Posts Tagged ‘Valerio Calzolaio’

:: Il loro grido è la mia voce – Poesie da Gaza AAVV (Fazi 2025) a cura di Valerio Calzolaio

11 dicembre 2025

Gaza, ultimi tempi, ancor più tristi. Dieci coraggiosi autori e autrici palestinesi hanno scritto alcune splendide poesie ora contenute (con successo di vendite e presentazioni) nella raccolta “Il loro grido è la mia voce”, perlopiù redatte a Gaza e pubblicate in rete tra ottobre 2023 e dicembre 2024. Si tratta di: Hend Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada (uccisa nell’ottobre 2023), Haidar al-Ghazali (da novembre 2025 può studiare all’Università di Macerata, 21enne) e Refaat Alareer (ucciso nel dicembre 2023). Per ognuno, i bravi giovanissimi curatori hanno predisposto una breve nota bio-bibliografica, testo originale arabo a sinistra, traduzione italiana a destra. “Tutte costituiscono l’esito di una letteratura selvaggia… fraintesa, degradata, misconosciuta e, più colpevolmente, ignorata… La poesia ci richiama allora all’ascolto” proprio per non “considerare la Palestina una semplice espressione geografica”!

Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza AAVV Raccolta di poesie di varie autrici e autori

A cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti

Prefazione di Ilan Pappé

Con interventi (2024) di Susan Abulhawa e Chris Hedges

Traduzione dall’arabo di Nabil Bey Salameh

Traduzione dall’inglese di Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni

Fazi Roma 2025

Pag. 143 euro 12 (per ogni copia venduta, 5 euro saranno donati a Emergency a Gaza)

Consiglio di acquisto: https://amzn.to/4oOChB6 se comprerai il libro a questo link guadagnerò una piccola commissione. Grazie!

:: Nei luoghi più oscuri di Carlo Lucarelli (Einaudi 2025) a cura di Valerio Calzolaio

17 novembre 2025

Bologna e non solo. 1980, 1939 e non solo. Una giovanissima giudice “la Bambina”, un killer apparentemente insospettabile, Grazia Negro incinta e incerta, una poliziotta che non si fida della collega, un maggiore impazzito in piena guerra coloniale, un commissario di bordo, sospetti e ritorsioni, omicidi. Spiega direttamente il grande Carlo Lucarelli (Parma, 1960) come ci si gira “Nei luoghi più oscuri”: “i racconti vanno via veloci, e non soltanto perché sono più rapidi dei romanzi, ma perché si disperdono più facilmente, antologie, riviste, collaborazioni, prendono direzioni diverse e a volte si perdono. Per questo ogni tanto è bello raccoglierli, inseguirli e ritrovarli, quelli nati da una intuizione improvvisa o da un’occasione, che è come un dito che indica una direzione in cui non avevi ancora pensato di andare. È una mandria di cavalli diversi che una volta riuniti raccontano dove sono stati e tutte le volte è di nuovo una scoperta”. Ovvero un’avvincente affilata tesa sorpresa!

:: Con parole precise. Manuale di autodidesa civile di Gianrico Carofiglio (Feltrinelli, 2025) a cura di Valerio Calzolaio

9 novembre 2025

Italia e mondo. Ultimi decenni soprattutto. Una comunità ha un primario contratto sociale, la fiducia in un linguaggio condiviso, un impegno reciproco di verità e di correttezza nei luoghi di comune cittadinanza, nel pronunciare o redigere parole, discorsi, metafore. Si pensi e poi si scriva una sentenza, il testo di una legge o un romanzo avremo dei destinatari, un “pubblico” che dovrebbe imporci di “acquisire” parole usate responsabilmente per dire, in forme e contesti diversi, una chiara verità, per quanto soggettiva e parziale. Scrivere e parlare bene, in ogni campo, ha un’attinenza diretta con la qualità del pensiero e del ragionamento. Implica chiarezza di idee da parte di chi elabora un messaggio e può provocare una percezione di onestà (o meno) in chi lo riceve. In particolare, nell’ultimo decennio abbiamo assistito, invece, all’avvento micidiale dei populismi, alla crisi dei linguaggi istituzionali, all’abuso consapevole della menzogna come tecnica politica. L’avventura politica di Donald Trump ha segnato un drammatico punto di svolta, imponendo al mondo intero una nuova grammatica della manipolazione. Una grammatica fatta di slogan ripetuti fino all’ipnosi, di frasi costruite non per dire qualcosa ma per scatenare reazioni emotive (pro o contro non importa) e disattivare intelligenza, senso critico, capacità di reagire con efficacia. Tutto ciò ha reso ancora più urgente il compito di difendere uno spazio pubblico fondato sull’onestà comunicativa e sulla responsabilità semantica. Ovvero su un insieme meditato di efficaci e democratiche parole precise (da cui il titolo) in grado anche di proporre (a noi lettori e ai partecipanti di qualsiasi dimensione collettiva) un manuale etico di lingua, scrittura e autodifesa civile (da cui il sottotitolo). Dare il nome giusto alle cose può essere un gesto rivoluzionario. Il grande intellettuale e karateka Gianrico Carofiglio (Bari, 1961), prima magistrato poi senatore infine esclusivo scrittore e divulgatore, da ormai venti anni è forse divenuto l’autore italiano più seguito e apprezzato (romanzi, racconti e saggi di vari generi). Qui fa tesoro di tutte le proprie autorevoli esperienze d’uso delle parole per insegnarci molto, con semplicità e acume, anche rispetto all’attualità. Il testo riprende un breviario pubblicato dieci anni fa: alcuni capitoli sono rimasti molto simili, altri sono stati riformulati in gran parte, altri ancora sono del tutto nuovi. I capitoli sono diventati tredici (erano undici); le parti sono rimaste due, ma la prima s’intitola adesso “politica e verità”; inizia ancora col potere delle metafore (il contemporaneo discorso politico “ricco di immagini e piuttosto povero di idee”) ma le esemplificazioni sono soprattutto riferite a dirigenti di governo e di partito degli ultimi anni, italiani e internazionali. Gli interi capitoli terzo e quarto sono dedicati agli “stati alterati di democrazia” e alla necessità di “smontare trappole”, ovvero a come valutare il presidente statunitense in carica. L’unico vero antidoto alla semplificazione violenta dei populismi è la complessità accessibile e strategica. La vera sfida è non imitare la comunicazione manipolatoria, non accettare i suoi ritmi e le sue movenze, non inseguire. Cambiare gioco. L’autore offre alcune regole teoriche e proprio diffusi consigli pratici, deliberatamente non sistematici: per un ascoltatore e un lettore, o comunque per un interlocutore consapevole, capire è un diritto e come tale va rivendicato. Lo verifichiamo esaminando testi, citazioni specifiche, esempi concreti e suggerimenti sapienti (una frase significativa in esergo a ogni capitolo), in modo di riuscire più spesso a dirci e a “dire la verità”, lasciando ovviamente all’epilogo gli spunti su cosa sia la verità, per concludere con aggiornate note e selettivi approfondimenti bibliografici (nel testo 2025 non vi è più l’indice dei nomi, presente nel 2015). L’obiettivo è diventare un buon comunicatore, non un’efficace manipolatore. L’interessantissimo testo si collega così ai precedenti recenti due volumi sulla gentilezza e il coraggio e sulla manomissione delle parole, come terzo momento di una riflessione dedicata alla politica e (più in generale) ai doveri civili intesi come metodo critico, come esercizio di rigore e immaginazione, come pratica. In copertina, una bella illustrazione di Francesco Carofiglio.

:: L’Africa che dicono misteriosa di Georges Simenon (Adelphi Milano, 2025) a cura di Valerio Calzolaio

6 novembre 2025

Africa coloniale francese, quasi un secolo fa. Il grandissimo Georges Simenon (Liegi, 1903 – Losanna, 1989) era di origine bretone, belga di nascita, francese d’adozione; ebbe varie mogli, quattro figli, diecimila donne (secondo i propri stessi vaghi ricordi), duecento pipe. Dopo aver scritto senza spostarsi un romanzo “artificiale” sulla regione delle Cateratte (Ottentotti e Pigmei, fiori e animali compresi), decide di andare laggiù davvero, 29enne. Compra un casco e s’imbarca con la moglie Tigy a Marsiglia, sbarca a Il Cairo, raggiunge Assuan e prosegue verso sud e poi verso ovest con aerei malandati. Dopo molti giorni riparte col piroscafo da Matadi (Congo) e fa ancora qualche scalo sul continente “nero”, talora divertito o disgustato. Vi scrive sopra gli immancabili interessanti pezzi solo una volta rientrato. Ecco qui appunto raccolti i relativi articoli: “L’Africa che dicono misteriosa”: raccoglie tre articoli usciti nel 1932 e nel 1933 su “Police et Reportage” e su “Voilà”.

:: Le vie delle guerre di Andrea Santangelo (Il Mulino Bologna, 2025) a cura di Valerio Calzolaio

30 ottobre 2025

Europa. Dal principio e ancora in corso. L’Europa ha una storia piena di guerre e conflitti che ne hanno plasmato non solo le vicende istituzionali e sociali, ma anche i rapporti con il mondo; non solo la politica e l’economia, ma anche l’arte, la letteratura, la filosofia, l’urbanistica. Molte nazioni europee hanno, inoltre, un passato coloniale e imperiale che le ha viste esportare armi e violenza in ogni angolo del pianeta. La guerra è stata “fedele compagna” degli europei per millenni. Dalla nascita delle fonti scritte, cioè più o meno da 5.500 (cinquemilacinquecento anni), si calcolano circa 14.700 guerre. E tutti gli abitanti del Vecchio Continente, nelle varie epoche, l’hanno vissuta sulla propria pelle, sin dalla più tenera età. Non esiste frazione, villaggio, vico o borgo europeo che nella sua storia non conti almeno un fatto d’armi e martiri da piangere. Non c’è città o centro urbano, insediamento produttivo, convento o luogo di culto che per cause belliche non sia stato distrutto o danneggiato, poi ricostruito, almeno una volta. Gli scontri sul suolo europeo tra eserciti contrapposti (talvolta con la presenza di, o contro, individui e fazioni di civili armati) tendono a ripetersi con una sconcertante regolarità in ecosistemi strategicamente importanti, che spesso sono conosciuti anche come posti ospitali e paesaggisticamente molto belli, devastati da innumerevoli invasori aggressivi o da forze militari, certo da quando abbiamo memorie scritte e, ancor prima, da quanto attestano le fonti archeologiche: la Francia del Nord (comprensiva dell’attuale Belgio), la valle del Po in Italia, le pianure della Germania centro-meridionale … pure gli agglomerati urbani come per esempio Catania, Lubiana, Famagosta, Helsinki … quasi ovunque esistono molteplici tracce stratificate (non in pace) di popoli e civiltà successive (stili architettonici, toponomastica, odonomastica) ed esistono, dunque, tantissime vie delle guerre nella nostra Europa (da cui il titolo).

L’archeologo e storico militare Andrea Santangelo (Torino, 1970) è stato a lungo docente universitario di letteratura angloamericana e da decenni è un grande storico della letteratura di viaggio. Questo colto documentato testo fa parte di una bella fortunata collana editoriale (Ritrovare l’Europa), che esamina alcune vie europee indispensabili a conoscerci meglio, dalle monete alle capitali gotiche, dalle città romane ora alle guerre: strade e ponti, mura e fortificazioni, castelli e valli. Dopo l’introduzione sull’identità e sulla preistoria del Vecchio Continente, l’autore ci guida attraverso sette itinerari (capitoli, ciascuno di decine di pagine) in un percorso storico e cronologico: Dalla Scozia al Mar Nero, sulle tracce del limes romano (spesso montano); Da al Andalus a Balarmuth, le vie delle guerre arabe (pure in Spagna e Sicilia); Con la “fortificazione alla moderna” l’Italia conquista l’Europa (armi da fuoco a Sassocorvaro, Anversa, Ancona, Villefranche-sur-Meuse, Acaya, Terra del Sole, Palmanova, Pavia, Malta e via sparando); Nord sud ovest est, le vie delle guerre europee del XVIII secolo (fra l’altro Narva, Bonn, Guastalla); Da Valmy a Waterloo, le vie delle guerre di Napoleone (e della sua Grande Armata); Da Ypres all’Isonzo, le vie della Prima guerra mondiale; Urbicidi premeditati, le vie della Seconda guerra mondiale (fra l’altro Varsavia, Belgrado, Londra, Coventry, Lubecca, Amburgo, Dresda, Rimini). Nessuno, una decina di anni fa, avrebbe scommesso un centesimo sul ritorno al combattimento nelle trincee come invece sta accadendo sul fronte russo-ucraino. La brace (militare) sta aspettando il suo momento per ardere ancora. Purtroppo. Tutte queste “vie” hanno allora forse un futuro e sono in parte, ormai e comunque, anche attrazioni turistiche. In fondo troviamo una pertinente breve nota bibliografica, ma non un indice di nomi e luoghi.

:: In memoriam: Il mostro del Casoretto. Sei storie della casa di ringhiera di Francesco Recami (Sellerio 2025) a cura di Valerio Calzolaio

10 ottobre 2025

Milano. Una casa di ringhiera in zona via Porpora, Casoretto-Re Raul (non lontano da Lambrate). Questi edifici sono tipiche case popolari diffuse nei distretti operai del Nord, qualcuna ce n’è a Roma, nessuna a Firenze. A pianta rettangolare, ormai non hanno più spazi comuni, pur mantenendo gli ingressi sui ballatoi (visibili a tutti) e dunque facilitando scene di teatro di condominio. Francesco Recami (Firenze, 1956) ha scritto una decina di deliziosi romanzi (2011-2024) di una serie ambientata in quel contesto di misfatti, personificazione della cattiva coscienza collettiva di chi vi vive. Come già per altri autori della casa editrice, Sellerio raccoglie ora in “Il mostro del Casoretto” sei racconti dell’autore, pubblicati fra il 2014 e il 2017 nelle periodiche raccolte tematiche (giallo, crisi, turisti, calcio, viaggiare, l’ottobre di un anno), con tutti i ben noti personaggi dei vari appartamenti di quel microcosmo a più piani e relazioni, in un brodo di pregiudizi ed equivoci.

:: Delitto di benvenuto. Un’indagine di Scipione Macchiavelli di Cristina Cassar Scalia (Einaudi 2025) a cura di Valerio Calzolaio

25 Maggio 2025

Noto, 21 dicembre 1964. Sta arrivando al commissariato di Pubblica sicurezza di Noto, in treno da Roma, un nuovo commissario trentenne, Scipione Macchiavelli, elegante simpatico avvenente, trasferito in fretta e furia da Via Veneto per una storia delicata nella quale si era coinvolto, dopo quattro anni di sonnacchiosa direzione romana. Mentre il 28enne maresciallo vicedirigente Calogero Catalano, di statura media e smilzo, biondo di capelli e baffetti, è in procinto d’andare a prenderlo alla stazione di Siracusa, già stanco perché dorme poco con i due figli neonati che ancora scambiano la notte col giorno, improvvisamente si presenta la bellissima signora Maria Laura Vizzini, bruna dagli occhi verdi, accompagnata dalla zia Filomena. Il marito 42enne Gerardo Brancaforte, direttore alla potente locale Banca Trinacria, è scomparso, da due notti non è rincasato; la moglie scoppia a piangere, deve pensare a cinque picciriddi. Catalano le chiede di raccontare bene tutti i particolari all’alto brigadiere Mantuso e si avvia con l’auto di servizio, una Millecento. C’è folla all’arrivo dei treni, si tratta del periodo di ferie per le feste; si presenta al binario anche il giudice Giuseppe Santamaria, alto piacente elegante allegro, siciliano nell’animo con ascendenti romani da parte materna, trasferito a Siracusa da pochi mesi, carissimo amico di Macchiavelli; lo accolgono con calore, nonostante il freddo esterno. Il nuovo commissario deve presentarsi dal questore e sistemarsi fra i netini, intanto gli hanno preso una stanza in una casa a pensione, gestita da una coppia, i Verrazzo, Corrado e Corradina. Così capisce pure chi è il patrono della cittadina, una meraviglia di salite e chiese, palazzi nobili e sedi ufficiali (dal vescovado alla pretura e alle carceri). La nostalgia scompare presto, si butta nell’indagine; il giorno di Natale vien fuori il cadavere dell’uomo, maschio arrogante e furbo strozzino; cominciano presto a emergere indizi e possibili colpevoli, districarsi però non è facile.

La brava medica oftalmologa Cristina Cassar Scalia (Noto, 1977) continua a scrivere bei gialli, la notevole serie della vicequestora Vanina Guarrasi sta andando a gonfie vele, finora nove romanzi ambientati a Catania fra il 2015 e il 2017 (pubblicati fra il 2018 e il 2024). Avvia ora una nuova serie nella città natia, con un protagonista romano curioso ma inesperto di Sicilia e di delitti. Ottimo inizio, scrittura acuta matura raffinata. La narrazione come di consueto è in terza al passato, fissa (quasi) su Scipione, immediatamente alle prese con un inconsueto benvenuto (da cui il titolo). Pare che la provincia di Siracusa venga chiamata “babba”, ingenua, priva di malizia e forse di organizzazioni mafiose. Tramite il libro contabile di Brancaforte possono risalire a tanti insospettabili, malandrini e poveri cristi, indotti a indebitarsi anche per piccole necessità finanziarie. L’attenzione nazionale è rivolta alle elezioni presidenziali (Saragat viene eletto in corso d’opera, il 28 dicembre al ventunesimo scrutinio), quella locale inevitabilmente si concentra sull’omicidio. Macchiavelli fu impenitente (e penitente) donnaiolo nella capitale, madre fratelli sorelle lo chiamano spesso, l’amico avvocato Primo Valentini si offre di portargli l’auto, lui molto viene attratto dalla locale farmacista: Giulia Marineo, alta e castana, occhi chiari e allegri, cordiale sorriso misurato, risulta un capolavoro di donna nemmeno trentenne. Cominciano a darsi pure del tu, ma l’amico Beppe lo avvisa della fama di lei, “inconquistabile”. Cominciamo così ad affezionarci un po’ a tutti i personaggi, torneranno. Varie gazzose spesso di fianco agli alcolici, vino o vermouth, marsala o Punt e Mes. Fumando insieme e ascoltando Roberta, Scipione segnala a Giulia che ricorda benissimo quando Peppino di Capri e i suoi Rockers iniziarono la loro carriera nei night di via Veneto, non è certo ci faccia bella figura.

:: Tiro di sponda di Donald E. Westlake (Fanucci, 2025) a cura di Valerio Calzolaio

28 febbraio 2025

IMPEDIBILE. New York. Inizio anni Settanta. Dopo una ventina di premiati romanzi hard-boiled noir con vari pseudonimi o con il proprio nome, l’immenso Donald Edwin Edmund Westlake (1933 – 2008) firma “Tiro di sponda”, secondo della serie degli “ineffabili cinque”, principale protagonista il mesto geniale pessimista ladro John Archibald Dortmunder, alto, spalle curve, capelli diradati e senza vita, volto da cane bastonato; poco fortunato e capace raramente di sorridere, anche con la solerte fidanzata May. Lo troveremo complessivamente in 14 romanzi e 11 racconti pubblicati fino al 2009, qui ancora insieme ai competenti pressapochisti amici e colleghi Kelp (furti d’auto) e Murch (madre tassista, indispensabile se si vuole fuggire nella Mela), che tornano, Victor ed Herman X, che s’aggiungono. Il titolo fa riferimento a quella preziosa vecchia banca trasferitasi temporaneamente su una casa mobile, potremmo provare a portarcela via tutt’intera, chissà, il piano è perfetto, come al solito.

:: Kairos di Jenny Erpenbeck (Sellerio 2024) a cura di Valerio Calzolaio

12 gennaio 2025

Berlino, anni Novanta. Ormai Katharina vive col marito a Pittsburgh, quel giorno compie gli anni. Dalla capitale tedesca Ludwig l’avvisa che il padre Hans è morto. All’ora del funerale, a distanza suona la stessa musica: Mozart, Bach, Chopin. Sei mesi dopo le arrivano due scatoloni, i reperti più recenti risalgono al 1992, i più vecchi al 1986, quando l’11 luglio s’incontrarono su un bus verso Est, con reciproco colpo di fulmine. Riapre lettere e diari. Lei era studentessa 19enne (poi scenografa teatrale), lui scrittore ultracinquantenne, famoso e dissidente, sposato da trenta con un figlio; lei appena uscita da una libreria antiquaria, lui diretto al centro culturale ungherese per un saggio di Lukács. Sono travolti da attrazione, sesso, amore, dipendenza (lei più fragile), tossicità. “Kairos” è il seducente dio dell’attimo fortunato e il titolo dell’ultimo splendido intenso romanzo (in terza e seconda) della grande premiata Jenny Erpenbeck (Berlino Est, 1967). Tempi di guerra fredda.

Jenny Erpenbeck è nata a Berlino Est nel 1967 da padre di origini russe e madre polacca. Ha vinto con E non è subito sera (2012) il prestigioso Hans Fallada Prize. Con questa casa editrice ha pubblicato Voci del verbo andare (2016), Premio Strega Europeo 2017, finalista al Deutscher Buchpreis, Di passaggio (2019), Storia del la bambina che volle fermare il tempo (2020), l’esordio che l’ha consacrata come astro nascente della letteratura tedesca contemporanea, Il libro delle parole (2022) e Kairos, tradotto in molti paesi, vincitore l’International Booker Prize 2024.

:: Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni (Einaudi, 2024) a cura di Valerio Calzolaio

27 dicembre 2024

Fortino (Cilento) e Napoli. Luglio 1940. Ricordi di bimba. Intanto, il vedovo Luigi Alfredo Ricciardi si siede davanti alla tomba di Enrica; da tre mesi, grazie anche al mausoleo di famiglia dei baroni di Malomonte in quel tranquillo cimitero, ha convinto i suoceri Giulio e Maria a trasferirsi nell’antico castello del paese del basso Cilento, insieme alla nipote, sua figlia Marta (nata mentre la mamma moriva nel parto), e alla governante tuttofare Nelide, capace così di occuparsi dei possedimenti con maggior cura; lui vi era nato e cresciuto fino ai 15 anni, andato via ancora adolescente, per studiare, poi l’università e il lavoro di polizia, non era più tornato; la metropoli urlante e colorata gli mancava, come i pochi cari amici; tuttavia sa che il Fatto della propria vita era iniziato lì e non può rinviare più il ritorno alla radice del suo dolore. Marta riempie la vita di tutti, ha occhi neri e vivaci come la mamma, entusiasmo e sensibilità; frequenta l’anziana Filomena, zia di Nelide, apparentemente muta e sorda, sotto un grande ulivo della collinetta e forse presto la maestra Giovanna che potrebbe ovviare bene all’assenza della scuola; sta per compiere 6 anni, il 7 luglio. Nel frattempo, l’enorme gioviale irascibile 61enne brigadiere Maione continua a indagare nei vicoli dei Quartieri Spagnoli e il medico pensionato Bruno Modo continua a frequentare un ristretto gruppo antifascista di Napoli, progettando un attentato contro un pezzo grosso nazista tedesco, di passaggio al porto. Dopo sei necessitati anni in Argentina, la splendida cantante di successo 41enne Laura Lobianco ha ormai deciso di rientrare in Italia, riprendere anche l’originario nome di Livia Lucani Vezzi, visitare l’originaria Jesi; il grasso musicista Diego la introduce a una canzone proprio sul ritorno, che non hanno nel repertorio, troppo maschile, Volver. Maione viene a conoscenza dell’attentato e intende salvare gli amici; Ricciardi si concentra su un vecchio caso di omicidio a Fortino, intuisce che lo riguarda personalmente.

Il grande scrittore italiano Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) va ormai considerato un Maestro, non solo del suo genere (ai confini di tanti altri). La sua prima e più amata serie giunge il quindicesimo romanzo, un capolavoro a puntate, sempre grande qualità, picchi talora. Per lui si va nelle autentiche dolenti esistenze emozionali. Dopo gli esordi con le quattro stagioni del 1931, il seguito delle feste del 1932, le svolte matrimoniale del maggio 1933 e genitoriale dell’estate 1934, aveva dovuto abbandonare alla sua sorte l’amatissimo “diverso” commissario (dodicesima avventura), poi ritrovato ad aprile 1939 (tredicesima avventura) e a Natale dello stesso anno (quattordicesima), sempre a Napoli. Qui abbiamo due profili spaziali (Fortino, ove Ricciardi si è dovuto trasferire causa regime dittatoriale e leggi razziste, e Napoli) e due profili temporali (l’estate turbolenta di parenti e affetti, a lui contemporanea, e il caso del suo passato locale, un fatto di sangue del febbraio 1906). La trama si compone anche di ingegnose vicende più o meno criminali su cui indagare e da risolvere, con acume e fantasia. Tutto intorno prendono spazio e tempo (come nelle serie tv) le vicende parallele noir e sentimentali dei tanti coprotagonisti, questa volta imperniate sul ritorno geografico, affettivo e sociale, nell’eterna indagine su noi stessi e qui sui misfatti causati in larga parte dall’orrido regime fascista. Non mancano Bambinella, il viso equino pesantemente truccato sotto il cappellino vezzoso e la veletta, la persona più attendibile in città per quanto concerne le informazioni riservate; la contessa Bianca Borgati di Zisa che rimpiange Marta, si preoccupa per Modo e compirà anche lei gli anni il 7 luglio; il bell’ambulante fruttivendolo Tanino ‘o Sarracino, in trasferta perché innamorato della mitica brutta Nelide (che risponde a monosillabi e oscuri proverbi nel suo dialetto); vari interessanti personaggi cilentani, antichi e moderni. La narrazione è, come sempre, in terza varia (con incursioni in prima e in corsivo su Filomena, in terza su alcuni incontri d’epoca utili a comprendere il contesto storico sociale). Il titolo si riferisce a Volver,un’altra canzone del 1934, ancora testo di Alfredo Le Pera, musica di Carlos Gardel. In copertina la bimba e l’anziana a “colloquio” sotto l’ulivo. Vino, rosolio e surrogato (niente caffè). Altro che letteratura minore di genere!

Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d’inverno, Il purgatorio dell’angelo, Il pianto dell’alba, Caminito, Soledad e Volver (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero). Dopo Il metodo del Coccodrillo (Mondadori 2012; Einaudi Stile Libero 2016; Premio Scerbanenco), con I Bastardi di Pizzofalcone (2013) ha dato inizio a un nuovo ciclo contemporaneo (sempre pubblicato da Einaudi Stile Libero e diventato una serie Tv per Rai 1), continuato con Buio, Gelo, Cuccioli, Pane, Souvenir, Vuoto, Nozze, Fiori, Angeli e Pioggia, che segue le vicende di una squadra investigativa partenopea. Ha partecipato, con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli, all’antologia Giochi criminali (2014). Per Rizzoli sono usciti Il resto della settimana (2015), I Guardiani (2017), Sara al tramonto (2018), Le parole di Sara (2019) e Una lettera per Sara (2020); per Sellerio, Dodici rose a Settembre (2019); per Solferino, Il concerto dei destini fragili (2020). Con Cristina Cassar Scalia e Giancarlo De Cataldo ha scritto il romanzo a sei mani Tre passi per un delitto (Einaudi Stile Libero 2020). Sempre per Einaudi Stile Libero, ha pubblicato della serie di Mina Settembre Troppo freddo per Settembre (2020) e Una Sirena a Settembe (2021). Molto legato alla squadra di calcio della sua città, di cui è visceralmente tifoso, de Giovanni è anche autore di opere teatrali. Dai suoi romanzi, sempre in vetta alle classifiche, sono state tratte fortunate fiction televisive. È tradotto in tutto il mondo.

:: La badante e il professore di Bruno Morchio (Mondadori, 2024) a cura di Valerio Calzolaio

5 dicembre 2024

Genova e dintorni (ça va sans dire). Un dicembre del 2002 (e molti anni dopo, addirittura nel 2036). Ormai è trascorso tantissimo tempo, Filippo Fil Sarzetto Sarzana decide di raccontare precisamente la storia, appuntata prima in un diario e poi in un dattiloscritto (quando frequentava con profitto l’istituto tecnico informatico): quel dì aveva appena dodici anni, magro come un chiodo, timido e sveglio, la mamma donna delle pulizie vedova già da dieci (padre muratore caduto da un ponteggio) e la cara sorella Teresa con dieci anni di più (se ne era sempre occupata lei di lui nel piccolo comunello dove vivevano). Il mitico professor Canepa (stimato extraparlamentare di sinistra in gioventù), ormai prossimo agli ottant’anni, gli faceva gratuitamente ripetizioni dopo aver insegnato per decenni Letteratura italiana nel più prestigioso liceo classico della vicina Genova, due volte alla settimana, il martedì e il giovedì pomeriggio. Fu ucciso. Aveva in casa da nemmeno un anno la governante ucraina Natalia Kovalenko, alta e slanciata, una bellezza triste e timorosa, capelli quasi biondo cenere, tagliati corti con frangetta, nasino minuscolo all’insù e occhi magnetici d’un azzurro stinto, della quale tanti erano invaghiti in paese, forse lo stesso professore e certo pure lui bambino. Il crimine avvenne martedì 5 dicembre, Filippo e Natalia erano usciti poco dopo le diciotto per andare al bar a prendere una cioccolata calda, lo trovò lui tornando a recuperare lo zaino: nello studio qualcuno aveva spaccato in testa a Canepa il busto di marmo di Leopardi. La vittima era parsimoniosa e benestante: la casa, un cospicuo patrimonio e una preziosa collezione di quadri. La badante fu la prima sospettata, ovviamente, ma potevano essere stati altri (parenti e non solo). Districandosi fra i sentimenti, accanto alle infastidite forze di polizia, anche Filippo indagò, con l’interessato aiuto di un giovane giornalista locale innamorato della sorella (peraltro lesbica), fra pettegolezzi altarini segreti.

Un giallo “classico” per il grande scrittore Bruno Morchio (Genova, 1954), psicologo pubblico in pensione e psicoterapeuta. Il volume è significativamente dedicato al vero “professor Canepa, che mi ha insegnato l’amore per i libri e la verità”, oltre che a un amico scrittore. La narrazione è in prima persona al passato, il bambino in piena pubertà si conquista con parole e fatti il ruolo di protagonista, giovane acuto testimone dei rapporti fra adulti, innanzitutto quello legato al caso criminale e al titolo letterario (in copertina, invece, l’illustrazione che allude al busto del poeta recanatese). Per seguire gli incontri misteriosi dell’amata, Filippo andrà pure a scoprire il “pudore” della bellissima città vecchia, secondo Teresa “piena di bellezze, che però non si lasciano vedere. Dietro portoni che ricordano quelli di una stalla si aprono scale di marmo e pareti decorate con meraviglioso azulejos”, affascinanti ceramiche artistiche. Poco alcool a quell’età, pur se il maggiorenne amico di successo Serafino Costa Costamagna scola durante il pranzo familiare di Natale con gusto e speranza sia la bottiglia di Rossese che quella di Spumante Asti, dopo aver portato un libro di cucina per l’affettuosa padrona di casa e un sontuoso mazzo di rosse per la smaliziata sorella, a quel punto la mamma prova ad aprirgli gli occhi, senza troppi peli sulla lingua.

:: La porta di Georges Simenon (Adelphi, 2024) a cura di Valerio Calzolaio

21 ottobre 2024

Parigi, intorno a place des Vosges. Luglio 1959. Il 42enne Bernard Foy vive da venti anni con la moglie 38enne Nelly in un appartamento al quarto piano di rue de Tourenne (III), all’angolo di rue des Minimes. Nel 1940 gli furono amputate entrambe le mani; era di pattuglia in un bosco tra la linea Maginot e la linea Siegfried; strisciava nella neve quando pare abbia toccato una mina, subito esplosa; si è risvegliato in un ospedale militare, già operato. Prima lavorava come meccanico in un garage delle Halles, durante il servizio militare a Épinal aveva conosciuto Nelly, che faceva la giovanissima maschera in un cinema; si erano sposati a inizio 1939 e stabiliti lì, a due passi dal place des Vosges (fra III e IV Arroindessement), dove lui era nato e dove sua madre, a quell’epoca, faceva ancora la portinaia (IV); Nelly aveva smesso di lavorare. Dopo il trauma è stata dura, col tempo hanno individuato le protesi artigianali adatte (da togliere ogni sera); lui si è vista riconosciuta una modesta stabile pensione da invalido di guerra; lei ha intrapreso la vita di magazziniera presso la ditta Delangle&Abouet in place des Vistoires (tra I e II), la più importante passamaneria di Francia, da poco pure promossa caporeparto. Bernard passa le giornate a osservare gli altri dalla finestra (spia ogni movimento), ad ascoltare i rumori (suo malgrado) dei vicini e della strada, a fare spesa e cucinare. Pensa di non essere più un vero uomo ed è convinto che lei possa e debba aver bisogno di altri (in certo modo giustamente). Si amano, fanno sesso volentieri e spesso, si confidano. Eppure, il tarlo ossessivo agisce sia in lui che, indirettamente, in lei, prodromo di tragedie forse, soprattutto da quando al primo piano si è trasferito il giovane fratello della collega, un illustratore poliomielitico su sedia a rotelle, ogni giorno assistito da un’infermiera. Nelly deve fargli commissioni, si ferma là per qualche minuto.

Il romanzo è molto bello. Di Simenon sappiamo quasi tutto (1903 – 1989, origine bretone, belga di nascita, francese d’adozione, non solo parigino d’elezione, quasi trecento romanzi, uno degli autori più letti al mondo) e la grande casa editrice milanese Adelphi sta ottimamente progressivamente garantendo la pubblicazione integrale dei suoi scritti. Questa lunga ansiogena novella originariamente del 1962, né noir né rosa, ma certo di ineluttabile amore, era inedita in italiano. La porta del titolo è quella brutta, con un colore spento e il pomolo di maiolica bianca, dell’allegro sereno 28enne vignettista Pierre Mazeron, il fratello dell’invadente opportunista Giséle, trasferitosi al primo piano dell’edificio in cui vivono marito e moglie. Probabilmente è noto quante volte vi è entrata attraverso Nelly, ma conta soprattutto quante volte Bernard avrebbe voluto aprirla! La narrazione è in terza fissa al passato su di lui, pur se i protagonisti sono anche la moglie, leale e semplice, sempre più bella e ormai pure un poco rotondetta, e soprattutto la dinamica di coppia che (come spesso accade) assume vita propria. Sullo sfondo i due medici (uno diabetico) che si interessano al caso clinico e umano, donne e uomini vicini e dirimpettai, negozianti e clienti delle botteghe consuete. L’ambiente è perlopiù quello dell’appartamento in cui la coppia abita e delle passeggiate che fanno insieme a braccetto (più o meno) per le strade della città; i dialoghi sono i loro, il detto e il non detto, significativo tanto quel che si esprime quanto quel che si pensa; la relazione si è adattata ed è evoluta in forme affettuose per due decenni; ora lui vive una crisi di gelosia, è contrariato e ossessionato, pensa alla morte; lei era una donna “vissuta” quando si sono conosciuti e non può che prenderne atto via via, a proprio modo. Una qualche garbata tragedia incombe, anche se l’autore è bravissimo a rendere plausibili molti finali dalle stesse premesse. Vario ordinario vino accompagna spesso i pasti. Si ballano le canzoni d’epoca, talora in giro e in piazza, difficile non entusiasmarsi.