Posts Tagged ‘Premio Biella Letteratura e Industria’

:: PROCLAMAZIONE DEI FINALISTI DELLA XXI EDIZIONE – PREMIO BIELLA LETTERATURA E INDUSTRIA 2022

22 giugno 2022

Roger ABRAVANELAristocrazia 2.0. Una nuova élite per salvare l’Italia (Solferino)

Marco ARMIEROL’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, la discarica globale (Einaudi)

Claudia BIANCHIHate speech. Il lato oscuro del linguaggio (Laterza)

Fabio DEOTTOL’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia (Bompiani)

Angelo MASTRANDREAL’ultimo miglio. Viaggio nel mondo della logistica e dell’e-commerce in Italia tra Amazon, rider, portacontainer, magazzinieri e criminalità organizzata (Manni)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a Paolo BARATTA

Il Giardino e l’Arsenale. Una storia della Biennale (Marsilio)

La Giuria, presieduta dallo scrittore Pier Francesco Gasparetto, è composta da: Claudio Bermond (docente universitario), Paola Borgna (docente universitaria), Ida Bozzi (giornalista) Paolo Bricco (giornalista e saggista), Loredana Lipperini (scrittrice, giornalista e conduttrice radiofonica), Sergio Pent (scrittore), Alberto Sinigaglia (giornalista) e Tiziano Toracca (docente universitario) ha inoltre assegnato un Premio Speciale a: Paolo Baratta per Il Giardino e l’Arsenale. Una storia della Biennale (Marsilio).

:: Premio Biella Letteratura e Industria XX edizione – Annuncio finalisti

16 giugno 2021

Ed ecco i 5 finalisti:

Giancarlo Liviano D’Arcangelo, con L.O.V.E Libertà, Odio, Vendetta, Eternità (Il Saggiatore) dà vita a un’epopea romanzesca contemporanea che esplora gli abissi della società globale: l’inquietante negativo di un mondo in putrescenza, in cui un impero che crolla può fare meno rumore di una coscienza che muore.

Sara Loffredi, con Fronte di scavo (Einaudi) guida il lettore nella profondità della montagna (il Monte Bianco) e degli uomini, e ci mostra una pagina epica della nostra storia, scritta da un’Europa appena uscita dalla guerra, ma capace di guardare con fiducia al futuro.

Paolo Malaguti, con Se l’acqua ride (Einaudi), racconta l’avventura al tramonto di un mondo che corre sull’acqua osservato dagli occhi più curiosi che ci siano, quelli di un ragazzino che vuole diventare grande.

Giancarlo Michellone, con Una Fiat che fu. Quando con i calzoni corti facevamo l’antiskid (Guerini Next) condensa in questo suo primo libro vicende professionali ed esistenziali all’insegna di tecnologia e brevetti innovativi.

Gabriele Sassone, con Uccidi l’unicorno. Epoca del lavoro culturale interiore (Il Saggiatore) offre un racconto in prima persona sul potere delle immagini e sulla macchina infernale che le produce.

Cinque opere di narrativa, scelte tra quaranta opere candidate, che concorreranno per un premio del valore di 6mila euro che verrà consegnato durante la cerimonia conclusiva di sabato 20 novembre 2021 a Città Studi, Biella.

La Giuria, presieduta dallo scrittore Pier Francesco Gasparetto, è composta da: Claudio Bermond (docente universitario), Paola Borgna (docente universitaria), Paolo Bricco (giornalista e saggista), Loredana Lipperini (scrittrice, giornalista e conduttrice radiofonica), Paola Mastrocola (scrittrice) Sergio Pent (scrittore), Alberto Sinigaglia (giornalista) e Tiziano Toracca (docente universitario) ha assegnato un Premio Speciale a:

Alberto Albertini, La classe avversa, Hacca editore

:: Premio Biella Letteratura e Industria – Annuncio finalisti evento online

11 giugno 2020

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Domani venerdì 12 giugno, alle ore 18, verranno annunciate le cinque opere finaliste, selezionate tra 35 titoli candidati, della XIX edizione del Premio Biella Letteratura e Industria, quest’anno dedicata alla Saggistica.

Sarà possibile assistere all’evento online tramite il canale YouTube del Premio oppure dalla pagina ufficiale Facebook del Premio.

Saranno presenti:

Paolo Piana, presidente Premio Biella Letteratura e Industria
Pier Francesco Gasparetto, presidente Giuria Premio Biella Letteratura e Industria
Claudio Corradino, Sindaco di Biella

Gli autori finalisti verranno intervistati da Pier Francesco Gasparetto.
Ai giurati Paolo Bricco, Claudio Bermond, Loredana LIpperini, Alberto Sinigaglia e Tiziano Toracca il compito di leggere le motivazioni delle candidature.

Letture a cura di Paolo Zanone e Veronica Rocca di “Teatrando”.

:: Un’intervista con Rossana Balduzzi Gastini, vincitrice della sezione Premio Confindustria del Biella Letteratura e Industria 2019 a cura di Giulietta Iannone

18 novembre 2019

Finalista del Premio Biella Letteratura e Industria 2019, vincitrice del Premio Confindustria, bentornata Rossana Balduzzi Gastini su Liberi di scrivere. Un premio prestigioso, un omaggio per l’Alessandria di Borsalino, e un riconoscimento personale per il suo lavoro. Deve essere stata una grande soddisfazione. Cosa ha provato quando ha saputo della vittoria?

Buongiorno a lei Giulietta e a tutti i lettori del suo interessante blog. Vincere il Premio Confindustria per la letteratura e essere annoverata tra i cinque finalisti del famoso Premio Biella Letteratura e Industria e anche del premio Acqui Storia è stato motivo di grande appagamento per il faticoso ma anche emozionate lavoro svolto. Felicità personale ma anche gioia perché finalmente Giuseppe Borsalino è stato riconosciuto come l’inventore del Made in Italy. Anche a me come a Giuseppe Borsalino importa “mettere le cose a posto”: Giuseppe Borsalino è tornato a vivere. I suoi tormenti, le sue gioie, le sue passioni e la sua generosità ora possono essere condivisi.

Motivazione del Premio: “Molto coinvolgente e convincente questo romanzo che induce a immaginare il mondo interiore di un uomo che con la sua creazione “ha fatto la Storia”; un uomo di umili origini che ha deciso di cambiare in meglio il suo futuro, con grande coraggio ed inseguendo il suo sogno, un precursore del Made in Italy nel mondo, una vita illustre a cui è doveroso rendere omaggio. Il testo celebra un imprenditore il cui nome è sinonimo di stile, un imprenditore che ha sempre avuto a cuore i diritti e il benessere di chi lavorava con e per lui, in un’epoca in cui si dava poca importanza alla tutela dei lavoratori. Un vero imprenditore.” Parole importanti, rispecchiano lo spirito del suo libro?

Sì, rispecchiano del tutto lo spirito del libro perché denotano che si è ben compreso chi fu Giuseppe Borsalino. Un uomo illuminato, vissuto alla fine del 1800, che seppe riconoscere nel suo animo la morale primigenia. Un uomo che ha sempre messo davanti a ogni cosa il rispetto per sè e per gli altri. Si può dire senza timore di smentita che egli fu l’incarnazione più pura della morale kantiana quella innata che è patrimonio di ogni uomo e che si riassume appunto nel non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te o come altrimenti viene detto fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Un uomo che ha sempre agito su questa terra consapevole del fatto che tutti ci apparteniamo. Un imprenditore illuminato che non ha esitato un secondo a ridistribuire le ricchezze ottenute dalla sua azienda e a condividerle con i suoi operai cosa rara anche al giorno d’oggi in cui spesso, governati dall’ego, si tende a condividere solo le perdite. Egli è riuscito a superare la “Scelta Razionale” ben nota a economisti e sociologi secondo la quale gli interessi personali vengono prima degli altri è questa la filosofia malata che causa il collasso di una società e il mal di vivere umano. Egli ha fatto della sua città, non solo della sua fabbrica un’utopia “reale”, un’isola felice perfettamente funzionante nella quale si produceva e si viveva in un’ottica di perfetto equilibrio ed eguaglianza, soddisfacendo le esigenze di tutti. Lui era il proprietario ma anche il primo operaio e i suoi lavoratori erano la sua famiglia al punto che, preoccupato di come avrebbero vissuto una volta terminato il rapporto di lavoro, istituì una cassa pensioni interna alla fabbrica quando ancora nemmeno si parlava di una legislazione in materia pensionistica.

Tornando al Premio Biella Letteratura Industria, un premio unico nel suo genere, un’altra eccellenza del Piemonte, che valorizza la letteratura e il mondo del lavoro. In che misura pensa iniziative simili migliorino la vita della gente e soprattutto siano di stimolo e modello per i giovani?

Il Premio Biella Letteratura Industria per come è organizzato per la grande quantità di energie che vi vengono spese è un raggio di luce nel panorama nebuloso della cultura di questi ultimi anni. Esso fa capire come operando con coscienza nella cultura e nel lavoro, ambiti che toccano tutte le fasce della popolazione si può trasformare e fare evolvere positivamente la società. La misura in cui questo tipo di iniziative incidono nel migliorare la vita della gente e nel formare i giovani è incommensurabile data la sua fondamentale importanza.

Nel ringraziarla per la sua disponibilità come ultima domanda le chiederei quali sono i suoi progetti per il futuro? Sta scrivendo un nuovo libro?

Certamente sono già all’opera nel creare un romanzo storico filosofico e da pochi mesi è uscito La ragazza di madreperla un romanzo di formazione con risvolti metafisici.
Perla, la protagonista, agisce su questa terra consapevole del fatto che tutti ci apparteniamo.
lei rappresenta la metafora della trasformazione spirituale cui ogni uomo dovrebbe tendere. La felicità sulla Terra può essere vissuta solo seguendo una vita senza eccessi e nella giusta Misura. E questo non è un qualcosa di irraggiungibile basta avere la volontà di farlo.

:: Save the Date – Premio Biella Letteratura e Industria 16 novembre 2019

15 novembre 2019

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:: Un’intervista con Maurizio Gazzarri, vincitore della sezione Giuria dei lettori del Premio Biella Letteratura e Industria 2019 a cura di Giulietta Iannone

12 novembre 2019

Maurizio Gazzarri insieme a Luca Murta di Fondazione CRB bis

Finalista del Premio Biella Letteratura e Industria 2019, vincitore del Premio Giuria dei Lettori, benvenuto Maurizio Gazzarri su Liberi di scrivere. Ci parli di lei, dei suoi studi, del suo lavoro, della sua infanzia.

Innanzitutto, grazie a Liberi di scrivere per questa opportunità. Sono nato e cresciuto a Volterra, la città toscana di origini etrusche. Una città isolata, che ha fatto di questo isolamento sia il suo elemento di forza sia il suo punto debole. Mi piace pensare che il mio carattere derivi da questa contraddizione: mi piace stare dietro le quinte e allo stesso tempo un po’ ne soffro. A 14 anni, era il 1985, ho messo per la prima volta le mani su un computer, grazie a un progetto sperimentale delle mie scuole superiori. E da quel giorno non me ne sono staccato praticamente più. Mi sono laureato in informatica a Pisa, città nella quale mi sono trasferito e attualmente vivo. Dopo la laurea, in realtà, non ho svolto lavori direttamente connessi con l’informatica: mi sono occupato di politica e poi di amministrazione pubblica. Dal 2008 al 2018 ho svolto il ruolo di capo di gabinetto del sindaco di Pisa e credo che la mia formazione “tecnica e tecnologica” mi sia stata molto utile per affrontare i mille problemi quotidiani. Attualmente sto concludendo un master in Big Data Analytics and Social Mining e sono consulente per pubbliche amministrazioni e società private per progetti innovativi, digitalizzazione, comunicazione e partecipazione. Inoltre, collaboro con il quotidiano La Nazione con una rubrica dedicata al 50° del primo corso di laurea italiano in Informatica, attivato a Pisa nel 1969.

Come è nato il suo amore per i libri? Cosa l’ha spinta a diventare uno scrittore?

Nel 2020 si festeggeranno i 100 anni dalla nascita di Gianni Rodari. Io sono cresciuto con i suoi libri, i suoi racconti, le sue favole e le sue poesie. “Favole al telefono” è stato il primo libro che ho letto. La scintilla è scoccata lì. Mio padre (o, meglio, il mio babbo) assecondava ogni mia richiesta d’acquisto di libri; le sue parole le ho ancora impresse: “se mi chiedi i soldi per un libro non ti dirò mai di no”. L’ho preso un po’ troppo alla lettera, riempiendo la casa di romanzi, saggi e fumetti. Ma dalla lettura alla scrittura c’è un abisso. Per molti anni ho litigato con la scrittura e con i temi scolastici. Adesso, non farei altro che scrivere. Ma non oso definirmi uno scrittore, bensì un autore di un romanzo.

Ora parliamo di I ragazzi che scalarono il futuro (Edizioni ETS). Come è nata l’idea di scriverlo? Qual è stato il punto di partenza nel processo di scrittura?

Durante il mio lavoro presso il Comune di Pisa ho avuto modo di interloquire con le tre università cittadine, con i centri di ricerca, con molti dei protagonisti dell’informatica pisana e italiana. Ho accumulato dentro di me conoscenze ed emozioni. Che, non appena aperto il “rubinetto”, si sono riversate nella redazione del romanzo. C’era un pezzo della storia di Pisa non del tutto conosciuto, seppur molto recente; ho pensato che fosse un episodio cruciale e non affatto secondario non solo di Pisa ma dell’Italia intera. L’opportunità mi è stata offerta dalla casa editrice ETS che ha organizzato un corso di scrittura, tenuto dai due responsabili della loro collana di narrativa Pierantonio Pardi e Daniele Luti. Quest’ultimo mi ha seguito passo passo, insegnandomi le tecniche giuste, i metodi, le “regole” da osservare. Mi sono liberato dell’idea che scrivere un romanzo fosse improvvisazione. No, è metodo, è criterio, sono regole e principi, è applicazione e dedizione. È, anche e soprattutto, mettersi in discussione.

Il libro racconta, romanzandola, la nascita dell’informatica italiana e la costruzione della CEP (Calcolatrice Elettronica Pisana) e dell’ELEA (Elaboratore Elettronico Aritmetico), i primi computer progettati e realizzati in Italia. Ci parli dell’humus culturale e umano che favorì il raggiungimento di questo importante traguardo, tra Pisa e Barbaricina, in Toscana, tra Università e ricerca scientifica privata.

Le vicende del romanzo iniziano nell’estate del ’54. Era l’estate della conquista del K2, ma anche della morte di De Gasperi. Era l’anno dell’inizio delle trasmissioni della RAI, ma anche di un’Italia ancora alle prese con il dopoguerra. C’era voglia di futuro e di benessere, contrastata dalla situazione economica di molte regioni e da una arretratezza culturale talvolta disarmante, vista con gli occhi di oggi. Voglia di futuro e zavorre del passato. Anche a Pisa si viveva questo dualismo. Ma con ingredienti diversi da molte altre città, che consentirono di far partire proprio a Pisa i progetti per i primi computer italiani. La politica e le istituzioni locali misero da parte divisioni partitiche e di campanile, l’Ateneo accantonò le resistenze di quella parte del corpo accademico più legato alle antiche abitudini, l’impresa – in questo caso la Olivetti di Ivrea – capì che valeva la pena rischiare un investimento innovativo, piuttosto che rimanere nelle acque tranquille delle macchine per scrivere o delle calcolatrici meccaniche. Questo intreccio tra istituzioni, università e impresa, unito al protagonismo di tanti giovani neolaureati, portò a risultati eccezionali. A me piace pensare che ci sia un filo che lega la storia di Pisa con quella della scienza e della tecnologia. Da Leonardo Fibonacci, che portò nel XIII secolo in Europa lo zero e le cifre arabe, a Galileo Galilei nato nella città della Torre. Dal primo congresso degli scienziati italiani tenuto a Pisa nel 1839, a Guglielmo Marconi, che a Coltano – a due passi da Pisa – realizzò i suoi esperimenti sulla radio. Dal suggerimento di Fermi per la realizzazione della calcolatrice elettronica, al primo nodo Internet italiano, attivato a Pisa nel 1986. Fino alle attuali ricerche sulla robotica, sull’intelligenza artificiale, sulle onde gravitazionali. E si potrebbero aggiungere altri mille nomi, progetti e scoperte fatte all’ombra della torre pendente!

La visione della famiglia Olivetti di Ivrea, parte delle grandi famiglie industriali e imprenditoriali italiane, ha contribuito a buona parte di questo successo. C’è ancora secondo lei, nel mondo imprenditoriale d’oggi, questa visione di insieme che unisce iniziativa privata e contributi statali?

Adriano Olivetti, assieme al fratello Dino e al figlio Roberto, dovettero contrastare non poco all’interno dell’azienda per far apprezzare il lavoro del Laboratorio di Ricerche Elettroniche aperto nel quartiere pisano di Barbaricina. Non è un caso che tale Laboratorio sia stato aperto non a Ivrea o a Milano, ma a Pisa. Non solo per il rapporto con l’Università, ma anche per far sì che non venisse assorbito e fagocitato dalle logiche aziendali dell’epoca. Buona parte del merito dei risultati va ascritto a un ingegnere italo cinese, Mario Tchou, purtroppo scomparso a soli 37 anni in un incidente stradale. Tchou diceva che “le cose nuove si fanno solo con i giovani”: con questo principio reclutò ragazzi dal grande potenziale e con tanta voglia di fare. Ma Olivetti non era solo impresa e profitto, era comunità, sociale, cultura, architettura, integrazione, urbanistica. Una visione olistica dell’impresa, nella quale il profitto e i valori non sono scindibili. Purtroppo, fu avversato per molte ragioni. E di contributi statali ne vide ben pochi: lo Stato non fece niente né prima, né dopo la sua morte per dare il giusto sostegno alla Olivetti. Fino al 1964, quando fu smembrata l’azienda con la cessione della sua Divisione Elettronica. A Pisa furono le istituzioni locali e non lo Stato a contribuire alla realizzazione del progetto, con ben 150 milioni di lire.
Tra i grandi imprenditori attuali credo che siano veramente pochi quelli che sono definibili Olivettiani. Adesso il margine di profitto è l’unica cosa che conta. I benefit e gli stipendi degli amministratori delegati a volte superano le 500 volte quelle di un dipendente della stessa azienda. Una cosa inconcepibile per Adriano Olivetti. Lo Stato, troppo spesso, viene usato come limone da spremere, senza restituire davvero alla collettività quello che si è ricevuto in termini di contributi, agevolazioni fiscali e benefit. Bisogna scendere fino alle piccole start up per trovare quel clima di apertura e collaborazione che contraddistingueva Adriano Olivetti.

Il suo libro è anche un affresco corale dell’Italia della seconda metà degli anni Cinquanta, prima del boom degli anni Sessanta, giusto?

Mi sono divertito molto a inserire nel racconto riferimenti a oggetti, fatti e personaggi dell’epoca. La 600 Fiat e la Lettera 22. Il cinema, con i film prodotti negli stabilimenti cinematografici di Tirrenia, e la televisione. I viaggi spaziali, con lo Sputnik e Gagarin. La nascita del Mercato Comune Europeo e l’ingresso dell’Italia nell’assemblea dell’ONU. Lo sport, con il giro d’Italia, il cavallo Ribot e le partite di calcio del Pisa. Ho inserito anche tanta politica e sindacato, con le lotte per l’emancipazione delle donne affrontate dalla protagonista Angela, la fidanzata di Giorgio, impegnato invece nella realizzazione delle calcolatrici elettroniche. Un dualismo, quello di Giorgio e Angela che mi è piaciuto molto scrivere e descrivere.

Una storia di giovani, soprattutto, che ce la misero tutta, con sacrificio, studio e grande forza di volontà. Un modello di impegno anche per i giovani d’oggi?

All’epoca si aveva la netta percezione che il futuro non poteva che essere migliore del passato. I giovani sapevano che studiando avrebbero sicuramente migliorato la propria condizione. All’impegno messo negli studi corrispondeva il giusto successo. Adesso, sembra che l’impegno, lo studio, la dedizione non servano più; che si possa ottenere “successo” soltanto per caso, per raccomandazione o per un’idea brillante ma estemporanea. Non è così e provo ogni giorno a farlo capire a mio figlio Dario che sta frequentando la seconda liceo. A me piace riassumere tutto questo in cinque parole d’ordine, le cinque “C”: coraggio, costanza, comunità, curiosità, creatività. I nuovi ragazzi che stanno provando a scalare il futuro sono quelli che manifestano nelle nostre città per assicurare un domani al pianeta: ragazzi e ragazze che hanno piena consapevolezza che la loro età adulta può essere completamente compromessa dal cambiamento climatico in atto. Non vanno solo ascoltati, vanno messi nelle condizioni di cambiare le cose, dando loro responsabilità e poteri. Come ha scritto Rodari, “certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova”.

C’è anche un sapore agrodolce in questa vicenda, poi pochi anni dopo la Olivetti e l’Italia perderanno i grandi elaboratori elettronici. Perché successe?

È una domanda alla quale molti hanno provato a rispondere. Certamente le morti, prima, di Adriano Olivetti e, poi, di Mario Tchou, cambiarono il corso della storia. Ma nessuno può dire che la crisi economica della Olivetti non sarebbe comunque avvenuta, dopo i grandi investimenti fatti per l’acquisizione della Underwood e il mancato aiuto da parte dello Stato. Mentre all’estero, negli USA e in Gran Bretagna, lo Stato sosteneva le aziende informatiche, in Italia si preferì osteggiarle. La politica ebbe le sue responsabilità. Ma ne ebbe anche la classe imprenditoriale italiana, che messa alla prova di una crisi aziendale acuta, dette la risposta più scontata e meno lungimirante possibile: la cessione della Divisione Elettronica, impropriamente definita “ramo secco”. Il modello Olivetti stava stretto a molte persone. Persa la sfida dei mainframe, dei grandi calcolatori, la Olivetti ebbe un grande sussulto con la Programma 101: il gruppo di Perotto, scampato alla cessione alla General Electric, riuscì nell’impresa di realizzare e mettere in commercio il primo personal computer della storia. Venduto in larghissima parte negli Stati Uniti (compresa la Nasa!), segno che chi pensa ai complotti esteri quando parla della storia della Olivetti, a mio parere, ha torto.

Tornando al Premio Biella Letteratura industria, i libri in concorso, quest’anno soprattutto, hanno al centro storie e modelli virtuosi che legano letteratura e industria, dalla storia unica di Borsalino agli operai della Melegatti. Storie che trasmettono modelli positivi e una luce di speranza in questo momento di crisi economica, pur restando ancorati alla realtà e analizzando le varie problematiche. Cosa ha provato quando ha saputo che il suo libro ha vinto il Premio Giuria dei Lettori?

Il Premio Biella è stato per me un susseguirsi di emozioni. “I ragazzi che scalarono il futuro” è il mio primo libro e non ho idea se ce ne saranno altri. Per un esordiente come me, ricevere la lettera del presidente Gasparetto che mi annunciava di essere entrato nella cinquina finalista, è stato emozionante. L’evento al Salone del Libro, poi le presentazioni a Biella e a Torino, infine la comunicazione del Premio “Giuria dei lettori”: momenti che non scorderò. Durante l’estate ho letto gli altri quattro romanzi finalisti. Sono tutti libri scritti benissimo, che raccontano storie personali o collettive di riscatto, di difficoltà o di successo. Sapere che il Circolo dei Lettori di Biella ha preferito il mio romanzo mi riempie di orgoglio: un sentimento che non mi capita di provare spesso. Un’ultima cosa a cui tengo è ringraziare tutti coloro che portano avanti il premo Biella: a chi lo presiede, lo organizza e lo promuove va espressa riconoscenza per la passione e la dedizione.

Nel ringraziarla per la sua disponibilità come ultima domanda le chiederei quali sono i suoi progetti per il futuro? Sta scrivendo un nuovo libro?

Sono io che vi ringrazio per questa opportunità! Diciamo che ho in mente una manciata di idee, alcune più strutturate, altre ancora in embrione. La maggior parte finirà la sua esistenza in poche righe di incipit o di soggetto. Nel frattempo, sto accumulando libri, riferimenti e suggestioni. Non so, davvero, se ci sarà mai un secondo romanzo. Se lo sentissi come un dovere, sono certo che il risultato sarebbe mediocre. Fuori dalla forma romanzata, ho due progetti in cantiere. Il primo è un volume con la ricostruzione storica di 65 anni di informatica a Pisa, conseguenza della collaborazione con il quotidiano La Nazione. Il secondo vorrei dedicarlo al rapporto tra la Olivetti e Pisa, raccontando nei dettagli l’esperienza del Laboratorio di Barbaricina. Per la redazione del romanzo ho raccolto molte testimonianze e corpose documentazioni che solo in minima parte sono ovviamente finite nel racconto. Adesso vorrei riordinarle e strutturarle, per non disperdere questa conoscenza e per valorizzare queste bellissime storie di eccellenza.

:: Premio Biella Letteratura e Industria XVIII edizione: vince Giorgio Falco

30 ottobre 2019

Vince la XVIII edizione del Premio Biella Letteratura e Industria lo scrittore Giorgio Falco con “IPOTESI DI UNA SCONFITTA” – Einaudi.

Giorgio Falco

Rossana Balduzzi Gastini con “GIUSEPPE BORSALINO. L’UOMO CHE CONQUISTÒ IL MONDO CON UN CAPPELLO” (Sperling & Kupfer) si aggiudica il Premio Confindustria.

E infine Maurizio Gazzarri con I ragazzi che scalarono il futuro (Edizioni ETS) vince il Premio Giuria dei Lettori.

La cerimonia di premiazione avrà luogo sabato 16 novembre 2019, presso l’Auditorium di Città Studi di Biella, occasione in cui verranno anche consegnati il Premio Concorso per le Scuole “Cuore, testa, mani”, e il premio Lions Bugella Civitas per la migliore recensione.

:: I cinque finalisti del Premio Biella 2019 al Circolo della Stampa di Torino

18 ottobre 2019

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I cinque finalisti del Premio Biella Letteratura e Industria 2019, Rossana Balduzzi Gastini, Giorgio Falco, Maurizio Gazzarri, Alberto Prunetti, e Eugenio Raspi, saranno ospiti a Torino, mercoledì 23 ottobre, nella storica sede del Circolo della Stampa di Corso Stati Uniti 27, iniziativa che nasce dalla collaborazione tra il Premio Biella e Confindustria Piemonte.

Inoltre avrà luogo anche la presentazione della III edizione del Premio Confindustria Piemonte, il cui vincitore sarà reso noto il 31 ottobre.

Dopo i saluti del Presidente di Confindustria Piemonte Fabio Ravanelli che presenterà il Premio Confindustria Piemonte, e l’intervento di Alberto Sinigaglia, Presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte, sarà Paolo Piana, Presidente del Premio Biella Letteratura e Industria a illustrarne gli obiettivi culturali e sociali e ad annunciare l’adesione di un nuovo importante sponsor, il Banco Popolare.

Pier Francesco Gasparetto Presidente della Giuria del Premio Biella Letteratura e Industria composta da Claudio Bermond, Paolo Bricco Paola Borgna , Loredana Lipperini, Giuseppe Lupo, Marco Neiretti, Sergio Pent e Alberto Sinigaglia, dialogherà con i finalisti.

Appuntamento poi sabato 16 novembre 2019, presso l’Auditorium di Città Studi di Biella, quando verrà proclamato il vincitore del Premio Biella Letteratura e Industria XVIII edizione, a cui verrà consegnato un premio di 5mila euro.

In quell’occasione saranno consegnati anche il premio Giuria dei Lettori, il Premio Concorso per le Scuole “Cuore, testa, mani”, e il premio Lions Bugella Civitas per la migliore recensione.

Siete tutti benvenuti.

:: I ragazzi che scalarono il futuro di Maurizio Gazzarri (Edizioni ETS, 2018) a cura di Daniela Distefano

25 luglio 2019

I RAGAZZI CHE SCALARONO IL FUTUROLa bella stagione degli speranzosi anni ’50 e ’60 fa da sfondo a questo bel libro, cucito su misura dei lettori più esigenti: spalma una storia di passione tecnologica sul pane dei sentimenti puri, della genuinità delle relazioni, della freschezza dell’amicizia imperitura; quei rapporti umani che fanno gridare al miracolo quando producono soluzioni a problemi del futuro. Ma andiamo con ordine e partiamo dal plot. I personaggi principali sono due ventenni, Giorgio e Angela, e le loro vite si incrociano con quelle dei protagonisti della sfida che portò alla realizzazione della prima calcolatrice elettronica italiana a Pisa. La narrazione parte dall’idea iniziale di creare una calcolatrice elettronica, così da arrivare alla effettiva realizzazione della Macchina Ridotta prima e di quella che fu chiamata CEP (Calcolatrice Elettronica Pisana) poi; tutto questo passando per la fondamentale collaborazione dell’Università con la Olivetti, in particolare con il centro in via del Capannone a Barbaricina, dove fu costruito il prototipo “zero” delle macchine ELEA. Il 13 novembre 1961 la CEP fu presentata al Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. Si sono gettate in tal modo le basi per il futuro sviluppo dell’informatica in Italia, che ha cambiato radicalmente il nostro modo di scrivere, di comunicare, di lavorare, di stare nel mondo.
Il libro è molto diverso da altre ricostruzioni dell’argomento pubblicate nel passato. Tanto per cominciare, non è un saggio, ma lo si può definire un romanzo storico, perché gli avvenimenti della costruzione della CEP e del primo computer Olivetti a Pisa sono intrecciati con gli eventi della storia della città e dell’Italia di quel periodo.
Nel pieno del fermento avveniristico, la Storia si incontra con la finzione narrativa e nasce la storia di Giorgio e di Angela, lui giovane ingegnere coinvolto nella costruzione della CEP, lei, sua fidanzata, operaia della fabbrica Marzotto e protagonista delle prime lotte delle donne per l’emancipazione. C’è anche una rivale di Angela, Ella, una scienziata americana che Giorgio conosce nel suo viaggio negli USA e che con il suo fascino intellettuale mina le sicurezze di Giorgio sulle sue scelte di cuore. Le due donne, appartenenti a classi sociali e mondi molto diversi, sono entrambe figure intelligenti, tenaci e volitive. In particolare, è molto ben descritta la crescita personale di Angela, che, da ragazza semplice e ingenua, con il passare degli anni e il contatto con gli avvenimenti della fabbrica e le lotte per i diritti delle donne, acquisisce una sempre maggior coscienza del suo ruolo nel mondo.

Giorgio commentò a modo suo:”E’ vero, senza evoluzione non c’è futuro, di nessun tipo”. Angela era visibilmente allegra: le piacevano quei discorsi solo apparentemente leggeri e senza capo né coda. Provò a dire la sua, mettendoci tutta la serietà di cui era capace, intrecciando quei concetti con la sua vita in fabbrica. “La spinta che dà il cambiamento, anche solo come ipotesi, è essenziale per migliorare la condizione degli uomini e delle donne. Noi operaie, per esempio, se non avessimo in testa obiettivi di miglioramento della nostra condizione, faremmo meglio a rinunciare a lavorare in fabbrica. Se voi ingegneri migliorate le macchine, noi rischiamo meno di farci male e possiamo evitare di fare lavori ripetitivi, noiosi e logoranti. Ma anche se noi operaie, se noi sindacaliste, conquistiamo nuovi diritti con le nostre lotte, non migliora soltanto la nostra condizione di lavoro, ma anche quella delle nostre famiglie, dei nostri figli, delle nostre comunità, delle nostre città””.

A tutto fa da sfondo la città di Pisa con i suoi monumenti, le sue strade, le sue luci cangianti e seducenti. Un libro delizioso, scritto sulla scorta di una templare ispirazione. Perfetto ritratto di quel momento d’oro della nostra storia italiana che dopo il supplizio fascista è stata capace di ricominciare da zero per poi proiettarsi in avanti con fiducia e provvidenza. Finalista al premio Biella Letteratura e Industria 2019.

Maurizio Gazzarri è nato a Volterra nel 1971. Nel 1990 si trasferisce a Pisa dove si laurea in Scienze dell’Informazione. Dal 2008 al 2018 ha svolto il ruolo di capogabinetto del Sindaco di Pisa occupandosi di digitalizzazione dei servizi, comunicazione, partecipazione e coordinamento di progetti innovativi. Nel 2018 è uscito questo romanzo d’esordio, “I ragazzi che scalarono il futuro”(Edizioni ETS), che racconta, mescolando realtà e fantasia, la nascita dell’informatica italiana e la realizzazione dalla CEP e della ELEA, le prime calcolatrici elettroniche italiane.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Barbara dell’ Ufficio stampa Edizioni ETS.

:: Un’intervista con Rossana Balduzzi Gastini a cura di Giulietta Iannone

10 luglio 2019

Rossana Balduzzi GastiniBenvenuta su Liberi di scrivere signora Balduzzi Gastini, e grazie per aver accettato questa intervista. Ci parli di lei, dei suoi studi, del suo lavoro, della sua infanzia.

Innanzi tutto sono io a ringraziare lei per avermi proposto questa gradita conversazione. Dovendo parlare di me inizierei con il dire che sono nata ad Alessandria dove, a parte un periodo milanese, ho sempre vissuto. Ho studiato al liceo classico Plana famoso perché vi studiò Umberto Eco e poi mi sono laureata in architettura presso il Politecnico di Milano. Per anni ho svolto la professione di architetto e poi improvvisamente “la svolta”, un cambio di vita rinascendo come scrittrice.

Come è nato il suo amore per i libri? Cosa l’ha spinta a diventare una scrittrice?

Si potrebbe dire che il mio amore per i libri sia nato con me e così il desiderio di inventare situazioni e personaggi che mi è sempre appartenuto. Ricordo che da piccola mi immergevo per ore e ore nel mondo meraviglioso della fantasia immaginando storie fantastiche da far vivere alle mie bambole. Giocando parlavo spesso da sola, dando voce ai vari personaggi totalmente indifferente a ciò che accadeva intorno a me.
Poi, una volta aver imparato a leggere, ho passato tanto tempo tra le pagine di libri di fiabe e di romanzi per ragazzi con un coinvolgimento emotivo importante. A mia madre è capitato spesso di trovarmi in lacrime per la sorte avversa capitata a qualche personaggio letterario a me caro. Fin da piccola ho sempre bonariamente invidiato chi riusciva a creare storie così emozionanti e allora mai più avrei potuto immaginare che un giorno anche io avrei fatto parte attiva di quel mondo dagli echi fantastici per me così ammalianti. Crescendo e iniziando a lavorare ho smesso di inventare storie anche se spesso mi accadeva di subire dalla vita quotidiana suggestioni che sapevo che avrebbero potuto dare vita a diverse narrazioni ma non sono mai andata oltre quell’intuizione iniziale. Poi, invece il momento è arrivato così all’improvviso senza che io abbia fatto nulla per cercarlo: sono entrata in un locale, ho provato un forte turbamento e, poco dopo, ha prepotentemente preso vita Emma la protagonista di Life on loan e di Covered i miei primi romanzi.

Ora parliamo di “Giuseppe Borsalino – L’uomo che conquistò il mondo con un cappello”, libro giunto tra i cinque finalisti del Premio Biella Letteratura e Industria. Come è nata l’idea di scriverlo? Qual è stato il punto di partenza nel processo di scrittura?

La creatività ha veramente qualcosa di magico, qualcosa di inspiegabile e così anche in questo caso una mattina, senza che nulla fosse accaduto a rammentarmelo, il nome di Giuseppe Borsalino mi è balzato prepotentemente in mente. Dopo una sommaria indagine mi sono resa conto che a differenza di altri personaggi coevi, come per esempio Thomas Burberry fondatore dell’omonimo marchio, Giuseppe Borsalino, sebbene avesse fatto del suo cognome un mito, era praticamente sconosciuto se non a livello locale e per locale intendo solo la città di Alessandria, nemmeno l’Italia! Incredibile – mi sono detta – eppure quest’uomo ha inventato il Made in Italy cento anni prima che si iniziasse a parlare di esportazione di prodotti creati dal genio italiano e nessuno lo sa! Cento anni sono un tempo considerevole … ma la cosa straordinaria è stata che poi. a mano a mano che progredivo nelle ricerche, mi sono resa conto che Giuseppe Borsalino è stato molto più di questo, davvero molto di più.

Ha scelto un particolare genere tra la biografia e il romanzo di formazione, senza tralasciare il contesto storico, economico e culturale nel quale il suo protagonista visse. Perché questo approccio?

Come ho spiegato nelle note del libro, riguardo la prima parte della vita di Giuseppe non ho potuto disporre di molti dati: le uniche notizie pervenutemi erano che nacque a Pecetto di Valenza da famiglia modesta, che fu un ragazzino “difficile”, che non amava la scuola, che scappò di casa giovanissimo per raggiungere la città di Alessandria e che poi emigrò nell’ordine a Intra, Sestri Ponente, Marsiglia, Aix en Provence, Bordeaux e infine a Parigi dove divenne mastro cappellaio. Poi tornò ad Alessandria dove con il fratello diede vita al suo sogno. Sono stati quindi la storia economica, sociale del periodo, la voglia di libertà, la fine dell’assolutismo, il palpito dell’era moderna nascente, della Parigi di Haussmann, della società delle Grandi Esposizioni Universali dove venivano esposte le invenzioni che di lì a poco avrebbero cambiato il mondo per farne quello che ora noi stiamo vivendo, sono stati tutti questi fattori, dicevo, a plasmarne la figura, a suggerirmi come mostrare il tormento interiore di questo ragazzino geniale che voleva trovare il modo di migliorare la propria vita e quella della sua famiglia. Per rendere al meglio la passione che segnò tutta la sua vita, il fuoco che ardeva dentro di lui e che lo ha portato in giro per il mondo ho preferito la forma romanzata a quella propria della biografia. Ho voluto che Giuseppe vivesse, parlasse e agisse direttamente affinché voi lo comprendeste e lo sentiste più vicino.

Che idea si è fatta di Giuseppe Borsalino? Quali sono stati secondo lei i suoi punti di forza che l’hanno reso l’imprenditore geniale che è stato?

Giuseppe Borsalino è stato un genio illuminato. Un uomo che non ha avuto paura di mettersi in gioco e che, non abbattendosi mai di fronte alle indubbie difficoltà capitategli, ha vinto la scommessa con la storia. Come imprenditore già all’epoca ha incarnato la figura dell’industriale moderno che sa che l’importante nella produzione sono l’anticipazione e l’adattamento alle esigenze dei destinatari dei suoi prodotti. Per Giuseppe l’atteggiamento stanco di colui che tende ad accontentarsi di ciò che produce non può durare sul lungo periodo. Giuseppe Borsalino ha subito compreso che per mantenere la credibilità nel tempo serve continuamente migliorarsi e tenere alta la qualità del prodotto. Egli fu anche un imprenditore dalla grande umanità perché fece proprie le idee delle utopie socialiste come quelle di Owen e Fourier trasferendone, però, i contenuti non in città ideali ma direttamente nella società reale avviando così una vera trasformazione sociale. Egli fu un precursore della legislazione in materia pensionistica, di prevenzione sanitaria e infortunistica e fece tanto per le donne lavoratrici. I suoi lavoratori sono stati veramente la sua famiglia e il primo operaio della Borsalino era lui.

E per la città di Alessandria la sua figura che ruolo ha rappresentato e tuttora rappresenta? Pensa che i giovani conoscano il suo peso di antesignano del made in Italy, ambasciatore della raffinatezza e dell’eleganza italiana nel mondo?

Alessandria, come gli stessi cittadini riconoscono, forse per ragioni storiche legate alle diverse dominazioni che ha dovuto subire, è una città che dimentica: un tempo, quando lo straniero lasciava andare il suo giogo, si scordava per non abbattersi di fronte alle devastazioni perpetrate in città si guardava solo al futuro per cercare di crearsi una nuova identità sociale. Ora, però, è il tempo di ricordare, mi sono detta nell’accingermi a scrivere la storia di Giuseppe Borsalino. I giovani non conoscono il peso di quest’uomo, la sua forza e il suo esempio motivante è questo il motivo per cui ho scritto la sua storia. Giuseppe è stato un ragazzo che prima di tutto ha cercato di conoscere se stesso per poi sfruttare al meglio le sue capacità: si può dire che le domande che il giovane Giuseppe si pone quando decide di cambiare la sua vita, sono quelle che i ragazzi dovrebbero fare a se stessi per maturare scelte più consapevoli.

Ad Alessandria esiste un museo, dove sorgeva il suo laboratorio in via Schiavina? Oltre al prezioso fondo Borsalino Giuseppe e fratello Spa della Biblioteca civica di Alessandria.

Esiste un museo del Cappello, è vero, non in via Schiavina dove sorgeva il primo laboratorio ma in corso cento Cannoni dove fu trasferita la Borsalino tra la fine del 1800 e i primi del 1900.

Come si è documentata durante la stesura di questo libro?

Dando un’occhiata alla bibliografia è facile farsi un’idea della mole di documenti che sono stati necessari per documentarsi. Ho ricercato su testi dell’epoca storici, economici, architettonici, urbanistici, su trattati di viabilità … su manuali che utilizzavano gli artigiani dell’epoca per comprendere le tecniche lavorative usate da Giuseppe, su riviste di costume e società dell’epoca e ho spulciato molti quotidiani del periodo italiani e stranieri. Su alcuni quotidiani neozelandesi ho trovato interviste inedite fatte a Giuseppe Borsalino e a Matthias Zurbriggen al loro arrivo in Nuova Zelanda durante la spedizione per scalare il monte Cook. E sì , perché Borsalino fu anche un grande scalatore e viaggiatore. è stato un lavoro di preparazione intenso ma esaltante durante il quale io per prima ho scoperto parti della storia e particolari della società dell’epoca che ignoravo.

Nel suo romanzo la forza del sogno è fondamentale, pensa che anche oggi sia questo il segreto del successo di molte realtà industriali italiane? Pensa che gli imprenditori, tra crisi economiche più o meno endemiche, ostacoli, avversità sappiano ancora sognare?

Sono i sognatori i veri artefici della trasformazione della società. Il sogno è l’emblema del pensiero creativo, primo gradino del percorso che porta al cambiamento in tutti gli ambiti. Indubbiamente molti grandi imprenditori sono stati inizialmente dei sognatori e molti negli anni a venire lo saranno io voglio crederlo. Bisogna immaginare e intuire per poter creare qualcosa e non aver paura di osare. Io stessa a chi in certe occasioni mi ha detto – lascia stare che è complicato – ho sempre ribattuto che “se anche nella vita non c’è nulla di facile tutto però è fattibile”. Indubbiamente alla base di ogni sogno, come Giuseppe Borsalino per primo insegna, serve avere come fine il bene di tutti coloro che prendono parte all’opera non solo il proprio tornaconto. L’esempio di Borsalino ci aiuta, infatti, a capire la necessità di ritrovare il senso di un’economia che “produce” e che nel farlo mantiene alto il valore dei rapporti umani e del rispetto per gli altri concetti che purtroppo la finanza oggi dominante considera altamente e facilmente sacrificabili come ho ben esposto nella serie intitolata Life on loan.

Le piacerebbe se il suo romanzo diventasse un film, o una serie tv? Ci sono progetti reali in merito? Chi vedrebbe bene nel ruolo di Giuseppe Borsalino?

Mi piacerebbe moltissimo è una storia avvincente ed emozionante. Ho sentito dire che ultimamente il cinema predilige storie con protagoniste femminili ma credo che la storia di quest’uomo che ebbe sempre grande rispetto per le donne sarebbe di grande esempio per i giovani e di aiuto e sostegno alla causa femminile. Giuseppe Borsalino, infatti, è stato come mi piace dire, un “datore di empatia” cioè sapeva calarsi nei panni degli altri, capirne i problemi e le necessità per poter così poi sapere cosa fare per aiutare come lo fu anche Olivetti qualche anno dopo. Questa capacità sociale è spesso erroneamente attribuita alle donne. Invece la storia di Giuseppe dimostra che essa è patrimonio di tutti va solamente riscoperta in ognuno di noi. Quanto a chi vedrei nel ruolo di Giuseppe … sono molte le figure di attori che mi vengono in mente ma sono certa che per interpretare Giuseppe nei suoi ultimi anni vedrei bene Robert Redford anche se recentemente ha annunciato il suo ritiro dalle scene. Conoscendo la passione che l’attore ha per i cappelli Borsalino, passione che lo ha portato in passato fino ad Alessandria per avere un cappello “appena uscito dalla fabbrica” non escludo che accetterebbe di impersonarlo.

Tornando al Premio Biella Letteratura industria (il vincitore o la vincitrice verrà proclamato 16 novembre 2019 presso l’Auditorium di Città Studi di Biella) i libri in concorso hanno al centro storie e modelli virtuosi che legano letteratura e industria. Storie che trasmettono modelli positivi e una luce di speranza in questo momento di crisi economica, pur restando ancorati alla realtà e analizzando le varie problematiche. Cosa ha provato quando ha saputo che il suo libro era tra i cinque finalisti?

Mi sono ritenuta privilegiata e molto onorata vista la carrellata di grandi nomi della letteratura che mi hanno preceduta. Essere stata riconosciuta degna di comparire nella cinquina finalista ha sicuramente aumentato il valore del romanzo sulla vita di Giuseppe Borsalino. La letteratura racconta la società e l’industria la esprime e contribuisce a trasformarla. Il Premio Biella unendo letteratura e industria ha ulteriormente sottolineato il ruolo importante che Giuseppe Borsalino ha avuto nel cambiamento della società italiana di fine ‘800.

Nel ringraziarla per la sua disponibilità come ultima domanda le chiederei quali sono i suoi progetti per il futuro? Sta scrivendo un nuovo libro?

Proprio in questi giorni è uscito un nuovo libro che s’intitola La ragazza di madreperla ed è edito da Minerva Edizioni di Bologna. Una storia ambientata ai nostri giorni in cui si mescolano scienza e mitologia. In questo continuo alternarsi tra presente e passato si snoda la vicenda di Perla, una bambina speciale, un personaggio immaginario, al contrario di quello di Giuseppe, la cui storia contiene un messaggio profondo per i lettori di tutte le età che al fianco di tutti protagonisti della vicenda riscopriranno il senso profondo dell’esistenza.
Un genere diverso dal romanzo storico, un nuovo cambio di pelle ma d’altronde le storie arrivano e non è assolutamente detto che appartengano allo stesso filone letterario, si formano nella mente dello scrittore che fa da tramite tra la nostra realtà e il mondo magico e spesso trasformante dell’immaginazione.

:: Giuseppe Borsalino – L’uomo che conquistò il mondo con un cappello di Rossana Balduzzi Gastini (Sperling & Kupfer 2018) a cura di Valeria Giola

11 giugno 2019

“GIUSEPPE BORSALINO” di Rossana Balduzzi GastiniOgni vita è un’avventura, una storia da raccontare, un universo di speranze e delusioni, di amore e dispiaceri. Ogni vita deve essere celebrata e ogni esperienza deve essere vissuta appieno, letta come un libro appassionante.
Si dice che per raggiungere la Felicità sia necessario un viaggio attraverso il Dolore e l’Inquietudine. Questo messaggio, breve ma complesso, è uno dei temi che più appassiona la letteratura e, in “Giuseppe Borsalino – L’uomo che conquistò il mondo con un cappello”, è il perno sul quale ruota l’anima complessa del protagonista.
Rossana Balduzzi Gastini, ideatrice di questo fortunato romanzo, ha dichiarato che il suo intento, in fase di stesura, era quello di creare al meglio il contesto storico, economico e culturale nel quale il giovane Borsalino cresce e forma la sua personalità, oltre che, naturalmente, la sua carriera. L’autrice ha letto ritagli di giornali, vecchie copie dell’epoca, ha viaggiato lungo la storia per meglio comprendere lo stile di vita e lo scenario che ha disegnato la vita degli italiani. Il risultato, in termini di trama e ambientazione, è un viaggio lungo una storia fantasiosa e fantastica.
Giuseppe Borsalino”, edito da Sperling & Kupfer, è un romanzo storico, romantico, di pensiero e d’azione. E’ una storia autentica, nella quale molti dei più importanti temi sociali, attuali come non mai, sono trattati attraverso la semplicità tipica di una narrazione realistica.
C’è un padre che teme per il futuro incentro del proprio figlio :

…” Non so di quanta intelligenza il Signore ti abbia dotato, Giuseppe mio : se te ne avrà concessa molta, dovrai sgomitare per conquistare il tuo posto della società, in caso contrario … la tua vita sarà più semplice perché sarai portato ad accontentarti e ti basterà quel poco che avrai. Sinceramente non so cosa sperare per te …”.

Lo stesso padre che vorrebbe vedere gli occhi di suo figlio concentrati sui libri:

Dovrebbe diventare lui un padrone, ma non potrà senza un diploma e senza soldi …

C’è il viaggio verso l’ignoto, lo scontro con la realtà, la solitudine causata dai propri sogni :

“Capisci quanto è ingenuo Giuseppe … Proprio non capisce che la vita che lo aspetta in città è ben misera, peggiore di quella che conducono qui le bestie …”

e ancora :

“ Giuseppe ora sta vedendo la sua immagine riflessa … è la figura di un ragazzo pallido, magro, solo, giunto in Francia da poche ore con mille sogni in tasca e pochi spiccioli per sopravvivere. Terrorizzato di vedere la paura di fallire manifestarsi sul suo volto, chiude gli occhi …”

C’è la famiglia che ci permettono di essere Noi

“ … Voglio migliorare la mia e la vostra vita … avere la possibilità di mettere a posto quello che è sbagliato …”

C’è il lavoro, il bene più grande che l’uomo possiede, per sé e per gli altri . Un bene unico e raro che, per volere di qualcuno, può diventare un’assurda prigione

“ … In una filanda, signore, ed è stato terribile: tanta ingiustizia e inciviltà … i lavoratori hanno case maleodoranti e sporche, …. I padroni sono dei veri aguzzini …”

Giuseppe Borsalino” è un romanzo dolce, ricco di immagini, ricordi, vissuto e speranza. E’ un tuffo nell’Italia divisa dai Regni, in guerra, in quell’Alessandria, vittima della sua stessa posizione. Ma, è anche e soprattutto un viaggio verso la speranza, la forza di carattere e l’intensità di un sogno che diventa realtà.

Rossana Balduzzi Gastini è nata nel 1963 ad Alessandria, dove vive tuttora con il marito e i figli. Laureatasi al Politecnico di Milano, per anni ha esercitato la professione di architetto. Ha esordito come scrittrice con i thriller Life on loan e Covered (Betelgeuse Editore), di cui sono stati già acquisiti i diritti tv. Con il romanzo Giuseppe Borsalino – L’uomo che conquistò il mondo con un cappello è tra i cinque finalisti del Premio Biella Letteratura e Industria. www.rossanabalduzzigastini.it.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo Maddalena dell’Ufficio Stampa.

:: Un’intervista con Silvino Gonzato a cura di Giulietta Iannone

10 giugno 2019

Lievito madreLievito madre: Storia della fabbrica salvata dagli operai è il suo ultimo libro, come è nata l’idea di scriverlo? Qualcuno le ha proposto il tema, o è stata una sua iniziativa?

È stato il mio editore, Giuseppe Russo, direttore editoriale della Neri Pozza, a propormi di scrivere un libro sulla lotta degli operai della Melegatti per salvare l’azienda e quindi il posto di lavoro. Si sarebbe dovuto trattare di un instant- book, un racconto scritto mentre la vicenda era in corso o appena conclusa. Era febbraio e avrei dovuto consegnare il lavoro per metà marzo poi, invece, quel lieto fine che si intravedeva si allontanava sempre di più.  Ad un certo punto sembrava invece inevitabile il contrario. Il tribunale aveva decretato il fallimento della Melegatti. Ho dovuto aspettare l’autunno per chiudere il libro.

Per la città di Verona la Melegatti è una parte importante della sua storia industriale, come per noi di Torino la Fiat. Ma la storia industriale di un paese non è fatta solo di capitali, passaggi proprietari, quotazioni in borsa, ma anche di persone, con nomi, storie personali, un vissuto. È a questa seconda parte che ha voluto dare risalto, una giusta collocazione?

Ho vissuto le speranze e le delusioni dei dipendenti della Melegatti stando in mezzo a loro davanti alla fabbrica chiusa. Era l’unico modo per scrivere il libro, che è fatto di tante piccole storie tra cui quella dei tre operai che per otto mesi hanno tenuto in vita il lievito madre, che era il cuore dell’azienda. C’era disperazione nei loro occhi ma anche molta determinazione. Non dipendeva da loro il futuro della Melegatti ma il gesto simbolico di nutrire quotidianamente il lievito madre ha commosso il mondo.

Ci racconti per sommi capi come è andata: l’azienda stava per chiudere e mentre si vivevano gli ultimi scampoli di un turbolento passaggio di proprietà, gli operai hanno aperto un gazebo, e fatto di più, tenuto in vita un prodigioso reperto di archeologia alimentare, giusto?

Rifare la storia di quanto è successo richiederebbe molto spazio.  È stata una vicenda complessa. Da un momento all’altro i dipendenti della Melegatti si sono trovati sulla strada. Non c’era alcuna avvisaglia della crisi. Si sapeva solo che da tempo i soci erano in disaccordo tra di loro. Poi saltò fuori un’impensabile storia di debiti. La cattiva gestione stava affossando la storica azienda dolciaria veronese. Solo un radicale risanamento l’avrebbe salvata. Ma chi aveva i soldi per salvarla? Il tribunale chiedeva garanzie che alla fine sono arrivate da parte di un’azienda vicentina creata ad hoc.

Matteo, Michele e Davide sono dunque degli eroi?

Degli eroi moderni che con il loro sacrificio hanno tenuto in vita il lievito madre creato 124 anni prima da Domenico Melegatti, l’inventore del pandoro.

Che idea si è fatta, in che misura le azioni degli operai hanno davvero influito sulla felice risoluzione della contesa? 

Non sono stati evidentemente gli operai a salvare la Melegatti ma la singolarità della loro lotta ha attirato l’attenzione di chi avrebbe potuto risanare l’azienda. E così è accaduto.

Una storia non solo italiana, anche il New York Times si è interessato alla vicenda, vero?

Sì, il pandoro Melegatti è conosciuto anche negli Stati Uniti, lo hanno fatto conoscere gli immigrati veneti. Ma, ripeto, è stato il sacrificio di Matteo, Michele e Davide ad attirare l’attenzione della stampa internazionale. È stato un miracolo di comunicazione.

Pensa possa essere di modello anche per altre aziende che versano diciamo in situazioni difficili?

Non lo so. Il pandoro è uno dei simboli del Natale. Per questo c’è stato molto interesse attorno alla Melegatti in crisi.

Con Lievito Madre si è aggiudicato il Premio Speciale Biella Letteratura e Industria 2019, cosa ha provato quando l’ha saputo?

È stata una lieta sorpresa. Tutto sommato è un libricino. Ma la storia c’era e ho tentato di raccontarla. Una storia di Natale.

Tra tanto pessimismo, una storia che trasmette modelli positivi e una luce di speranza. Anche per lei sui giornali si dovrebbe dare più spazio a storie come questa?

I giornali danno conto delle notizie positive se ci sono. Raramente succede. O forse bisognerebbe andarle a cercare.

Infine, ringraziandola, chiuderei l’intervista chiedendole i suoi progetti per il futuro, letterari e lavorativi.

Sto lavorando a un nuovo libro, un romanzo che ha per protagonista una famiglia della classe operaia. Mi sto divertendo a scriverlo. Guarda caso uno dei personaggi è un operario di un’azienda dolciaria in crisi.