Archive for the ‘Uncategorized’ Category

:: Predatori notturni. Assedio a Roma sud di Marzia Musneci, Todaro a cura di Patrizia Debicke

7 ottobre 2023

Basta ripensare al clima e ai tipici personaggi del mondo delle borgate romane degli anni 70 per immedesimarsi nelle folli avventure dei due gemelli congiunti (o meglio dire siamesi) Zek e Sam. E per chi ha l’età, basterebbe ricordare i film dell’epoca con il barbuto Tomas Milian, nome d’arte di
Tomás Quintín Rodríguez. Tomas Milian, ottimo attore, sceneggiatore e cantante cubano naturalizzato americano che, con la voce presa a prestito da Ferruccio Amendola, interpretava er Monnezza, opportunista, abile e geniale ladruncolo della capitale.
Però nella Capitale persone come lui esistevano davvero, giravano e si menavano tranquillamente per strada. Per poi diventare gli straordinari interpreti di celebri stornelli romani quali: Nun Ce vojo sta, Roma Capoccia, Sora Rosa, E lasseme perde… Magari poi trasformati in felice accompagnamento musicale per tanti film. Canzoni che, se ci si pensa bene, rispecchiano in gran parte lo spirito e l’atmosfera che accompagna i gemelli congiunti (traduco gemelli siamesi) ventitreenni protagonisti di Predatori notturni: casuale comicità, un’intima sofferenza mai placata e un’ inconscia pulizia, nonostante le loro scelte di vita spesso non encomiabili .
Dunque dicevamo i biondi gemelli siamesi Zek e Sam, che abbiamo già incontrato in Grosso Guaio a Roma, sono finiti nei guai con la giustizia e benché se la siano fortunosamente cavata con una pena alternativa e l’obbligo di prestare servizio e dare lezioni di pugilato presso i ragazzini dell’orfanatrofio, la vita è dura. A breve andranno a dare una mano nel fine settimana da Abbe e per ora ci campano a pranzo e cena ma nel frattempo si arrangiano a guadagnare due spicci con Minny che li paga per pulire la sua palestra di pugilato la Vigor, e a dare una mano ad allenare principianti, ma è magra, parecchio magra.
Niente più lucrosi pestaggi e furti su commissione. Non possono più sgarrare insomma, devono rigare dritto o finiscono in galera perché oltre al viceispettore Nick Badile e l’ispettore Miriam Fantini, c’è praticamente tutto il quartiere che li controlla. Ma loro, non ce la fanno a stare boni, devono inventarsi qualcosa per raccattare soldi e svoltare.
Ai Ponti il caldo afoso rafforzato dalle riserve a cielo aperto di Forte Ostiense e dell’Acqua Acetosa è diventato quasi insopportabile. E fossero quelle le rogne perché quando, il 12 luglio , nella riserva naturale del Laurentino il fumo ha annunciato il ritrovamento di quella monovolume bruciata con a bordo i cadaveri carbonizzati di una donna e di un ragazzo di circa tredici anni, giustiziati prima con un colpo di pistola in fronte. Poi, per “fare tombola”, lo stesso giorno è stato ritrovato anche un corpo sull’argine dell’Aniene in avanzato stato di decomposizione e, ma guarda un po’, proprio quel giorno, a gironzolare ’ nei paraggi sono stati notate pure le sfuggenti creste bionde dei gemelli siamesi Zek e Sam.

Sanno qualcosa di quelle vittime? Beh, loro quel 12 luglio volevano tentare un colpo da tombaroli per poi rivendere a un danaroso acquirente due pezzi di ponte romano. Un colpaccio per tirare su diecimila euro e svoltare. Ma la faccenda non quadra troppo perché, quando si allontanano con le pietre negli zaini, hanno la spiacevole sensazione di essere seguiti. E il 16 luglio all’appuntamento fissato con il compratore e già pronti a incassare il malloppo, qualcuno scatta un fografia e il falso cliente scappa coi reperti e li frega. Ma quando vogliono fregarli, i gemelli, diventano peggio di carri armati. Però… Comunque da quel momento niente nel quartiere sarà più come prima e Ponti pare scivolato in una specie di turbinoso vortice infernale. Giorno dopo giorno si moltiplicano le minacce di estorsione con falsi ispettori della Asl che vanno di porta in porta e le aggressioni, mentre il giro di prostituzione si allarga e, come se non bastasse, in sovrappiù strani e preoccupanti personaggi vagano di sera e di notte per le strade.
Ma hanno a che fare qualcosa con questa storia la bella bruna, manesca e molto somigliante a Black Dahlia, la magra ragazzina di dieci anni, con una famiglia particolare, attaccata come a una mignatta al suo inseparabile cane, un bastardo striminzito, detto Pulce e il ricchissimo finanziere di Giakarta. Beh sì , intanto ruotano tutti attorno alla faccenda. Ovverosia tanto per cominciare la bella bruna sta cercando il giornalista Bob Carrezza che da alcuni giorni pare dissolto nel nulla, la ragazzina, Geltrude, ha appena messo all’angolo i gemelli perché vuole assolutamente imparare a boxare e il ricchissimo finanziatore di Giacarta ha lasciato la sua lussuosa residenza orientale per arrivare a Roma e sotto falso nome prendere alloggio in un albergo di lusso.
Si sa, il Male non conosce confini e il denaro ma e soprattutto la sete di vendetta portano ovunque. Ma se capita a Ponti e cerca di spadroneggiare crudelmente e senza controllo può succedere che una banda di stravaganti personaggi sia in grado di mettergli i bastoni tra le ruote, controllarlo e magari metterlo fuori combattimento. Almeno per un po’.
Ma si sa il male come l’Idra ha almeno nove teste e stavolta i gemelli finiranno con rischiare di brutto. Per fortuna potranno contare su alcuni generosi appoggi quali: il vice ispettore Nick Castillo e sul suo capo, l’ottima e intuitiva ispettore Miriam Fantini.
Mentre un altro genere di aiuto lo riceveranno da Bob Carrezza, bravo giornalista di cronaca nera, ammanigliato anche in questura, appena miracolosamente sfuggito a un mortale agguato in Transnistra dove si era recato per inseguire uno scoop; dalla fascinosa Black Dalia, rivelatasi figlia dell’ingegnere comunale Dalmine Giuliani, il morto ritrovato sull’argine, ex confidente e gola profonda del giornalista. Poi come non bastasse Zek e Sam, avranno anche l’incondizionato appoggio di Minny Morelli, il loro datore di lavoro e allenatore di boxe, di Abbe, o meglio Abedullah, lo straordinario barista, che ama il curry, erede del locale del sor Quirino e della “magica” Luz sua moglie, l’albina dagli straordinari poteri di sensitiva. Un indispensabile intervento finale poi di un angelo travestito e con le insostituibili cure e premure dell’affezionato medico di famiglia, il dottor Marino.
Una storia portata veramente ai limiti della realtà (suppongo che, se vuol continuare con la serie, Marzia Musneci dovrà adattarsi per forza a far scegliere l’intervento ai gemelli per separarsi ) costruita e ambientata, in una periferia romana, quella del quadrante sud, culla della peggio malavita ma anche di personaggi molto, ma molto speciali.


Marzia Musneci – giallista di vecchia data, ha vinto il Premio Tedeschi nel 2011 col romanzo Doppia indagine, ha pubblicato per Giallo Mondadori Lune di Sangue (premio Ciampino 2013) e Dove abita il diavolo. Scrive racconti per diversi editori e ha pubblicato per Todaro Grosso guaio a Roma Sud, sempre con protagonisti i gemelli congiunti Sam e Zek. Nel 2013 ha vinto il premio internazionale di haiku indetto dalla Cascina Macondo ed è presente nelle raccolte Hanami (inverno, autunno, primavera, estate).

Valentina Belgrado ci racconta la sua raccolta poetica “Cefalea cronica”

25 settembre 2023

“Cefalea cronica” è la raccolta poetica di Valentina Belgrado edita da Gattomerlino, nella quale l’autrice affronta con la poesia, tra toni ironico, garbati e riflessivi, la malattia della cefalea cronica e gli effetti che essa ha non solo su chi ne è affetto, ma anche in rapporto al prossimo e al mondo circostante.

Come è nata “Cefalea cronica” e perché dedicarle un’intera raccolta? L’idea di scrivere qualcosa che riguardasse il dolore cronico è nata come un’esigenza personale; il fatto che sia uscita fuori una raccolta di poesie e, per di più, monotematica è un evento che definirei piuttosto naturale.

Come è stato affrontare tramite la poesia questa malattia cronica debilitante e il modo in cui essa influisce su di te e sulle relazioni con il mondo circostante? Per certi aspetti, potrei ammettere che è stato svevianamente terapeutico; per altri, anche un po’ penoso, perché nell’atto dello scrivere c’è sempre una forte componente di autocompiacimento: ed è lì, quando la distanza tra l’io narrante e la pagina viene meno, che crolla ogni barriera oggettivizzante e tutta la sofferenza strabocca dal testo.

Nel libro si alternano tono ironico e serio, come è stato farli convivere nella raccolta? Sì, è vero. Questo è un po’ tipico mio: far coabitare, nel testo, due registri stilistici apparentemente in antitesi. Mi serve affinché si annullino a vicenda, gli uni con gli altri, in modo che la scrittura non risulti troppo drammatica o, al contrario, esageratamente ludica (anche se, in questo caso, mai avrebbe corso questo secondo rischio).

Ogni poesia, lunga o corta che sia, ha titoli del tipo “Ganglio sfenopalatino”, “Mastoide”, “Lidocaina” o Topiramato”, Gengiva”, “Sofismi talmudici”. Nascono prima i versi o i titoli delle tue poesie? E in base a cosa li scegli? Generalmente, prima i versi, ma non c’è una regola fissa. I titoli sono, naturalmente, un’indicazione di quanto si andrà a leggere subito dopo, in versi.

Tra tutte le poesie presenti nella tua raccolta quale è quella a cui sei più affezionata e perché? A dire il vero, ce ne sono due: “Rileggendo Alice Sebold” e “Una doula”. La prima, perché è quella con cui si apre la raccolta; e la seconda, perché è quella che, a mio avviso, meglio manifesta il bisogno di accudimento di chi ha una sofferenza cronica: con la lettura di “Una doula”, ho concluso finora le presentazioni in pubblico del libro “Cefalea cronica”.

In copertina ci sono i versi di In un lampo”: perché è stata scelta proprio quella? Perché, tra le poesie brevi – che, dunque, potevano rientrare nei margini della cornice grafica della “prima di copertina” – mi sembrava la più evocativa.

Oltre a questa raccolta, cosa rappresenta per te la poesia e cimentarti con essa? Un mezzo di espressione allusivo ma diretto col quale, appunto, mi piace cimentarmi da quando ero molto piccola.

Source: inviato dall’autore.

:: Tutte le parti del mondo di Franco Limardi, Bertoni 2023 a cura di Patrizia Debicke

24 agosto 2023

Con il mondo ancora scosso dagli attentati dell’11 settembre del 2001, gli Stati Uniti appoggiati da un amplissimo fronte antiterrorista, dettero il via a una dura campagna militare (denominata Enduring freedom) per distruggere i campi di addestramento e le installazioni militari di al-Qā‛ida e catturare a ogni costo Bin Laden (già da anni nel loro mirino come ricercato n°1) .
A partire dal 7 ottobre l’Afghanistan fu sottoposto a pesanti bombardamenti da parte dell’aviazione statunitense e britannica, mentre sul fronte interno riprendeva vigore l’offensiva delle forze di opposizione, coordinata e appoggiata dalle forze armate internazionali.
La capitolazione di Kābul (13 novembre) e la successiva presa di Qandahār (7 dicembre) segnarono la sconfitta dei talebani e l’inizio una difficile e lunga fase di transizione verso un nuovo assetto istituzionale del Paese.
La successiva guerra in ῾Irāq fu voluta dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush e dal
gruppo di neoconservatori giunti con lui al potere nel 2001 per dare un’ulteriore risposta
all’attacco dell’11 settembre e, convinti che fosse il mezzo per condurre la lotta al terrorismo
islamico, per affermare la democrazia e rafforzare il potere americano in tutto il Grande Medio
Oriente. La motivazione per l’attacco, a marzo del 2003, fu il presunto possesso da parte del
regime al potere di armi di distruzione di massa e soprattutto di armi chimiche la cui presenza non
era stata verificata dagli ispettori della IAEA (International Atomic Energy Agency) e che, in
seguito, non furono mai rinvenute. Questa guerra ebbe l’unico merito di eliminare la brutale
dittatura di Saddam Hussein (Ṣaddām Ḥusayn), a lungo considerato, fino all’invasione del Kuwait
(1990), come un utile ostacolo all’espansione del fondamentalismo iraniano. Ma finì con provocare
una netta frattura nella comunità internazionale, anche all’interno dell’Alleanza atlantica e
dell’Unione Europea, davanti alla decisione degli Stati Uniti, appoggiata da alcuni stretti alleati (in
primo luogo Regno Unito, Spagna e Polonia), di procedere all’intervento militare pur in mancanza
di un’autorizzazione esplicita del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Guerra che poi ohimé ha causato svariati effetti non previsti e non desiderati, quali forse lo
smisurato dilagare della Jhaad.
E quello fu il motivo che spinse la C.I.A. ad allargare l’ operazione segreta a livello internazionale,
denominata “Extraordinary renditions”. Espressione inglese, da allora usata per indicare le
operazioni illegali di cattura di presunti terroristi effettuate prevalentemente dalla CIA in diversi
paesi del pianeta con lo scopo di combattere il terrorismo internazionale. Insomma tutta una serie di
rapimenti mirati e illegali ai danni di persone ritenute vicine o facenti parte di organizzazioni

terroristiche, al fine di ottenere informazioni utili a evitare nuovi attentati e riuscire a scardinare le
organizzazioni stesse.
Questa “disinvolta” pratica, , prevedeva la cattura e la deportazione di sospetti in luoghi segreti
dove venivano sottoposti a brutali interrogatori. Segregati senza processo in prigioni clandestine,
meglio in paesi dove vigeva ancora la tortura, i presunti terroristi non godevano mai delle garanzie
dei prigionieri di guerra previste dalla Convenzione di Ginevra.
Dopo la condanna nel 2007 da parte del Parlamento europeo, che sottolineava il coinvolgimento e
l’occultamento di tali azioni anche da parte dei governi e dei servizi segreti di alcune nazioni
europee, nel settembre 2010 la Corte europea dei diritti dell’uomo confermò la ferma censura di
tale pratica, rappresentata dall’ emblematico caso del sequestro del cittadino egiziano Abu Omar
(Usama Mostafa Hassan Nasr) avvenuto a Milano nel 2003, compiuto da uomini della CIA con il
coinvolgimento dei servizi segreti italiani. L’uomo fu trattenuto segretamente in detenzione al
Cairo per 14 mesi.
Le “prede” di queste operazioni, alcuni catturati in Europa ma anche in Italia, venivano condotti in
altri paesi, molti tra questi mediorientali, e interrogati utilizzando la tortura.
“Tutte le parti del mondo” è un romanzo che, snodandosi drammaticamente tra Roma e Algeri
scrive di una di queste possibili storie.
Una brutta storia che coinvolgerà volenti o nolenti donne e uomini di differenti origini, diversi
per età, mentalità, abitudini di vita e lavoro, che verranno messi in contatto tra loro tra loro per
abiette trame di potere o vittime di ideali traditi oppure o magari coinvolti per caso e poi spinti
dalla propria coscienza a resistere maldestramente alla violenza della Storia.
Vittime sacrificali e triste filo conduttore della trama saranno due fratelli algerini, con la femmina
maggiore del fratello. Due giovani fratelli che un padre amoroso, un bravo e reputato giornalista
del suo paese, nell’illusione di poter salvare la vita dei figli dalla violenza e crudele repressione in
atto in Algeria anni prima, ha fatto emigrare in Italia. Lui che aveva provato a metterli in salvo è poi
morto ferocemente massacrato da coloro disposti a chiudere la bocca a ogni oppositore , e ai suoi
poveri figli non è rimasta che la possibilità della difficile sopravvivenza in un paese indifferente.
La figlia maggiore ha tentato di mantenersi e far crescere il fratello più piccolo con un lavoro
decoroso, ma il ragazzo, fagocitato dall’estremismo di una scuola coranica e avviato sulla via della
Jhad diventerà l’incauto bersaglio di commerci disumani operati sopra la sua pelle.
E si trasformerà nella causa scatenante di tutta la storia. Una storia priva in partenza di sbocchi
favorevoli e faticosamente e maldestramente portata avanti da parte di tutti i personaggi della
trama.
Perché qualunque cosa facciano e qualunque possa essere la strada da loro intrapresa, purtroppo per

le diverse e molteplici motivazioni imputabili a ciascuno di loro o a incontrollabili fatali
avvenimenti, non avranno altra scelta. Una condanna quindi che li forzerà a intraprendere un
cammino duro, amaro, spingendoli verso la disumana realtà di un tragico non ritorno . E tutto
questo perché la smisurata forza del destino provocata dall’altrui inaudita crudeltà e costruita
sull’aver cominciato con il chiudere gli occhi e la mente di fronte a superiori inique immoralità e
interessi incrociati, non troverà mai modo e spazio per concedere pietà.


Franco Limardi, nato a Roma nel 1959, è insegnante di Storia e Letteratura Italiana in un istituto
superiore. Ha esordito con il noir ‘L’età dell’acqua’ (DeriveApprodi, 2001), menzione speciale
all’edizione 2000 del Premio Calvino. E’ autore della raccolta di racconti ‘Lungo la stessa strada’
(Perdisa Pop, 2007). ‘Anche una sola lacrima’ è il suo secondo romanzo.

::La pedina, Mario Pacifici (Gallucci 2023) A cura di Viviana Filippini

4 agosto 2023

“La pedina” è il romanzo di Mario Pacifici, edito da Gallucci, ambientato nella Roma del 1827 dove a casa Pontecorvo, in pieno ghetto ebraico, arriva un commissario pontificio. L’uomo è giunto tra quelle mura con un compito ben preciso ricevuto direttamente dal Sant’Uffizio: prendere il piccolo David, battezzato in segreto e portarlo via dalla famiglia. Da qui inizia per i lettori un pellegrinaggio in lungo e in largo per Roma, dentro e fuori il Vaticano, perché il rapimento del piccolo dei Pontecorvo nasconde, e lo si scoprirà durante la lettura, una serie di intrighi, giochi di potere e politici che vanno ben oltre la fede religiosa. Anzi, pagina  dopo pagina, emergeranno situazioni che evidenzieranno quanto siano delicati gli equilibri presenti in Vaticano, con impreviste complicazioni come una morte (e non da poco) all’interno di un palazzo cardinalizio romano. Pacifici costruisce un trama salda, ricca di colpi di scena imprevisti che evidenziano quanto possano essere complicate le trame comportamentali e mentali del genere umano, quando di mezzo c’è il potere più che la fede. La ricaduta di questi grovigli ha al centro un bambino la cui esistenza sarà per sempre stravolta dal rapimento. Sullo sfondo della vicenda del piccolo David, c’è una Roma dove si mescolano religiosi, popolani, uomini di potere, poveracci, donne si strada, avventurieri, cristiani, ebrei unita a una intensa fase di trasformazione cittadina con i moti risorgimentali. Per “La pedina”, Mario Pacifici prende spunto da una pratica molto in voga nel XIX secolo nel mondo della Chiesa romana dove in passato furono parecchi i casi di bambini ebrei battezzati in segreto da una balia, da una serva o da qualcuno che bazzicava in famiglia e poi portati via delle famiglie di origine. Un gesto che, secondo il diritto canonico, rendeva il bambino cattolico e da educare secondo i dettami di tale credo. Uno dei casi più eclatanti (anche uno degli ultimi) fu quello avvenuto nella Bologna del 1858 dove il piccolo Edgardo Mortara, sette anni, battezzato segretamente quando aveva sei mesi, venne tolto a forza alla sua famiglia dallo Stato Pontificio, per essere cresciuto come cattolico. Il caso Mortara fece clamore in Italia e all’estero (Nord America) e accanto ai genitori si schierarono politici, scrittori, giornalisti, ma il destino del piccolo Edgardo venne deciso da altri, proprio come accade a David Pontecorvo protagonista del libro di Mario Pacifici. David come Mortara, che ha ispirato non solo Pacifici, ma anche il film di Bellocchio, “Rapito”, è una pedina mossa a proprio piacimento e interesse da un mondo adulto tutto concentrato sui propri interessi e che sembra essersi dimenticato del rispetto del prossimo diverso da sé, tanto da non rendersi conto che le proprie scelte avranno conseguenze irreparabili per l’altro.

Mario Pacifici ha esordito nel mondo della scrittura nel 2008, con al vincita del concorso indetto dal Festival della Letteratura Ebraica con un racconto sulle leggi razziali. Nel 2012 ha pubblicato “Una cosa da niente” e altri racconti e nel 2015 “Daniel il Matto”. “La pedina” è il suo primo romanzo.

Source: ricevuto dall’editore. Grazie all’ufficio stampa Gallucci.

:: I delitti dell’anatomista di Bruno Vitiello Giunti di Patrizia Debicke

17 aprile 2023

La seconda Repubblica fiorentina governata dal Gonfalonieri Soderini, poteva contare nel 1505 della contemporanea numerosa presenza all’interno delle mura cittadine di giganti dell’arte e di altri grandi personaggi dell’epoca. Bruno Vitiello tesse la sua trama con colta bravura, eleggendo a protagonisti del suo romanzo due basilari esponenti della cultura rinascimentale: Michelangelo Buonarroti e Leonardo da Vinci, ai quali affiancherà Girolamo Fracastoro da Verona, celeberrimo medico e studioso, soprattutto per le sue successive opere in versi, tra cui tre volumi di esametri sulla sifilide, con le sue cause e i suoi effetti: Syfilis sive de Morbo gallico, dedicati a Pietro Bembo, e i suoi studi sul contagio da parte di germi patogeni che lo porteranno a essere, secondo gli storici della scienza, il padre dell’epidemiologia.
Leonardo Michelangelo e Fracastoro verrenno fatti prelevare in piena notte dal quarto personaggio storico di Vitiello: Niccolò Machiavelli, come ambasciatore diretto testimone delle fortune e della rovina di Cesare Borgia, poi rientrato a Firenze dove attualmente svolge le funzione di Segretario della Seconda Cancelleria (quella di Pier Soderini, Gonfaloniere della città e incaricato della sicurezza, destinata agli affari interni e alla guerra). La spiccia e urgente convocazione è dovuta al fatto che una ronda notturna ha scoperto, nel cuore del Mercato Vecchio, sopra un tavolaccio al centro della bottega di un falegname, il cadavere di un uomo barbaramente ucciso e fatto a pezzi. Il morto era il padrone della bottega e si chiamava Bartolomeo Canacci. Il suo assassino ha infierito sul corpo sezionandolo con abilità e competenza anatomica attribuibili solo a notomisti, ovverosia a cultori di conoscenze dei segreti del corpo umano. Su una parete di fianco, qualcuno, l’assassino ?, ha tracciato un giglio con il sangue. Un macabro disegno rosso. (Particolare che induce a supporre una possibile vendetta nei confronti dei Medici da poco banditi dalla città).
Niccolò Machiavelli sa bene che per chiudere quello spiacevole caso sarebbe facile trovare un qualunque capro espiatorio a cui affibbiare l’omicidio , tuttavia si rende conto che solo la mente perversa di un medico o di artista, può aver progettato e compiuto uno scempio simile. E non potendo escludere le peggiori ipotesi, deve immaginare che il colpevole possa addirittura essere uno dei tre personaggi che vede davanti a sé? Ragion per cui, tanto per cominciare, chiederà a Michelangelo, a Leonardo e a Fracastoro , da poco arrivato a Firenze, un esame diretto del cadavere e il loro parere come esperti di anatomia per poi costringerli a lavorare per lui investigando negli ambienti che frequentano (quello artistico e quello medico) per reperire possibili tracce per individuare il colpevole.
All’epoca, il Gonfaloniere Soderini aveva affidato a Leonardo, cinquantatrenne artista di gran successo, e all’astro nascente, il trentenne Michelangelo, il compito di affrescare le pareti di Palazzo Vecchio con alcune vittorie riportate dalla Repubblica Fiorentina. Leonardo doveva dipingere La Battaglia di Anghiari, (ma non ce la fece mai, non riuscendo a padroneggiare bene la tecnica dell’encausto) ; Michelangelo invece, molto impegnato su altre opere, si limitò a ultimare il cartone preparatorio, poi purtroppo perduto, di La Battaglia di Cascina, della quale oggi restano solo alcuni disegni.
I due non si frequentavano, i loro rapporti erano freddi e distaccati: Leonardo in realtà provava una certe invidia per l’enorme capacità esecutiva di Michelangelo che allora stava sbozzando il suo David ma non aveva ancora dimostrato le sua grandezza con i pennelli. Leonardo da parte sua disdegnava la scultura, che giudicava solo roba da scalpellini e taglia pietre, e privilegiava la pittura e lavorando con la minuziosa precisione da miniaturista stava perfezionando il ritratto di una misteriosa dama. (La Gioconda).
Mentre gli improvvisati detective, superando in qualche modo le loro reciproche diffidenze, si danno da fare per scoprire l’assassino, il mostro, assetato di sangue non si ferma, cerca vendetta. E, in una clima cittadino avvelenato dalla scomparsa di un ragazzino, figlio unico di una lavandaia, si scatena un rivolta che rischia di provocare una strage nel ghetto, considerato nido di ogni infamia, con la folla inferocita miracolosamente fermata dall’intervento del Cardinale Orsini.
Il vertice dell’orrore, però, si raggiungerà solo con il ritrovamento nella cripta della Basilica di San Lorenzo del cadaverino straziato del piccolo Petruccio, fatto a pezzi e disposto artisticamente davanti all’altare.
La necessità di mettere in qualche modo fine a quei diabolici malefici “delitti del notomista” costringerà Machiavelli a imporre un ultimatum a Leonardo, Michelangelo e Fracastoro. Insomma o riusciranno a individuare qualche traccia in grado di condurre all’assassino o verranno accusati e chiusi alla Stinche. Il cupo e desolato carcere fiorentino.
Ma quale legame può esserci tra l’uccisione di un anziano falegname e quella del figlio decenne di una poveretta? Si tratta di un caso? O si devono ipotizzare strani, occulti e inimmaginabili legami . Si dovrà indagare in quella direzione?
Sullo sfondo di una Firenze affollata e disordinata, con tutti i cittadini coinvolti nei festeggiamenti di carnevale, prenderà il via la disperata caccia all’uomo di un giallo arricchito da cupe sfumature di noir ma e soprattutto da una magistrale ricostruzione storica.
Il romanzo di Vitiello, infatti, più che regalarci i particolari di un’indagine poliziesca dell’epoca ci porta all’interno delle menti dei veri protagonisti del Rinascimento, mettendo in primo piano la vita e le peculiari caratteristiche dei suoi illustri personaggi. Viviamo infatti, in diretta con l’autore, le discussioni tra Michelangelo e Leonardo, all’opera su capolavori come il David o la Gioconda, svelando a tratti alcuni segreti del loro animo, spesso inconfessabili o indecifrabili e certe ricerche di Fracastoro sulla “generazione equivoca” contrapposta al mito della “generazione spontanea” degli insetti, già attratto dal voler approfondire lo studio e le cause delle malattie infettive . Seguiamo infine le scelte di Machiavelli, attorniato da gregari bevitori e puttanieri spesso importuni anche se efficienti e, a conti fatti , bravi a imbroccare le indagini (come Biagio Buonaccorsi, Agostino Vespucci e Andrea di Romolo) quasi surclassato dalla sua innata ironia di fiorentino autentico, che magari finisce per diventare più freddo e realista di quanto mai sia stato.
Ma a ben vedere furono proprio quei complessi rapporti, il continuo affrontarsi , l’avversione nascosta o espressa, spesso tradotta in invidia ed esibita con rabbiosa intolleranza da quei grandi uomini a far scaturire la vitale scintilla della grande civiltà rinascimentale che, nonostante tutto, sopravvive ancora come irrinunciabile eredità culturale nel patrimonio italiano.

:: Kallocaina. Il siero della verità di Karin Boye (Iperborea 2023) a cura di Emilio Patavini

5 marzo 2023

Pubblicato nel 1940, un anno prima della morte dell’autrice, Kallocaina è il romanzo più famoso di Karin Boye, scrittrice e poetessa svedese. Nata a Göteborg nel 1900, studia greco antico e norreno a Uppsala, dove entra in contatto con il movimento di ispirazione socialista Clarté. La influenzano il nichilismo di Nietzsche, la psicoanalisi freudiana, le religioni orientali e gli antichi miti scandinavi. Nel 1922 pubblica Nuvole, sua prima raccolta poetica. Nel 1929 sposa Leif Björk, un attivista del movimento clarteista (anche se il matrimonio terminerà qualche anno dopo), e collabora alla rivista d’avanguardia Spektrum, dove pubblica con Erik Mesterton la sua traduzione de La terra desolata di T.S. Eliot. Nel 1932 si trasferisce a Berlino, dove si sottopone a psicoanalisi per comprendere meglio se stessa e la propria omosessualità. Nel 1934 si innamora di una ragazza tedesca, Margot Hanel. Nel 1940 si trasferisce ad Alingsås, dove scrive Kallocaina, il suo capolavoro. Il 23 aprile 1941 esce di casa senza farvi più ritorno: il suo corpo viene ritrovato qualche giorno dopo nel bosco. Con il suo suicidio – seguito un mese dopo da quello di Margot Hanel – si spegne una delle voci più importanti della poesia svedese.

Kallocaina, il suo ultimo romanzo, è uno dei grandi romanzi distopici del Novecento, assieme a Noi (1924) di Evgenij Zamjatin, Il mondo nuovo (1932) di Aldous Huxley e 1984 (1949) di George Orwell. La prima edizione italiana, da tempo fuori catalogo, uscì nel 1993 per Iperborea. L’11 gennaio, a distanza di trent’anni, è uscita una nuova edizione del romanzo, tradotto da Barbara Alinei e con la postfazione di Vincenzo Latronico. Kallocaina descrive una società totalitaria e militarista, dominata da uno Stato Mondiale, in cui l’individuo è completamente annullato in nome della collettività e in cui le persone non si considerano “individui”, ma “compagni soldati”. Il romanzo è scritto in forma di diario da un chimico, Leo Kall, inventore del siero della verità (che prende il nome di kallocaina in suo onore). In questo stato poliziesco, le autorità sfruttano le potenzialità offerte dalla kallocaina, prontamente impiegata come strumento di controllo. In un primo momento, l’applicazione pratica della kallocaina si limita al campo della giustizia, dove può essere utilizzata negli interrogatori per far confessare la verità agli imputati. «D’ora in poi nessun criminale potrà negare la verità. Neanche i nostri pensieri più intimi ci appartengono più, come a torto abbiamo creduto per molto tempo» (p. 20), afferma soddisfatto Leo Kall, continuando: «i colpevoli confesseranno spontaneamente e senza riserve con una semplice iniezione» (p. 59). Nella società descritta da Karin Boye, tutto appartiene allo Stato: non solo i propri figli, ma anche i pensieri. Tutto è sacrificato in nome di quella «unica cosa sacra per tutti: la collettività» (p. 28). Ma in seguito ci si rende conto che essa «permetterebbe di prevedere e prevenire molte delle atrocità che ora ci piovono addosso all’improvviso» (p. 63). Questa lucidissima intuizione di Karin Boye sembra quasi anticipare il racconto Rapporto di minoranza (The Minority Report) di Philip K. Dick, in cui la polizia si serve di precognitivi per sventare i crimini prima ancora che essi siano commessi.

Quello che si crea è un clima di reciproca diffidenza, dove chiunque ritenuto «pericoloso per lo Stato» (p. 100) può essere denunciato dal proprio collega o dal proprio coniuge. Lo stesso Kall denuncia l’odiato collega Rissen e arriva a sospettare di sua moglie Linda.

In tutto questo si affaccia la visione di una Città Deserta vagheggiata dai nemici dello Stato e avvolta nella leggenda, una «città abbandonata e in rovina in un luogo inaccessibile» (p. 160), «sconosciuta e irraggiungibile» (p. 160), più antica dello Stato stesso, distrutta da bombe, gas e batteri, eppure bramata e abitata dai “diversi”, coloro che vengono definiti con disprezzo «asociali». Per usare, ancora una volta, le parole di Leo Kall, si tratta di «una favola su cose che non esistono. Cimeli di una cultura morta! In quel villaggio deserto bombardato dai gas sopravviverebbero i resti di una civiltà che risale all’epoca precedente le grandi guerre. Ma non c’era nessuna civiltà! […] Qualcosa che meriti il nome di civiltà è inconcepibile durante l’epoca civil-individualistica. I singoli lottavano contro i singoli, i gruppi sociali contro i gruppi sociali. […] Questa io la chiamo giungla, non civiltà. […] La civiltà non può esistere che nello Stato» (pp. 161-62). La descrizione della Città Deserta rimanda naturalmente alla Waste Land eliotiana, tradotta dalla stessa Boye. Alcuni versi in inglese vengono riportati anche in esergo.

Da una parte l’opera riprende alcuni elementi già presenti nelle precedenti distopie (le droghe come strumento di controllo erano già comparse nel romanzo di Huxley), ma dall’altro innova il genere e anticipa alcune delle tematiche trattate da Orwell nel suo più famoso 1984. Disseminati in ogni luogo sono i «milioni di occhi e orecchi che vedevano e sentivano giorno e notte le azioni e i dialoghi più intimi di tutti i compagni» (p. 122), oscura prefigurazione della pervasività tecnologica che caratterizza 1984 con i suoi onnipresenti teleschermi. Il protagonista, Leo Kall, non nutre una segreta avversione nei confronti dello Stato come Winston Smith, ma come nota nella sua postfazione Vincenzo Latronico «è a tutti gli effetti un antieroe, più rigido e conformista di chi ha intorno» (p. 240), è un esaltato che non solo si rende conto delle potenzialità della sua scoperta, ma si adopera affinché siano messe in atto, dando il via «a un’opera di pulizia che avrebbe liberato il corpo dello Stato da tutto il veleno inoculato dai criminali del pensiero» (p. 135). È lo stesso Kall, infatti, a proporre una legge «contro i pensieri e i sentimenti ostili allo Stato» (p. 138), una «nuova legge contro la mentalità anti-Stato» (p. 178). Le autorità accolgono con favore la sua proposta, in seguito alla quale anche «i pensieri possono essere condannati» (p. 177). Ecco dunque il concetto di psicoreato (thoughtcrime) teorizzato nove anni prima della pubblicazione del capolavoro orwelliano. Eppure Kall non ha dimenticato le parole del collega Rissen: «Nessuno che abbia passato i quarant’anni ha la coscienza pulita» (p. 240), e infatti vive nel terrore di essere sottoposto al siero che porta il suo nome. Non si fida nemmeno di se stesso. Sa benissimo che nessuno è innocente, che tutti hanno qualcosa da nascondere. Questo dato di fatto è il pilastro su cui poggiano le sicurezze dello Stato, perché come afferma lui stesso: «La ragione sacra e necessaria dell’esistenza dello Stato è la nostra mutua, legittima sfiducia l’uno nell’altro. Chi mette in dubbio questo fondamento mette in dubbio lo Stato» (p. 126).

Leggendo questo romanzo non si può fare a meno di intuire che esso è stato scritto da una sensibilità diversa, da una voce originale, quale è quella di Karin Boye, benché scelga di narrare la sua storia da un punto di vista maschile. Si tratta di una voce anzitutto poetica, che diversamente da Orwell o da Huxley antepone la soggettività dell’io narrante, l’introspezione psicologica (quasi psicoanalitica) e la riflessività del personaggio alla parte più propriamente narrativa o di azione. L’accento è posto sui pensieri di Leo Kall, estensore del diario nonché protagonista, e il lettore segue il suo flusso di coscienza.

Karin Boye nata nel 1900 a Göteborg, è una delle grandi voci della poesia svedese. Dopo la Prima Guerra Mondiale aderisce al movimento pacifista Clarté e viaggia in Europa vivendo le inquietudini del suo tempo: visita, turbata, l’URSS di Stalin (1928), la Germania che si prepara a Hitler (1932) e l’agognata Grecia (1938), culla della civiltà e dei valori a lei più cari. Il dissidio mai risolto tra impegno sociale e politico, tra una ferrea esigenza di coerenza e di ricerca di verità e un desiderio di appagamento e di abbandono agli istinti naturali la porterà a cercare la morte, solitaria, nella natura, il 23 aprile del 1941, giorno in cui i nazifascisti invadono la Grecia. Oltre alle numerose raccolte di poesie, scrive cinque romanzi di cui Kallocaina (1940) è il più noto.

Source: inviato dall’editore. Si ringrazia l’Ufficio Stampa Iperborea.

:: Costantino. Il fondatore, Maria Carolina Campone, (Graphe.it 2022) A cura di Viviana Filippini

2 marzo 2023

Costantino fu un grande imperatore, quello è risaputo, ma Maria Carolina Campone in “Costantino. Il fondatore”, edito da Graphe.it, non solo racconta la vita di quello che è ritenuto da molti studiosi “il primo imperatore cristiano”, ma cerca di mettere in chiaro il ruolo che il figlio di Costanzo Cloro ebbe nella Storia. L’autrice delinea un ritratto chiaro, accurato e dettagliato di Costantino, una figura storica che nel corso del tempo ha subìto diverse tipologie di interpretazioni. Ne è un esempio quella nota come “questione costantiniana” che vede, da una parte, studiosi pronti a vedere Costantino come colui che fu il primo imperatore cristiano. Dall’altra parte, ci sono invece altri esperti che hanno convinzioni differenti, nel senso che credono che tale ruolo di “imperatore cristiano” gli sia stato affidato da alcuni autori cristiani di fede (Eusebio e Lattanzio) e che interpretarono le sue azioni in chiave cristiana. Pagina dopo pagina, la Campone svolge una dettagliata ricerca, un accurato lavoro di letture e confronto tra fonti e documenti per sbrogliare la matassa dei diversi punti di vista attorno a Costantino e fare chiarezza su chi fu davvero l’imperatore. Il libro è caratterizzato da capitoli tematici che portano il lettore dentro alla vita di un uomo nato nell’attuale Serbia il 27 febbraio del 272 o 273. Il libro procede per sezioni che presentano il periodo storico, le fonti considerate per l’indagine e lo studio, la vita dell’imperatore, i sogni e visioni e l’aiuto ad una lettura critica delle fonti. Si trova anche un capitolo dedicato all’arco di Costantino dove si analizza in modo accurato l’antico monumento costruito per celebrare la vittoria costantiniana su Massenzio a Ponte Milvio. Non manca una parte dedicata ad Apollo, al neoplatonismo e alla tolleranza religiosa, per comprendere quanto la corrente filosofica e le altre presenti potrebbero aver influito sulla formazione e crescita di Costantino come persona e come imperatore. Spazio anche alle crisi religiose, al concilio di Nicea per cercare di capire il rapporto che si venne a definire tra imperatore e Chiesa, ma anche il modo di vivere in maniera pratica e concreta la religione da parte dell’imperatore stesso. Il saggio della Campone è un viaggio della Storia del passato, ma anche nell’esistenza di un uomo la cui memoria e gesta vivono ancora nel presente di oggi.

Maria Carolina Campone ha un PhD in Storia e Critica dell’Architettura, ed è già professore a contratto presso la Seconda Università degli Studi di Napoli e docente di lingue classiche presso la Scuola Militare «Nunziatella» di Napoli. Membro del Comitato scientifico di autorevoli riviste di classe A (Arte cristiana e Studi sull’Oriente cristiano) e relatrice in diversi Convegni Internazionali di Studi, ha al suo attivo numerose pubblicazioni, fra le quali “Brigida di Svezia regina di profezia” (Milano, 2012), “The Church of St. John Stoudion in Constantinople” (New York, 2016), “Dom Paul Bellot architetto ex-centrico” (Napoli, 2017).

Source: richiesto dal recensore. Grazie all’ufficio stampa 1A.

:: La biblioteca dei segreti di Bella Osborne (Newton Compton 2023) di Patrizia Debicke

6 febbraio 2023

Tom ha appena sedici anni ma sa da tempo che la vita può essere crudele e per evitare i problemi è meglio se si riesce a passare inosservati dai compagni, o meglio diventare invisibili. Frequenta senza grandi risultati la scuola superiore, anche se sognerebbe di riuscire ad andare all’università, ma è partito molto svantaggiato rispetto ai suoi coetanei . Sua madre è morta di parto quando lui aveva appena otto anni. Da quel momento ha vissuto male e da solo, con un padre che lavora di notte e beve troppo, sia probabilmente per affrontare il suo dolore che perché non riesce a garantirsi una vita migliore. Convivono infatti rincorrendo le bollette in una casa sudicia e maltenuta, mangiando cibi spazzatura e senza vedere mai nessuno. Una casa priva di ogni comodità, unico urlante emblema di modernità una vecchia televisione. Con i pochi spiccioli guadagnati, consegnando il giornali e racimolando tutti i suoi regali di Natale e compleanno, Tom era riuscito a comprarsi una console per giochi. Un oggetto costoso, che gli permetteva di giocare con amici sconosciuti, rallegrava le lunghe ore passate in casa e alleggeriva la sua solitudine.
Ma nessuno poteva impedirgli di sognare Farah, bellissima e gentile compagna di studi, che credeva fuori dalla sua portata, anzi addirittura già impegnata con uno dei ragazzi più prepotenti della classe. Ciò nondimeno, pur sentendosi inadeguato, avrebbe voluto almeno poter comunicare con lei e quel giorno, un sabato, nella speranza di scoprire un comune interesse, troverà il coraggio di entrare nella Biblioteca del paese. Il suo ingresso in realtà è un ritorno. Sua madre infatti amava molto leggere e prima della sua morte era andato tante volte con lei a prendere e riportare dei libri. E sarà proprio là nella Biblioteca, mentre fingendo che sia ancora viva, sta cercando dei romanzi del genere preferiti da lei, che attirerà l’attenzione di Maggie.
Maggie è una vivace vedova settantenne che gestisce da sola una piccola fattoria nel comprensorio dalle parti di Furrow Cross e arriva ogni sabato in biblioteca dove fa parte del circolo di lettura. E quel giorno sarà Tom ad accorrere in suo aiuto mentre viene scippata della borsa, appena uscita per ritornare a casa. Il ragazzo, in compenso, si beccherà un pugno e un occhio nero, però dopo essere stato medicato, le farà la gentilezza di prestarle il denaro per l’autobus e di accompagnarla fino alla fermata.
Ma al suo ritorno a casa suo padre, che ha bevuto troppo, dopo un pesante scontro verbale causato dal suo rifiuto di rinunciare a un’università e lavorare in una fabbrica di mangime per cani, prima gli ha sequestrato la console e poi, infuriato, gliela ha sfasciata irrimediabilmente.
A Tom non resterà che cominciare a leggere i libri che aveva preso in prestito in biblioteca…
Maggie da dieci anni, dalla morte del marito si dichiara autosufficiente. E infatti oltre a produrre ortaggi. frutta e legumi nella sua piccola e ben tenuta fattoria, alla periferia del villaggio, occupandosi anche di galline, pecore, agnelli e di un montone scontroso, continua a praticare lo yoga e a praticare l’autodifesa, frequenta regolarmente la Biblioteca cittadina, ma in realtà come Tom soffre di una tangibile mancanza di affetti e le pesa la solitudine.
Il fortuito incontro tra loro, due esseri umani, forse solo apparentemente molto diversi, provocato sia dalla curiosità di Maggie che dal generoso tentativo di aiuto di Tom, finirà con avvicinare e poi legare i loro due mondi: quello sofferto e doloroso di un timido adolescente e quello di una donna il cui passato nasconde la obbligata scelta di un grave segreto.
E non solo, il ragazzo le lascerà il suo numero di telefono in caso di bisogno. E, quando accadrà, riscopriranno insieme il quieto sapore di una normale vita familiare fatta di dare e avere e di come prendersi cura l’una dell’altro..
Mentre Maggie insegnerà a Tom a difendersi e a cercare il confronto con il padre, spiegandosi (e l’uomo si sforzerà di uscire dal suo buio sociale e interiore), Tom aiuterà Maggie a capire che gli errori commessi nel passato non dovranno per forza gravare per sempre sulle sue spalle.
Nascerà così spontaneamente l’improbabile ma vera e costruttiva amicizia tra un adolescente problematico e una settantenne un po’ fissata. Una bella e grande amicizia in grado di cambiare il corso delle loro vite e persino il loro futuro.
Due generazioni diverse. Due persone inconsuete che poi, quando la minaccia della chiusura della biblioteca per mancanza di fondi e progressivo calo di utenti si farà concreta e pericolosamente vicina, si uniranno con coraggio e spirito di iniziativa per salvarla, inventeranno occasioni di incontro, organizzeranno pubbliche manifestazioni e radunando attorno a loro tutto il paese e le frazioni vicine, provocheranno piano piano la partecipazione delle autorità e il coinvolgimento dei media. E un nutrito e indispensabile afflusso di volontari. Perché ognuno di loro deve poter dimostrare che la biblioteca non riguarda solo i libri: quel luogo è il cuore pulsante di cultura della loro comunità e deve sempre esistere e restare aperto, pronto ad accogliere tutti.

Bella Osborne è un’autrice inglese di romanzi di successo. Il suo libro d’esordio è stato finalista a prestigiosi premi, tra cui il Contemporary Romantic Novel of the Year. Osborne ha inoltre vinto il RNA Romantic Comedy Novel of the Year Award. Vive nelle Midlands, nel Regno Unito, con la sua famiglia. Per saperne di più: www.bellaosborne.com

Source: libro del recensore.

:: Due libri per Natale da trovare sotto l’albero da Gallucci editore. A cura di Viviana Filippini

24 dicembre 2022

Natale si avvicina e per i piccoli lettori ho qualche bel libro che si potrebbe magari trovare sotto l’albero. Per chi ama lo spirito natalizio Gallucci ha pubblicato “Racconti sotto l’albero”, una raccolta di racconti di autori italiani con le illustrazioni di Peppo Bianchessi. Nel volume ci sono storie che narrano il Natale e la sua magica atmosfera seguendo le sue sfaccettature e tutte le emozioni che si manifestano nel periodo di Natale. La cosa bella di questo libro è che i racconti, oltre essere letti nell’ordine che si preferisce, sono ancora migliori se c’è qualcuno con il quale possiamo leggerli in compagnia, perché nascono quelle emozioni tipiche del Natale e dei racconti che sanno emozionare e che fanno tornare bambini anche gli adulti.  Ecco i racconti presenti nel volume: 

Il banco dei sogni di Pier Domenico Baccalario,

Babbo Natale non esiste di Davide Morosinotto 

Natale würstel & maionese di Luca Bianchini 

L’albero di Natale di Emma Cianchi 

Cose che si desiderano per Natale di Andrea Tullio Canobbio 

Era di nuovo Natale di Elena Peduzzi 

And so this is Xmas (fog is over) di Andrea Pau Melis 

Notte di neve di Gisella Laterza 

L’ufficio comunicazione di Veruska Motta 

Il signor Vezio di Marco Pelliccioli 

Il tizzone sul tetto di Azzurra D’Agostino 

Cose da grandi di Angelo Mozzillo 

Il piano della gioia di Fidelio Valt di Manlio Castagna 

Corri. Corri. Corri. di Igor De Amicis e Paola Luciani 

La slitta sul radar di Christian Antonini 

È il pensiero, che conta di Dimitri Galli Rohl 

Un@ stori* di Natalə di Giuseppe D’Anna 

Il più brutto e più bel Natale di tutti i tempi di Marco Ponti

“Trovarsi a Berlino”, Holly-Jane Rahlens

Altro libro interessante per un pubblico di lettori Younng Adult è “Trovarsi a Berlino” di Holly-Jane Rahlens, una bella storia di formazione ambientata nella Berlino del 1989, esattamente poche settimane dopo la caduta del muro che per decenni aveva diviso la città in due parti e tenuto lontane le persone. In questa Germania unita, alla prese con la sua rinascita e riorganizzazione civile, economica, culturale e umana si incrociano i destini di due giovani adolescenti. Da una parte c’è Molly, nata a New York ma con origini tedesche, arrivata poco prima del crollo del muro a Berlino Ovest. Dall’altra parte invece, c’è Mick, nato e cresciuto a Berlino, però nella zona Est.  Un giorno i due ragazzi si incontreranno su un treno e tra loro scatterà un’amicizia che li porterà a conoscersi l’un l’altra. Questa esperienza sarà un modo per apprendere mondi sconosciuti, ma anche per vedere in una prospettiva del tutto nuova la Germania dopo quel muro che tante divisioni aveva creato. Il romanzo è la narrazione di una crescita e un trovare una propria identità per Molly e Mick e per la città dove vivono.

Holly-Jane Rahlens è nata negli Stati Uniti, ma vive da decenni in Germania, dove è diventata un’au­trice per ragazzi affermata. Ha vinto numerosi premi, tra cui il prestigioso Deutscher Jugendlite­raturpreis.

:: Le ricette di Gessica di Gessica Runcio (De Agostini Libri 2022) a cura di Giulietta Iannone

2 novembre 2022

Coloratissimo, semplice, divertente Le ricette di Gessica di Gessica Runcio è un manuale di cucina che ha attirato subito la mia attenzione. Gessica Runcio è una blogger di cucina italiana, nata in provincia di Messina, che fa della cucina siciliana il cuore della sua attività ai fornelli. Famosissima, gestisce una pagina Istagram molto frequentata e un sito Le ricette di Gessica sul blog di cucina credo più visitato d’Italia, Giallo zafferano. Gessica è depositaria di una cucina semplice e gustosa, ricca dei colori della sua terra di origine che porta sulla tavola dei tanti che seguono le sue ricette e hanno imparato a cucinare proprio grazie a lei. Oltre a ricette tipiche della cucina siciliana sul suo manuale troverete anche tante ricette della cucina classica italiana, altre per quando avrete fretta e dovrete imbandire una cena o un pranzo in pochi minuti. Oltre a tanti consigli pratici, anzi segreti, che si passavano da generazioni le donne della sua famiglia come il trucchetto su come togliere la punta di acido dal sugo di pomodoro. Chi non si è lamentato perchè il sugo di pomodoro in lattina (la passata conservata) è troppo acido e magari ci aggiunge un pizzico di zucchero? Beh, lei ci spiega come fare senza alterare il sapore delle pietanze. E questo è solo uno dei tanti che scoprirete sul suo manuale. Primi, secondi, dolci, antipasti, ce ne è per tutti i gusti, e il tutto è spiegato in modo chiaro ed esauriente, con dosi (reali) da usare nella preparazione dei cibi di tutti i giorni e simbologie per chi adotta una cucina vegetariana o vegana. Come si giudica un manuale di cucina? Sperimentando le sue ricette, partendo dalle più semplici (l’arrosto e lo spezzatino) alle più elaborate (dalla pasta alla Norma, alla caponata, agli arancini). Ogni cuoca ha i suoi segreti, per esempio mio padre aveva un ristorante e cucinava divinamente, ma mai ha voluto neanche con noi figli svelare le sue ricette. Dovevamo imparare guardandolo e vi assicuro che non è stato così facile. I tempi, l’alternanza e l’ordine con cui miscelare degli ingredienti, la qualità degli ingredienti stessi, le dosi fanno la differenza e rendono un piatto speciale o solamente commestibile. Gessica Runcio non spodesterà la regina indiscussa dei manuali di cucina italiani Benedetta Rossi, ma è molto brava e seguendo le sue indicazioni si cucinano davvero piatti molto molto buoni, seguendo la tradizione e con un poco di fantasia. Poi tutti sanno che i dolci siciliani sono i più buoni del mondo, imparerete a fare la cassata e i cannoli, rendendo i vostri pranzi di famiglia un vero successo. Un po’ la invidio Gessica Runcio è riuscita a fare del suo hobby il suo lavoro, è riuscita a diventare un’imprenditrice in un mondo competitivo e ricco di talenti come quello dei foodblogger, ma bisogna solo ammirarla e cercare di carpirle i suoi segreti, che dispendia anche molto generosamente, per diventare cuochi migliori anche nella vita di ogni giorno.

Gessica Runcio è nata in provincia di Messina. Ai fornelli fin da quando era piccolissima, ha sempre amato cucinare. Dopo aver lavorato nel negozio di famiglia, dodici anni fa ha aperto il blog di cucina Le ricette di Gessica, che insieme alle sue pagine Facebook e Instagram considera il suo “quaderno digitale delle ricette” che ama condividere con chi la segue. Con il tempo è diventata top blogger e content creator di Giallo Zafferano. Vive a Milano con la sua famiglia.

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Silvia Ufficio Stampa De Agostini Libri.

:: Pena la morte e altri racconti di Georges Simenon (Adelphi, 2022) a cura di Nicola Vacca

21 settembre 2022

Suspense e tragicomico, sono questi i registri che Georges Simenon usa nei racconti raccolti in volume con il titolo Pena la morte (traduzione di Marina Di Leo), pubblicati recentemente da Adelphi.

Anche nell’arte del racconto il grande scrittore belga eccelle.

Nel libro troviamo cinque storie e non manca mai nella narrazione l’elemento sorpresa e la scrittura è sempre un intrigo degno del migliore Simenon.

Da Il peschereccio di Émile a Pena la morte Simenon inventa storie che pescano nel torbido della creatura umana con tutte le sue fragilità e le sue pochezze, tiene conto nel caratterizzare i personaggi della loro componente miserabile e meschina.

Truffatori, avventurieri, uomini senza qualità, sono questi i protagonisti di queste cinque storie nelle quali il lettore si avventura, lasciandosi catturare dalle trame di Simenon che non concede mai un momento di tregua al suo raccontare che si conficca nella pagina per tracimare con tutta la sua grande letteratura.

Davvero unici i personaggi di questi racconti, stretti nella loro insoddisfazioni, cupi nel loro vesti nero che si portano dentro, un po’ grotteschi e un po’ malandrini, sempre in cerca di una via di scampo all’assurdo inquietante che travolge le loro esistenze.

Sono proprio i personaggi a scrivere le storie che Simenon racconta. Intorno a loro tutto il nero di esistenze infelici e l’assenza di un riscatto e di una fuga.

In Pena la morte, come nei romanzi duri, lo scrittore scende negli abissi della condizione umana e attraverso i suoi personaggi regola i conti con i suoi demoni.

Simenon ha scritto centosettantotto racconti, la maggior parte di quelli presenti in questo libro sono stati scritti in America.

Per lo scrittore il soggiorno americano coincise con un periodo proficuo per la sua attività.

I racconti di Pena la morte ne sono la prova concreta.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: libro inviato da ufficio stampa.

INTERVISTA

19 agosto 2022

Avatar di Lo Staff di Letture e SogniLETTURE E SOGNI

Vita e colore

Oggi il blog intervista un’autrice che non conoscevo ancora, ma che ha attirato immediatamente la mia curiosità. Lei si chiama SHANMEI e ha all’attivo numerosi libri e una passione sconfinata per la scrittura e la lettura. Dopo l’intervista, troverete i link dei suoi romanzi, in modo da andare a curiosare e conoscerla meglio. Intanto leggiamo cosa ci racconta, sono molto curiosa e voi?

1)Chi èShanmeinella vita, cosa fa?

Innanzitutto grazie di queste belle domande, sarà un piacere per me rispondere.Shanmeiè il mio nome d’arte, conquistato sul campo delle palestre di scrittura che c’erano molti anni fa, agli albori di internet in Italia. Sono però italianissima sebbene ami l’Oriente e tutto quello che vi è legato dalla letteratura, alla musica, alla pittura. Oltre alla mia attività di scrittrice sono anche una blogger e mi va di ammantarmi di un po’ di mistero, come le dive del cinema mutod’antan.

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