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:: Interviste (im)perfette: A tu per tu con gli scrittori

6 novembre 2025

5 anni fa, da maggio a novembre, sul blog Liberi di scrivere si è tenuto un ciclo di interviste ad alcuni scrittori italiani che si sono prestati a rispondere non solo alle mie domande ma anche a quelle dei lettori, in tempo reale, in un esperimento che ha portato risultati sorprendenti. Ora ho raccolto quelle interviste, in tutto 12, in una raccolta che se vogliamo porterà del bene, l’intero ricavato della vendita dell’ebook sarà devoluto a Medici senza Frontiere. A quelle interviste si aggiungono alcune interviste bonus a Ben Pastor, Patrizia Debicke e sua figlia Alessandra Ruspoli, James Grady, Qiu Xiaolong, Tcheky Karyo, Lucia Guida, e Stefano Di Marino.

Ricordo che la copertina è stata gentilmente offerta da Luca Morandi. E ringrazio ogni singolo autore intervistato per avere partecipato al mio progetto. L’iniziativa continua tutto quello che verrà raccolto sarà donato a Medici senza frontiere. Grazie a tutti! Anche a Luca Pelorosso e La strega lettrice per aver lasciato un commento su Amazon. Se volete procedere all’acquisto cliccate sulla cover il link vi porterà direttamente alla pagina del libro.

:: Un’intervista con Ben Pastor a cura di Giulietta Iannone

19 giugno 2024

Benvenuta Ben su Liberi di scrivere, è sempre un piacere parlare con te di libri e letteratura. Per una volta non parleremo di Martin Bora, e della tua serie ambientata nella Germania nazista, ma di un romanzo appena uscito per Mondadori dal titolo La fossa dei Lupi. Per molti tuoi lettori del tutto inaspettato. Ce ne vuoi parlare? Come ti è nata l’idea di scriverlo?

Di solito rispondo dicendo, come lo scalatore Edmund Hillary quando gli fu chiesto perché avesse voluto scalare l’Everest: “Perché è lì.” E lì, nelle scuole italiane come nelle nostre vite, I Promessi Sposi si trova dal 1870, tre anni prima che l’autore morisse. Un testo obbligatorio, dunque, seminale come Moby Dick per gli statunitensi, Guerra e Pace per i russi, o I Miserabili per i francesi. E se Manzoni condivide il podio con Alighieri, è perché ha “inventato” l’italiano moderno così come la Divina Commedia ci ha fornito una lingua nazionale. Proprio perché imprescindibile, e perché al contrario di molti l’ho amato fin dalla prima lettura, ho in mente e forse anche nel cuore I Promessi Sposi da tempo. Una storia di amore contrastato, fughe oltre i confini, guerre e pandemie, un abietto rapimento a fine di stupro, disordini di piazza… Il romanzo ci parla oggi forse più di ieri! Cresciuta fra libri di grande letteratura, con una carriera accademica alle spalle, e prestata da oltre trent’anni alla detection, mi è parso finalmente il momento di ringraziare Don Lisànder a dovere, abbinando alla mia consueta analisi storica e filologica un pizzico di ironia postmoderna. Che occasione per giocare con lo stile bonario di Manzoni mantenendo una tensione da thriller, ed elaborare i personaggi parlando in modo più esplicito di violenza e sensualità dove l’originale necessariamente doveva tacere! Un’esca troppo ghiotta per ignorarla.

Non avevi paura prima di cimentarti coi personaggi del Manzoni?

I monumenti, si sa, sono eretti per ricordare, ammonire, stupire. Ciò non toglie che nel corso dei secoli rivoluzioni e guerre li abbiano abbattuti fino alle fondamenta spesso e volentieri. Ho un vivido ricordo delle statue atterrate di Marx e Lenin nei giardini pubblici di Sofia poco dopo la caduta del Muro. Se, diciottenne nel 1968, posso essere ascritta a una generazione al contempo idealista e iconoclasta, da amante dell’archeologia detesto la perdita di qualsiasi testimonianza monumentale. Ammiro i capolavori, ma non ne sono intimidita. Manzoni scrisse per tutti noi, amabilmente e in modo comprensibile, conscio di dover “risciacquare i panni in Arno” prima di rendere il suo capolavoro fruibile dalle generazioni. Nessun timore, dunque. La coscienza di avere davanti una sfida notevole, sì. Dalla mia avevo stima per il testo, buona conoscenza della sintassi e delle metafore manzoniane, capacità di investigare il periodo storico nei suoi dettagli: società, religione, sistema economico, relazioni di genere e di classe, musica e arti grafiche… e naturalmente anche i soggetti che prediligo da sempre: armi e uniformologia. Confrontarsi con personaggi letterari già esistenti presenta vantaggi (sono già disegnati in modo più o meno particolareggiato, hanno un loro modus operandi) e svantaggi (gli stessi, come sopra). In altre parole, chi scrive deve accortamente cogliere tutti gli accenni anche sottintesi dell’originale: Lucia è bella o no? Fino a che punto Renzo ha un carattere aggressivo? Sono tutti d’accordo nel perdonare l’Innominato dopo il pentimento? Da queste domande nascono possibilità di elaborazione, nel rispetto del personaggio senza abbandonare la libertà creativa.

Dunque hai proseguito i Promessi sposi. Tornano Renzo e Lucia in una storia inaspettata di indagine, ce ne vuoi parlare?

Sui banchi di scuola abbiamo lasciato Renzo e Lucia novelli sposi, avviati oltre l’Adda. Seguono cenni sulla numerosa prole che avranno, e sulle lezioni di vita che hanno imparato (o no) dalle loro disavventure. La Fossa dei Lupi li porta avanti di qualche mese, durante la gravidanza di Lucia che è tornata dalla Bergamasca per far nascere il primo figlio nel paese natio. Identifico quest’ultimo, sulla scia di vari studi, con Olate, ora parte della città di Lecco. Baffi e barba identificano Renzo come adulto maturo, oltre che futuro padre e piccolo imprenditore. Agnese, madre di Lucia, presenza un po’ ingombrante, li segue ovunque. Agli inizi del romanzo, l’omicidio dell’Innominato sui monti sopra Lecco li sconvolge… o forse no. È quel che vuole scoprire Olivares, che da buon investigatore sospetta di tutti. Come lui, i due Tramaglino sono sopravvissuti al contagio e possono muoversi liberamente. Farli crescere dalla quasi adolescenza alla vita matrimoniale è stato interessante, così come scoprire una certa caparbietà nel comportamento di Lucia (ricordiamo la “Madonnina infilzata” del Manzoni), e inattesa temerarietà in Renzo sotto un interrogatorio che oggi definiremmo di garanzia. Dopo quasi due anni di peste, che richiamano alla mente la nostra recente esperienza con il Covid, tutti i lombardi stanno cercando di ricostruire le loro vite fra i lutti e il disastro economico seguìto alla peste.

Il bel luogotenente di giustizia Diego Antonio Olivares è il vero protagonista del libro? Come hai costruito il suo personaggio?

Devo ammettere che Diego Antonio de Olivares, energico eppure ingenuo venticinquenne, è il mio favorito. Impegnato nella lotta al crimine, la sua fervida religiosità gli fa vagheggiare un futuro non solo nella dotta Compagnia di Gesù ma anche il martirio in terre lontane; si interroga e spesso interroga il suo padre spirituale su questioni morali, ricerca verità e giustizia. Ma è anche un ragazzo pronto ad infiammarsi per una vedova come Donna Polissena Gallarati, tanto affascinante quanto “scienziata” noncurante delle regole che pure formalmente osserva con atti di carità. Mi è piaciuto molto dosare i passi della sua seduzione, secondo i costumi garbati dell’epoca, fino alla delizia di scoprire cosa si nasconde sotto le vesti sontuosamente severe di lei. Costruire Olivares, cosa amabilissima, ha significato studiarne l’aspetto italo-spagnolo (i capelli biondo-rossi del padre galiziano e gli occhi neri della bisbetica madre milanese Donna Sebastiana, “incarognita con Nostro Signore per avere lasciato morire quattro dei suoi sei figli”), il vestiario più vicino al rigore protestante d’Oltralpe che al fasto italiano, e soprattutto la sua verosimile adesione al complicato sistema secondo cui un’indole generosa e priva di pretese può e deve convivere con l’esasperato senso dell’onore spagnolesco. Olivares è il protagonista del romanzo perché indaga sull’omicidio eccellente dell’“Innominato” Bernardino Visconti, perché si confronta con i ricchi eredi del morto e di Don Rodrigo come con i miserabili ex bravi che mendicano un ingaggio, con informatori, prostitute e banchieri, girando per il lazzaretto milanese in via di chiusura, il Lecchese e la Brianza… Ma lui stesso riconosce in Renzo e Lucia il nucleo di una costellazione di personalità ed eventi. Intorno a loro ruotano sospetti, crimini, vendette, senza dimenticare laboriosità premiata, donazioni in denaro, curati truffaldini come Don Abbondio, figli di lanzichenecchi, falsi spagnoli e falsi italiani. E la feroce Guerra dei Trent’Anni fa da sfondo tempestoso al tutto, come nella indimenticabile Resa di Breda dipinta da Velázquez.

Come hai gestito tutta la parte relativa alle concezioni cristiane del Manzoni: la Provvidenza, il libero arbitrio, la giustizia, la fede?

Sulla religiosità del Manzoni si sono scritti non fiumi ma oceani di inchiostro. Convertito al cattolicesimo, moderato nel senso che appoggia almeno formalmente la separazione fra il potere ecclesiastico e quello civile, lo scrittore crede profondamente nell’istituzione del Papato e nel soccorso della Provvidenza divina nelle vicende umane. I suoi personaggi positivi, a partire dai Promessi e da Fra Cristoforo, sono mossi dalla fede; hanno fiducia che Dio provvederà anche contro le infamie umane. In Manzoni la facoltà di scegliere fra il Bene e il Male, o libero arbitrio, è aperta a tutti; quanto alla giustizia, si può solo aspirare ad essa, in un mondo imperfetto dove essa è augurabile solo grazie all’aderenza a principi morali universali. Questo però non equivale a passività: Lucia cerca di sottrarsi alla violenza, Renzo sfugge alla persecuzione emigrando, e Fra Cristoforo affronta a testa alta il prepotente Rodrigo. Aiutati, ché Dio t’aiuta sembra essere il motto per tutti loro. Per quel che mi riguarda, credo nella responsabilità individuale, nel dubbio come strumento del libero arbitrio, e in tempi post olocaustici non so se mi affiderei ciecamente alla Provvidenza. Ho quindi inserito il dubbio in diversi passi del romanzo, da quello etico-giuridico di Olivares a quello materno di Agnese Mondella, fino all’incertezza e alle scelte codarde ma pragmatiche di Don Abbondio, a cui regalo il cognome Romanò.

Hai appena venduto i diritti cine-televisivi per La fossa dei Lupi. Come è andata? Si sa già qualcosa di più dettagliato?

Be’, la notizia è di pochi giorni fa, quindi è ancora tutto piuttosto prematuro; ci sono ancora moltissimi passi da fare, e non è detto che il progetto vada necessariamente in porto. A ogni modo, sarà interessante vedere ricostruire una Milano e una Lombardia scomparse da tempo, magari con ambientazioni in borghi e angoli cittadini ancora conservati, o con l’ausilio della tecnologia informatica. La trama del romanzo include scontri armati, agguati, inseguimenti, risse, cerimonie solenni e momenti ironici, scene d’amore, duelli e cavalcate – tutti i componenti che ci aspetteremmo da una continuazione in chiave di mystery del capolavoro manzoniano. La Fossa dei Lupi potrebbe diventare un racconto visivo entusiasmante e sensuale.

Grazie della tua disponibilità, come ultima domanda ti chiederei di parlarci dei tuoi progetti per il futuro.

Be’, finito un progetto, ne comincia un altro. Da un po’, infatti, sto considerando di riportare Martin Bora, ufficiale tedesco con una coscienza, agli inizi della sua avventura militare e investigativa sul fronte orientale. Lo specchio del pellegrino (working title) si svolge nel 1941 in un ambiente inedito e assai poco corrispondente alla nostra idea di campagna di Russia. Le sponde del Mar Nero, come ci insegnano i magistrali racconti di Isaak Babel’ e lo splendido film di Nikita Michalkov Colpo di sole, hanno un aspetto quasi mediterraneo. Sarà un’occasione per vedere cosa succede quando Bora, ancora capitano di cavalleria, viene inviato laggiù a risolvere un caso apparentemente facile. Gli appassionati di Martin Bora non saranno sorpresi di riconoscere le descrizioni di regioni e città che oggi sono nuovamente nei notiziari di guerra. Mi affido io per prima al buonsenso e alla tenacia indagatrice del mio protagonista, certa che nonostante gli ostacoli sulla sua strada proseguirà fino a trovare il bandolo della matassa.

:: La fossa dei lupi di Ben Pastor (Mondadori 2024) di Patrizia Debicke

13 giugno 2024

Tornano in primo piano in scena memorabili personaggi de I promessi sposi, alcuni come comprimari vedi: Renzo, Lucia, Don Abbondio mentre l’Innominato pur fulcro della storia da bandito e taglieggiatore pentito infine diventato un pio un agnellino, è stato messo da Ben Pastor al servizio della fiction e trasformato in vittima designata. Ciò nondimeno in pratica tutti i personaggi del romanzo manzoniano risalgono in scena maliziosamente collegati in qualche modo alle attuali vicende di La fossa dei lupi.
I promessi sposi proprio loro già ? Il capolavoro di Alessandro Manzoni , amato o più spesso odiato e noioso spauracchio di tanti studenti italiani per generazioni e invece, per chi scrive di giallo spesso un libro da infilare nella rosa dei primi rappresentanti italiani del genere .
Intanto ci prova Ben Pastor, fedele lettrice del Manzoni, a far cambiare idea e interessare tanti italiani incuriosendoli soprattutto con una disincantata ma raffinata e perfetta ricostruzione storica dell’epoca. I milanesi riconosceranno le loro vecchie strade, dovranno riscoprire chiese ormai, scomparse e i Corpi Santi, le cascine e i borghi agricoli sorti attorno alla città di Milano, appena oltre le mura spagnole.
Dunque, dicevamo riprende in mano alcuni personaggi, tre anni dopo le loro drammatiche avventure, , a novembre del 1628 mentre Milano si sta ancora assestando dopo i tanti lutti della peste che ha fatto tirare le cuoia anche al loro persecutore Don Rodrigo, e fa ritrovare Renzo e Lucia economicamente ben sistemati, con lui che gestisce con successo in comproprietà, nella bergamasca, una fiorente azienda di filatura. Ma per il capriccio di Lucia che è incinta e vuole che suo figlio venga al mondo dove è nata lei, li fa tornare temporaneamente a Olate, in terra di Lecco nella vecchia casa di famiglia e in un certo senso diciamo sotto la pelosa influenza di Don Abbondio.
Vi abbiamo anticipato che l’Innominato, al secolo Bernardino Visconti è la vittima designata da Ben Pastor nella sua trama. E dunque a Milano il bel luogotenente di giustizia Diego Antonio Olivares, grande famiglia spagnola ma con un ricca madre italiana, uomo d’ordine ma anche di cultura, sta indagando proprio sulla morte dell’Innominato, ucciso in un bosco dove si cacciano i lupi, sui monti sopra Lecco, vicino alla casa di un suo figlio illegittimo. Una morte che ha lasciato alla famiglia, pur pagati i tanti conti in sospeso, una considerevole eredità da dividere ma anche un complesso intrico di interessi.
Olivares, ex studente presso i Gesuiti che lo vorrebbero nel loro ordine, ma lui nicchia ancora dopo la parentesi militare in Svizzera (guerra dei trent’anni) per difendere la fede contro gli eretici con per compagno Grauembart un capitano miscredente, dove il saggio consiglio di frate Pizarro gli ha suggerito di provare anche altro ed è felicemente sopravvissuto alla peste. Ora vive a Milano, ha un importante incarico ben remunerato, ampia libertà d’azione e può muoversi in lungo e largo nei territori del Ducato.
Ma chi ha ucciso l’Innominato ? Cui prodest? Qualcuno per vendicarsi? I parenti? I suoi ex bravi, messi a stecchetto dalla sua improvvisa conversione e, in una Milano ancora traumatizzata dalla peste, rimasti senza lavoro? Ma se i parenti ci guadagnano qualcosa, gli ex bravi no, o almeno pare. Cosa che dovrebbe farli scartare… Il recente e, se non c’entrano, malaugurato trasferimento di Renzo e Lucia Tramaglino, invece li infila pari pari nella rosa dei sospetti, l’assassinato era stato complice nel tentativo di rapimento di Lucia organizzato con Gian Paolo Osio, l’amante di Suor Virginia Levya, monaca in Monza. E si potrebbe ipotizzare anche il nome di Don Abbondio, il curato, magari per antiche ruggini e invidie nei confronti del Visconti?
Olivares, interroga e reinterroga gli sposi manzoniani: hanno qualcosa da nascondere? Renzo è ancora impetuoso, e Agnese sua suocera non è certo cambiata ma pur invadente, saccente e spesso importuna, pare abbia colpito al cuore un vecchio commilitone.
Il luogotenente interroga e reinterroga anche Don Abbondio, il pauroso ma avido e ricco curato?
Son tempi grami per quanti cercano di sopravvivere. La peste che ha spopolato la Lombardia può far serpeggiare esasperazione e volontà di rivolta?
Avvalendosi di precisi particolari “La fossa dei lupi” descrive in dettaglio la società e il potere di quegli anni. L’influenza spagnola,i rapporti tra i nobili, le abitudini della popolazione più misera, sempre condannata a subirne l’arroganza. I signori lombardi spendono e spandono senza riguardo dominando la plebe che spesso mangia poco o niente. Povertà e lusso smodato si confrontano con criminalità contrastata solo con mostruose torture e pene di morte, intessute in un mondo denso di proibizioni e segreti. Mentre la Chiesa, nella persona del Cardinale, sollecitando a ogni costo pronte risposte e accuse è sempre disposta a usare le proprie guardie, malviste dalla Giustizia laica di Milano, per dominare fino a prevaricare.
Ciò nondimeno Don Diego Antonio de Olivares, passo passo ma con determinazione, allargherà le sue indagini a macchia d’olio, spaziando tra i troppi nullafacenti, bisognosi di guadagnarsi da vivere a ogni costo e, messo sulle tracce delle malefatte di Paolo Osio e della Monaca di Monza, complici di Don Rodrigo e dell’Innominato nel tentativo di sequestro di Lucia Mondella ai fini di stupro, verrà a conoscenza di quali orrendi e reiterati delitti la curia milanese imputi loro e della terribile condanna che sta pendendo sulle loro teste. E in caccia della corrispondenza del defunto padre di Don Ottaviano Gallarati, amico e foraggiatore di crimini all’Innominato, che potrebbe aiutare a risolvere il caso del suo omicidio, chiederà udienza alla vedova,la dotta , poetessa curiosa e stravagante scienziata Donna Polissena, una bella signora evasiva e attraente. Con la quale scoprirà di condividere la passione per la letteratura, l’arte e forse altro… Talmente affascinante e seducente, nonostante gli occhiali che porta, un vezzo pare, persino in grado di spingerlo a fare alcune scelte della vita. E a risolvere il suo personale conflitto fra carne e spirito. Conflitto che per lunghi anni, dopo aver pensato a una vita religiosa sulle orme di Ignazio di Loyola, ambendo addirittura a un possibile martirio in terra lontana gli fa invece desiderare oggi l’amore carnale e il piacere condiviso. E sognare un futuro?
Ma prima di bearsi in un finale a potenziali tinte rosa, come un prestigiatore andando anche a scavare nei quartieri malfamati milanesi, Olivares dovrà sbrogliare e risolvere la sua spinosa indagine thriller ,districarsi tra i miracoli veri o inventati, pericolosi attentati e trasversali prezzolate vendette.

Ben Pastor, scrittrice italoamericana, all’anagrafe Maria Verbena Volpi, nata a Roma ma trasferita ben presto negli Stati Uniti, ha insegnato Scienze sociali presso le università dell’Ohio, dell’Illinois e del Vermont. Oltre a Lumen, Luna bugiarda, Kaputt Mundi, La canzone del cavaliere, Il morto in piazza, La Venere di Salò, Il cielo di stagno, – ovvero il ciclo del soldato-detective Martin Bora (pubblicati da Hobby&Work a partire dal 2001 e poi da Sellerio) – è autrice di I misteri di Praga (2002), La camera dello scirocco, omaggi in giallo alla cultura mitteleuropea di Kafka e Roth (Hobby &Work), nonché de Il ladro d’acqua (Frassinelli 2007), La voce del fuoco (Frassinelli 2008), Le vergini di pietra e La traccia del vento (Hobby & Work 2012), una serie di quattro thriller ambientata nel IV secolo dopo Cristo. Nel 2006 ha vinto il Premio Internazionale Saturno d’oro come migliore scrittrice di romanzi storici. Le sue opere sono pubblicate negli Stati Uniti e in numerosi Paesi europei. Nel 2014 esce La strada per Itaca (Sellerio) e nel 2020 Il ladro d’acqua (Mondadori). Nel 2023 esce per Sellerio La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora.

:: La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora di Ben Pastor (Sellerio 2023) a cura di Giulietta Iannone

22 aprile 2024

In attesa del prossimo romanzo di Ben Pastor con protagonista Martin Bora1, tormentato ufficiale della Wehrmacht sotto Hitler, esce sempre per Sellerio una nuova raccolta di racconti lunghi, dopo La morte, il Diavolo e Martin Bora (Tre fratelli, La finestra sui tetti, Bocca di inferno ricompariranno anche nel nuovo libro), dal titolo “La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora“, otto bellissimi racconti, che vanno dal 1941 al 1944, divisi in due parti: la prima ambientata sul fronte orientale (Tre fratelli, La finestra sui tetti, Il giaciglio di acciaio e Onegin); la seconda ambientata sul fronte italiano (Il sangue dei santo, Nodo d’amore, Non si sentivano i treni e Bocca di inferno). Alcuni racconti sono già apparsi tempo fa su antologie italiane e straniere, altri sono totalmente inediti, ma tutti quanti sono stati rivisti, aggiornati e abbondantemente ampliati come ci ha segnalato l’autrice. Di carattere più intimista rispetto ai romanzi, i racconti si riservano il privilegio di evidenziare aspetti del carattere di Bora più romantici e melanconici, pur conservando il suo spirito investigativo teso a una ricerca disperata della verità, quasi metafisica. Bora non si arrende e tra i milioni di assassinati dalla guerra cerca i colpevoli di piccoli delitti, se vogliamo anche banali, per giustificare il suo essere ancora umano in un mondo di barbarie. E’ sempre un piacere leggere i libri di Ben Pastor, per la sua scrittura ricca e compositamente elegante, per metterli da parte e poi rileggerli in futuro. Si sa il tempo cronologico non è una cosa che interessa all’autrice e questo le permette di tornare sui suoi passi e approfondire aspetti del carattere di Bora che erano parsi nei romanzi sotto traccia. Se nei romanzi l’investigazione ha il privilegio di attirare l’attenzione del lettore, in questi racconti è il mutevole stato d’animo di Bora sotto i riflettori, un uomo del suo tempo, con lampi di eterno che squarciano le tenebre e i misteri dell’essere umano assoluto, vittima e allo stesso tempo carnefice di un gioco di cui non conosce appieno le regole. E più il tempo passa, più i morti si assommano ai morti, e più Bora si fa consapevole, e la sua autocoscienza rivela i tarli della corruzione che su di lui quasi per miracolo restano solo in superficie. Lui sente che la sconfitta è vicina, quasi una sconfitta del male assoluto sul bene, e si sente parte di questo periodo catartico della storia e ne cerca un senso. Un senso nel padre che denuncia il figlio, un senso nella morte di una strega-prostituta sotto i cieli dell’Ucraina. Più amari e disperati i racconti ambientati in Italia, anche se forse anche i più sentimentali, quando anche l’amore per Benedickta è ormai perduto e la disillusione è completa, con Bora sempre più consapevole dei propri limiti e delle proprie mancanze. Parlavo di ricerca della verità, verità che si riflette su se stesso, in ogni indagine più che un colpevole cerca verità su di sè, verità scomode e dolorose che non portano a una ricomposizione dell’ordine frantumato e perduto. Anzi al contrario pongono altri dubbi e altre sfide, perchè il mistero dell’animo umano è un mistero senza soluzione.

1Sì, mi confermano che è iniziata la stesura in inglese di un nuovo Bora (che non sarà l’ultimo). Titolo provvisorio: “Lo specchio del pellegrino“. L’azione si svolge ad Odessa nel 1941 e ha a che fare con l’omicidio di un giudice dell’ufficio crimini di guerra.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012, 2022), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017), La notte delle stelle cadenti (2018), La canzone del cavaliere (2019), La sinagoga degli zingari (2021), La Venere di Salò (2022), La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora.

:: La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora di Ben Pastor (Sellerio 2023)

6 gennaio 2024

Otto racconti con Martin Bora, l’eroe tormentato con cui Ben Pastor ha conquistato gli appassionati del giallo storico. Tra scenari di guerra, omicidi e indagini al fronte, l’ufficiale della Wehrmacht è sempre più stretto nel suo dilemma morale: obbedire o ascoltare la propria coscienza di uomo?

La saga in giallo dedicata al tragico, malinconico ufficiale della Wehrmacht ha un carattere romantico che nei racconti viene accentuato ancor più che nei romanzi. Proprio perché centrati sull’eroe solitario sconfitto in partenza.
Nel 1941, in un villaggio ucraino abbandonato dai sovietici, von Bora in-contra Vladimir Propp, lo scienziato leningradese che scoprì lo schema universale della fiaba popolare; con un tale esperto di folklore al fianco, inizia a investigare sull’omicidio di una strega-prostituta.
Anche negli altri racconti, è come se l’amletico detective cercasse nella più attenuata assurdità del delitto un riparo dalla più grande assurdità della guerra; ad aiutarlo, in questa fuga in una norma paradossale, è come se ci fosse un secondo personaggio, un quasi nemico-amico, volontario o meno.
A Praga nel 1942, mentre Heydrich pianifica la soluzione finale per gli ebrei cechi, sono due vecchietti nel cortile sotto alla finestra che attraggono la sua attenzione durante un’indagine su un collaborazionista assassinato. Il pensiero della moglie Dikta è il dolce veleno che lo toglie dal giaciglio d’acciaio di Stalingrado. Il vecchio maestro che denuncia il figlio ai nazisti, in un villaggio della Russia occupata, riporta Martin a una vendetta familiare in quelle terre di sangue.
Le altre storie della seconda parte hanno luogo sotto i cieli più luminosi dell’Italia occupata. Un delitto passionale nel veronese del ’43 che coinvolge un prete, le guardie di Salò, una vedova. Un gioielliere a Littoria ucciso per una spilla dal nome allusivo, il nodo d’amore. Un vecchio su un treno, in Toscana nel 1944, che racconta dell’omicidio di due amanti. Una specie di faida familiare sull’Appennino e l’astuzia di un partigiano.
L’opera narrativa di Ben Pastor è la biografia ideale di un uomo tormentato dal delitto e dalla guerra, in cui è incarnato il dramma feroce di una parte degli ufficiali della Wehrmacht sotto Hitler. La storia di un Io diviso: un uomo giusto dentro una divisa sbagliata, un investigatore angosciato dall’insensatezza del dovere in mezzo ai milioni di assassinati dalla guerra.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012, 2022), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017), La notte delle stelle cadenti (2018), La canzone del cavaliere (2019), La sinagoga degli zingari (2021), La Venere di Salò (2022), La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora.

:: La Venere di Salò di Ben Pastor (Sellerio 2022) a cura di Valerio Calzolaio

22 novembre 2022

14 ottobre – 17 dicembre 1944. Salò e dintorni. Martin-Heinz Douglas Wilhelm Frederick von Bora, molto alto con capelli scuri e occhi verdi, nobile famiglia sassone, diplomatici militari proprietari terrieri, pure editori da un paio di secoli, genitori cugini di primo grado con una differenza d’età di trent’anni, padre direttore d’orchestra morto e madre anglo-scozzese risposatasi con un autorevole generale, sta per compiere 31 anni (l’11 novembre) ed è colonnello dell’Abwehr (servizio segreto militare) destinato a Brescia. Improvvisamente agenti della Gestapo lo prelevano in modo intimidatorio portandolo in auto a Salò, sulle rive del lago di Garda, con l’apparente ruolo di ufficiale di collegamento tra la Wehrmacht e la Repubblica Sociale Italiana. Il generale Sohl e il maggiore Lipsky gli affidano un ulteriore incarico: ritrovare un prezioso quadro di Tiziano, rubato dal palazzo ove avevano stabilito la loro sede. Sia la villa requisita che il quadro appartengono al ricco industriale Giovanni Pozzi, che come risarcimento ottiene l’esclusiva sulla fornitura di telerie all’esercito. Il traffico di opere d’arte appare ampio, inoltre Bora intuisce che una o più donne considerate suicide potrebbero essere vittime di omicidio, tutte in qualche modo legate a Pozzi. L’antiquario ebreo Mosé Conforti gli mostra la bella copia del quadro, Martin sempre più affascinato da Anna Maria, figlia di Pozzi, con la quale inizia una breve intensa relazione. Ma l’agente della Gestapo Jacob Mengs lo bracca completando il dossier a suo carico, materiale sufficiente all’arresto e all’incriminazione. Lui risolve i casi ma lo portano a Milano. Gli vengono imputati aiuti forniti a ebrei, traduzioni di opere straniere (di cui a Lipsia si occupa la casa editrice di famiglia), i rapporti diplomatici stabiliti con i russi, oltre ad altre note storie “segrete” e “doppie” del passato.

La bravissima docente universitaria americana Ben Pastor, di gioventù italiana (Maria Verbena Volpi, Roma 1950), pubblicò nel 1999 negli Stati Uniti il primo romanzo della splendida serie di Martin Bora. Bilingue, preferisce scrivere in inglese. Accanto a decine di altri romanzi storici e racconti gialli e a saggi di scienze sociali, da allora ne sono seguiti ben undici della serie, questo come uscita è il sesto (2006) ma cronologicamente quello finora più vicino a noi e all’epilogo. La complicata biografia scelta per il ricco severo protagonista (si tratta di un soldato fedele, contrario ai “metodi” nazisti; ha perso la mano sinistra in un attacco dei partigiani l’anno prima, ora ha una protesi) consente all’autrice di andare avanti e indietro nei tempi e nei luoghi del secondo conflitto mondiale, dagli antefatti spagnoli all’evoluzione della Germania nazista, approfondendo con cura storica ecosistemi geografici distanti e contesti sociali differenti. Non a caso per Bora si è parzialmente ispirata all’identità di Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg (Jettingen-Scheppach, 15 novembre 1907 – Berlino, 21 luglio 1944), il militare tedesco autore dell’attentato del 20 luglio contro Adolf Hitler, la nota Operazione Valchiria (evocata e appena fallita in realtà rispetto ai tempi del romanzo). L’avvincente narrazione è in terza, alternando rivali e altri protagonisti; il protagonista talora anche in prima e corsivo, grazie agli appunti che qui ricomincia a scrivere sul diario in minuto corsivo gotico. Il titolo fa riferimento al sensuale quadro dell’investigazione “gialla”, si tratta comunque nell’insieme di una tragica vicenda noir sull’animo umano di alleati e nemici, ladri e onesti, capi e subalterni, donne e colleghi, all’interno di un dramma storico globale. All’inizio l’elenco dei personaggi, tedeschi e italiani; in fondo un breve glossario, i ringraziamenti e la cronologia delle “inchieste” di Bora.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017), La notte delle stelle cadenti (2018) e La sinagoga degli zingari (2021).

Source: libro del recensore.

:: Un’intervista con Ben Pastor a cura di Giulietta Iannone

23 gennaio 2022

Bentornata Ben su Liberi di scrivere e grazie di averci concesso questa nuova intervista, parleremo del tuo nuovo libro La sinagoga degli zingari e dei tuoi progetti futuri. Iniziamo con il chiederti: La sinagoga degli zingari è davvero l’ultimo libro della serie dedicata a Martin Bora, o è una classica fake news?

Direi che si tratta di una fake news. Infatti, ho in programma almeno altri due, forse tre, romanzi con Martin Bora. Del resto, Bora deve ancora confrontarsi con gli ultimi, drammatici mesi della Seconda guerra mondiale. Il ciclo, quindi, non finirà con La Venere di Salò, ambientata nella Repubblica Sociale Italiana alla fine del 1944, ma andrà avanti fino alla battaglia di Lipsia (primavera 1945).

La sinagoga degli zingari, (The Gipsy Synagogue 2021), edito in Italia da Sellerio e tradotto dall’inglese da Luigi Sanvito, è il tredicesimo libro che hai dedicato a Martin Bora. Siamo nell’agosto del 1942 ad un passo dall’assedio di Stalingrado, città che come la sinagoga degli zingari sembra più un sogno o meglio un incubo irraggiungibile. Si può dire che l’esercito di Hitler fu sconfitto sul campo russo, che fu già fatale a Napoleone?

Certo, l’esercito tedesco, analogamente a quello napoleonico, fu sconfitto da un insieme di fattori che nel corso di qualche mese si rivelarono decisivi. Cito i principali: condizioni climatiche estreme, eccessivo allungamento delle linee di rifornimento, scarsa conoscenza della reale consistenza delle forze nemiche. Un altro fattore che si rivelò funesto per le fortune tedesche a Stalingrado fu la scarsissima capacità strategica e l’imperdonabile irresolutezza di Paulus, comandante in capo della VI Armata. Persona sbagliata al posto sbagliato nel momento sbagliato, commise errori su errori, si rifiutò di disobbedire agli ordini hitleriani di tenere la città a ogni costo, precludendosi così ogni via di fuga dalla Sacca quando era ancora possibile, e condannando a morte (o nei migliori dei casi alla prigionia) centinaia di migliaia dei suoi sottoposti.

La campagna di Russia fu devastante sia per i tedeschi che per i suoi alleati, come ti sei documentata?

Be’, il lavoro di ricerca è stato estremamente complesso. È durato quasi due anni e ho dovuto impiegare parecchie lingue per impadronirmi delle fonti primarie e secondarie: non solo italiano, ma anche inglese, tedesco, russo, romeno e francese. In proposito, mi permetto di citare quel che ho scritto nella nota finale al romanzo:

“Nel corso di più di un settantennio, innumerevoli storici, analisti, saggisti e romanzieri hanno scritto decine di migliaia di pagine sulla battaglia di Stalingrado, tra i punti di svolta della Seconda guerra mondiale e tragedia umana di proporzioni apocalittiche (oltre un milione di perdite tra morti, dispersi e prigionieri). Talvolta la ricostruzione di quei drammatici giorni non è andata esente da errori materiali, distorsioni propagandistiche e grossolane manipolazioni ex post, sia da parte tedesca che da parte sovietica. Attraverso il dipanarsi dell’intreccio giallo, quello che ho cercato di restituire ne La sinagoga degli zingari, grazie all’analisi di un’amplissima messe di fonti primarie e secondarie, è esattamente il contrario: un ritratto realistico, credibile e antiretorico – giacché esiste, assai discutibilmente, sia la retorica della vittoria che quella della sconfitta – di uno degli eventi nel contempo più sanguinosi e tragicamente assurdi del Secondo conflitto mondiale. Naturalmente non spetta a me stabilire di esserci riuscita, bensì, come sempre, a chiunque abbia avuto, o avrà, la bontà di leggermi. Ciò premesso, devo tuttavia assolvere al piacevole obbligo di ringraziare una serie di amici, storici e cultori di discipline militari che ho letteralmente scomodato ai quattro angoli del mondo, dall’Italia alla Federazione Russa, dalla Germania all’Australia, subissandoli di domande, interrogativi e richieste di chiarimenti…”

Ho avuto modo di sfogliare Unternehmen Barbarossa im Bild: Der Russlandkrieg fotografiert von Soldaten di Paul Carell e mi ha colpito davvero la piccolezza dell’uomo paragonato ai grandi spazi della campagna russa. Hai visto anche tu questo albo fotografico? Altre documentazioni fotografiche?

Sì, conosco il testo che citi. Ma a parte Carell, ho esaminato letteralmente migliaia di foto (e qualche decina di filmati), nel tentativo di ricostruire con la più grande esattezza possibile gli ambienti, gli uomini e il territorio che ha fatto da sfondo alla battaglia di Stalingrado. Da questo punto di vista, si sono rivelati molto utili gli archivi fotografici dell’attuale esercito tedesco. Peraltro, non mancano neppure copiose raccolte di fotografie gestite da privati. Ho cercato di mettere a buon frutto entrambe queste fonti.

A Bora viene dato l’incarico di scoprire il destino di due coniugi romeni, scienziati con importanti studi sull’atomo, colleghi di Fermi e Majorana. Se Hitler fosse arrivato per primo ai progetti di una bomba atomica, secondo te saremmo ancora qui? L’umanità sarebbe sopravvissuta?

Quella della bomba atomica di Hitler è una delle tante leggende sinistramente suggestive della Seconda guerra mondiale, ma la realtà storica è ben diversa, e, se vogliamo, più banale. Infatti, anche se il Reich poteva avvalersi di fisici del calibro di Heisenberg, alla Germania mancavano tuttavia sia le materie prime (uranio-plutonio in quantità sufficiente e acqua pesante per un reattore), sia le competenze ingegneristiche per assemblare un congegno atomico che fosse davvero in grado di fare il suo apocalittico lavoro. Né va dimenticato che Hitler credeva assai poco nell’arma nucleare; preferiva affidarsi alle V-1 / V-2 e ai caccia a reazione.

Un doppio mistero: un’indagine poliziesca, con le sue ripercussioni politiche, economiche, morali, e un’indagine nell’animo e nel subconscio di Bora. Ce ne vuoi parlare?

Come sempre nel ciclo di Martin Bora, all’indagine su un caso criminale si accompagna un’esplorazione dell’interiorità del protagonista. Ne La sinagoga degli zingari Bora, in maniera inaspettata, si ritrova a fare i conti con alcuni fantasmi del suo passato, a partire dall’ingombrante figura del suo padre naturale, tanto più presente nella sua anima quanto più è restato assente nella sua vita. E poi c’è la componente psicologica legata al durissimo assedio di Stalingrado, che progressivamente porta Bora sull’orlo della follia, mentre i suoi compagni cadono uno dopo l’altro, le condizioni climatiche si fanno sempre più proibitive, e ogni ragionevole speranza di salvezza sembra svanire grazie alle indecisioni di Paulus. Così, fuggire da Stalingrado e risolvere il doppio caso di omicidio che mesi prima gli era stato affidato, significa per Bora non solo sciogliere un mistero, ma anche e soprattutto ricostituire la sua identità psichica, ricomporre le tessere del suo mondo interiore, sopravvivere al trauma e ritrovare una ragione per andare avanti. Anche se certe ferite interiori legate a quell’esperienza allucinante non si rimargineranno mai del tutto.

In questi giorni sto leggendo in occasione de Il Giorno della Memoria, Il vescovo che disse “no” a Hitler di Gunter Beaugrand, sulla vita e il pensiero di Clemens August von Galen, come Bora nobile, cattolico, strenuo oppositore del nazismo. Hai pensato di farlo diventare un personaggio dei tuoi romanzi, magari coinvolto con Bora in qualche indagine?

Non lo escludo affatto!

Grazie, della disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato, a rileggerti presto.

:: La sinagoga degli zingari di Ben Pastor (Sellerio 2021) a cura di Giulietta Iannone

10 gennaio 2022

La sinagoga degli zingari, (The Gipsy Synagogue 2021), edito in Italia da Sellerio e tradotto dall’inglese da Luigi Sanvito, è il tredicesimo libro di Ben Pastor che ha per protagonista l’affascinante e tormentato Martin Bora, aristocratico ufficiale dell’esercito tedesco, in forze ai servizi di controspionaggio, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Agosto 1942-marzo 1943. Due sono i misteri al centro di questo romanzo, complesso e difficile forse ancora più dei romanzi precedenti dell’autrice: scoprire chi ha ucciso due famosi scienziati romeni, e scoprire il significato di un sogno ricorrente in cui appare la Sinagoga degli zingari, sempre sfuggente, che oltre a dare il titolo al romanzo è anche il titolo di un’opera musicale scritta dal padre di Bora.

Un doppio mistero: un’indagine poliziesca, con le sue ripercussioni politiche, economiche, morali, e un’indagine nell’animo e nel subconscio di Bora, mai come in questo libro nudo difronte al lettore.

Sullo sfondo l’assedio di Stalingrado, una delle pagine più dolorose e terribili della Seconda Guerra Mondiale, descritta da Pastor con una tale dovizia di particolari e una tale sensibilità da apparirci in tutto il suo agghiacciante orrore, tanto che Bora pure sopravvivendo ne uscirà sdoppiato, una frattura insanabile infatti avverrà nella sua anima, una frattura che gli farà prendere coscienza di essere morto anche lui con i suoi uomini in quell’inferno, e che il Bora che uscirà da Stalingrado non potrà che essere l’ombra di sé stesso, un golem, un feticcio proiettato verso l’insensatezza delle fasi finali di una guerra ormai perduta. Di un mondo ormai perso per sempre, la cui condanna è il vuoto e l’annientamento.

La sinagoga degli zingari è senz’altro il più drammatico e oscuro romanzo della serie, non solo per le pagine di guerra, ma per quello scavo nella mente devastata del protagonista, andato ben oltre ai limiti umani, tra malattia, freddo, ben oltre i trenta gradi sotto zero, la paura, la disperazione.

Tra la narrazione in terza persona e le parti in prima persona tratte dai diari e dalle lettere si compone un puzzle di straordinario nitore, un affresco che ho veduto scorrere sotto i miei occhi e mi ha ricordato l’impressione che ho avuto sfogliando Unternehmen Barbarossa im Bild: Der Russlandkrieg fotografiert von Soldaten di Paul Carell, che vi consiglio anche se è in tedesco, è una collezione di fotografie di cui ne ricordo soprattutto una in cui un soldato con la testa fasciata in una benda macchiata di sangue si accende una sigaretta. Lo regalò mio zio a mio nonno, generale in pensione, che trascorse la Seconda Guerra Mondiale prigioniero in India degli inglesi e ricordava che di tutti i suoi colleghi quelli che furono mandati sul fronte russo non fecero più ritorno.

Una pagina di storia, un ritratto psicologico e morale di indubbia intensità, che portano un nuovo tassello nella saga di Bora, e confermano Ben Pastor come uno dei più significativi e profondi scrittori di romanzi storici ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017), La notte delle stelle cadenti (2018) e La sinagoga degli zingari (2021).

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo l’ufficio stampa Sellerio.

:: La sinagoga degli zingari di Ben Pastor (Sellerio 2021) esce oggi 21 ottobre

26 settembre 2021

Ecco in anteprima la copertina:

In anticipo, era prevista l’uscita il 31 ottobre, esce oggi La sinagoga degli zingari di Ben Pastor per i tipi della Sellerio, Martin Bora nell’inferno dell’assedio di Stalingrado. Ecco a voi la trama dal sito Sellerio:

Agosto 1942-marzo 1943. Martin von Bora, uomo tormentato e diviso, ufficiale tedesco dominato da un senso dell’onore che lo imprigiona, è sul fronte di Stalingrado. Riceve l’ordine dal comandante supremo, generale Paulus, di indagare, in quanto agente esperto del controspionaggio, sulla scomparsa nella steppa (incidente, assassinio?) dei coniugi romeni Nicolae Tincu e Bianca Costin, venuti in visita privata al quartier generale delle forze tedesche. L’ordine è strano sotto tutti i punti di vista, in un momento come quello; e i so-spetti si infittiscono presto, quando scopre che i due romeni sono tutt’altro che ospiti banali, ma importanti scienziati che hanno collaborato con Enrico Fermi ed Ettore Majorana. L’indagine si trascina per mesi, nel caos infernale dell’assedio. Bora trova l’aiuto, e forse la vicinanza umana, di un maggiore italiano, Amerigo Galvani, con il quale intravede nel delitto una complicata catena che lega e confonde guerra, interessi privati, spionaggio di alleati e di nemici. Ma tutto affoga in un teatro di ferocia che a Martin appare ogni giorno che passa più catastrofico e rivelatore. E lascia in lui, molto più che una delusione, un senso di nulla.
Le tante avventure del detective dell’Abwehr Martin von Bora, un aristocratico spirito d’artista chiuso dentro la divisa della Wehrmacht, un uomo giusto costretto da un perverso giuramento di fedeltà, corrono dalla Guerra di Spagna alla fine della Resistenza, e spaziano dall’Aragona all’Unione Sovietica. Romanzo dopo romanzo, vanno narrando, in chiave poliziesca, con un’esattezza che conosce gli umori dei comandanti così come le smorfie dei cecchini, la Seconda guerra mondiale, vissuta da un altro, estremamente solitario, punto di vista. Gialli con all’interno un lacerante quesito storico-morale.

:: La grande caccia di Ben Pastor (Mondadori 2020) a cura di Giulietta Iannone

23 luglio 2020

La grande cacciaLa brava e talentusosa Ben Pastor è molto conosciuta sul nostro blog specialmente per la sua serie dedicata a Martin Bora, aristocratico ufficiale dell’esercito tedesco, in forze ai servizi di controspionaggio durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma è anche autrice di una serie ambientata nell’Antica Roma che ha per protagonista Elio Sparziano, personaggio storico veramente esistito, militare e storico di cui sappiamo in verità ben poco, lasciando grande spazio a Ben Pastor per creare il suo personaggio.
La grande caccia è il quinto episodio della serie con Sparziano protagonista e ci porta nella Palestina del IV° secolo dopo Cristo, al tempo dei quattro co-imperatori, tra cui Galerio e Massimino Daia in Oriente, sulle tracce di un immenso tesoro.
Apparentemente infatti Sparziano viene incaricato di censire i cristiani della provincia, possibili fautori di disordini (si rifiutano ostinatamente di bruciare incenso nei templi romani, tra le loro tante eccentricità), ma in realtà la sua grande missione è appunto trovare questo grande tesoro.
E non sarà facile, innanzitutto perché è ben nascosto, poi perché in molti lo vogliono e sono pronti a tutto per ottenerlo. La sua strada infatti sarà presto costellata di morti, e fin da subito Sparziano si rende conto che salvare la pelle sarà forse il suo compito più importante e difficile.
Misteri, tesori nascosti, pericoli, intrighi, insomma l’avventura al suo meglio, in un grande affresco storico pieno di dettagli, curiosità, e scene di vita vissuta.
Ben Pastor dopo aver abbandonato per un po’ l’Europa della Seconda Guerra Mondiale, ci porta nell’Antica Roma, ricostruendo il periodo in cui si muove Sparziano con grande passione e meticolosità, come ci ha da sempre abituato.
Poi di bello c’è che tutto sembra così vivido, colorito, vitale, anche attuale per certi versi, gli splendori dell’epoca dei Cesari sta volgendo al termine, e la crisi e già nell’aria. Troppe forze contrapposte si muovono nell’ombra e sembrano minare dalle fondamenta l’Impero, non da ultimo questa “strana” religione dei seguaci di Cristo. L’editto di Costantino sarà promulgato a breve nel 313 d. C.
Elio Sparziano è un bel personaggio, un uomo del suo tempo, un militare fedele a Roma e nello stesso tempo amante della storia e delle culture e tradizioni dei popoli. Scambia una fitta corrispondenza epistolare con la madre e con una prostituta che gli racconta le sue preoccupazioni per la figlia di un suo antico amore.
La grande caccia è un romanzo lungo, ad ampio respiro, fitto di scrittura densa e storicamente documentatissima, in cui emerge un mondo perduto in cui ambizioni, avidità e sete di potere spingono le persone a compiere i peggiori eccessi.
Interessante.
(The great chase, 2019), Mondadori editore, 2020, traduzione di Luigi Sanvito.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico con le serie di Martin Bora, di Praga e di Elio Sparziano, tradotte in molti Paesi. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017) e La notte delle stelle cadenti (2018). Premio Flaiano 2018. Della serie di Sparziano ha pubblicato Il ladro d’acqua, La Voce del fuoco, Le Vergini di Pietra, La traccia del vento, e La grande caccia.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Anna dell’Ufficio stampa Mondadori.

:: La grande caccia di Ben Pastor (Mondadori 2020)

19 Maggio 2020

La grande caccia306 d.C., anno 1059 dalla fondazione di Roma. L’imperatore Galerio decide di censire i cristiani dell’irrequieta provincia di Palestina con lo scopo di indurli a riconoscere la religione ufficiale e dà l’incarico a Elio Sparziano, fidato ufficiale di cavalleria, storico e biografo. Questo sulla carta, perché ciò che preme davvero a Galerio è mettere le mani sul leggendario tesoro dei Maccabei, nascosto in un luogo segreto circa vent’anni prima. E soprattutto, deve impedire che il tesoro cada nelle mani dell’ambizioso Costantino, pronto a succedere al trono. Mentre si diletta a “censire” anche i migliori bordelli dell’Impero, Sparziano si mette sulle tracce del prezioso bottino. Ma non è il solo: con lui Elena, madre di Costantino, donna intrigante e priva di scrupoli, disposta a tutto per promuovere l’ascesa del figlio ai vertici dell’Impero.

Città arroventate dal sole, villaggi sperduti, un marinaio ossessionato da una misteriosa creatura marina sono gli anelli di una catena in cui si snoda una frenetica caccia all’oro tra morti misteriose, inganni, passioni, speranze, fedeltà, coraggio. Essere pedina o mossiere, preda o predatore può dipendere da un battito di ciglia; è un gioco spietato in cui il premio finale non è l’oro, ma la vita stessa.

(The great chase, 2019), Mondadori editore, 2020, traduzione di Luigi Sanvito.

Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico con le serie di Martin Bora, di Praga e di Elio Sparziano, tradotte in molti Paesi. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017) e La notte delle stelle cadenti (2018). Premio Flaiano 2018. Della serie di Sparziano ha pubblicato Il ladro d’acqua, La Voce del fuoco, Le Vergini di Pietra, La traccia del vento, e La grande caccia.

:: Ben Pastor torna in libreria

5 febbraio 2020

Ben PastorUn aggiornamento per i molti amici di Ben Pastor che mi chiedono notizie delle sue prossime pubblicazioni in Italia.

Allora causa emergenza Covid 19 l’uscita prevista per metà marzo per Mondadori della prossima avventura di Elio Sparziano, dal titolo “La grande caccia“, è stata posticipata al 12 maggio.

Trama e cover blindatissime, ma appena so qualcosa vi aggiorno.

Poi l’autrice sta scrivendo proprio in questi giorni il nuovo libro della serie dedicata a Martin Bora. Come ci aveva precedentemente anticipato avrà al centro il dramma militare e umano che ha coinvolto centinaia di migliaia di soldati subito prima, durante e immediatamente dopo l’epocale battaglia di Stalingrado. Tedeschi, italiani, russi, romeni, ungheresi versarono il loro sangue in Russia tra il Don e il Volga nei sei mesi dall’agosto 1942 al gennaio 1943.

Dunque sarà La sinagoga degli zingari (sempre che confermino questo titolo), il prossimo libro della serie Bora in ordine di pubblicazione. Per la trama e i tempi naturalmente è ancora prematuro. Una volta terminato sarà necessario farlo tradurre in italiano, (ricordiamo l’autrice scrive in inglese) quindi così a grandi linee se ne parlerà verso l’autunno.

Per ora è tutto, ci sentiamo presto.