Lievito madre: Storia della fabbrica salvata dagli operai è il suo ultimo libro, come è nata l’idea di scriverlo? Qualcuno le ha proposto il tema, o è stata una sua iniziativa?
È stato il mio editore, Giuseppe Russo, direttore editoriale della Neri Pozza, a propormi di scrivere un libro sulla lotta degli operai della Melegatti per salvare l’azienda e quindi il posto di lavoro. Si sarebbe dovuto trattare di un instant- book, un racconto scritto mentre la vicenda era in corso o appena conclusa. Era febbraio e avrei dovuto consegnare il lavoro per metà marzo poi, invece, quel lieto fine che si intravedeva si allontanava sempre di più. Ad un certo punto sembrava invece inevitabile il contrario. Il tribunale aveva decretato il fallimento della Melegatti. Ho dovuto aspettare l’autunno per chiudere il libro.
Per la città di Verona la Melegatti è una parte importante della sua storia industriale, come per noi di Torino la Fiat. Ma la storia industriale di un paese non è fatta solo di capitali, passaggi proprietari, quotazioni in borsa, ma anche di persone, con nomi, storie personali, un vissuto. È a questa seconda parte che ha voluto dare risalto, una giusta collocazione?
Ho vissuto le speranze e le delusioni dei dipendenti della Melegatti stando in mezzo a loro davanti alla fabbrica chiusa. Era l’unico modo per scrivere il libro, che è fatto di tante piccole storie tra cui quella dei tre operai che per otto mesi hanno tenuto in vita il lievito madre, che era il cuore dell’azienda. C’era disperazione nei loro occhi ma anche molta determinazione. Non dipendeva da loro il futuro della Melegatti ma il gesto simbolico di nutrire quotidianamente il lievito madre ha commosso il mondo.
Ci racconti per sommi capi come è andata: l’azienda stava per chiudere e mentre si vivevano gli ultimi scampoli di un turbolento passaggio di proprietà, gli operai hanno aperto un gazebo, e fatto di più, tenuto in vita un prodigioso reperto di archeologia alimentare, giusto?
Rifare la storia di quanto è successo richiederebbe molto spazio. È stata una vicenda complessa. Da un momento all’altro i dipendenti della Melegatti si sono trovati sulla strada. Non c’era alcuna avvisaglia della crisi. Si sapeva solo che da tempo i soci erano in disaccordo tra di loro. Poi saltò fuori un’impensabile storia di debiti. La cattiva gestione stava affossando la storica azienda dolciaria veronese. Solo un radicale risanamento l’avrebbe salvata. Ma chi aveva i soldi per salvarla? Il tribunale chiedeva garanzie che alla fine sono arrivate da parte di un’azienda vicentina creata ad hoc.
Matteo, Michele e Davide sono dunque degli eroi?
Degli eroi moderni che con il loro sacrificio hanno tenuto in vita il lievito madre creato 124 anni prima da Domenico Melegatti, l’inventore del pandoro.
Che idea si è fatta, in che misura le azioni degli operai hanno davvero influito sulla felice risoluzione della contesa?
Non sono stati evidentemente gli operai a salvare la Melegatti ma la singolarità della loro lotta ha attirato l’attenzione di chi avrebbe potuto risanare l’azienda. E così è accaduto.
Una storia non solo italiana, anche il New York Times si è interessato alla vicenda, vero?
Sì, il pandoro Melegatti è conosciuto anche negli Stati Uniti, lo hanno fatto conoscere gli immigrati veneti. Ma, ripeto, è stato il sacrificio di Matteo, Michele e Davide ad attirare l’attenzione della stampa internazionale. È stato un miracolo di comunicazione.
Pensa possa essere di modello anche per altre aziende che versano diciamo in situazioni difficili?
Non lo so. Il pandoro è uno dei simboli del Natale. Per questo c’è stato molto interesse attorno alla Melegatti in crisi.
Con Lievito Madre si è aggiudicato il Premio Speciale Biella Letteratura e Industria 2019, cosa ha provato quando l’ha saputo?
È stata una lieta sorpresa. Tutto sommato è un libricino. Ma la storia c’era e ho tentato di raccontarla. Una storia di Natale.
Tra tanto pessimismo, una storia che trasmette modelli positivi e una luce di speranza. Anche per lei sui giornali si dovrebbe dare più spazio a storie come questa?
I giornali danno conto delle notizie positive se ci sono. Raramente succede. O forse bisognerebbe andarle a cercare.
Infine, ringraziandola, chiuderei l’intervista chiedendole i suoi progetti per il futuro, letterari e lavorativi.
Sto lavorando a un nuovo libro, un romanzo che ha per protagonista una famiglia della classe operaia. Mi sto divertendo a scriverlo. Guarda caso uno dei personaggi è un operario di un’azienda dolciaria in crisi.