Posts Tagged ‘Garzanti’

:: Il gatto che insegnava a essere felici, Rachel Wells (Garzanti, 2016) a cura di Elena Romanello

3 febbraio 2017
huy

Clicca sulla cover per l’acquisto

Torna Alfie, il gatto protagonista de Il gatto che aggiustava i cuori, per un nuovo capitolo della sua epopea di gatto condiviso dagli abitanti di Edgar Road, dove ha trovato la sua casa, anzi le sue case, dove varie peripezie in seguito alla morte della sua anziana compagna umana.
Alfie racconta queste sue nuove avventure in prima persona, mentre vive i problemi dei suoi compagni umani, tra Claire, che vorrebbe tanto avere un bambino che non arriva e Alesky, che ha problemi di bullismo a scuola. Un giorno arriva nella via una nuova famiglia, misteriosa e schiva, che non vuole avere rapporti con il vicinato, e che riempie di sospetto tutti. Con queste nuove persone vive un qualcuno che colpisce subito Alfie, la bellissima gatta Snowball, che però è decisamente scostante e poco propensa a dare confidenza agli altri felini, con inevitabili invidie e dubbi da parte degli amici a quattro zampe di Alfie. Ma Alfie non si arrende e cerca di fare breccia nei suoi nuovi vicini umani, cercando di capire cosa c’è che li angustia tanto, anche perché si è preso una bella cotta per Snowball, anche se lei non lo tratta proprio bene.
Alla lunga, Alfie riuscirà a fare in modo che la nuova famiglia e i suoi vecchi amici riescano ad interagire, e a far emergere la verità su certi comportamenti, non certo da criminali come pensava qualcuno, ma legati ad un fatto triste e non ancora superato del loro passato recente.
Le storie con animali protagonisti hanno una lunga tradizione nei Paesi anglosassoni, basti pensare a titoli come La fattoria degli animali di George Orwell o La collina dei conigli di Richard Adams. Qui l’autrice sceglie un approccio diverso, quello di un universo parallelo di animali che sono visti dagli esseri umani come tali, ma che hanno capacità di relazionarsi e cambiare gli eventi.
Fiaba per tutte le età, la saga di Alfie si legge con simpatia, raccontando microcosmi umani alla fine molto realistici, dove la presenza di un animale domestico è riconosciuta come fondamentale. Un libro essenziale per i gattofili, anche se i puristi potranno notare che lo splendido gattino rosso di copertina non rispecchia il vero aspetto di Alfie, classico grigio tabby. Ma sono dettagli su cui si può sorvolare, con una storia positiva ma non buonista, che mette in pace con il mondo, anche solo per il tempo in cui la si legge.

Rachel Wells vive nel Devon con la sua famiglia, ha sempre desiderato scrivere e ha sempre amato i gatti come animali domestici. Ha combinato queste due passioni nei suoi amatissimi romanzi sulle avventure di Alfie: Il gatto che aggiustava i cuori (Garzanti, 2015) e il suo seguito, Il gatto che insegnava a essere felici.

Source: inviato al recensore dall’ufficio stampa Garzanti, che ringraziamo.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Blogtour – Il rituale del male, Jean-Christophe Grangé (Garzanti, 2016), ultima tappa

17 dicembre 2016

2

Chiudiamo oggi questo lunghissimo blogtour dedicato a Il rituale del male (Lontano, 2015) di Jean-Christophe Grangé, che ci ha tenuto compagnia per un po’ più di quindici giorni, questa è la diciassettesima e ultima tappa. Ringraziamo i lettori che ci hanno seguito, Grangé che ha scritto il libro, (stanno traducendo proprio in questi giorni il seguito, Congo Requiem), Garzanti per averci supportato, nelle persone di Bianca e Giulia, e in ultimo ma non meno importanti i traduttori che hanno accettato di partecipare. Spero vi sia piaciuto, noi ci abbiamo messo tutto l’impegno e ci siamo anche divertiti. Nella tappa di oggi lo scrittore Stefano Di Marino ci parlerà del libro, con il suo stile inconfondibile. Buona lettura.

֎ La trama ֎

L’aria è malvagia sull’isola di Sirling, al largo della costa bretone. Un’aria salmastra, appiccicosa, in cui l’odore del mare si mescola alle immagini di un macabro rituale, al ricordo di un uomo, uno spietato serial killer dalla firma inconfondibile. L’Uomo Chiodo, però, ha smesso di colpire da più di quarant’anni. Nel 1971. A Lontano, nel cuore del Congo.
Ma i segni di quei terribili omicidi emergono ora dal limbo del tempo in una base militare di fulgida tradizione. Il corpo di un giovane cadetto, dilaniato da un’esplosione, viene ritrovato all’interno di un bunker. I rilievi del medico legale non lasciano dubbi: il corpo è stato trafitto da centinaia di chiodi arrugginiti, gli organi asportati, gli arti orrendamente mutilati. A occuparsi del caso, stranamente, non è la polizia militare, ma la prestigiosa squadra Omicidi di Parigi, guidata dal comandante Erwan Morvan. Erwan è figlio di quel Grégoire Morvan che, proprio a Lontano, aveva messo fine alla scia di sangue dell’Uomo Chiodo, quello che sulle risorse minerarie del Congo ha costruito la propria fortuna e che ora, da una posizione defilata, comanda le leve della polizia francese. E mentre le vittime si moltiplicano e gli indizi si fanno via via più evanescenti, il fantasma dell’Uomo Chiodo torna a braccare i Morvan e a scuotere dalle fondamenta il buon nome di una famiglia in apparenza inattaccabile. Ben presto l’indagine costringe Erwan sulle tracce delle più oscure gesta di suo padre in Africa, trasformandosi in una sfida che oltrepassa le leggi dello spazio e del tempo, in cui nessuno è senza colpa e nessuno conosce la verità. Una corsa sfrenata per salvare chi ama, che condurrà Erwan lontano dalla Francia, nel cuore del Congo oscuro e sanguinoso che ha tenuto a battesimo la sua stessa esistenza.

֎ L’autore ֎

Jean-Christophe Grangé è autore di romanzi di grandissimo successo che hanno ampliato i confini del thriller tradizionale: Il volo delle cicogne, I fiumi di porpora, Il concilio di pietra, L’impero dei lupi, La linea nera, Il giuramento, Miserere, L’istinto del sangue. I suoi libri, tradotti in tutto il mondo e venduti in milioni di copie, sono pubblicati in Italia da Garzanti. Spesso sono stati portati sul grande schermo, e I fiumi di porpora ha vinto il premio Grinzane Cinema 2007 per il miglior libro da cui è stato tratto un film.

book

֎ Stefano Di Marino legge Il rituale del male ֎

Dopo il non riuscitissimo Il respiro della cenere (Kaiken), e un film di successo mai arrivato in Italia (La Marque des Anges preso da Miserere, con Depardieu) Jean-Christophe Grangè ci regala un altro romanzo di ampio respiro (più di 700 pagine) recuperando in maniera originale alcune delle sue tematiche più forti.
Lasciando i tentativi di esplorare troppo approfonditamente la psicologia femminile, come succedeva in L’istinto del sangue (La Foret des Manes),  si concentra con Il rituale del male (Lontano) su forti psicologie maschili all’interno di una famiglia. Fondamentalmente quelle di Gregoire ed Erwan Morvan, padre e figlio, entrambi poliziotti. Specchi di generazioni e ideologie differenti. Il vecchio ha la grinta di un Gabin e un passato di gauchista diventato uomo forte del potere nelle colonie e, a modo suo, ‘padrino’ di una famiglia disastrata. Incombono ricordi di sevizie familiari (sulla moglie Maggie) e un’inchiesta di quaranta anni prima che ha condotto a uno spettacolare arresto di un serial killer bianco nella comunità degli espatriati della remota città di Lontano, in una zona impervia del Congo. Malgrado una vita di avventure, soprusi, operazioni da ‘barbouze’[1], quell’indagine portata felicemente (si fa per dire…) a termine resta un evento epocale.
Forse la chiave di volta dell’intera vicenda umana di Gregoire, dei suoi difficili rapporti con i figli. Se Erwan è quello che più gli assomiglia, pur nell’antitetica visione della legge e della famiglia, altri risultano interessanti. Il bel Loic, bisessuale, drogato, disgraziato e genio della finanza. Un disperato angelo maledetto, almeno quanto la più giovane Gaelle che s’illude di poter sfondare nel mondo dello spettacolo e invece fa la prostituta di lusso nei circoli altolocati di Parigi. E poi c’è Sofia, figlia di un finanziere italiano, ex moglie di Loic e amore segreto di Erwan.
In questo complesso quadro familiare arriva come una meteora un’indagine su un incidente a una scuola militare in Normandia, luogo d’origine della famiglia Morvan. Subito s’intuisce qualcosa di malsano e anche il sospetto di un episodio di ‘nonnismo’ degenerato in tragedia impallidisce di fronte di fronte alla brutalità di un omicidio che ha qualcosa di rituale.
Di più, le circostanze rimandano direttamente ai delitti di quel serial killer, l’Homme-clou, l’uomo dei chiodi che seviziava e riduceva le sue vittime a feticci della magia nera Yombè. Si apre, come di consueto, un sipario su un universo lontano e tropicale, in cui la follia e la crudeltà si confondono con il mondo degli spiriti e della superstizione. In breve emerge un arazzo di depravazioni, di vizi e di follia mescolati con manovre economiche e brutalità criminali.
La famiglia Morvan è sotto attacco e, pur senza appianare le loro divergenze, padre e figli devono ricompattarsi e affrontare nemici senza volto.
Abilissimo come sempre a tessere un ordito complesso tra sentimenti, ricordi, verità nascoste, Grangè fonde azione e suggestioni di avventura esotica con il mistero, l’indagine poliziesca e l’interazione dei personaggi. Più volte siamo sul punto di svelare il mistero, ma sempre qualcosa sfugge, un dettaglio non torna. Così si arriva all’ultima pagina con una rivelazione che il lettore attento ha forse presagito, ma che non viene del tutto chiarito. Potrebbe esserci un seguito oppure no. Di fondo, al thriller più angoscioso si avvicina un ritratto familiare che, partendo da un canovaccio machbethiano, arriva a impensate conclusioni.
Come nel caso di tutte le opere di Grangé Lontano è un romanzo che è qualcosa di più di un thriller. Diciamolo, per quanto io sia un sostenitore dei giallisti italiani (e ci mancherebbe) qui ci sono anni luce di distanza. Purtroppo mi pare che sia per quanto riguardi il cinema che la produzione letteraria ci sia un pregiudizio condiviso da editori, spettatori e lettori verso la produzione francese. Forse ci siamo fatti un po’ trarre in inganno da Lelouche, da Romer e da una certa produzione che ha indotto alcuni a immaginare la Francia come fornace di storie romantiche e non a tutti gradite.
Guardiamoci un po’ intorno. Da Oltralpe arrivano prodotti filmati e scritti di grande qualità, originali, non è che si limitano a imitare Maigret per tutta la vita. Grangè (come il suo imitatore Thillez, ma anche Lemaitre) è un autore di classe, molto originale. Val la pena di conoscerlo.

[1] Barbouze è un termine gergale dispregiativo usato per i membri dei vari corpi dell’ OAS (lOrganisation de l’armée secrète), la cui lotta veniva condotta in modi che nè la polizia e nè l’esercto potevano usare ufficialmente. Così agivano in maniera semi-clandestina (“barba finta”). Successivamente, questo termine è stato usato per descrivere gli agenti SDECEE (Service de Documentation Extérieure et de Contre-Espionnage) e gli agenti segreti tutti senza distinzione, ma sempre con una connotazione peggiorativa o burlesca.

֎ Il link a tutte le tappe ֎

:: Blogtour, le tappe – Il rituale del male, Jean-Christophe Grangé (Garzanti, 2016)

30 novembre 2016

Inizia domani un blogtour incredibile, il più ambizioso e folle a cui abbia partecipato, in tutto ben 17 blogger al servizio di un libro davvero interessante, Il rituale del male,  (Lontano, 2015) di Jean-Christophe Grangé. Un libro che merita senz’altro tutto questo dispiegamento di forze. Da domani 1 dicembre fino al 17 dicembre ogni giorno una tappa, ogni giorno un tema diverso, speriamo originale: estratti, copertine dal mondo, recensioni, interviste a traduttori, audioletture, insomma tanti e tanti argomenti. Ci siamo preparati da più di un mese,  per cui incrociate le dita per noi, che vada tutto bene.

Qui potete vedere tutte le varie tappe, i blog che parteciperanno, gli argomenti trattati. Enjoy!

unnamed

֎ Tutti i link ֎

1/12 Un lettore è un gran sognatore Post introduttivo: chi è Grangé
2/12 Il tempo dei libri Trama & Origine del romanzo
3/12 Strategie evolutive Incipit e commento
4/12 Viaggiatrice Pigra I personaggi
5/12 Every book has its story Scenario e ambientazione
6/12 Il colore dei libri Profilo storico e politico
7/12 My secret diary Focus On: Gregoire Morvain
8/12 Hook a Book I film tratti dai libri di Grangé
9/12 Leggere in Silenzio Dreamcast
10/12 The Imbranation Girl Tutte le Traduzioni e Copertine
11/12 Il Bianco e Il Nero Emozioni di una Musa Recensione
12/12 Diario di un sogno Recensione
13/12 AmaranthineMess Recensione
14/12 Le Parole Segrete dei Libri Audiolibro
15/12 Ladra di libri Recensione
16/12 Non solo noir I traduttori raccontano Grangé
17/12 Liberi di scrivere Lo Scrittore Stefano Di Marino racconta lo stile, la tecnica e l’arte di Grangé

:: L’uomo che inseguiva i desideri, Patrick Phaedra, (Garzanti, 2016) a cura di Elena Romanello

17 novembre 2016
51ygdue1sgl

Clicca sulla cover per l’acquisto

Arthur Pepper ha perso da ormai un anno l’adorata moglie Miriam e decide di riordinare le sue cose, anche per svariare un po’ le sue giornate monotone e tristi. Tra gli altri oggetti trova un braccialetto che lo lascia perplesso visto che Miriam non portava gioielli, di fattura preziosa, con numerosi ciondoli a forma di tigre, fiore, elefante, libro e altri piccoli oggetti, ognuno che sembra simboleggiare qualcosa.
Su uno di questi è inciso un numero di telefono, dell’India, e Arthur non può fare a meno di chiamarlo, iniziando un viaggio che lo porterà lontano dal paesino inglese in cui si è chiuso, tra lo stupore dei figli e della vicina Bernadette, a scoprire il passato di una moglie che è stata governante in India, artista, modella tra Londra, Parigi e Goa.
Non è il primo libro che parla della cosiddetta terza età, che ha tra gli altri inconvenienti il veder morire affetti e amori, ma L’uomo che inseguiva i desideri si distingue innanzitutto per l’ottimo espediente narrativo di far partire il tutto da un oggetto simbolico, nascosto da anni in un cassetto ma capace di raccontare la storia di una vita, aspetti di una persona amata che non si conoscevano e che non rovineranno comunque il ricordo e l’amore che Arthur ha per sua moglie, tra situazioni commoventi e momenti veramente da rotolare dalle risate, telefonate intercontinentali e incontri ravvicinati con tigri domestiche ma pronte a tirare fuori un po’ di ferocia repressa. Del resto, spesso si sottovaluta l’importanza degli oggetti come evocatori di situazioni e storie del passato, anche se lo stesso Proust aveva già visto questo: con altri toni anche questa è una ricerca del tempo perduto, di un tempo mai conosciuto di una persona amata, e forse per questo ancora più affascinante.
Il tema dell’elaborazione del lutto è centrale nel libro, ma la cosa interessante è che non è raccontato in termini pietisti e tristi, ma come una ricerca, un inno alla vita e al reinventarsi, un invito a godere di nuove possibilità e inizi a qualsiasi età, in barba agli stereotipi sugli anziani e all’impossibilità di poter cambiare la propria vita. In fondo scoprire che persona era Miriam diventa una nuova ragione di vita per Arthur.
Una storia anche che rilegge l’archetipo del viaggio come strumento di conoscenza degli altri, in questo caso Miriam così diversa da giovane dalla donna che poi è invecchiata con Arthur, ma anche di riscoperta di se stessi da parte di un anziano abitudinario, abituato da anni a fare sempre le stesse cose, che parte alla fine verso l’ignoto, con non certo la predisposizione a viaggiare, con peripezie in jeans, sandali e zaietto.
Un libro per tutte le età, comunque, che vuole ricordare che là fuori c’è sempre una possibilità nuova per incominciare di nuovo, che mette insieme la provincia inglese di oggi con ricordi della Swinging London degli anni Sessanta, ormai cinquant’anni fa, e della Parigi artistica, senza cadere in stereotipi ma ricordando momenti lontani vissuti da giovani che volevano cambiare il mondo con il rock e la minigonna e che oggi sono gli anziani che si vedono in giro.

Phaedra Patrick ha lavorato come artista del vetro, come organizzatrice di festival cinematografici e come responsabile della comunicazione. Vive a Saddleworth, nel Nord dell’Inghilterra, con il marito e il figlio. L’uomo che inseguiva i desideri è il suo primo romanzo.

Source: inviato dall’editore al recensore, ringraziamo Bianca dell’ Ufficio Stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Lo stupore di una notte di luce, Clara Sánchez, (Garzanti Libri, 2016), a cura di Elena Romanello

26 ottobre 2016
sa

Clicca sulla cover per l’acquisto

Arriva finalmente in libreria il seguito di Il profumo delle foglie di limone, il libro che ha fatto scoprire nel nostro Paese e non solo il talento di Clara Sanchez, forse l’autrice spagnola di maggiore successo a livello nazionale e internazionale.
Tornano quindi, in un intreccio da giallo, Sandra e Julian, lei giovane donna ora mamma del suo bimbo e sfuggita ad una coppia di nazisti che l’avevano ingannata promettendole protezione durante la gravidanza, lui reduce da Mauthausen che ha dedicato la vita a dare la caccia a criminali che hanno trovato rifugio e prosperità sulle coste spagnole.
Sandra trova un giorno un biglietto anonimo che le chiede dove è finito Julian, con cui lei peraltro non ha più contatti, e poco dopo il suo bambino viene rapito, lanciandola in una ricerca spasmodica dove incontrerà vecchi alleati e nemici.
Una storia avvincente, che svela retroscena poco belli e molto realistici della Spagna, dove grazie al regime di Franco trovarono rifugio vari nazisti, anche se non i nomi più famosi che comunque da lì transitarono, un passato con cui la penisola iberica sta cominciando a fare i conti solo adesso e che ha continuato ad esistere anche dopo la caduta della dittatura, visto che molti di questi criminali hanno potuto continuare ad invecchiare serenamente sulle spiagge calde ispaniche senza pagare mai per quello che avevano fatto. Tutto questo viene raccontato in un intreccio thriller, ma gli anziani vecchietti tanto benevoli che solo in un secondo tempo mostrano il loro vero volto e che tornano nel secondo sono ispirati a figure realmente esistite, così come l’anziano Julian, che vuole giustizia e non vendetta e che crede che certe colpe non debbano comunque essere mai dimenticate o perdonate, soprattutto tenendo conto che gli anziani aguzzini hanno fatto proseliti presso persone giovani che possono essere quindi ancora più pericolose.
Lo stupore di una notte di luce va letto rigorosamente dopo Il profumo delle foglie di limone, a cui è legato, per una storia originale, concitata, appassionante, per trovare giustizia e verità.
Il personaggio di Sandra è cambiato rispetto al primo libro, ovviamente è diventata più consapevole e matura, meno ingenua e pronta a fidarsi, ma il vero eroe del libro resta Julian, cavaliere solitario che non rinuncia alla sua ricerca nemmeno da anziano, proprio perché certe persone non cambiano mai, né nel bene né nel male.
Come già Il profumo delle foglie di limone, anche Lo stupore di una notte di luce è un thriller originale e di denuncia, con un finale che può concludere ma può anche aprire a nuovi sviluppi. Perché certi tipi di male cambiano forse adeguandosi alle nuove epoche, ma non muoiono né spariscono mai.

Clara Sánchez ha raggiunto la fama mondiale con il bestseller Il profumo delle foglie di limone, in cima alle classifiche di vendita per oltre due anni. Con Garzanti ha pubblicato anche gli altri suoi libri, tra cui spiccano La voce invisibile del vento e Entra nella mia vita. È l’unica scrittrice ad aver vinto i tre più importanti premi letterari spagnoli: il premio Alfaguara nel 2000, il premio Nadal nel 2010 e il premio Planeta nel 2013 con Le cose che sai di me. Ha visitato più di una volta l’Italia, partecipando ad eventi come il Salone del libro di Torino.

Provenienza: libro inviato dall’editore al recensore, si ringrazia l’ufficio stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Raccontami dei fiori di gelso di Aline Ohanesian (Garzanti, 2016) a cura di Giulietta Iannone

14 luglio 2016
hue

Clicca sulla cover per l’acquisto

“A volte mi domando se il nostro kismet è come questa lana e se Dio lo tinge arbitrariamente di un colore o di un altro”.

“Ti serve un nome turco. D’ora in poi risponderai al nome di Seda. Significa “eco”, così che tu possa ritrovare la tua voce”.

“Una tazza di caffè t’impegna a quarant’anni di amicizia” recita un proverbio turco.

Il genocidio armeno ha un triste primato: fu il primo genocidio del ventesimo secolo, anche se lo stesso termine genocidio, l’uso di questo termine, non è universalmente accettato. La Turchia non riconosce il Medz Yeghern come tale, la morte di un milione e mezzo di armeni rientra tra le vittime di guerra. C’era la Prima Guerra Mondiale, anche gli innocenti morivano. Seppure documenti e testimonianze attestino la peculiarità di questo sistematico sterminio, i turchi vivono ancora come un’offesa questi accenni. Paradossalmente il genocidio ebraico, fatto salvo per gli odiosi, ma sporadici, fenomeni di negazionismo, ha trovato minori ostacoli al suo riconoscimento. La Germania, come stato, entità politica, non ha mai negato la Shoah. La Turchia appunto sì. È illegale parlarne. Se fossi una blogger turca rischierei l’oscuramento del mio sito, se non l’arresto da sei mesi a due anni per vilipendio dell’identità nazionale, in base all’art. 301 del codice penale. Ecco, chiarito questo, è più che evidente il significato che assumono libri come quello di cui vi sto per parlare. Un’umile voce, un eco (il nome turco stesso della protagonista del romanzo a questo rimanda) di quello che successe, ostacolato da una cortina di silenzio. Sul nostro blog già se ne parlò trattando questo saggio che invito a riscoprire se interessati all’argomento.
Ma cos’è un genocidio? Un genocidio, dice il dizionario, è la metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso lo sterminio degli individui e l’annullamento dei valori e dei documenti culturali. Il suo riconoscimento ha due conseguenze dirette: una morale, l’altra materiale, legata a un eventuale risarcimento dei discendenti delle vittime. Probabilmente lo stato turco è a questa seconda circostanza che si oppone più fermamente. Sta di fatto che gli eventi più lontani nel tempo, rispetto per esempio alla Shoa, hanno minori moderne documentazioni, ed anche una foto sappiamo tutti è possibile alterarla, o distorcere dati, termini, circostanze. Chi si approccia a tutto ciò con uno spirito scientifico non può non tenerne conto, ma la difficoltà di poter pervenire a una comprovata verità storica, non deve frenarci dal continuare a cercarla. Senza trasformare la Turchia contemporanea in un mostro mitologico a due teste.
Leggere libri come Raccontami dei fiori di gelso (Orhan’s Inheritance, 2015), è dunque un preciso atto morale, etico, e politico, e come dice l’autrice stessa gli storici, gli studiosi e i giornalisti che si battono per la verità dimostrano quotidianamente che la penna è davvero più forte della spada. Dunque anche un romanzo può rientrare in questa giusta battaglia per la verità, quanto mai la letteratura si presta a questo scopo e lo fa con le sue armi, e la sua voce.
Il libro è ispirato ai ricordi della bisnonna dell’autrice, che aveva 3 anni nel 1915, quando assistette all’impiccagione pubblica di suo padre e in prima persona partecipò alla fuga dalla Turchia. Da questo nucleo di vita raccontata, per “non dimenticare mai”, Aline Ohaniesian ha tratto il personaggio immaginario di Seda e di coloro che compaiono in questo libro.
L’eredità di Orhan, dal titolo originale, è infatti il pretesto da cui parte il libro che pian piano da eredità materiale assume, durante la lettura, un valore sempre più simbolico e morale. Alla morte del nonno, Kemal Turkoglu, il giovane Orhan parte da Istanbul, dove dirige una ditta di tessuti, verso l’Anatolia interna, la quint’essenza dell’altra Turchia, e giunge a Karod, dove sorge la casa di famiglia, abitata da suo padre Mustafa e dalla zia Fatma. Siamo nel 1990, il presente storico se vogliamo del romanzo. Alla lettura del testamento in una clausola del tutto inaspettata, il nonno Kemal destina la casa di famiglia a una donna misteriosa: Seda Melkonian. Spetterà a Orhan ad andare in California, dove l’anziana donna vive in una casa di riposo, per tentare di convincerla ad accettare un giusto indennizzo in cambio della casa in cui sono sempre vissuti suo padre e sua zia.
Seda Melkonian, all’inizio è piuttosto refrattaria ad accogliere questo giovane turco che riporta in vita il passato, ma poi decide di raccontargli la sua storia.
Con un linguaggio poetico e delicato, screziato di termini turchi, profumi, odori orientali, Aline Ohanesian ci narra la sua storia, alternando presente, il 1990 appunto, e il passato, il 1925, e creando una storia in qualche modo di investigazione. All’inizio non sappiamo dove l’Ohanesian ci porterà, quali sono i legami e rapporti tra i personaggi. E questa curiosità se vogliamo accresce l’interesse con cui seguiamo il dipanarsi degli eventi in una sorta di Mille e una notte turca. L’Ohanesian ha una grande capacità affabulativa, legata alla tradizione orale, ed è un vero piacere leggere le sue pagine, sebbene narrino anche fatti tragici come le deportazioni o lo sterminio dei cristiani armeni da parte del governo turco musulmano.
Traduzione di Stefano Beretta.

Aline Ohanesian, nata in Kuwait, vive in California con il marito e i figli. Il suo romanzo, segnalato da tutte le classifiche dei librai americani e pubblicato in tutto il mondo, è stato selezionato per il Flaherty-Dunnan First Novel Prize e finalista del PEN/Bellwether Prize for Fiction.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Bianca dell’ Ufficio Stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Fiore di fulmine, Vanessa Roggeri, (Garzanti, 2015) a cura di Elena Romanello

15 giugno 2016
images

Clicca sulla cover per l’acquisto

Per il suo secondo romanzo Vanessa Roggeri sceglie di nuovo la sua Sardegna, ma non quella contemporanea: ci troviamo infatti nell’Ottocento, per raccontare la storia di Nora, ragazzina di campagna che sopravvive al tocco di un fulmine, e per questo motivo è discriminata dalle credenze della gente del paesino in cui è cresciuta, un tema che torna anche dal suo primo libro. L’unica speranza per lei è andare a Cagliari, dove prima abita in un convento di suore e poi va a servizio di Donna Trinez, una nobildonna che capisce cosa c’è nel suo animo. Ma le sue peripezie non sono certo finite perché dovrà confrontarsi con misteri, drammi e fantasmi del passato, in una casa che non è certo accogliente come sperava e oltre alla sua maledizione dovrà fare i conti con altro.
Siamo in Sardegna, ma l’intreccio narrato è da romanzo gotico vittoriano e ottocentesco, tra colpi di scena, ragazze in cerca di una loro vita (c’è qualcosa di Jane Eyre in Nora), misteri, fantasmi, case inquietanti: un insieme che funziona e che dà una visione diversa di una Regione d’Italia che oggi si conosce solo per il suo aspetto contemporaneo di luogo di mare da sogno e non per tutti, ma che ha al suo interno leggende, tradizioni, enigmi, misteri come nelle più nebbiose isole britanniche, soprattutto legate alla figura femminile, per antichi retaggi culturali di un matriarcato mai realmente scomparso.
Un Penny Dreadful nostrano, dal nome dei romanzi gotici ottocenteschi che hanno ispirato l’omonima serie di fantastico vittoriano, che racconta come anche in Italia, in luoghi insospettabili come la Sardegna possano emergere storie insolite e originali, tra realtà e paranormale, tra segreti non detti e eventi inspiegabili, partendo dall’archetipo della casa inquietante e ricca di misteri, nato proprio nell’Ottocento inglese e giunto con solo qualche aggiornamento più splatter (non presente nel romanzo di Vanessa Roggeri) fino a noi. Una storia di crescita femminile e di ricerca di sé, con al centro una protagonista insolita, versione moderna ma senza snaturamenti delle eroine ottocentesche. Tra l’altro è assodato e possibile sopravvivere allo scontro con un fulmine come capita a Nora, ma le proprie caratteristiche fisiche e psichiche rimangono comunque stravolte, cosa nota anche nella società di oggi così diversa dall’entroterra sardo dell’Ottocento.

Vanessa Roggeri è nata e cresciuta a Cagliari, dove si è laureata in Relazioni Internazionali. Ama profondamente la sua isola e le sue tradizioni e la sua passione per la scrittura è nata fin da quando la nonna le raccontava favole e leggende sarde intrecciate alle proprie memorie d’infanzia. Presso Garzanti è già uscito di suo Il cuore selvatico del ginepro, altra storia al femminile insolita ambientata in Sardegna.

Source: libro inviato dall’editore al recensore, ringraziamo Martina dell’Ufficio Stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Lo strano viaggio di un oggetto smarrito, Salvatore Basile (Garzanti, 2016) a cura di Valeria Gatti

30 Maggio 2016
91gL7KRUvhL

Clicca sulla cover per l’acquisto

In Italia si legge poco. La statistica pubblicata a gennaio da ISTAT rileva che  “I “lettori forti”, cioè le persone che leggono in media almeno un libro al mese, sono il 13,7% dei lettori (14,3% nel 2014) mentre quasi un lettore su due (45,5%) si conferma “lettore debole”, avendo letto non più di tre libri in un anno“.
I motivi di questa emorragia culturale non sono certo di facile analisi e impongono molte domande, soprattutto a noi, popolo dei “forti lettori”. Potrebbe trattarsi di un problema di base che identifica la lettura come un noioso obbligo scolastico? O, invece, potrebbe essere un motivo economico dietro al quale si nasconde il solito luogo comune che i libri costano e in tempi di crisi bisogna “tagliare” le spese? Illogico mi viene spontaneo dire. Esistono le biblioteche, mondi fantastici di scambi culturali, completamente gratuiti. Oppure la causa potrebbe essere questa società malata che ci obbliga ad agire, correre, ammazzare qualsiasi possibilità di riflessione? E se invece si trattasse di paura? Di quel malessere che ci impedisce di guardarci dentro e di accettare ciò che la vita ci ha dato e ciò che ci ha tolto? “La logica vi porterà da A a B. L’immaginazione vi porterà dappertutto” citava Einstein. Un grande insegnamento, sempre attuale, mai così vivo.
Il tentativo di riportare il giusto livello di attenzione sul mondo della carta stampata, e su tutto ciò che esso rappresenta, è una sfida continua e ardua per gli autori e gli editori di tutto il mondo e non siamo sicuramente nella sede opportuna per valutare le possibili soluzioni. Sfida ardua, appunto, non impossibile.
Perché ci sono parole che sanno risvegliare qualsiasi sonno e ci sono pensieri che sanno toccare quei sentimenti reconditi che tutti noi custodiamo. Perché se è vero che siamo programmati al successo, è anche vero che abbiamo bisogno di sognare.
Provo a spigarvi meglio questo mio ultimo pensiero.
Se invece pianti l’unghia su un tronco antico non resta alcun segno apparente. E hai l’impressione di non averlo neanche scalfito, quel tronco, perché continui a vederlo forte e robusto. Intatto. Ma non è così … quell’unghia lascia comunque una ferita. È una ferita che all’esterno non si vede … ma fa invecchiare prima del tempo le radici …
Oppure:
Ricordarsi che la vita è bella. Una promessa infantile, all’apparenza. Ma forse la più terribile e impegnativa delle promesse. Perché poi è la vita a ricordarti, giorno dopo giorno, quanto riesce a essere dura, difficile, imprevedibile. A volte spietata. Ma Elena voleva amarla ugualmente …
E, ancora:
La vita non finisce mai di regalarci qualcosa …. A volte ci ha portato tanti dolori di cui avremmo volentieri fatto a meno. Altre volte ci ha fatto assaporare gioie immense e momenti di felicità …
Oltre a :
Metro dopo metro, procedeva all’interno di una sconfitta che sentiva di meritare fino in fondo, come se fosse nato per subirla, come se il suo unico compito, nel corso della vita, fosse stato prepararsi al peggio e affrontarlo giorno dopo giorno, senza un’alternativa …
Potrei continuare ma mi impongo di non farlo.
Perché se lo facessi, storpierei la magia che si nasconde tra le pagine di quest’autentica favola moderna che è “ Lo strano viaggio di un oggetto smarrito” il primo romanzo di Salvatore Basile, edito da Garzanti.
Un storia commovente e sincera quella di Michele, un ragazzo smarrito che dopo anni di obbligata solitudine si trova a compiere un viaggio tanto inaspettato quanto doloroso alla ricerca della mamma “perduta”, la stessa donna che lo ha abbandonato in tenera età. Un viaggio simbolico alla scoperta del suo io più vero, quello più complesso, quello più dolce, quello più pericoloso. Un viaggio a bordo di quel treno che, per lui che ha ereditato il lavoro di capostazione dal padre, è una seconda casa, sicura e affidabile. Un viaggio verso Elena, una giovane donna che come lui, deve fare i conti con la sofferenza e la realtà ma che porta con sé un bagaglio colmo di riscatto verso la vita.
Un scrittura raffinata quella di Basile, scrittore all’esordio ma non uno sconosciuto nell’ambito culturale (sue molte sceneggiature di Film e serie TV di successo). Le parole ricercate ma semplici, i dialoghi precisi e lineari, la narrazione leggera e sincera, un ritmo delicato e riflessivo fanno de “Lo strano viaggio di un oggetto smarrito” un piccolo grande capolavoro, uno di quei romanzi che vuoi tenere sul comodino, per poterne leggere qualche stralcio qua e là quando più ne hai voglia, quando ne hai più bisogno.
Termino con nota strettamente personale. Ho letto una recente intervista rilasciata dallo scrittore durante la quale ha dichiarato che il libro è nato dopo nove mesi di lavoro. Un parto, insomma. Ho trovato questa dichiarazione simpatica e molto significativa. Perché per uno scrittore, un libro è come un figlio, unico e irripetibile. Ma non per questo ci si deve fermare. Quando i “figli” vengono bene, è opportuno continuare a “procreare”. È un dovere, un regalo per tutta l’umanità.

Salvatore Basile è nato a Napoli e vive a Roma, dove fa lo sceneggiatore e regista. Ha scritto e ideato molte fiction di successo. Dal 2005 insegna scrittura per la fiction e il cinema presso l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano.

Source: libro inviato dall’editore al recensore, ringraziamo Martina dell’Ufficio Stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: La gemella silenziosa, S.K. Tremayne (Garzanti, 2015) a cura di Elena Romanello

11 Maggio 2016
10-3+Settembre

Clicca sulla cover per l’acqusito

Dopo un terribile lutto che ha colpito lei e la sua famiglia, Sarah si è trasferita nell’isola di Skye, in Scozia, lontana da chi potrebbe sapere e dire, e spesso si sofferma a guardare la sua bambina sopravvissuta, Kirstie, così simile alla gemellina morta, Lydia.
Ma un giorno, in attesa del marito e isolata sull’isola da una tempesta, Sarah si sente dire da Kirstie che in realtà lei è Lydia e che è Kirstie a essere morta: questo sarà l’inizio di un viaggio alla ricerca di una verità che sconvolgerà e distrugggerà ogni certezza, sopratuttto quando man mano verranno fuori le circostanze della morte della piccola.
Un thriller con qualche eco paranormale, un dramma familiare, una variazione sul tema del doppio: nelle pagine di questo romanzo c’è tutto questo, senza scopiazzature di storie precedenti e costruendo una storia che avvince fin dalla prima pagina, con vari livelli di lettura, coesistenti tra di loro e che si sciolgono solo nel finale, con un nuovo cambio di prospettiva e di voce narrante.
Già sentito ma funzionale alla trama il tema del cambio di luogo come inizio di tutto ma anche come scelta per avere nuove opportunità, e l’Isola di Skye, persa nell’estremo nord della Scozia, è anche lei coprotagonista della vicenda e diventa man mano un essere vivente capace di influenzare la storia. Anche il tema dei gemelli non è nuovo ma è sempre efficace, con la sua dose di inquietudine inevitabile che porta con sé, amplificata da una vicenda con tante piste e colpi di scena, ma comunque con richiami alla realtà della vita con due gemelli o gemelle identici.
Certo, La gemella silenziosa può essere letto come un thriller con una punta di paranormale (spiegato alla fine), visto che alla base c’è una ricerca della verità, verità dietro le parole di una bambina che forse ha solo troppa fantasia e sente comunque un dolore grande, ma anche verità di come si sono svolti davvero i fatti legati ad una morte, verso una conclusione non scontata, non rassicurante e non accomodante, con chi indaga, Sarah, che vedrà confuso alla fine il suo ruolo.
Il dramma familiare ha il suo peso, con tutto quello che si nasconde e non si dice, anche di fronte a tragedie, senza patetismi e tristezze, per la storia di anime ferite e distrutte in una vicenda in cui nessuno uscirà vincitore.
La gemella silenziosa ha quindi diversi elementi interessanti dentro di sé e piacerà a chi a ma i misteri, non solo quelli su cui indagano le forze dell’ordine, ma quelli nascosti nelle vite delle persone, che emergono complici situazioni e luoghi particolari, suggestivi e terribili come la remota Isola di Skye, ancora in Europa nominalmente ma sul confine di un mondo tra realtà e fantasia, dove si può scoprire la verità e non uscirne indenni.

K. Tremayne è nato nel Devon, vive a Londra con le sue due figlie e scrive regolarmente su giornali e riviste internazionali. La gemella silenziosa ha riscosso grande successo di critica e pubblico in tutto il mondo.

Source: libro inviato dall’editore al recensore, ringraziamo l’ufficio stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Storia del pinguino che tornò a nuotare di Tom Michell, (Garzanti, 2016) a cura di Elena Romanello

15 aprile 2016
co

Clicca sulla cover per l’acquisto

Recentemente ha commosso il mondo la storia del pinguino che torna ogni anno in Sud America a trovare e salutare l’uomo che l’ha salvato dal petrolio che lo stava uccidendo, riconoscendolo tra tanti anche a distanza di tempo, mostrando intelligenza e capacità di relazionarsi, oltre che veri e propri sentimenti non certo bestiali.
Storie così non sono così rare, e Tom Michell, oggi un tranquillo docente inglese ma in gioventù insegnante in Argentina e in giro per l’America latina nei turbolenti anni Settanta, racconta una vicenda simile, che gli è successa appunto allora e l’ha segnato per sempre.
Durante una vacanza in Uruguay, poco prima di tornare a Buenos Aires dove insegna, Tom trova sulla spiaggia una colonia di pinguini ricoperti di petrolio, senza vita, tranne uno che ancora si muove. Tom sente scattare qualcosa in lui e decide di aiutarlo, portandolo in albergo e ripulendolo, con molta fatica iniziale perché il pinguino è spaventato, ma poi sembra capire. Ma quando fa per rilasciarlo in mare, il pinguino, a cui ha dato il nome di Juan Salvador dalla versione spagnola de Il gabbiano Jonathan Livingstone non ci sta e inizia a seguirlo. Diventerà per un bel po’ di tempo il nuovo ospite del collegio dove insegna Tom, creando amicizie, diventando un punto di riferimento per tutti coloro che gravitano intorno alla scuola, in particolare per un ragazzo terrorizzato dall’acqua, con cui forse troverà il coraggio di riprendere a nuotare.
Una favola vera, esilarante e struggente, che ripercorre l’eterno tema dell’amicizia tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi che condividono con noi lo spazio su questo pianeta, con stavolta come interlocutore il pinguino, un animale per molti lontano ma che in certe terre è una presenza fissa anche se a rischio per problemi ambientali. Una storia animalista e ecologista, ma non solo, anche una vicenda on the road, in Paesi per cui l’autore ha una nostalgia enorme, anche se ci ha vissuto in epoche di dittature e colpi di stato, e che ricorda nel loro incanto così diverso dalla campagna inglese e non solo, per la loro gente, per il calore umano e animale che ha trovato e che a distanza di anni sono rimasti tra i suoi ricordi più belli.
L’autore ha voluto dopo anni raccontare alla sua famiglia questa incredibile avventura, emblema di libertà, spensieratezza, giovinezza e un po’ di sana incoscienza, prima editando in proprio il libro, e poi diventando un caso editoriale. Una storia per tutte le età, non retorica ma ricca di insegnamenti e spunti, sul passato ma senza inutili nostalgie, arricchita da alcune bellissime illustrazioni di Juan Salvador fatte dall’autore stesso presente il modello o ricordandolo.

Tom Michell, docente di inglese, ha deciso di narrare per la sua famiglia la storia della sua amicizia con Juan Salvador, e l’ha stampata in proprio. Non immaginava certo che sarebbe diventata uno dei più importanti casi editoriali dell’anno. Ora pubblicato dalla casa editrice Penguin, La storia del pinguino che tornò a nuotare è stato venduto in 20 paesi del mondo.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Francesca dell’Ufficio Stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

 

:: La sarta di Dachau, Mary Chamberlain (Garzanti, 2016) a cura di Giulietta Iannone

23 gennaio 2016
sarta

Clicca sulla cover per l’acquisto

Londra, 1939. Ada Vaughan, una graziosa ragazza di quasi 18 anni, lavora come sarta nell’atelier di Madame Duchamps, a Dover Street. La cura nel vestire, un corso di dizione, un lavoro che le permette di contribuire alle spese della famiglia (madre, padre, fratelli) che vive nel quartiere operaio, tutto fa di lei una ragazza moderna e “ambiziosa”. Ada è brava nel suo lavoro, la più brava delle sarte dell’ atelier, e questo quasi fa passare in secondo piano la zona disagiata da dove proviene, una casa a schiera di pochi vani, in cui d’estate gli insetti costringono a stare fuori e la fuliggine si impregna in ogni cose, tende, tessuti e mobili. Ma Ada ha un sogno, coltivato con ostinazione iniziando a lavorare per il sarto Isidore dove ha imparato le basi della sua professione prima di arrivare da Madame Duchamps, non vuole restare una semplice sarta, vuole diventare modista e perché no stilista e creare i suoi propri modelli magari per una propria Casa di moda sulle orme di Coco Chanel.
Poi un giorno un incontro inaspettato sotto la pioggia. Un conte, almeno così si dichiara, del continente, con il suo aspetto esotico e l’accento ricercato si interessa di lei, la porta nei locali più rinomati e un giorno l’invita a trascorrere con lui 5 giorni a Parigi. Come rifiutare? Magari le chiederà di sposarla? Coronamento romantico di una vita di stenti e di duro lavoro. Ada Vaughan accetta e parte con Stanislaus von Lieben per Parigi. Un viaggio da sogno, in un romantico alberghetto, stessa camera ma letti separati.
Poi l’irreparabile. Già a Londra aveva sentito che c’era la possibilità di una guerra imminente, ma non ci aveva creduto. Perché subito? C’era tempo per 5 giorni a Parigi. Ada Vaughan era in fondo una ragazza fortunata. E invece la guerra scoppia e come conseguenza non può tornare a casa. Senza soldi, l’unica alternativa e trovare un lavoro e in fondo nulla è perduto. Ha Stanislaus, così gentile e “innamorato”. Presto iniziano a vivere a Parigi come marito e moglie pure senza essere sposati.
Ma Stanislav non è il ragazzo dolce e sensibile che si era immaginata. Dopo una precipitosa fuga in Belgio ne ha l’amara conferma. L’abbandona in un albergo, senza soldi, senza documenti. Da quel momento per Ada Vaughan è l’inizio di un incubo che la porterà in Germania, a Dacahau nella casa del comandante del campo. E solo la sua abilità con l’ago farà la differenza tra vivere e morire. Tante donne naziste le porteranno foto di abiti a cui lei dovrà dare vita, cullata dal sogno di tornare a casa dalla sua famiglia non prima di aver cucito l’abito da sposa della donna più importante del Terzo Reich, proprio Eva Braun, la compagna del Führer. (Che non riconosce, lo scoprirà dopo a guerra finita, in modo drammatico).
Sono tanti i libri usciti quest’anno in occasione del Giorno della Memoria, alcuni biografici o scritti dai personaggi che realmente hanno vissuto quegli eventi, altri più romanzati come La sarta di Dachau (The Dressmaker of Dachau, 2015), dell’esordiente inglese Mary Chamberlain, professoressa di storia a Oxford, edito da Garzanti e tradotto da Alba Mantovani.
Un libro particolare, che analizza gli anni della Seconda guerra Mondiale in Europa da un punto di vista insolito e interessante, quanto drammatico, parlando di deportazioni e collaborazionismo. Argomenti che senz’altro non sono ancora stati approfonditi e danno materia di analisi per studiosi e romanzieri. E Mary Chamberlain è entrambi, oltre ad avere un profondo interesse per la condizione femminile e la società misogina inglese post-bellica. Insomma questo libro tratta temi seri e difficili, dando a suo modo un importante contributo al dibattito di questi giorni.
Con la sua scrittura limpida, scorrevole, al servizio di una storia drammatica che conserva sfumature di incredibile, la Chamberlain (nuora dell’attrice Lilli Palmer) ricostruisce un ritratto di donna per nulla stereotipato o edulcorato. Molti ebrei, perlomeno alcuni, si salvarono nei campi di concentramento per le loro particolari abilità, chi perché sapeva le lingue, altri perché suonavano uno strumento, altri ancora perché erano capaci di tagliare i capelli. In questo romanzo la protagonista non è ebrea, ma ripercorre queste orme e chiusa a Dachau senza saperlo, utilizza la sua abilità nel cucire e tagliare stoffe come un’ arma in una guerra silenziosa e altrettanto difficile che la guerra combattuta sui campi di battaglia.
Se all’inizio Ada è una ragazza ingenua e romantica (forse troppo), capace di credere ai sogni, con il passare del tempo si trasforma in una donna sempre più consapevole e determinata, sorretta dall’ aspirazione di sopravvivere per tornare a casa dalla sua famiglia. Ci riuscirà? Riuscirà a ritrovare suo figlio, e Stanislaus? Non ve lo anticipo, lo scoprirete leggendo questo romanzo capace di sondare l’animo femminile e le sue molteplici capacità di adattamento, coraggio e inventiva, senza sconti o concessioni al lieto fine.
Sebbene non sapremo mai chi furono le sarte di cui si servì Eva Braun (ordinò che fossero distrutte le ricevute) questo romanzo ci avvicina a una storia che ha molte caratteristiche che si avvicinano alla realtà. Forse è esistita davvero Ada Vaughan, o tante ragazze a lei simili, e forse non lo sapremo mai.

Mary Chamberlain è professoressa di storia a Oxford. La sarta di Dachau, il suo primo romanzo.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Martina dell’Ufficio Stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: La verità sul caso Rudolf Abel, James B. Donovan (Garzanti, 2015) a cura di Giulietta Iannone

28 novembre 2015
1

Clicca sulla cover per l’acquisto

La Guerra Fredda fu una guerra di spie.
Rudolf Ivanovič Abel fu una di queste. Fu catturato dall’FBI nel giugno del 1957, dopo essere stato tradito da uno dei suoi, un personaggio davvero squallido e incolore che forse non è il caso neanche di citare.
Per nove anni, come agente residente, Abel aveva diretto la rete dello spionaggio sovietico nell’ America settentrionale, dal suo studio di pittore di Brooklyn. E non era stato neanche un pittore mediocre, solo non aveva avuto molto tempo per applicarsi si lamentava, aveva dovuto occuparsi d’altro.
Oltre alla pittura aveva altri interessi apparentemente insoliti ma necessari per la sua professione e per il suo specifico ruolo: conosceva diverse lingue, discuteva con competenza di matematica, filosofia, arte, scienze spionistiche. Le sue spiccate doti intellettuali e la sua intelligenza fuori dal comune erano però nascoste da un aspetto dimesso, anonimo, se l’aveste visto una volta ve ne sareste subito dimenticati. Frutto dell’addestramento, camaleontica abilità innata? Forse un miscuglio delle due. Il direttore dell’albergo dove aveva soggiornato alcuni mesi prima della cattura lo definiva un uomo tranquillo, mite, corretto, che pagava sempre puntuale e non creava problemi. Un uomo di cui ci si dimentica o forse ispira anche un po’ di simpatia, certo non lo si percepisce come una minaccia.
Rudolf Ivanovič Abel era un colonnello del KGB, un militare in incognito in terra straniera, e quel tanto o poco che sappiamo di lui lo dobbiamo a James B. Donovan, autore di La verità sul caso Rudolf Abel, (Strangers on a Bridge – The Case of colonel Abel, 1964) libro fino ad oggi inedito in Italia, che Garzanti ha voluto e Vittorio Di Giuro ha tradotto.
Non è esattamente un romanzo. Seppure romanzato è un libro autobiografico basato sugli appunti che Donovan prese giornalmente da quando iniziò a occuparsi del caso Abel. Un documento storico se vogliamo, i cui carteggi originali sono conservati, tra casse di documenti, negli Hoover Institution Archives, ancora non disponibili al pubblico “for preservation purposes”.  (Potete visionare alcuni documenti originali a questo link).
Alla fine degli anni ’50, nel periodo più gelido della Guerra Fredda, le prime pagine dei giornali americani erano occupate da questa cattura, dall’inevitabile processo che ne seguì e infine, in modo piuttosto rocambolesco e anche insperato, dallo scambio di prigionieri che portò alla liberazione di Abel e al suo ritorno in Unione Sovietica.
Lo stile del libro è piuttosto sobrio, schematico, forse antiquato, il traduttore l’ha mantenuto in modo impeccabile, e se questo dovesse limitare in un certo senso il cosiddetto effetto sensazionalistico, trasmette tuttavia l’autenticità e la drammaticità dei fatti narrati.
Anche Donovan a suo modo era un personaggio eccezionale. Un serio professionista, un avvocato cattolico, fermamente convinto che tutti abbiano diritto a un processo equo e soprattutto convinto che l’America avesse il migliore sistema giuridico esistente. Se non ai livelli di Abel anche lui era stato un militare, e aveva operato come ufficiale di marina nei servizi segreti militari. Tanto da non stupirsi quando il suo ruolo di avvocato di ufficio di un personaggio certo ingombrante come Abel diventò una vera e propria missione diplomatica direttamente voluta dal presidente Kennedy. Missione che lo portò ad attraversare la cortina di ferro e ad andare nella Germania dell’Est, anche affrontando non pochi pericoli. Probabilmente non grandissimi, ma ad ogni controllo passaporti non aveva la piena certezza di come sarebbe andata a finire. Insomma non il tranquillo e burocratico lavoro di ufficio di un avvocato in uno studio più che avviato e ben integrato nella buona società newyorkese di inizio anni ’60.
Quello che emerge e più sorprende delle pagine di questo libro è il rapporto tra gentiluomini di due persone che pur restando “nemici”, per lo meno posti in due diversi lati di una barricata ideologica, culturale e sociale oltre che politica, trovarono il tempo di instaurare un rapporto umano basato sul rispetto e sulla stima reciproca.
Il quadro che emerge della società di quegli anni è altrettanto interessante, denso di informazioni, e osservazioni a volte acute e mai scontate.
Certo conosciamo la storia vista dagli occhi di Donovan, altrettanto interessante sarebbe stato conoscerla dagli occhi di Abel, tuttavia una certa moderazione e imparzialità ci offre un affresco tutto sommato veritiero di cosa successe tra il 1957 e il 10 febbraio del 1962, giorno dello scambio di Gary Powers per Abel. Anche Marvin Makinen e Frederic L. Pryor furono liberati, più un sacerdote americano, in cambio gli americani espulsero anche altri due cittadini sovietici accusati di spionaggio.
Donovan si rivelò soprattutto un ottimo negoziatore, non privo di coraggio e capacità di stilare profili psicologici dei personaggi coinvolti. La trattativa fu portata avanti da Donovan molto probabilmente con il capo del KGB nell’Europa Occidentale, e anche questo segnala la delicatezza e difficoltà dell’intera operazione, che avrebbe potuto avere, se condotta da altri, anche risvolti tragici.
Tutto dunque si concluse bene. Kennedy arrivò a congratularsi con Donovan, in una lettera del 12 marzo 1962, definendo la sua missione “un’ operazione di alto livello“. Ed è piuttosto singolare che Donovan non conobbe mai il vero nome di  Rudolf Ivanovič Abel. Quando glielo chiese, Abel si informò se era un dato necessario allo svolgimento del processo. Dononvan rispose di no. E così quel dettaglio restò per lui sconosciuto. Il caso infatti volle che Donovan morì il 19 gennaio del 1970, e Abel il 15 novembre del 1971. Praticamente con un anno di differenza. Le ceneri di Abel furono interrate sotto il suo vero nome, e solo allora in Occidente poterono conoscere la sua vera identità: si chiamava Vilyam Genrikhovich Fisher.
Un’ ultima curiosità: da questo libro Steven Spielberg ha tratto un film con Tom Hanks nel ruolo di Donovan. Uscirà nelle sale italiane il 17 dicembre.

James Britt Donovan (New York, 1916-1970) è stato un avvocato e ufficiale della marina militare americana. Oltre a essere protagonista del «caso Abel» descritto nel libro Il caso Abel, ha collaborato al processo di Norimberga e ha assistito le famiglie dei prigionieri cubani sopravvissuti al tentativo di invasione dell’isola di Cuba alla Baia dei Porci.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Marianna dell’Ufficio Stampa Garzanti.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

Info: grazie a Quotidiano piemontese, fino a esaurimento posti,  il film  Il ponte delle spie in anteprima gratis, per info qui