vivido nella mia memoria è legato ai detersivi usati dalla mamma per pulire i pavimenti, in particolare quello penetrante dell’ammoniaca. A nulla servivano le mie rimostranze: per lei era un’azione imprescindibile usare quei detergenti che mi costringevano a trovare riparo nella mia stanzetta.

   Che dire però del profumo inebriante dei petali di rosa a maggio, quando lei comprava da una contadina quei fiori per farne uno sciroppo denso e soave? La casa era pervasa da quell’odore dolciastro ma soprattutto dalle sue chiacchiere allegre: non era facile rendere contenta la mamma, sempre assorta in chissà quali pensieri, talvolta addirittura incupita. Anche papà era coinvolto nelle operazioni di selezione dei petali e di bollitura del liquido rosa che gorgogliava nelle pentole: una vera festa per le orecchie e le narici.

   Della mia infanzia ricordo anche l’odore del sapone di Marsiglia che la bisnonna Giuditta adoperava per lavare montagne di bucato a casa nostra. Veniva da noi per dare  una mano alla mamma, perennemente e misteriosamente ammalata. Per tenermi occupata era sufficiente darmi una pezza o un fazzolettino che io insaponavo con energia nel tentativo d’imitarla, in piedi sopra uno sgabellino traballante che mi permetteva di arrivare al grande lavello di marmo.

   Il profumo che più mi ricorda mia madre  resta però quello del ragù domenicale. Ancora nel dormiveglia percepivo il buon odore del sugo che preparava diligentemente in pentole rigorosamente di terracotta. Non si staccava mai dai fornelli e disapprovava le vicine che, casalinghe come lei, si distraevano talvolta con altre faccende facendo attaccare i pezzetti di carne  al fondo delle pignatte.

   Quando ero ammalata, la mamma mi preparava un delizioso purè di patate che emanava l’odore del burro mescolato in abbondanza al composto. Ancora oggi, quando sono indisposta o malinconica, amo prepararmi questo cibo perché mi fa sentire  coccolata.

   A volte mi domando quali profumi evocherò ai miei figli e ai nipotini quando non sarò più con loro. Sicuramente  si ricorderanno del buon odore del mio pesto ma non riuscirò mai a competere con mia madre, maestra di ragù, frittelle di fiori di zucca e polpettoni.

   Pur trascurando la sua persona, forse per un voto, la mamma non sapeva però resistere alle eau de parfum: qualunque fragranza la conquistava, purché fresca e leggera; se ne metteva in gran quantità, incurante dei rimbrotti di papà. A me piaceva vederla contenta come una bambina, tanto rari erano i momenti gioiosi nella sua vita.

  Rimane poi impresso nella mia memoria l’odore penetrante del detergente che usavo per lavare Francesco, il mio primogenito. Che gioia è tuttora legata al ricordo dei primi bagnetti impacciati nel lavabo del bagno a poche settimane dalla sua nascita!

Le estati trascorse nella casa di montagna con i tre figli piccoli mi fanno tornare alla mente il profumo dell’erba appena tagliata, l’odore del letame delle mucche condotte ogni mattina al pascolo e quello dell’acqua un po’ stagnante delle vasche delle trote pescate con gran divertimento. A volte un pastore passava da casa nostra con un cestello di latte appena munto che facevo bollire per i miei bambini. Quest’odore  mi ricorda il latte che bevevo a colazione alle elementari e i dolori alla pancia che inevitabilmente mi affliggevano. Inutile far notare alla mamma che non digerivo questa bevanda: per lei era l’unico alimento che si poteva dare ad una figlia per colazione, punto e basta. 

   Nuove esperienze olfattive segnarono gli anni della maturità e il secondo matrimonio con Dave.  Lui era curiosamente uno chef, o almeno lo era stato quando viveva in Canada, e se ne faceva un gran vanto. Di lui i miei figli ricordano ogni tanto il profumo dei panzerotti domenicali ma null’altro: quasi nessun cibo potè allietare i nostri pasti, appesanti dai suoi grevi silenzi, o peggio ancora, dalle sue sfuriate.

   Dopo la morte della mamma papà venne a vivere da me. Malandato nei suoi novant’anni, invase la mia tranquilla vita di donna oramai sola con i miasmi dei suoi pannoloni. Non bastavano deodoranti, né finestre spalancate anche in pieno inverno, a dissipare quel fetore. Povero papà. Oggi in me prevale però il ricordo del profumo del suo dopobarba, quando negli suoi ultimi giorni lo radevo e cospargevo il suo viso emaciato di quella lozione odorosa e lenitiva.

   Mi piace infine ricordare l’ondata di profumi di spezie mai conosciute che mi accolse al mio arrivo in India lo scorso anno. La guida locale mi cinse di una corona aulente di fiori gialli, rossi e arancioni; percepii poi l’odore di cardamomo, cannella, vaniglia, e di chissà quali altri aromi indecifrabili. Fu un’esperienza intensa anche sentire gli effluvi vagamente sgradevoli emanati da elefanti e scimmiette onnipresenti e forse, da centinaia di indiani nel brulicare del traffico caotico di Delhi. Davanti al Taj Mahal odorai tanti fiori rigogliosi e immaginai l’imperatore Shah Jahan mentre deponeva delicati boccioli sulla tomba dell’amatissima sposa. I fiori sono soprattutto consolazione per noi viventi che amiamo portarli al cimitero dai nostri cari. Io metto spesso tulipani gialli sul loculo della  mamma, sapendo quanto amasse quel colore. Saranno gialli anche i pochi fiori che vorrò al mio funerale: gialli come la stanzetta di Van Gogh, come il mio piccolo sofà, come il sole sghembo che disegnavo nei quaderni di prima elementare.

:: Grazie ai lettori di Liberi di Scrivere!

12 dicembre 2025 by

Grazie a tutti coloro che continuano negli anni a sostenerci con piccole e grandi donazioni. Grazie di cuore, il vostro dono ci permette di mantenere Liberi di scrivere indipendente.

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:: Il loro grido è la mia voce – Poesie da Gaza AAVV (Fazi 2025) a cura di Valerio Calzolaio

11 dicembre 2025 by

Gaza, ultimi tempi, ancor più tristi. Dieci coraggiosi autori e autrici palestinesi hanno scritto alcune splendide poesie ora contenute (con successo di vendite e presentazioni) nella raccolta “Il loro grido è la mia voce”, perlopiù redatte a Gaza e pubblicate in rete tra ottobre 2023 e dicembre 2024. Si tratta di: Hend Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada (uccisa nell’ottobre 2023), Haidar al-Ghazali (da novembre 2025 può studiare all’Università di Macerata, 21enne) e Refaat Alareer (ucciso nel dicembre 2023). Per ognuno, i bravi giovanissimi curatori hanno predisposto una breve nota bio-bibliografica, testo originale arabo a sinistra, traduzione italiana a destra. “Tutte costituiscono l’esito di una letteratura selvaggia… fraintesa, degradata, misconosciuta e, più colpevolmente, ignorata… La poesia ci richiama allora all’ascolto” proprio per non “considerare la Palestina una semplice espressione geografica”!

Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza AAVV Raccolta di poesie di varie autrici e autori

A cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti

Prefazione di Ilan Pappé

Con interventi (2024) di Susan Abulhawa e Chris Hedges

Traduzione dall’arabo di Nabil Bey Salameh

Traduzione dall’inglese di Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni

Fazi Roma 2025

Pag. 143 euro 12 (per ogni copia venduta, 5 euro saranno donati a Emergency a Gaza)

Consiglio di acquisto: https://amzn.to/4oOChB6 se comprerai il libro a questo link guadagnerò una piccola commissione. Grazie!

:: Anna Toscano (Treviso, 12 ottobre 1970- 8 dicembre 2025)

10 dicembre 2025 by

:: Domenico Catalfamo, Le parole e il tempo (Edizioni Pendragon, Bologna, 2025) a cura di Hala Radwan

7 dicembre 2025 by

L’insieme dei testi proposti da Domenico Catalfamo configura un itinerario poetico di rara intensità, profondamente radicato nella memoria, nella povertà rurale, nella sofferenza collettiva e nella formazione etica dell’individuo. Come lettrice araba e studiosa di letteratura italiana, ho percepito in queste poesie una vibrazione umana universale che trascende i confini culturali: un’eco di sacrifici, dignità silenziosa e dolore condiviso che parla direttamente al cuore.

Un primo nucleo tematico centrale è la memoria familiare, che in Catalfamo diventa fondamento identitario e spazio etico. In Corpo e sangue, la figura del nonno emerge come simbolo di una generazione provata eppure moralmente integra. L’immagine del pane offerto — «il bianco pane che a te stesso forse e alla nonna togliesti di bocca» — mi ha profondamente colpita per la sua capacità di condensare in un solo gesto tutta la nobiltà del sacrificio umano. E la definizione del nonno come «cristo bestemmiatore senza peccato» racchiude quel paradosso struggente in cui la marginalità sociale si converte in purezza morale. Come lettrice araba, ho ritrovato in questo ritratto la stessa etica del sacrificio che attraversa molte narrazioni popolari delle nostre culture mediterranee.

Anche il rapporto tra temporalità e frattura esistenziale costituisce un asse di grande rilievo. In Sospensione, l’affermazione «il tempo è fermo. / Ma la vita è nell’ombra» restituisce una percezione interiormente lacerata del tempo, una sensazione che riconosco profondamente appartenere ai popoli che hanno vissuto instabilità e incertezze. La memoria, in Ricordo, diventa un archivio fragile: ciò che resta è conservato «nel silenzio dei ricordi», mentre tutto il resto svanisce. Questa poetica dell’intermittenza mi ha toccata con particolare forza, perché riecheggia modi di sentire ampiamente condivisi nelle culture arabe, dove il passato spesso sopravvive più nel cuore che nei fatti.

Le poesie di ambientazione rurale, come Pecorelle, descrivono un mondo contadino lontano da ogni idealizzazione. L’immagine delle pecore che procedono «sotto il peso lungo della vita» è una metafora antropologica potente, attraverso cui Catalfamo restituisce la fatica quotidiana degli ultimi. Leggere questi versi, per me, significa riconoscere una sofferenza universale, la stessa che segna la vita dei lavoratori rurali in molte regioni arabe.

La dialettica tra perdita e desiderio trova espressione raffinata in Amore rustico, dove l’amore non vissuto acquista una forza persino maggiore perché «finì prima ancora di cominciare». È una poetica dell’incompiuto che appartiene a tutte le grandi letterature, ma che qui ho sentito particolarmente vicina per la sua delicatezza emotiva.

L’esperienza della migrazione, centrale nella storia mediterranea, emerge con forza in Il padre dell’emigrante: l’«abbraccio… formalità di un addio» mi ha colpita come una delle immagini più dolorose dell’intera raccolta, perché evidenzia la natura burocratica e forzata di un distacco imposto dalle condizioni socio-economiche: un tema che risuona profondamente anche nei nostri mondi arabi.

In Per i caduti della «Gessolungo», la poesia assume invece una dimensione civile, raccontando la morte operaia senza retorica, come risultato di un sistema che consuma «le carni ancora tiepide d’affetto». Qui, come lettrice araba, ho sentito l’universalità della protesta contro l’ingiustizia e l’ineguaglianza.

Parallelamente, alcune liriche introducono un registro più contemplativo. In Fantasticherie, il sole che «chiude le ferite» indica la possibilità di una guarigione naturale, mentre Asterischi d’autunno rilegge l’autunno come fase transitoria in cui la fine diventa premessa di rinascita: «le cose muoiono per rinascere». Questa dialettica vita-morte costituisce un asse concettuale ricorrente.

La dimensione introspettiva culmina in Solitudine, con la rosa «votata alla morte più che alla vita», simbolo della fragilità umana, mentre in Dolce maestro la perdita di un giovane allievo diventa «tirocinio aspro della morte», un’immagine che mi ha profondamente turbata e che sintetizza tutta la potenza tragica della poesia.

Infine, Testamento chiude la raccolta con una dichiarazione etica limpida: non «casa» né «campi», ma solo «uno smilzo me stesso». Una confessione che, da lettrice straniera, ho avvertito come una lezione universale: l’eredità più autentica non è materiale, ma morale.

 Nel complesso, Le parole e il tempo di Domenico Catalfamo si configura come un corpus poetico coerente, in cui memoria, povertà, dignità umana, sofferenza e speranza si intrecciano in un umanesimo essenziale. Come lettrice araba, ho percepito in queste poesie una risonanza profonda con la sensibilità dei popoli mediterranei: la stessa attenzione alla fragilità della vita, la stessa celebrazione del sacrificio silenzioso, la stessa fede ostinata nella dignità dell’essere umano. È un’opera che non si legge soltanto: si vive, si sente, e lascia nel cuore una traccia lunga.

:: Comunicazione importante

3 dicembre 2025 by

Allora nei giorni scorsi mi ha scritto Amazon per segnalarmi che il mio account affiliato non ha ancora generato tre vendite ritenute idonee da quando mi sono iscritta tre mesi fa al Programma di Affiliazione di Amazon.it. La politica del loro programma prevede la chiusura di account non attivi che non hanno generato vendite riconosciute idonee nell’arco di 180 giorni dalla creazione dell’account da affiliato. Quindi se acquistate regolarmente su Amazon, anche libri, passate dai miei link di affiliazione mi garantite piccole percentuali.

Non vi ribadisco l’importanza di generare piccoli introiti per la gestione del blog, a voi non costa un cent in più e intanto contribuisce a far si che una realtà bella come Liberi di scrivere prosegua la sua strada. Grazie.

:: Regali solidali 2025- Un Natale di Solidarietà

28 novembre 2025 by

Si avvicina il Natale e nel budget per i regali si possono inserire i regali solidali della Caritas, un pasto caldo, un’assistenza notturna, una spesa gratuita per le famiglie in difficoltà che faticano ad arrivare a fine mese. A nome di una persona cara si può fare del bene. La provertà è sempre più diffusa e anche i contributi richiesti, a causa dell’inflazione, sono aumentati, 20 euro per un pasto caldo, 40 euro per l’assistenza notturna, 60 euro per la spesa per le famiglie in difficoltà. Chi può, magari rinunciando a qualcosa di superfluo, contribuisca, tendiamo la mano a chi vive in estrema povertà e a volte non ha la voce neanche per chiedere più aiuto.

Per contribuire:

:: Il senso di una fine di Luigi Guicciardi (Damster 2025) a cura di Patrizia Debicke

24 novembre 2025 by

A Modena, quando dicembre si stringe addosso alla città come un mantello umido e le strade di periferia si fanno più silenziose, basta un imprevisto banale per incrinare la superficie dell’ordinario. Come, per esempio la sosta, forzata da un’imperiosa esigenza fisiologica, che porterà un agente di commercio a imbattersi in un corpo senza vita abbandonato in un fosso.  Un macabro dettaglio che spezzando il gioioso ritmo delle feste in arrivo, scuote l’opinione pubblica. La vittima è Franco Guidolin, giovane sommelier, con una vita piena di prospettive e promesso sposo della figlia di Oscar Pioli, titolare della più importante azienda vinicola della zona e candidato alle imminenti elezioni comunali. Una morte che si trasformerà presto in un detonatore, in grado  di far esplodere pericolose tensioni sociali e politiche già pronte a emergere.
In questo precario clima cittadino si muove il giovane commissario Giovanni Torrisi, modenese di provincia, trent’anni in meno del celebre Cataldo, protagonista principe di Luigi Guicciardi, ma dotato di una determinazione altrettanto solida e che ha già mostrato la sua stoffa di poliziotto. Torrisi nelle precedenti indagini, ormai siamo alla quarta, ha sempre mostrato quella apparente calma che nasconde una mente rapida, sensibile alle ombre psicologiche e agli indizi spesso inavvertibili a sguardi distratti. Accanto a lui agisce l’ispettore Fabio Carloni, suo collega fresco di nomina e dotato di un’energia più impulsiva, essenza tuttavia opportuna che, bilanciando l’analitico approccio del commissario, regala un prezioso contrappunto umano nella dinamica investigativa.
Tra loro si è creata un’intesa immediata, fatta di rispetto e sostegno reciproco, una buona sintonia che man mano diventa colonna portante nella ricerca della verità.
Modena non è soltanto sfondo, ma un organismo vitale e quasi indispensabile per la trama. Nelle sue fredde periferie e nei suoi vigneti addormentati d’inverno si intrecciano gelosie, ambizioni e rancori. Il passato insinuandosi a ogni passo nella narrazione, riuscirà a falsare ciò che pare limpido, riportando a galla errori stratificati nel tempo.
Nelle famiglie Pioli e Guidolin affioreranno crepe inattese, silenzi custodi di segreti che sanno di vergogna, avidità e vecchie passioni, mentre l’ombra della politica peserà sul caso come una cappa soffocante. Torrisi dovrà avanzare in un labirinto di sospetti che si ramifica oltre la logica. Ogni possibile pista pare quasi volersi aprire per poi richiudersi come una porta sbattuta dal vento.
Quando un secondo omicidio, più feroce del primo, infrangerà quel fragile equilibrio e un rapimento trascinerà l’indagine in una zona ancora più cupa, la tensione cresce costringendo Torrisi a un diretto confronto con il lato più oscuro dell’animo umano. La sua stessa vita sarà in bilico, travolta da una vicenda dove persino i sentimenti paiono terreno minato.
La storia d’amore poi che lo coinvolgerà raggiungerà una intensità nuova, quasi dolorosa, una linea emotiva in grado di amplificare la posta in gioco mentre tutto intorno la città sembra trattenere il fiato.
Guicciardi costruisce questa nuova avventura con la consueta precisione: scrittura scarna e affilata, con una rapida narrazione al presente che imprime ritmo e immediatezza e la capacità di inquadrare in poche linee un personaggio o una emozione. Ogni scena è un frammento, mentre ogni tassello incastrandosi con gli altri fino a comporre un inquietante mosaico, dominato dal peso di un passato che ritorna e distorce il presente. L’autore, forte della sua lunga esperienza nel giallo e nel noir, orchestra una trama rigorosa ma incalzante, adatta a indurre il lettore a interrogarsi sul fragile confine che esiste tra curiosità e morbosità, tra verità cercata e verità temuta.
Ne risulta un romanzo teso, intenso, percorso da una malinconia che aderisce ai luoghi e ai personaggi, accompagnando Torrisi verso un’amara conclusione, dove la rivelazione non libera, ma ferisce. Una storia che cattura e costringe a guardare ove nessuno vorrebbe posare lo sguardo, mentre una Modena fredda, quasi scontrosa continua a tacere sotto il cielo d’inverno.

Luigi Guicciardi, modenese, docente e critico letterario, è autore di una serie di mystery: ha pubblicato per Piemme, Hobby&Work, LCF Edizioni, Cordero Editore, Frilli Editori.
Dal 2020 pubblica con Damster Edizioni: Un conto aperto con il passato (2020), Ai morti si dice arrivederci (2021), I dettagli del male (2022), Il ritorno del mostro di Modena (2022), Il commissario Cataldo e il caso Tiresia (2023), Morte di una ragazza speciale (2023), Donne che chiedono giustizia (2024), Nessuno si senta al sicuro (2024), Morte per un manoscritto (2025).
Il suo personaggio più famoso è il commissario Cataldo. Dal 2022 ha creato un nuovo personaggio: il commissario Torrisi, molto più giovane e dinamico.